Prospettive assistenziali, n. 2, aprile-giugno 1968

 

 

ATTUALITÀ

 

INDIVIDUO O MEMBRO DELLA NOSTRA SOCIETA'? *

 

 

Come appare dalle nostre rela­zioni annuali finora svolte, il no­stro Corso per insufficienti menta­li è praticamente al completo ogni anno. Il suo scopo, così come da noi è visto, si focalizza nell'abitudi­ne e nell'esercizio a semplici lavo­ri, il che dovrebbe condurre all'in­serimento di questi soggetti quali operai ausiliari nell'industria, oppu­re nelle officine o laboratori protet­ti. Per chi osserva le cose dall'esterno si pone senz'altro la que­stione principale, se cioè questo scopo può essere effettivamente raggiunto. E' evidente che l'insuffi­ciente mentale ha bisogno di un o­rientamento adattato a lui e alle sue capacità, per poter trasformar­si in un membro della società lavo­rativa e i risultati che noi otteniamo ci dimostrano sempre più che questo adattamento può essere tro­vato. La questione principale, pe­rò, è un'altra e preoccupa costan­temente tutti coloro che si trovano a dover vivere in prossimità o in società con gli insufficienti menta­li; questa domanda o questo pro­blema può essere espresso nel modo più semplice, come segue: qual è il posto più adatto, più con­forme all'insufficiente mentale nel­la nostra società? Onde poter dare una risposta vera, esatta a questo problema occorre che ci liberiamo da un doppio preconcetto.

Innanzi tutto ci dobbiamo libe­rare dall'habitus mentale che ci fa considerare queste creature, que­sti esseri umani, come «povere creature» oppure «i più poveri tra i poveri», e ciò perchè in effetti essi non sono mai stati e non sa­ranno mai ciò che noi in questo modo vogliamo definirli. Per i ge­nitori è senza dubbio un calvario dover riconoscere che uno dei loro figli è un insufficiente mentale. Ma i ragazzi stessi non si sentono af­fatto come delle creature impoveri­te o in un certo senso qual senso debilitate.

Piuttosto, se vogliamo effettuare una critica più serrata, potremmo riconoscere che sotto il velo della compassione, che noi esprimiamo con le parole «povere creature», si nasconde semplicemente in ef­fetti un tentativo di rifiutare di ac­coglierli nella nostra società e di mantenere una certa distanza tra noi e loro. Infatti poiché oggi è in­dubbio che ci troviamo in una si­tuazione sociale in cui l'uomo è considerato in maniera parziale e unilaterale, semplicemente come un individuo, e si vedono le sue caratteristiche umane, nel senso profondo della parola, soltanto co­me delle appendici, ecco che noi cadiamo per forza nella condizione mentale di voler respingere e rin­chiudere gli insufficienti mentali in un ghetto. L'insufficiente mentale è naturalmente diverso da noi, sen­za un aiuto e un sostegno non può riuscire nella vita, in quanto gli manca la capacità di poter elabora­re la realtà che lo attornia e perciò appartiene veramente a un mondo separato.

Da questa concezione che è rife­rita soltanto alle caratteristiche dell'individuo, c'è solo un passo per arrivare alla segregazione dei ritardati mentali. E' vero ed è giu­sto che la politica di segregazione (apartheid) nei confronti delle di­verse razze non gode di una buona fama, perciò noi dobbiamo compor­tarci, anche nei confronti dell'in­sufficiente mentale, in modo che sia la sua come la nostra espres­sione di comunanza umana, siano prese sul serio e possano essere espresse in modo accettabile. E' con forza che io desidero sottoli­neare il fatto che l'insufficiente mentale ha diritto a un posto nella nostra società e che egli non è soltanto uno che riceve, bensì sem­pre invece uno che dà nella socie­tà. Proprio questo scambio non è necessario per lui, ma anche per noi, e ciò significa che anche noi abbiamo bisogno dell'insufficiente mentale nella società. Se noi sare­mo disposti a rinunziare a quella distanza creata dal sentimento di compassione, come pure a un inse­rimento in un posto speciale e particolare, per l'insufficiente mentale potremo cercare fruttuosamente qual è il posto che a lui spetta nella nostra società.

