Provincia
di Torino
Fondazione Promozione
Sociale
Convegno nazionale
Come
garantire diritti esigibili e tutele effettive alle persone con handicap
intellettivo e limitata o nulla autonomia
VENERDI’ 19 OTTOBRE 2007 - Ore 9,30 –
13,30
GALLERIA D’ARTE MODERNA - Corso
Galileo Ferraris, 30 - TORINO
Presentazione degli obiettivi
Il convegno nasce dall’esigenza di promuovere la concreta esigibilità del diritto agli interventi socio-assistenziali in particolare a favore delle persone ultradiciottenni con handicap intellettivo e limitata o nulla autonomia: sostegni domiciliari alle famiglie, accessi garantiti nei centri diurni, ricoveri tempestivi in caso di necessità in piccole comunità di tipo familiare.
I soggetti con handicap intellettivo, che non hanno prevalenti disturbi psichiatrici e che sono stati valutati dai servizi competenti (Centri provinciali per l'impiego) non avviabili al lavoro, al termine del percorso scolastico e formativo dovrebbero avere accesso ad attività diurne del settore socio-assistenziale. Il condizionale è d’obbligo perché il diritto - come vedremo - non è affatto esigibile.
La situazione
La ragione della scelta di limitare questo momento di riflessione alle persone con handicap intellettivo in situazione di gravità nasce dalla constatazione che, una volta terminato il percorso scolastico-formativo, in assenza di interventi socio-assistenziali garantiti (esigibili), queste persone sono ad alto rischio di esclusione sociale: o finiscono per restare a totale carico della famiglia oppure sono ricoverati anzitempo, perché diventa insostenibile per la famiglia provvedervi a lungo senza aiuti esterni. AI contrario, è ormai dimostrato che, laddove è stata assicurata la frequenza di un centro diurno assistenziale, aperto cinque giorni alla settimana e per otto ore al giorno, il mantenimento a domicilio del figlio con handicap, benché grave, quasi sempre si protrae a lungo nel tempo. Abbiamo ormai genitori ultrasettantacinquenni con figli di 45, 50 anni e oltre ancora in casa.
Garantire il "durante noi" come è garantita l’integrazione scolastica
È indubbio che l’integrazione scolastica in ogni ordine e grado della scuola, ivi compreso l’obbligo formativo, ha favorito l’accoglienza in famiglia di questi soggetti, un tempo sovente rifiutati e ricoverati in istituto.
Importanti sono anche i servizi attivati per la prima accoglienza del neonato con handicap come, ad esempio, quello di consulenza educativa dell’Assessorato all’istruzione del Comune di Torino, attivo da oltre quindici anni, che aiuta i genitori a muovere i primi passi con un bambino "diverso" da quello atteso.
Tuttavia, mentre è assicurata la frequenza scolastica e la famiglia può quindi contare su aiuti concreti per continuare ad accogliere e mantenere a domicilio un figlio con handicap intellettivo in situazione di gravità, non sempre è garantito l'intervento assistenziale dopo i 18 anni.
Riconoscere il volontariato intra-familiare
Desideriamo anche porre l’accento sulla necessità di riconoscere l’apporto fondamentale della famiglia che, volontariamente, decide di continuare ad occuparsi in prima persona del figlio ultradiciottenne e che, pertanto, a maggior ragione deve essere sostenuta dalla comunità, anche mediante il riconoscimento di un contributo forfetario per le maggiori spese a cui deve far fronte per garantire il mantenimento del figlio a domicilio.
Un rilevante sostegno alla permanenza a domicilio delle persone con limitata o nulla autonomia potrebbe essere il riconoscimento da parte delle istituzioni (Regioni, Comuni singoli e associati) del volontariato intrafamiliare prestato dai genitori e/o da altri congiunti e/o da terze persone. Citiamo a titolo di esempio le positive delibere sul volontariato intrafamiliare approvate dal Consorzio dei Comuni di Collegno e Grugliasco (16 gennaio 2001) e, per quanto riguarda gli anziani cronici non autosufficienti, dal Comune di Torino (26 settembre 2005).
Il "dopo di noi"
La preoccupazione delle famiglie delle persone con handicap intellettivo con limitata o nulla autonomia è rivolta anche al futuro e, soprattutto, al momento in cui non saranno più in grado di fare fronte ai bisogni dei loro figli ormai adulti per esigenze di varia natura (decesso, malattie invalidanti, gravi difficoltà di natura psicologica, ecc.).
Certamente il problema del "dopo di noi" preoccupa, perché ancora troppi sono i ricoveri in istituti di dimensioni notevoli e che prevedono sovente la comunanza tra persone con problematiche diverse: anziani malati cronici non autosufficienti e persone con problemi psichiatrici sovente vivono a fianco di persone con handicap intellettivo. Anche se in nuclei separati, restano comunque convivenze forzate, sottoposte peraltro a regole e comportamenti tipici delle istituzioni totali che, sin dal 1970, stiamo cercando di eliminare dalle risposte assistenziali, perché veri luoghi di emarginazione sociale.
