Prospettive
assistenziali, n. 1, gennaio-marzo 1968
ATTUALITÀ
SONO
VALIDI I GROSSI ISTITUTI DI ASSISTENZA?
Il 7 ottobre 1967 è stato inaugurato
a Quarto (Genova) il nuovo Istituto Provinciale per
Anche a Torino, qualche anno fa, è stato
presentato dalla Provincia un progetto similare, destinato però ai bambini
subnormali. L'istituto doveva avere una capienza ancora maggiore di quello di
Genova ed era concepito come una piccola città,
sufficientemente autonoma, con scuole, negozi, uffici, ecc. esclusivamente
riservati ai ricoverati. In quell'occasione l'Unione indisse una tavola
rotonda per fare il punto su tale iniziativa: ad essa
parteciparono il prof. Gutierrez, docente di
psicologia differenziale clinica e direttore del Centro medico-pedagogico
dell'Istituto Salesiano di Roma; il prof. Giordano, docente di
neuropsichiatria infantile a Roma; il prof. Dell'Acqua, dirigente del Centro
di formazione e di assistenza per minorati in età evolutiva del Comune di
Milano; la dott. Vaccarino Castagnone,
assistente sociale ed esperta del Comitato regionale piemontese per la
programmazione economica e il dott. Donelli,
direttore dell'Ente Scuola Educatori di Ulano.
Il progetto della Provincia vive ora
un periodo di letargo; tuttavia ci sembra possa essere utilissimo ed ancora
molto attuale riproporre qui le conclusioni alle quali
i cinque esperti giunsero allora nei riguardi dei criteri secondo i quali
devono essere giudicate e soprattutto devono essere impostate iniziative di
questo genere.
Il prof. Gutierrez,
sottolineando che il fine di ogni opera assistenziale
deve essere il bene del bambino, ha sostenuto prima di tutto che occorre avere
il coraggio di rivedere completamente le strutture assistenziali che si siano
rivelate inadeguate al loro scopo, anziché limitarsi a modificarle. Per
questo, ogni programma assistenziale deve partire da una serie di criteri di
base ben precisi, per i quali l'assistenza dovrà essere: tempestiva, continuata, globale e
finalizzata. Il primo problema dunque è quello della tempestività della
diagnosi, garanzia prima di ogni possibilità di
successo nel recupero dell'insufficiente mentale. Infatti, nel periodo che va
fino ai 6 anni, il bambino presenta una notevole plasticità e le sue funzioni
psichiche più elementari sono più facilmente aggredibili. Oggi il settore
maggiormente curato è quello della scuola elementare; in realtà il bambino
arriva spesso alla prima elementare già rovinato da errate impostazioni
educative, che rendono estremamente difficili le
possibilità di recupero. E' quindi necessario spostare l'attenzione
non tanto sulla Scuola Materna, come già si incomincia a fare, quanto
sulla stessa famiglia.
In secondo luogo
l'assistenza deve essere continuata: bisogna rendersi ben conto che
l'insufficiente mentale resterà tale per tutta la sua vita. Perciò non basta occuparsene
negli anni scolastici o prescolastici, ma bisogna curare la sua preparazione
al lavoro e a un mondo sociale più ampio e seguirlo
anche dopo questo inserimento.
L'assistenza deve poi essere globale,
cioè tener presente da una parte i vari aspetti della
minorazione psichica e dall'altro tutte le forze che possono collaborare all'assistenza,
cercando di eliminare gli eventuali scompensi. Ma soprattutto è necessario
che l'assistenza sia finalizzata costantemente al
recupero del soggetto per se stesso e per la società. Non serve a niente
aiutare l'insufficiente mentale oggi per abbandonarlo domani, come purtroppo
avviene spesso.
Ora, il progetto della Provincia non
sembra corrispondere a questi criteri: non a quello della tempestività, poiché
il settore prescolastico previsto ha la forma di internato
ed è quindi automaticamente destinato solo ai bambini senza famiglia, il che
richiama alla mente il vecchio paradosso «Non tutti hanno la fortuna di essere orfani o illegittimi»; d'altra parte è assente
anche la continuità, in quanto l'istituto manca di un adeguato servizio
sociale che da un lato aiuti le famiglie nei primi anni di vita del bambino e
dall'altro segua il ragazzo dopo l'uscita dall'Istituto. Ma
un istituto di questo tipo corre soprattutto il rischio di perdere di vista la
sua finalità. La sua organizzazione su vasta scala infatti
rende difficili i rapporti dell'insufficiente mentale con la sua famiglia e
inoltre la lunga permanenza in istituto, sistematicamente prevista,
determinerà gravi difficoltà di inserimento sociale, poiché il ragazzo si sarà
abituato alla sola compagnia di insufficienti mentali.
