Prospettive
assistenziali, n. 2, aprile-giugno 1968
ATTUALITÀ
NEL
CAMPO EDUCATIVO: UN PROBLEMA MARGINALE - MA NON TROPPO
In periodici incontri, i genitori di
bambini ed adolescenti invalidi, aderenti al Centro Volontari della Sofferenza,
discutono dei loro problemi, anche di quelli la cui soluzione dipende dal
concorso altrui.
Ne è affiorato uno, la cui gravità può
essere compresa ascoltando l'esperienza di chi ha dovuto farvi fronte.
Si tratta dell'atteggiamento verso
chi ha imperfezioni visibili, fisiche o intellettuali, di certe persone sane
che assumono sovente forme di incomprensione che risultano
offensive e possono provocare ripercussioni difficili da guarire, specialmente
quando ciò avviene nei rapporti tra ragazzi, perchè a quell'età non è facile
distinguere tra scherzo e scherno.
Gli handicappati ricavano, cioè, l'impressione di essere troppo diversi «dagli altri»,
quasi esclusi dal consorzio umano, o tollerati con sterile compatimento, e
osservati con indiscreta curiosità.
Le ripercussioni si traducono, in
pratica, in introversione, in scontrosità, e persino in diffidenza verso i
familiari, i quali vedono sfumare, insieme all'affetto ed alla confidenza,
quei pochi risultati che erano frutto di precedenti
dure fatiche, a causa del comportamento sconsiderato di persone sane.
Vi sono figli, pertanto, che concludono
di essere stati ingannati dai loro genitori allorché constatano che non è vero
ciò che essi pretendevano, ossia che gli invalidi valgono quanto i ragazzi
sani, per uguale dignità e diritti. Ed allora non si impegnano
neanche più in nessuna delle direzioni a loro accessibili, convinti che non
meriti faticare se «gli altri» considerano incolmabile la disuguaglianza.
A chi spetta correggere questa forma
mentale? Evidentemente a tutti, se siamo convinti - non solo a parole - della
dignità di ogni persona umana e del suo diritto al
rispetto.
In particolare, essendo l'urto più
duro quando i ragazzi vanno a scuola, toccherebbe innanzitutto
alle famiglie dei ragazzi sani di rendersi conto di questa stortura di mentalità,
per non «contagiarne» i loro figli. Sono concordi al riguardo le norme sociali e civili, derivate da quelle insite nella
natura umana, che hanno avuto recente autorevole conferma nella «Dichiarazione
sulla educazione cristiana» par. 3 del Concilio Vaticano
II:
«I genitori, poiché hanno trasmesso
la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole; vanno
pertanto considerati come i primi e i principali educatori
di essa».
Tuttavia l'esperienza dimostra che -
non solo in Italia - per un malinteso senso di amore e
di protezione, i genitori di bimbi sani sovente non vogliono che i loro figli
abbiano a che fare con ragazzi invalidi o menomati, perchè «ciò potrebbe far
loro effetto»; e di qui derivano inevitabili deformazioni di scelta e di
comportamento nei rapporti umani.
Capita allora che all'epoca della
scuola, ossia quando si va alla scoperta del mondo, ragazzi sani, di abitudine non crudeli, lo diventino inspiegabilmente nei
confronti di coetanei che hanno delle imperfezioni visibili, i quali a loro
volta in quest'età ne risentono di più, per lo smarrimento di dover passare
molte ore fuori dal riparo delle loro famiglie.
Intervengono, a modificare questi
atteggiamenti, anche reazioni psicologiche. E' noto come le cose insolite o
impreviste possano far ridere, anche quando non è il
caso. Chi non l'ha fatto una volta in vita sua di fronte a
un capitombolo spettacolare altrui, prima di precipitarsi a chiedere: «Ti sei
fatto male?». Analogamente un ragazzo sano che scopre l'esistenza di invalidità appariscenti, che possono sembrargli strambe,
può anche reagire con la derisione, se nessuno gli ha mai parlato di
invalidità, di malformazione, educandolo ad un diverso comportamento.
Non si fa della teoria: i genitori
di cui sono portavoce ne hanno avuto dure esperienze, ed essi ora se ne
preoccupano di più, sia per l'attuale clima di progresso, che non dovrebbe
limitarsi alla tecnica, al benessere ed all'istruzione, ma estendersi anche
all'educazione; sia perchè è prevedibile che le occasioni
si moltiplichino in rapporto al programma di includere classi speciali in
edifici con classi normali, con la conseguenza che all'entrata, all'uscita,
durante gli intervalli o in altre circostanze, dei ragazzi sani passeranno
sovente accanto a quelli handicappati.
