Prospettive assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968

 

 

ATTUALITA'

 

ASPETTI FONDAMENTALI DELLA CARENZA DI CURE FAMILIARI

 

 

Da alcuni anni a questa par­te vanno moltiplicandosi e ap­profondendosi gli studi relati­vi alla importanza delle cure famigliari nell'infanzia e sem­pre più si prendono in consi­derazione le conseguenze a breve e a lungo termine della separazione del bambino dalla madre.

Furono le osservazioni degli psicoanalisti prima, e poi quel­le degli psicologi e degli psi­chiatri specializzati nella pro­tezione dell'infanzia a mettere in luce l'importanza vitale del­la qualità delle cure prodigate al bambino dai genitori nei pri­mi anni dell'infanzia. Anche la pediatria, via via che si è liberata, attraverso le recenti sco­perte terapeutiche (soprattutto nel campo delle malattie infet­tive e nutrizionali) dalla pres­sante preoccupazione di salva­re la vita dei bambini, ha po­tuto occuparsi di problemi che solo una trentina di anni fa sa­rebbero apparsi marginali, qua­li gli aspetti psicopedagogici dello sviluppo infantile. Ci si è così accorti che i fattori psi­cologici, che nella primissima infanzia sono essenzialmente determinati dai rapporti affet­tivi, possono addirittura provo­care malattie organiche e vice­versa influire sulla loro guari­gione.

Secondo alcuni autori (es. Spitz, Soulé e Aubry) la caren­za di cure materne produce, nel bambino piccolo, un generale indebolimento dello stato ge­nerale, ed anche una maggiore morbilità e mortalità; ciò spie­gherebbe in parte l'estrema fa­cilità di un contagio che si ve­rifica negli istituti, anche i più igienicamente attrezzati, e la gravità che in essi assumono malattie generalmente benigne.

 

SIGNIFICATO DI CARENZA DI CURE MATERNE

 

Si indica col nome di «ca­renza di cure materne» una situazione in cui il bambino non gode di quel legame affet­tivo, intimo e costante, che normalmente lega il lattante e il bambino piccolo alla propria madre (o a chi ne fa le veci), legame che, modificato all'in­finito nella sua complessità e ricchezza dai rapporti col pa­dre, coi fratelli, coi parenti in genere, presiede allo sviluppo del carattere e alla normale e armoniosa strutturazione della personalità dell'individuo. Si può pertanto ritenere carenzia­to anche il bambino che non sia stato abbandonato, ma la cui madre sia incapace di in­staurare questo legame, oppu­re quando, per qualsiasi ragio­ne, debba vivere lontano da lei. Cioè il termine «carenza» può designare molte differenti si­tuazioni che genericamente si possono riassumere così:

1) assenza della madre o del sostituto materno («figura ma­terna»);

2) discontinuità della relazio­ne con la figura materna;

3) insicurezza delle relazioni con la figura materna.

In ogni caso è necessario studiare a fondo tutte le forme di mancanza di cure famiglia­ri, sia quantitative che qualita­tive, anche quando il nucleo famigliare è presente accanto al bambino. Ad esempio anche un rapporto con la madre, se insufficiente, discontinuo, di­storto, può essere più dannoso di una separazione. Le conse­guenze della carenza affettiva possono apparire prestissimo, anche prima dei sei mesi, epo­ca alla quale abitualmente si fanno risalire le prime e vere relazioni oggettive e la com­parsa dell'angoscia propria­mente detta. Naturalmente la sensibilità dei lattanti alla fru­strazione precoce è diversa da individuo a individuo (si dice che esiste una vera e propria «soglia» di tolleranza alla fru­strazione - Soulé), ma è chiaro che gli effetti saranno tanto più evidenti quanto più questa sa­rà stata duratura, assoluta e precoce.

 

OSPEDALISMO

 

La situazione dei bambini che, vivendo in istituti, ricevo­no cure adeguate dal punto di vista igienico e sanitario, ma subiscono i danni della man­canza o insufficienza delle cu­re materne è oggi considerata veramente patologica ed ha un nome preciso: ospedalismo. Negli istituti di assistenza e ricovero dei minori della no­stra attuale società, il bambino non solo non gode di un valido rapporto qualitativo e quantita­tivo con la famiglia - se que­sta esiste - (pensiamo per es. agli orari stabiliti per le visite) ma è anche sottoposto alla frammentarietà delle relazioni con le numerosissime persone che si occupano di lui. Si pen­si che da uno studio sul mo­vimento del personale di assi­stenza presso il bambino isti­tuzionalizzato è risultato che in media le persone che si occu­pano di un bambino in due me­si e mezzo sono venticinque.

Oltre a ciò, il bambino in i­stituto è solo per la maggior parte della giornata o al mas­simo è in contatto con coeta­nei, senza alcuno di quegli sti­moli psichici che normalmente riceve in famiglia, quasi senza accorgersene, e che molto be­ne sono stati chiamati «eco materna».