In conclusione quindi, la valutazione
dell'iniziativa della Provincia, pur tenendo presente la positività del suo
sforzo di miglioramento, non può che essere negativa.
Il prof. Giordano ha insistito sulla
necessità che ogni nuova iniziativa di questo tipo sia fondata su una seria
indagine statistica, non condotta per campione e limitatamente alla
popolazione scolastica, ma capillare e articolata per
ogni zona della Provincia, tale da rendere possibile una effettiva e concreta
conoscenza delle esigenze alle quali si vuole andare incontro. Una indagine di questo tipo porterebbe tra l'altro a
rendersi conto che solo una percentuale piuttosto esigua dei bambini
normalmente ritenuti ricoverabili in un istituto ad internato ha veramente
bisogno di questo tipo di assistenza, mentre per molti sarebbe di molto maggior
utilità un istituto ad esternato situato il più possibile nelle vicinanze
della propria abitazione, e per altri l'assistenza dovrebbe addirittura essere
spostata nell'ambito stesso della famiglia. Il prof. Giordano ha poi fatto alcune
precisazioni sul ruolo del pedo-psichiatra nell'assistenza ai subnormali e sui
Centri di Osservazione per bambini sub-normali, che
ogni Provincia dovrebbe avere, mantenendoli ben distinti dai servizi per malati
mentali. Il pedo-psichiatra deve avere sempre presente che la psichiatria
infantile è una scienza pluri-professionale e che
quindi la sua opera potrà essere feconda soltanto se alimentata e condotta
nella più piena collaborazione con gli altri membri dell'équipe
direttiva. Tale scambio tra le diverse discipline potrà attuarsi più facilmente
se l'istituto potrà appoggiarsi ad una sede
universitaria, che da un lato garantisca la serietà e l'aggiornamento della
ricerca dell'impegno scientifico e dall'altro assicuri la formazione di un
personale direttivo qualificato e responsabile.
Il prof. Dell'Acqua ha preso lo
spunto dalla sua concreta esperienza professionale per suggerire come dovrebbe
essere impostata una scuola speciale per subnormali. Il criterio di base deve
essere quello che, là ove una famiglia esiste, l'istituto non può e non deve
sostituirsi ad essa, poiché l'educazione del proprio
bambino, anche subnormale, è un peso e una responsabilità che non le devono
essere tolti. Per questo motivo i ragazzi devono poter tornare a casa alla sera o almeno bisogna facilitare con ogni mezzo i loro
rapporti con la famiglia. Il prof. Dell'Acqua ha
poi ribadito l'importanza di una stretta
collaborazione tra il personale medico e quello educativo, insistendo però
sulla necessità della presenza fissa in istituto di un pedagogo, che assicuri
la continuità e soprattutto l'unità dello sforzo educativo, curando il passaggio
dalle direttive suggerite dall'équipe medico-psico-pedagogica alla loro concreta attuazione da
parte dei maestri e degli educatori. E' inoltre indispensabile che, prima
dell'ingresso nella scuola, un Centro di Osservazione
esamini ogni ragazzo, per accertare, mediante la determinazione del quoziente
intellettuale, del livello scolastico mentale, della situazione familiare, le
sue reali possibilità di "educabilità"
nell'ambito di una collettività di questo tipo. Per quanto riguarda il metodo
didattico, bisogna tener presente che le facoltà intellettuali di questi ragazzi
sono sì in genere compromesse in maniera globale e
diffusa, ma che la facoltà di elaborazione è più colpita delle facoltà di
acquisizione. Sono ragazzi incapaci di astrazione,
comprendono solo dati concreti. Sarà perciò molto importante disporre di un materiale didattico speciale molto ricco e
vario e soprattutto saperlo usare correttamente. Si dovrà inoltre ovviare allo stato di diffusa maldestrezza,
quasi sempre presente in questi soggetti, con un'adeguata educazione motoria,
specialmente della piccola muscolatura della mano, tanto più importante in quanto
essi dovranno necessariamente esercitare un'attività manuale. Analogamente,
bisogna cercare di curare le altre eventuali minorazioni,
che spesso accompagnano il deficit mentale di questi ragazzi (difetti del
visus, del linguaggio, della sensibilità, ecc.) con una rieducazione
specializzata. Tuttavia bisognerà evitare le separazioni di comodo tra i
ragazzi (ad es. secondo il quoziente intellettuale, la minorazione secondaria,
ecc.), poiché lo scambio tra di loro è sempre molto
proficuo. Lo sforzo formativo deve poi estendersi dalla vera e propria
educazione scolastica all'impiego del tempo libero.