Dunque, a partire da quanto det­to sopra, l'insufficiente mentale fa parte intima del nostro mondo la­vorativo o dovremmo pervenire, a­nalogamente al divieto per il lavo­ro dei bambini, anche a un veto del lavoro degli insufficienti mentali?

In effetti, come il bambino, an­che l'insufficiente mentale corre il pericolò di essere sfruttato e, egualmente come il primo, anch'egli non può avere, diciamo, una visio­ne pensata del lavoro. Ma questi paralleli con il bambino, che in ef­fetti esistono, non sono sufficienti per escluderlo dalla nostra società lavorativa, in quanto la grande dif­ferenza tra questo fatto e quello precedente consiste in ciò che, per il bambino si tratta di un verdetto limitato a un certo periodo di tem­po, mentre per l'insufficiente mentale ciò significherebbe una proibi­zione a vita. Affermiamo una cosa non vera quando accettiamo l'opi­nione che l'inserimento nella so­cietà lavorativa deve servire a da­re un guadagno all'insufficiente mentale; in effetti io non approvo una simile impostazione puramen­te economica, in quanto vedo in questo inserimento lavorativo un sostanziale aiuto vitale: non può infatti essere messo in dubbio che l'insufficiente mentale trovi piace­re nel lavoro e che il lavoro rappre­senti per lui una delle possibilità di diventare compartecipe della vi­ta degli altri. Inoltre in tal modo l'insufficiente mentale dimostra a se stesso la capacità di riuscire a fare qualche cosa con le sue pro­prie forze e si rafforza nella volon­tà dell'operare. Da tutto ciò conse­gue che occorre affermare con for­za il diritto al posto nel mondo del lavoro dell'insufficiente mentale o, per dirla in altre parole, affermare che l'insufficiente mentale possie­de il diritto al lavoro, e che molti paesi hanno già riconosciuto com­pletamente e apertamente questo diritto.

Qual è il lavoro più adatto all'insufficiente mentale? Per lungo tempo si è ammesso che egli sia adatto solo per alcuni tipici lavori e che perciò i confini del suo pos­sibile campo di lavoro sono strettamente segnati. Noi usciamo da questo schema in quanto affermia­mo che non è un solo campo di la­voro che gli si confà, bensì sono molti questi campi di lavoro. Ci si pone allora la domanda se a questi diversi campi appartiene anche il lavoro industriale. E' un proble­ma oggi portato molto spesso nelle discussioni. Non disponiamo di af­fermazioni soddisfacenti in questo campo, anche perchè il problema può essere risolto in modo atten­dibile soltanto con l'aiuto di una analisi accurata del lavoro indu­striale. Secondo l'opinione di alcu­ni, il lavoro industriale costituisce l'opposizione tra natura e tecnica. Di conseguenza, tutto il campo spe­rimentale della natura rappresenta per l'insufficiente mentale come qualche cosa che lo sollecita, lo sospinge, mentre il campo di atti­vità nel settore industriale sarebbe come qualche cosa di costrittivo che gli viene imposto. Questa con­trapposizione però si basa su di una considerazione troppo sempli­cistica. In effetti è proprio dell'uo­mo di vivere in entrambi i campi, sia in quello della natura, sia in quello della tecnica, in quanto l'es­sere umano puramente naturale fa parte di una deformazione idealisti­ca.

Anche l'insufficiente mentale, a prescindere da quello che è il suo lavoro, è per tutto il resto uguale a noi tutti e quindi indirizzato alla tecnica e allo sfruttamento di mez­zi tecnici. E' logico che non si può contestare il fatto che noi possia­mo e dobbiamo ricavare pregevoli e necessarie esperienze dal campo della natura. E può anche essere vero che questo aspetto dell'uomo, oggi, sia considerato un po' troppo compresso, un po' troppo sacrifi­cato.