Si pone pertanto il problema di aggiornare (visto che siamo ancora molto lontani dalla men­talità che tende alla abolizio­ne) la struttura degli istituti: eliminare almeno le macrosco­piche, anonime costruzioni, do­ve si ripetono situazioni nega­tive ormai note.

La struttura a tipo «casa fa­miglia», già molto diffusa all'estero, permetterebbe per lo meno, di modificare i danni più grossolani e, soprattutto, di cambiare la mentalità corren­te circa il «bell'istituto»...

Citiamo le parole dei Raca­mier «Il solo trattamento che curi la sindrome delle frustra­zioni precoci è il “maternage” (ammaternamento, come è sta­to tradotto in italiano), cioè ri­torno del bambino presso la madre, o mutamento di atteg­giamento della stessa qualora esso fosse inadeguato, o con­segna del bambino nelle brac­cia di una figura materna so­stitutiva stabile ed efficace».

 

CONSEGUENZE

 

Quali sono, in pratica, le con­seguenze visibili delle situa­zioni di carenza? Il bambino istituzionalizzato o comunque sottoposto a lunghi periodi di solitudine, a separazione ecc. subisce prima di tutto ritardi progressivi nello sviluppo psi­chico e in particolare nello svi­luppo intellettuale (tipica una grave insufficienza nella capa­cità di astrazione). Particolar­mente colpiti sono i settori del linguaggio e delle relazioni so­ciali.

Significativi sono i risultati di uno studio sistematico in­trapreso da Spitz e Wolf sui fe­nomeni anormali che appaiono nel primo anno di vita quando il bambino vive in modo per­manente in istituto.

Nella tabella che si riprodu­ce è indicato il quoziente di sviluppo all'inizio ed alla fine del primo anno di vita, tenuto conto della classe sociale dei bambini.

 

Classe sociale

Madre presente o assente

Numero di classi

Quoziente di sviluppo

Media ottenuta dal 1° al 4° mese

Media ottenuta dal 9° al 2° mese

Ambiente urbano non selezio­nato

Assente

61

124

72 (1)

Professioni liberali

Presente

23

133

131

Contadini

Presente

11

107

108

Madri nubili delinquenti

Presente

69

101,5

105

(1) Alla fine del secondo anno il quoziente di sviluppo era caduto a 45.

 

Esiste poi un altro aspetto della personalità del bambino particolarmente vulnerabile: la sfera affettiva. Il problema qui si pone in termini veramente drammatici, perchè il non aver potuto strutturare in modo e­quilibrato ed armonioso il pro­prio mondo affettivo significa incorrere nei rischi della ne­vrosi o in futuri atteggiamenti di antisocialità.

La reazione tipica del bambi­no piccolo, è la «fame» di af­fetto incondizionata (che spes­so lo manda incontro ad altre delusioni, causate dalla incom­prensione dell'adulto), o vice­versa un «rifiuto di affetto» che lo pone egualmente in condizione di soffrire. Una di­mostrazione della gravità dei danni subiti da questi bambini è data dalle difficoltà che ta­lora si incontrano nelle prime fasi dell'inserimento in una fa­miglia, sia pure positiva, affet­tuosa, accettante. Lo Spitz che ha studiato a lungo i bambini ospedalizzati usa l'espressione «depressione anaclitica» per indicare quello stato in cui pre­vale l'assoluta mancanza di reazioni, una specie di torpo­re, di profonda tristezza nella quale cade il bambino, e che è quasi sempre accompagnato da un evidente deperimento orga­nico. Se il periodo di carenza non si protrae troppo a lungo, è sorprendente constatare la ripresa psicologica e fisica del bambino, quando venga rista­bilito il primitivo rapporto con la madre o con una figura ma­terna sostitutiva. Interessantis­simi a questo proposito gli stu­di della dott. Aubry e del Bowlby, che citano casi analoghi di bambini il cui Q.I. si è al­zato da 37 a 70 (in tre mesi di maternage) e da 35 a 97 (do­po diciassette mesi).