Non basta prevedere la tradizionale "ricreazione" in un salone o in
un giardino; il ragazzo dopo la scuola deve poter ritrovare l'intimità e il
ripensamento, il dialogo con una persona sempre uguale. Soprattutto non si deve
dimenticare che la rieducazione è fallita in se
stessa, se alla fine non porta ad un inserimento socio-lavorativo. Occorre perciò
abituare i ragazzi a quegli automatismi, a quelle capacità di generalizzare, per cui in un domani possano saper adoperare i loro
strumenti di lavoro. Per realizzare questo inserimento,
si possono adottare varie soluzioni: in ogni modo il ragazzo deve ritornare
in famiglia. Si possono collocare presso piccoli artigiani pazienti, che assumono la funzione del padre, oppure nei cosiddetti
"laboratori protetti" (nei quali cioè a certi strumenti lavorativi
sono state aggiunte determinate protezioni perchè il ragazzo non si faccia
male). Si dovrà in certi casi ricorrere alle cosiddette "stanze di
compensazione ", laboratori nei quali i soggetti più colpiti, che non
potranno mai inserirsi nel vero e proprio mondo lavorativo, compiono
particolari lavori senza limiti di tempo e sotto la sorveglianza di personale
specializzato, naturalmente con una piccola retribuzione. In ogni modo i
laboratori dovranno essere separati dalla scuola, anche
se restano nel suo ambito. Per concludere, si deve
operare su tutta la personalità del ragazzo, convinti che dietro ogni minorazione
c'è una personalità che ha dei valori e che può tendere a certi fini e della
quale bisogna salvaguardare ad ogni costo l'unità.
La dott. Vaccarino
Castagnone ha posto l'accento in particolar modo
sulla situazione familiare dei bambini subnormali. La reazione della famiglia
alla presenza di un figlio subnormale è in genere di tre tipi: 1) rifiuto di
ammettere la anormalità, anche piccola, con conseguente
difficoltà di curare il bambino precocemente; 2) accettazione completa e
superprotettiva: il bambino vive isolato accanto alla madre, che ben
raramente accetterà di separarsene; 3) accettazione completa e conseguente
rifiuto. In quest'ultimo caso i bambini finiranno automaticamente e in via
pressoché definitiva in istituto. Ma in realtà quanti di essi
hanno veramente bisogno del ricovero? Certamente ben pochi. La soluzione
dovrebbe consistere non nell'internare i bambini, quanto piuttosto
nell'analizzare e combattere le cause profonde della reazione e della
situazione familiare. Per fare un esempio, il 50% dei bambini deboli mentali è
stato trovato in famiglie immigrate: è chiaro che qui il problema si sposta
all'assistenza agli immigrati.
La dott. Vaccarino
Castagnone ha poi portato altri due argomenti di
minor gravità, ma tuttavia validissimi sul piano psicologico,
contro il progetto della Provincia: il primo è che un istituto così imponente
diverrebbe ben presto per l'opinione pubblica il simbolo stesso
dell'insufficienza mentale, il che potrebbe costituire un ulteriore handicap
per l'inserimento sociale dei ragazzi che ne escono. Questo inserimento sarebbe
poi reso ancora più difficile anche da un secondo motivo, cioè
dalla artificiosità e falsità della vita condotta in istituto (uffici, negozi
finti, ecc.), che accrescerebbe il disorientamento al momento dell'effettivo
contatto con la vita reale.
