Prospettive
assistenziali, n. 2, aprile-giugno 1968
ATTUALITÀ
DUE OPPOSTE
CONCEZIONI SUL VALORE E SULLE POSSIBILITA' PERSONALI E SOCIALI DEGLI
INSUFFICIENTI MENTALI
Sotto il titolo «L'assistenza ai
bambini minorati psichici in Italia», C. Prosperi, direttore
dell'Istituto Nazionale di Medicina Preventiva dell'Infanzia, nella Rivista «Federazione
medica», Organo ufficiale della Federazione Nazionale Ordini Medici del
30-6-1967, scrive, fra l'altro (le sottolineature sono nostre) :
«L'istituzione di classi differenziali
o di scuole speciali in "esternato" è del tutto insufficiente, quando
il minorato trascorra buona parte del resto della
giornata nell'ambiente familiare. E' facile, ad esempio, constatare con quanta facilità ricoverati, affetti da forme anche lievi
di deficit mentale, perdono tutto quanto hanno acquistato attraverso mesi ed
anni di ricovero in Istituti specializzati, ove vengono curati ed educati,
non appena rientrano (quasi sempre per mancanza di posti) nell'ambiente
familiare (...).
Stimolando la proliferazione di
classi differenziali e speciali la
società cerca, come lo struzzo, di ignorare il fondo del problema e, non
conoscendo i suoi doveri, trascura il proprio diritto a difendere se stessa
(!).
Dare semplicemente una istruzione periodica ad un bambino sub-normale è come
medicare una piaga torbida. Il bambino ritardato psichico oggi deve vivere, fin dalla prima infanzia, in un
ambiente, che non sia un ospizio caritativo, né un
vero Ospedale psichiatrico, ma un ambiente che gli permetta di svolgere una
vita umana, al livello proporzionato alla sua evoluzione che, se non può
essere naturalmente adeguata al ritmo convulso dell'era atomica, non è neppure quella
brutalizzata di certe «fosse dei serpenti».
In questo ordine
di idee non sembra neppure esatto il
termine di “recuperare alla società” un minorato psichico, ma occorre valutare
piuttosto la possibilità di condurre da un punto oscillante e quasi
equidistante fra le tenebre e la luce una creatura verso gli albori dell'umanità
(...).
Tutto ciò si può realizzare in Istituti
medico-psico-pedagogici a internato
e a protratta degenza dai primi anni di vita all'inizio dell'adolescenza; poi
in veri e propri villaggi con caratteristiche particolari. Questi ultimi
dovrebbero sorgere «in località decentrate e salubri, fuori di grandi centri
abitati, in un clima di assoluta distensione, nella
massima libertà, in una atmosfera familiare, ove gli accolti siano circondati
da un affetto non pietistico ma operante».
SEGREGAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE
La serietà della Rivista e i titoli
dello scrivente ci hanno indotti a prendere in esame questa serie di
considerazioni, anche se crediamo che non siano condivise da tutta la classe
medica italiana, e tanto meno dagli educatori e dagli operatori sociali del
settore. E vogliamo premettere questo esame proprio in
contrapposizione a una realtà di un Paese di altissima civiltà, come
La contrapposizione fra le idee di
C. Prosperi e la realtà educativa del Pastore H. Wintsch (non unico esempio nel settore) sarebbe già di per
sé eloquente, e basterebbe a dimostrare l'abisso che separa certa realtà
italiana e certe iniziative estere. Ma
ci sembra indispensabile svolgere alcuni punti per confutare le considerazioni
di C. Prosperi.
Il suo articolo in complesso segnala
un'ansia reale e un desiderio autentico di innovare il settore dell'assistenza degli insufficienti mentali, tanto che alcune espressioni
ci trovano pienamente consenzienti, perchè sono totalmente opposte allo spirito segregazionistico
del passo citato. Per esempio, l'articolo si conclude
con una citazione di Pearl Buck,
che è in pieno contrasto con l'assunto precedente, e che si colloca invece
sulla esatta linea della rivalorizzazione personale e dell'integrazione sociale degli
insufficienti mentali: «Mentre un uomo
dalla mente superiore può essere un flagello per la società, un altro di mente
assai meno brillante può avere la qualità del buon
cittadino, quella attitudine a giovare al consorzio in cui vive, che lo rendono
superiore all'individuo dotato di un cervello perfetto».