Le famiglie chiedono agli Amministratori che non sia vanificato l'enorme sacrificio fatto per permettere ai loro figli di condurre un'esistenza all'interno di un contesto di normalità. Ritengono per questo che, nel momento in cui viene meno il loro impegna, ai loro figli debba essere assicurato, nel caso non sia praticabile l'affido a un congiunto o a una terza persona, il ricovero in una comunità alloggio o in una casa famiglia, affinché possano ritrovare il più possibile quel clima familiare indispensabile per condurre una vita dignitosa. E noto, infatti, che solo in un piccolo ambiente, con al massimo 8-10 persone che vivono insieme in un appartamento o in una piccola costruzione situata in un normale contesto sociale, si possono stabilire relazioni personali e affettive che ripropongono un clima familiare.
Perché il privato, benché "sociale", non può bastare
Le numerose iniziative finora intraprese dal privato sociale (fondazioni, banche, associazioni di persone in situazione di handicap... ) si sono mosse sul fronte della ricerca di fondi per finanziare la realizzazione di piccole comunità alloggio, in alcuni casi coinvolgendo anche grandi enti pubblici, come è stato il caso del Comune di Roma che è promotore di una fondazione per il "dopo di noi", ma prevalentemente cercando finanziamenti da parte di privati o attraverso altre iniziative benefiche.
Tutto questo è senz'altro positivo perché ha richiamato l'interesse generale sul problema e, soprattutto, ha sottolineato che la risposta non può essere l'istituto, ma deve essere una piccola comunità alloggio o una casa-famiglia.
Inoltre, è senz'altro utile e opportuno incoraggiare, anche attraverso le fondazioni, le donazioni di privati finalizzate a questi scopi, piuttosto che consolidare i patrimoni di vecchie istituzioni private che perseverano nell'emarginazione di queste persone.
Tuttavia, queste iniziative possono al massimo contribuire a incrementare la diffusione e realizzazione di qualche comunità alloggio, ma non assicurano di per sé il diritto al ricovero per tutte le persone in situazione di handicap che ne hanno la necessità; inoltre vi é il rischio oggettivo della deresponsabilizzazione delle istituzioni (Parlamento, Governo, Regioni, Comuni).
Inoltre, come è stato rilevato da alcuni osservatori attenti, il problema principale consiste nel trovare i fondi necessari al funzionamento delle comunità alloggio e delle case-famiglia.
Il costo annuale della gestione di una comunità alloggio per 8-10 persone in situazione di handicap è di circa 400-500 mila euro. Un importo insostenibile per una famiglia e che nessuna polizza assicurativa intenderà mai coprire se non a fronte del pagamento di premi esorbitanti inavvicinabili ai più.
I Comuni hanno precisi obblighi di legge
Ferme restando quindi le valide iniziative di promozione per ottenere finanziamenti per realizzare comunità alloggio, è altrettanto indispensabile coinvolgere con maggior fervore i Comuni e gli Enti gestori dei servizi socio-assistenziali.
Vi sono obblighi di legge ben precisi, mai abrogati, e quindi ancora oggi esigibili in caso di necessità, che impongono proprio ai Comuni il dovere di assistere mediante il ricovero i minori, i soggetti con handicap e gli anziani che non sono in grado di provvedere alle loro esigenze.
Ci riferiamo agli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, che le Regioni, nel dare attuazione alla legge 328/2000, dovrebbero riprendere per confermare il diritto esigibile al ricovero per i soggetti incapaci di provvedere alle loro esigenze fondamentali di vita, così come è stato fatto dalla Regione Piemonte con la legge 1/2004.
Sono i Comuni che devono garantire il diritto al ricovero e sono gli stessi Comuni i soli in grado di sostenere i costi di gestione delle comunità alloggio.
Come garantire il diritto a vivere in piccole comunità alloggio
Le sopra citate disposizioni del regio decreto 773/1931 prevedono solamente il ricovero come diritto esigibile, ricovero che potrebbe però essere effettuato anche in un istituto.
Le iniziative di promozione sociale fin qui intraprese dovrebbero quindi procedere nella direzione di ottenere da parte dei Comuni e degli Enti gestori dei servizi socio-assistenziali l'approvazione di delibere che sanciscano il diritto all'accoglienza in comunità alloggio alle persone in situazione di difficoltà e il dovere per l'Ente locale di provvedervi, nel rispetto delle norme vigenti.
È attraverso l'assunzione di impegni precisi e cioè leggi nazionali o regionali o delibere comunali, che si possono garantire le risorse necessarie per assicurare non solo la realizzazione, ma soprattutto la gestione delle comunità alloggio e delle case-famiglia necessarie.
Questo anche al fine di tutelare tutti gli aventi diritto e non solo chi ha la possibilità di effettuare donazioni.
A partire dall'esempio positivo della citata legge 1/2004 della Regione Piemonte, obiettivo del convegno è l'individuazione dei percorsi da attivare per ottenere l'approvazione di leggi nazionali o regionali o delibere comunali che riconoscano il diritto esigibile ai servizi socio-assistenziali (domiciliari, diurni, residenziali) per i soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità.
A tal fine è previsto il coinvolgimento degli enti gestori dei servizi socio-assistenziali della Provincia di Torino per una prima elaborazione della traccia di lavoro, allo scopo di redigere un documento da sottoporre non solo alle Province nell'ambito dell'iniziativa di gemellaggio sociale, ma anche alle altre istituzioni e alle forze sociali, affinché siano assunti i provvedimenti di cui sopra.
Contestualmente si prevede di coinvolgere gli Assessorati regionali e i Ministeri per la solidarietà sociale e per le politiche per la famiglia.