Editoriali
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Al paragrafo 89 del programma economico quinquennale (legge 27 luglio 1967, n.
684) si legge che gli enti e gli organi investiti di pubbliche funzioni di
assistenza sono oltre 40.000.
Tale cifra può a prima vista stupire, ma in realtà
non è difficile ricostruirla.
In primo luogo, negli 8050 comuni italiani esistono, per le leggi vigenti:
8050 enti comunali di assistenza
8050 patronati scolastici
8050 comitati comunali dell'O.N.M.I.
8050 assessorati comunali dell'assistenza.
In secondo luogo, per le 92 province italiane vi sono:
92 assessorati provinciali all'assistenza
92 uffici assistenza presso le prefetture
92 comitati provinciali di assistenza e beneficenza
92 federazioni provinciali dell'O.N.M.I.
92 sedi provinciali dell'A.A.I.
92 commissioni prefettizie di vigilanza dei brefotrofi
111 brefotrofi.
Infine, poiché vi sono almeno 25 enti di assistenza per orfani, avremo 92 x 25
sedi provinciali di questi enti e cioè 2300
In totale quindi abbiamo 35.163 enti (salvo possibili omissioni). A questa
cifra, già ragguardevole, si debbono aggiungere le numerose istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza (le ex opere pie); la cifra di 40.000
enti, indicata dal piano quinquennale, è pertanto ampiamente raggiunta.
Tale cifra non comprende gli istituti privati, dei quali nessuno si è mai
preoccupato di fare un censimento, ma che certamente superano il numero di
20.000.
In totale, dunque, esistono in Italia almeno 60.000 enti di assistenza!!
Ora, come svolgono le loro funzioni questi enti? In altre parole, a che punto è
l'assistenza sociale in Italia?
_________
Sul piano dell'enunciazione dei principi, tutti ormai sono d'accordo nel
riconoscere che l'assistenza alle persone in situazione di bisogno personale,
familiare, sociale o economico, è un preciso dovere della collettività, dovere
del resto contemplato anche nella Costituzione.
L'art. 3 afferma infatti che «E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana...».
L'art. 38 dice inoltre: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi
necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale».
Purtroppo però tra questi principi e la loro attuazione pratica c'è ancora oggi
un abisso. Le statistiche parlano di più di un milione di handicappati mentali,
di centosessantamila epilettici, di centomila colpiti da paralisi cerebrale
infantile, senza contare il numero elevatissimo di minori privi di cure
familiari e di anziani soli e le altre centinaia di migliaia di persone o
famiglie in situazione di bisogno (gli iscritti agli elenchi degli E.C.A.
erano, al 31 dicembre 1964, ben 2.110.000).
Ora, un esame realistico della loro
situazione porta inevitabilmente a concludere che nessuna di queste persone
trova in concreto riconosciuto il proprio diritto all'assistenza. Oggi,
infatti, in Italia la pratica assistenziale è ancora minata da gravissimi
inconvenienti ed errori di impostazione:
- discrezionalità degli interventi,
- numero troppo elevato di enti e di organi,
- irrazionale distribuzione delle
competenze,
- episodicità e carattere elemosinieri degli aiuti,
- definizione delle
categorie degli assistiti non in base agli specifici bisogni, ma in base ad
astratti criteri relativi alla loro appartenenza a classi sociali diverse, ecc.
(1).
Ci sembra sia per tutti chiaro che questi difetti di impostazione sono in netto
contrasto con quello che dovrebbe essere il principio ispiratore dell'assistenza
sociale, vale a dire il riconoscimento della dignità umana di tutti i cittadini
e la conseguente necessità di liberare dagli impedimenti le persone
impossibilitate ad usufruire dei vari servizi dell'organizzazione sociale
(lavoro, istruzione, ecc.).
Tuttavia, poiché ci sembra che gli amministratori degli organi pubblici siano
più sensibili all'aspetto economico del problema piuttosto che ai principi di
carattere generale e poiché essi accampano continuamente la giustificazione
della mancanza di fondi, vorremmo qui sottolineare, prescindendo
completamente dagli aspetti umani, quanto questi errori di impostazione siano
dispendiosi anche dal punto di vista finanziario.
Noi sappiamo, ad esempio, che
la retta minima mensile di un bambino ricoverato in istituto (2) è di L. 10.000
mensili; il costo minimo di un ricovero di vent'anni è quindi di L. 2.400.000
(3). Ora, la spesa annua per un assistente sociale, si può calcolare (tutto
compreso) in L. 2.400.000. E' perciò sufficiente che detto assistente sociale
compia un affidamento in vista di adozione ogni anno perchè l'amministrazione
non ci rimetta. Ma, se si pensa che un assistente sociale può realizzare almeno
cinquanta affidamenti all'anno, risulta evidente che l'assunzione di un
assistente sociale è un investimento che può rendere addirittura il 5000%.
Grande è dunque la sorpresa nel constatare che molti Istituti Provinciali per
l'infanzia (ad es. Asti, Napoli, Venezia, Cuneo, L'Aquila, Bari, Foggia,
Chieti, Genova, ecc.) non dispongono di un servizio sociale; d'altra parte,
paradossalmente, come abbiamo riferito nel numero precedente, l'Amministrazione
Provinciale di Genova spende alcuni miliardi per costruire un nuovo brefotrofio
con il 50% dei posti in più di quello esistente, e ciò nonostante l'entrata in
vigore della legge sull'adozione speciale che dovrebbe sfoltire notevolmente
il numero dei bambini senza famiglia ricoverati.
Concludendo, crediamo di poter dire che, quando le spese assistenziali sono
calcolate con serietà e lungimiranza, la soluzione più economica viene a
coincidere con quella più corrispondente alla dignità della persona umana. Si
può pertanto affermare che «assistere meglio significa spendere meno».
___________________
(1) Per citare un esempio, l'orfano di un aviatore è assistito in modo diverso
dall'orfano di un carabiniere (vedasi anche l'editoriale del numero
precedente).
(2) La retta nei brefotrofi provinciali varia da L. 4000 a L. 6000 al giorno.
(3) Tralasciamo di considerare le maggiori spese per i minori che, proprio a
causa del ricovero, diventano dei disadattati e spesso finiscono i loro giorni
in carcere o in ospedale psichiatrico o restano sotto altre forme a carico della
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