C'è in fondo un sentimento, chiaramente
individuabile, di ambivalenza che guida e condiziona l'autore
nell'esame del problema. Mentre afferma certi diritti (anche se non tutti i
diritti) degli insufficienti mentali, e invoca il pubblico intervento, scrive
frasi come le seguenti: «esercito di diseredati»; «dall'inizio dell'era antibiotica questi soggetti sfuggono a quella selezione naturale...»; «reietti»; «particolare categoria di
cittadini, il cui contatto con altri può costituire anche fonte di pericolo»; «può
facilmente divenire un nemico della comunità»; e nel passo già citato «la
società, non conoscendo i suoi doveri, trascura il proprio diritto a difendere se
stessa» (!); «dobbiamo arrenderci ancora una volta di fronte ai progressi
della scienza».
Jean-Marie Domenach,
in «Esprit» (numero unico dedicato a «L'enfance handicapée», novembre
1965), ha scritto le parole più chiare e più taglienti contro tali
atteggiamenti di non-accettazione, di rifiuto, di sfiducia fondamentale, e
anche di paura, più o meno cosciente, nei confronti
degli handicappati:
«Il più delle volte, l'opinione
pubblica nasconde a se stessa questa realtà, senza dubbio per non essere
scomodata nella sua ricerca della sicurezza e nel suo
dogma del benessere. Questa tacita volontà di non
vedere rende ancor più penosa la condizione di coloro che vengono rigettati
ai margini della società per la loro povertà materiale e spirituale. A rigore,
la collettività acconsente ad alcuni sacrifici finanziari per le categorie più
maltrattate, ma si rifiuta di preoccuparsi realmente della loro sorte e di
tentare uno sforzo di presa in carica
(“prise en charge”) e di integrazione,
che metterebbe in causa molte strutture, molte realizzazioni e molte idee
tramandate».
PROBLEMI FAMILIARI
C. Prosperi svolge anche una serie
di considerazioni circa i problemi familiari che possono suscitare gli
insufficienti mentali, ma anche qui presentati sotto una luce unilaterale ed
emotiva. La presenza di un figlio handicappato sarebbe per i familiari «il più
crudo dei dolori umani»; «una inumana tragedia»
(ripetuto per due volte); « una crudele sciagura»; l'insufficiente mentale è
presentato unicamente come fonte di disagio e causa di traumi familiari, onde
l'unica soluzione sarebbe il distacco totale dalla famiglia e la degenza
precoce e protratta a vita in ambienti extra-familiari.
Ora senza negare le oggettive e
gravi difficoltà familiari che possono insorgere
per la presenza di un figlio handicappato, vogliamo richiamare alcuni aspetti
altrettanto oggettivi del problema che vanno sempre tenuti presenti quando si
vuole affrontare questo argomento.
Va anzitutto affermato come chiaro e
irrecusabile diritto di tutti gli handicappati
il diritto alla famiglia, come
parte fondamentale dei diritti più generali al pieno sviluppo della propria
personalità e all'integrazione sociale e professionale. Basterà citare due
documenti del Bureau Internationale
Catholique de l'Enfance che
si è posto all'avanguardia in queste affermazioni di diritti. Nel primo
documento dedicato ai «Diritti dei minori
handicappati fisici e psichici, e delinquenti» (a conclusione del
Congresso mondiale sui diritti del fanciullo, Beiruth, 16-23 aprile 1963) è detto: «Il fanciullo handicappato ha diritto alla sua famiglia.
L'aiuto che lo Stato deve dare ad essa non deve arrivare
a farle perdere il senso delle sue responsabilità ed a toglierle la sua autorità
naturale. Si dovranno sviluppare invece le soluzioni di assistenza
educativa e di rieducazione a domicilio e in esternato. Per quanto concerne gli
internati si ricercheranno quelli organizzati a nuclei familiari e con un
numero limitato di assistiti».