La situazione di carenza de­terminata da separazione e non da abbandona (cioè se si è ve­rificato l'interruzione di un rap­porto affettivo già instaurate­si) può venir compensata con la tempestiva sostituzione del­la figura materna, purché ab­bastanza stabile. Nel caso che si abbia un ritorno della madre, si possono verificare reazioni diverse. In genere, dopo una separazione breve o «benigna» si produce nel bambino un at­taccamento ansioso (la paura di perdere ciò che ha riacqui­stato), al contrario, una sepa­razione lunga e negativa può determinare distacco o inca­pacità a riannodare relazioni af­fettive. Se la separazione, ol­tre che prolungarsi, si ripete, (e quindi il bambino subisce ripetuti traumi), si verifica in lui o un atteggiamento di ul­tradipendenza ansiosa, o di su­perficialità dei rapporti, o di anaffettività vera e propria. L'a­spetto maggiormente negativo di queste situazioni è dato dall'instaurarsi, a livello non co­sciente, di meccanismi di dife­sa contro nuove frustrazioni, nuove delusioni, sofferenze ri­petute. E' come se in lui, deli­beratamente, sorgesse la deci­sione di non voler più bene «perchè tanto è inutile». Il bambino si chiude sempre più in se stesso, in un mondo suo e impenetrabile dal quale non vuole uscire e dove non vuole che entri nessuno, proprio per non essere ferito nella sua sen­sibilità. Spesso l'adulto non capisce questo atteggiamento (lo considera «ingratitudine») e il bimbo si chiude ancora di più; si crea in tal modo un cir­colo vizioso che solo a fatica, con molto amore, pazienza, comprensione, potrà essere spezzato.

Abbiamo finora parlato di rapporto madre-figlio, ma biso­gna sottolineare come dagli studiosi di questi problemi non sia considerato in senso asso­luto, insostituibile per l'armo­nioso sviluppo del nato. Si pre­ferisce infatti parlare di «figu­ra materna principale» (che non è necessariamente la ma­dre biologica) le cui cure pos­sono poi essere completate, o parzialmente sostituite da quelle di altre persone: pen­siamo alla figura paterna, ai pa­renti, ecc.

 

LA FIGURA PATERNA

 

Tutti gli autori ad esempio, mettono in luce l'importanza della presenza del padre, im­portanza via via crescente con l'età del bambino.

Egli rappresenta un modello immediato e valido di compor­tamento morale e sociale nel quale, il figlio specialmente maschio, tende a identificarsi ed inoltre, quale sostegno eco­nomico ed affettivo della ma­dre, assicura direttamente ed indirettamente la sicurezza am­bientale. Ne deriva che la mancanza o l'inadeguatezza della fi­gura paterna produce nel bam­bino insicurezza e incertezza di comportamento.

L'importanza della figura pa­terna ci fa inoltre riflettere su un altro aspetto della carenza affettiva: sul fatto cioè che non solo il bambino piccolo viene danneggiato dalla mancanza di validi rapporti con i genitori: infatti anche il ragazzino gran­dicello può subire danni gra­vissimi se colpito nei suoi af­fetti. In tal senso può essere carenziato anche il bambino che abbia avuto, da piccolissi­mo, cure materne adeguate, ma ne sia stato poi in qualche modo privato.

 

ASPETTI SOCIALI DEL PROBLEMA

 

Il difficile inserimento nella società, l'incapacità di assu­mervi un proprio ruolo respon­sabile e l'impossibilità di sta­bilire con «gli altri» rapporti di amicizia, di amore, di soli­darietà, sono le conseguenze a lunga scadenza delle caren­ze di cui abbiamo parlato. En­triamo così nell'ampio e triste campo delle manifestazioni pa­tologiche in psicologia, dei di­sadattamenti minorili, della de­linquenza e delle deviazioni sessuali; dobbiamo cioè tener presente che, oltre un certo li­mite, i danni subiti dal bambino per carenza affettiva diven­tano irreversibili, e dal mo­mento che ogni individuo, oltre a vivere una propria vita, è in­serito in un mondo sociale, è inevitabile che porti in esso tutto il suo bagaglio positivo e negativo. Scrive Spitz: «Neo­nati senza amore diventeranno adulti pieni di odio». E' quindi necessario che ad ogni essere umano sia garantita, il più pre­cocemente possibile, stabilità e sicurezza affettiva: oltre a rendere giustizia all'individuo, rendiamo giustizia alla società.

M.T. ROBERTI e P. TACCANI

 

 

J. BOWLBY, Cure materne e igiene mentale del fanciullo, Editrice Universitaria, Firenze, 1957.

AA.VV., Le carenze delle cure materne, Armando Armando, Roma 1966.

M. SOULE', La carence des soins maternels dans la petite enfance. La frustration precocs et ses effets cliniques, in Psychiatrie de l'Enfant, Vol. I, Fasc. 2.

R. SPITZ, Il primo anno di vita del bambino, Editrice Universitaria, Firenze, 1962.

J. AUBRY, La carence de soins maternels, Centre International de l'Enfance, Paris, 1955.

 

La Aubry ha realizzato un documentario scientifico sugli effetti delle carenze di cure materne, che può essere ri­chiesto all'Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affilianti, 10126 Torino, Via Madama Cristina 74.

 

 

Ringraziamo il Prof. M. Soulé che ci ha permesso di prendere visione del manoscritto di un libro che sta scrivendo in collaborazione con il Prof. S. Lebovici.

 

www.fondazionepromozionesociale.it