Questi genitori, anche a nome di quegli altri che in futuro avranno lo stesso
problema, chiedono ai GENITORI, agli INSEGNANTI ed agli EDUCATORI che
affrontino il problema dei rapporti tra ragazzi sani e quelli con imperfezioni
visibili. E chiedono di farlo in due direzioni:
- nei riguardi degli adulti, cogliendo
ogni opportunità (colloqui tra genitori, consulte delle elementari e consulte
educative, ecc.)
- nel rapporto diretto con gli
allievi.
Quale scopo ha la richiesta? Tende
ovviamente a facilitare l'inserimento dei loro figli nella vita da pari a
pari, sotto l'aspetto della dignità e del rispetto
della persona umana.
Per quale MOVENTE è da accogliere
la richiesta? Se qualcuno vuole una risposta non solo
di diritto civile, si rifaccia all'obbligo di giustizia, come lo definisce il Decreto sull'apostolato dei laici, par.
8, dove, a proposito dell'azione caritativa, vi è questa avvertenza:
«siano anzitutto adempiuti gli
obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra
come dono di carità ciò che è dovuto a titolo di giustizia».
Questo «cambio di mentalità» è a
vantaggio anche dei ragazzi sani, nel senso che essi
saranno messi di fronte al dolore in un ben degno modo. Maturando, ogni figlio
sarà sempre più grato a chi gli avrà detto: «Nella sostanza siamo tutti
uguali, benché differenti siano le manifestazioni esterne, per ragioni che non riusciamo ad afferrare. Potresti essere anche tu “mal
fatto” esternamente, e se non lo sei, non ne abbiamo
merito né tu, né noi».
Non solo: con ciò si contribuirà a
sconfiggere il «mammismo» dove ancora sopravvive, una
brutta piaga che ostacola l'affermarsi della personalità.
L'opera è opportuna ed è possibile:
infatti gli atteggiamenti sbagliati versi chi ha
imperfezioni raramente sono volontari e, se lo sono, è perchè se ne ignorano
le ripercussioni.
Lo prova il fatto
che si cambia mentalità col solo porsi questa domanda: Come mi sentirei
se fossi trattato da anormale, o con troppa compassione, o deriso inspiegabilmente?
Parlando genericamente di «dignità»,
di «rispetto», di «giustizia», la strada sarebbe
lunga, perché sovente il significato astratto dei concetti e delle parole più
impegnative non è chiaro o si rifugge dall'accettazione. Perciò
cerchiamo di giungere altrimenti allo scopo.
Io cito un caso singolo che dimostra
come persino nelle scuole materne sia possibile fare afferrare l'essenza della
parola «rispetto», senza bisogno che il termine entri in quel vocabolario
ancora ridotto.
All'inizio dell'autunno, la mamma di
una bimba, sfigurata da profonde ustioni, nonostante le lunghe cure di
trapianti di pelle e la lunga convalescenza in casa, era angosciata pensando
all'accoglienza delle compagne. Ritardando di 4 giorni
l'ingresso, la maestra ha preparato le piccole compagne attraverso un concetto di chiara derivazione biblica: «Non fate
alla vostra compagna qualcosa che possa farle
dispiacere». E le coetanee non hanno rinnovato,
neppure con domande o sguardi indiscreti, un dolore ormai superato,
nonostante fossero visibili i segni su quel viso devastato. Come hanno reagito le mamme delle bimbe col viso bello? Hanno
capito e ringraziato la maestra dell'aiuto dato per migliorare le loro
creature.
E' un errore temere per i figli sani
impressioni di repulsione e conseguenze psicologiche negative; i ragazzi non
educati possono scherzare sugli aspetti insoliti, chiamando zoppo lo zoppo, mostro o deficiente chi ha altre imperfezioni, se
nessuno fa loro capire che ciò che conta è la sostanza. Quando lo capiscono, i ragazzi si aiutano, giocano, fanno amicizia,
senza guardare alle apparenze.
Grazie a questa esperienza
i concetti di «rispetto e dignità della persona» e di «obblighi di giustizia»
assumeranno gradualmente, con la crescita in età, tutta la loro portata.
Chi legge possa capire quanto sarebbe consolante vedere che i contatti fuori casa
consolidano e non distruggono quanto con fatica le famiglie costruiscono giorno
per giorno; l'appello è lanciato ai genitori, agli insegnanti, agli educatori,
i quali oggi sono i più qualificati per operare nelle due direzioni degli
adulti e dei giovani; ma chiunque condivida le idee qui esposte, scoprirà, per
ogni età e per ogni ambiente, le parole adatte per estendere questo «rinnovo di
mentalità».
Maria Baretto
www.fondazionepromozionesociale.it