Nel secondo documento dedicato a «L'integrazione sociale, professionale ed
ecclesiale dell'insufficiente mentale» (a conclusione della Conferenza di esperti sull'argomento, Roma, 30 gennaio - 1 febbraio
1965), viene ribadito tale diritto: «Essendo la famiglia il primo ambiente di inserimento sociale dell'insufficiente mentale, è necessario
che essa possa beneficiare di un aiuto precoce e continuo, nel rispetto dei
suoi diritti fondamentali e delle sue responsabilità.
Quando avvengono conflitti nell'interno
della famiglia, si terrà conto, nelle adozioni delle soluzioni,
dell'importanza dell'unità della famiglia e delle necessità di maturazione
personale di ciascuno dei suoi membri. Tenendo presente che l'insufficiente
mentale, qualunque sia la soluzione adottata, ha diritto alla sua famiglia,
occorrerà, in ciascun caso particolare, chiarire alla famiglia stessa vari
problemi al fine che essa possa prendere le
necessarie decisioni (...) . E' parimenti auspicabile che la
famiglia in senso lato (fratelli, sorelle, nonni, collaterali) sia, per
quanto possibile, informata sul problema dell'insufficienza mentale e, se
possibile " formata " a svolgere il suo ruolo (...). Infine, anche se l'insufficiente mentale si trova,
per motivi di preminente interesse, a condurre una vita in un internato, il
legame familiare deve essere conservato il più strettamente possibile con
contatti regolari e prolungati (visite, vacanze, ecc.)».
Per quanto
riguarda in particolare i rapporti fra l'insufficiente mentale e i suoi
fratelli, M.M. Gutiérrez e S. Dellarovere
in una ricerca
«Genitori e fratelli per il bambino oligofrenico» (in «Infanzia Anormale» n. 35, 1959, pp. 861-872), trovano
che «nel 50% dei casi i rapporti sono buoni e affettuosi, con grande giovamento per il bambino minorato; in un 25% dei
casi qualcuno dei fratelli normali soffre di gelosia, lamentandosi del trattamento
particolare usato nei riguardi del minorato; nell'altro 25% non esiste accordo
tra il bambino anormale e i fratelli, sia per l'eccessivo dominio del normale,
sia per la non accettazione concreta dello stato di inferiorità. E' evidente
che in questi casi non c'è stata una preparazione
tempestiva per l'accettazione della situazione; se i fratelli normali verranno preparati dal primo momento, non solo
si eviteranno gli inconvenienti, ma la presenza del fratello oligofrenico offrirà molteplici occasioni per spunti di
grande portata educativa. In parecchi dei nostri casi ci
è stata segnalata una prima situazione di disagio tra i fratelli, che
a poco a poco si è andata superando fino a creare un clima di serenità e di
aiuto».
In una prospettiva più ampia, ma
nella stessa linea educativa, il secondo documento del B.I.C.E. raccomanda:
«I fratelli e le sorelle, in particolare, pur non potendo esigere che essi assumano interamente la tutela materiale dell'insufficiente
mentale, devono tuttavia essere preparati a sostenerlo affettivamente e moralmente
prendendo parte alle preoccupazioni dei genitori».
Ma c'è un altro grave aspetto del
problema familiare che spesso non viene considerato:
sono certamente reali la sofferenza e la difficoltà delle famiglie, ma la
sofferenza e la difficoltà degli stessi insufficienti mentali? Sono decisamente più gravi, a cominciare dalle carenze affettive
che soffrono nel distacco dalle famiglie, in modo più acuto degli altri
bambini, e che vanno ad aggravare il loro stesso sviluppo mentale e affettivo.
In effetti, il bambino e l'adulto insufficiente mentale difettano delle
capacità di «compensazione» e di «sublimazione» dei loro stati conflittuali
che invece gli altri membri della famiglia possono
più facilmente realizzare, attenuando i propri conflitti. Inoltre
l'insufficiente mentale percepisce, in modo più o meno
espresso, ma in modo reale e profondo; il rifiuto della famiglia e della
società, che va ad aumentare il suo sentimento di inferiorità e la sua
sofferenza. E' stato dimostrato che le difficoltà caratteriali anche gravi che
presentano gli insufficienti mentali sono secondarie a questi conflitti e a
queste esperienze continuate di incapacità personale
e di non-accettazione da parte della società (Cfr. R.