Per quanto riguarda il lavoro in­dustriale, l'insufficiente mentale è indirizzato soprattutto verso i lavo­ri di serie, il lavoro alle macchine e il lavoro in un gruppo. In altre parole tutti i lavori che pressapoco corrispondono alla posizione o alla competenza di un aiutante. Ma oc­corre subito dire che l'espressione aiutante non va soltanto presa in riferimento al lavoro che gli com­pete e che gli viene assegnato, ben­sì si riferisce anche a una posizio­ne nella società del lavoro. Innan­zi tutto dobbiamo rilevare che que­sta qualifica si trova molto in bas­so nella scala sociale, per cui non è da meravigliarsi se ci imbattia­mo spesso nell'obiezione: «Mio fi­glio non deve entrare in una fab­brica» oppure «Mio figlio non de­ve essere un manovale o un aiu­tante». Il problema, in questo caso, è di considerare se sia veramente esatto mettersi di fronte a questa qualifica con la nostra mentalità corrente. Infatti, presupponiamo di rinunciare al lavoro industriale e di lasciare agli insufficienti men­tali libera azione in un settore che non appartenga al complesso della società lavorativa. Possiamo affer­mare che, in questo modo, la so­cietà verrà a inquadrarli in un mo­do diverso, oppure non risulterà al­la fin fine che essi saranno situati in una posizione ancora più bassa di prima?

Ci sembra, a questo punto, che il nocciolo della questione consi­sta nell'esaminare se il lavoro industriale riesca a dare delle vere possibilità di lavoro, di attività, all'insufficiente mentale, così come lo dà alle altre categorie di lavora­tori. Per un esame di questo gene­re occorrono però delle persone che siano competenti sul lavoro industriale. Poiché il fenomeno dell'inserimento completo nel lavoro industriale è ancora relativamente recente, ci troviamo di fronte a una mancanza di specialisti che siano preparati e competenti, sia nel settore del lavoro industriale, sia nel settore dei problemi degli insufficienti mentali. Rimane per­ciò chiaro che potranno ancora es­sere prese molte iniziative errate e che ne risultino ancora per un avvenire più o meno prossimo fal­si giudizi e false idee, soprattutto da parte di quelli che sono lonta­ni da questo settore. Noi riponia­mo quindi una grande importanza nel Centro di Lavoro a cui compe­te di dare anche un'educazione confacente al personale responsa­bile, proveniente dal settore indu­striale. Abbiamo così potuto fare l'esperienza che in tal modo è sen­z'altro possibile stabilire un con­tatto con le aziende, quando si par­li lo stesso linguaggio.

Dai nostri diversi inserimenti ab­biamo potuto trarre l'esperienza che nel settore industriale esisto­no numerosi campi e possibilità di lavoro per l'insufficiente mentale. D'altra parte queste possibilità si dimostrano tanto più ricche di suc­cesso quando si riesce a creare il riconoscimento umano e l'accettazione dell'insufficiente mentale, da parte del compagno di lavoro e dell'immediato superiore, e se si rie­sce a dare all'insufficiente menta­le un'educazione completa in tutti i settori. Il Centro di Lavoro si ba­sa soprattutto sulla realtà di fatto che, grazie alla buona disposizione e alla comprensione dimostrata dall'industria, si possa creare una effettiva possibilità di inserimen­to. Con ciò non intendiamo considerare soltanto la possibilità in sé e per sé, bensì il nostro scopo è quello di studiare e di chiarire per ciascun nostro giovane quale sia la via che può condurre allo scopo. Noi abbiamo visto che tutto il settore della preparazione deve esse­re sviluppato e affinato con lo svi­luppo della vita del Centro di La­voro, e che è necessario che l'as­sistenza continui anche nel tempo, dopo l'inserimento di ogni nostro ragazzo nella società.

Hermann Wintsch

 

 

* Una dichiarazione sull'inserimento sociale degli insufficienti mentali. (Traduzione da Stiftung Arbeitszentrum für Behinderte - Strengelbach).

 

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