Il dott. Donelli
ha posto prima di tutto una domanda di base: «In una società
in trasformazione come la nostra, la formula di un istituto per bambini è
ancora la migliore?». Ora, anche se questa forma di assistenza
deve certamente essere ridotta di molto nell'uso corrente, è certo che ci
saranno sempre dei bambini per i quali essa sarà l'unica forma di assistenza
possibile. Tuttavia l'istituto non deve assumersi una funzione puramente
scolastica o puramente curativo-sanitaria (poiché queste funzioni potrebbero essere soddisfatte
anche al di fuori di esso), bensì quella, importantissima, di trasmettere i
valori familiari a quei bambini che non li possono assimilare nella propria
famiglia. Se questo è il vero e unico scopo dell'istituto, è facile capire
che un istituto molto grande non potrà mai rispondere a questa
esigenza: esso infatti dovrà, per forza di cose, guardare più alla vita
di comunità che alle esigenze dell'individuo, senza contare che i rapporti con
la famiglia saranno resi più complicati e difficili dalle esigenze organizzative
e burocratiche. Il problema fondamentale resta però sempre quello del personale,
specie di quello interno, a diretto contatto con i ragazzi: è un problema che
va analizzato e affrontato con vivo senso del concreto e anche con
spregiudicatezza. Prevedere un rapporto di un educatore ogni 10-12 ragazzi è certamente molto positivo ma è anche molto facile: in
realtà bisogna chiedersi se al momento attuale possiamo veramente disporre di
un tal numero di educatori, sufficientemente preparato sia sul piano tecnico
sia su quello morale. Non bisogna infatti sottovalutare
l'importanza del loro ruolo: essi devono saper tradurre il linguaggio psico-pedagogico in termini di rapporto umano; il che esige
che abbiano una struttura personale molto solida, un equilibrio e una capacità
di controllo emotivo che li garantiscano di fronte alle reazioni negative dei
ragazzi, una mentalità disponibile ed elastica, che permetta loro di applicare
le più diverse tecniche educative senza mai perdere di vista il loro scopo
finale. Tutto ciò si raggiunge evidentemente soltanto con una preparazione
adeguata e prolungata: ora, esiste oggi in Italia una sola scuola per educatori
che può diplomare soltanto 20-25 persone all'anno,
mentre il bisogno attuale sarebbe di circa 20.000 educatori. Se non si tiene
conto in partenza del problema, posto in questi
termini, si rischia di dover affidare i ragazzi a persone non qualificate o
addirittura semifallite (maestri in attesa di concorso, studenti
universitari, o peggio persone che non sono riuscite a trovare altra
occupazione): esse non saranno in grado di seguire e di realizzare gli
intendimenti generali dell'istituto, e per di più si sentiranno e si
comporteranno come provvisorie, con tutte le conseguenze negative che
facilmente si possono immaginare. In conclusione, non si può pensare a progetti
di questo tipo, se non si è prima affrontato e risolto il problema di fondo della preparazione di un personale qualificato e
responsabile.
*
* *
Ci pare non occorra aggiungere altro
agli illuminanti e sereni interventi dei cinque esperti. Soltanto vorremmo sottolineare come tutti si siano trovati d'accordo nel
sostenere la necessità di una completa revisione della struttura e
dell'impostazione del problema "istituto", che porti ad una maggior
attenzione verso le cause profonde dei vari disadattamenti e in particolare
sull'ambiente familiare: infatti soltanto una revisione radicale condotta
secondo queste direttive potrà rendere efficace ed operante l'intervento,
certo positivo per lo sforzo finanziario e l'indubbio senso di
responsabilità, degli enti pubblici.
(1) L'iniziativa di
costruire un istituto di così vaste proporzioni ed il rilievo dato alla
inaugurazione con la presenza del Capo dello Stato ci sembrano in aperto
contrasto con la legge 5.6.67 il cui scopo è la sistemazione in famiglie adottive
dei bambini privi di focolare.
Si tenga presente
che il nuovo Istituto Provinciale per l'Infanzia di Genova ha una capienza di
420-450 posti mentre i minori ricoverati (dati tratti
dagli Annuari Statistici dell'Assistenza e della Previdenza Sociale) erano:
al 31.12.1960 n. 274
di cui 113 non riconosciuti
al 31.12.1961 n. 265
di cui 123 non riconosciuti
al 31.12.1962 n. 270
di cui 130 non riconosciuti
al 31.12.1963 n. 290
di cui 145 non riconosciuti
al 31.12.1964 n. 283
di cui 143 non riconosciuti
Rileviamo infine che
migliaia sono in Italia le domande di adozione che non
vengono soddisfatte!
www.fondazionepromozionesociale.it