Fau, B. Andrey, J. Le Men, H. Dehaudt, Psychothérapie des débiles mentaux,
Paris, P.U.F. 1966).
Possiamo quindi ammettere che esiste
una certa potenziale «inumana tragedia» e «crudele sciagura», come dice C.
Prosperi, ma non a una sola direzione, verso la famiglia,
ma anche verso l'insufficiente mentale, forse più grave. Per superare questa
situazione non c'è che un'unica soluzione, quella della solidarietà
umana, dell'integrazione sociale, e dell'aiuto concreto alle famiglie e ai loro
figli.
CLASSI DIFFERENZIALI E SPECIALI
Un ultimo rilievo
riguardo alla presentazione, a dir poco, unilaterale e passionale che C. Prosperi fa
delle classi differenziali e speciali, presentate quasi come un pericolo
sociale: «Stimolando la proliferazione di classi differenziali e speciali la società cerca, come lo struzzo, di
ignorare il fondo del problema e, non conoscendo í suoi doveri, trascura il
proprio diritto a difendere se stessa» (!).
Che cosa possiamo rispondere a queste affermazioni,
e ad altre che mettono in dubbio il valore educativo concreto di queste
istituzioni? Che cosa possiamo rispondere noi che vi
lavoriamo da anni e che siamo testimoni del lavoro appassionato di tanti
nostri colleghi? Rispondiamo a C. Prosperi semplicemente
con un invito a documentarsi
obbiettivamente e serenamente, visitando queste classi speciali funzionanti da
anni e accertando i frutti concreti della collaborazione tra scuola e famiglia,
ad esempio in provincia di Torino e di Milano, come quelle che più direttamente
conosciamo, e che non riguardano solo gli insufficienti medi e lievi, ma anche
i più gravi, in età scolastica; e così pure i laboratori protetti: tutte
istituzioni in esternato.
Se poi volessimo
documentarci nella vicina Francia, possiamo scoprire che le istituzioni più
diffuse per gli insufficienti mentali da
Del resto diversi documenti internazionali
sono su questa linea, tra cui le «Raccomandazioni
della XXIII Conferenza internazionale dell'istruzione pubblica» a cura del B.I.E. e rivolte ai Ministeri della P.I. dei diversi paesi:
«Dovrà essere evitata, per quanto possibile, la separazione completa
dell'insufficiente mentale sia dal proprio ambiente che da fanciulli
più dotati di lui, senza tuttavia dar luogo a competizioni con prove che
porrebbero il minorato in stato d'inferiorità; per questo è preferibile istituire classi speciali in scuole di tipo normale».
Per gli insufficienti mentali più
gravi, valga la documentazione che si presenta nelle pagine seguenti sull'opera
di educazione e di integrazione sociale del Pastore H. Wintsch.
CONCLUSIONE
Ogni confronto, e polemica, come la
presente, è sempre stimolante e fruttuosa: ora ci sembra di veder più chiaro
che cosa divide in Italia le persone che affrontano il problema
dell'insufficienza mentale. Da una parte, ora comprendiamo chiaramente che
gli atteggiamenti di «separazione», di «isolamento» (anche precoci e prolungati
a vita), di diffidenza verso soluzioni più aperte all'integrazione, sono tutti
da ricondurre a una concezione di fondo
esclusivamente sanitaria, psichiatrica, neurologica del problema. Si pensi solo
al fatto che C. Prosperi, fra le cause dell'insufficienza mentale, non accenna
per nulla alle cause psicologiche e sociali (carenze
affettive e familiari, istituzionalizzazioni prolungate, carenze
socio-economiche e socio-culturali), che sono ormai accolte dalla scienza
internazionale.
Noi siamo per una concezione educativa del problema, che accetta e
auspica l'intervento sanitario, come quello psicologico e sociale, in un
fattivo spirito di équipe.
In questa stessa Rivista si è già criticata la stessa impostazione di fondo
del progetto Mariotti. Il nostro impegno continua ora
in vista della quinta legislatura.
Piero Rollero
www.fondazionepromozionesociale.it