Prospettive assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968

 

 

INCHIESTE

 

CONTATTI CON I GIUDICI TUTELARI DEL DISTRETTO DI MILANO: ALCUNE CONSIDERAZIONI

 

 

Nel periodo dal mese di marzo alla prima metà di luglio 1968 la Sezione lombarda della Asso­ciazione Nazionale Famiglie Adottive Affilianti ha preso diretto contatto con 27 dei 33 Giudici Tutelari del Distretto di Milano. Dei rimanenti: con 3 sta prendendo contatto un gruppo di per­sone volontarie qualificate che lavora nel setto­re «adozioni» in zona, con 2 verranno presi appena dopo il periodo feriale, e con 1, al mo­mento non è sembrato urgentissimo l'approccio in quanto nel mandamento che gli compete non hanno sede istituzioni per minori.

L'aver potuto discutere a viva voce, e direi con generale apertura e comprensione al «collo­quio», al «dialogo», ha potuto evidenziare una serie di problematiche di cui diamo breve cenno in questa sede.

Sarebbe indubbiamente utile, oltre che auspica­bile, che il dialogo potesse aprirsi ed estendersi in sede di convegno, con la presenza massima dei magistrati interessati, proprio perché si è potuto riscontrare, a livello meramente empiri­co, quale utile apporto sarebbe l'esperienza, ne­gativa o positiva, di ciascuno, da cui si potrebbe partire per avanzare proposte in sede idonea.

 

1.

In generale il Giudice Tutelare ammette di avere necessariamente «relegato» tale funzione a mar­gine del proprio lavoro, la cui entità è portata a giustificazione di tale atteggiamento.

Anche se abbastanza diffuso, verbalmente per lo meno, non è invece generale il riconoscimen­to dell'importanza intrinseca della funzione di Giudice Tutelare.

Ritengo che alla base stia una carenza di fondo: la non conoscenza di tutti i problemi inerenti al minore in genere, al minore istituzionalizzato in particolare. Solo una bassissima percentuale di magistrati (4 su 27) possedeva determinate no­zioni di base circa i problemi della carenza di cure famigliari.

 

2.

A questo proposito si deve dire che il Giudice Tutelare avverte la lacuna nella propria prepa­razione in vista di esercitare una funzione nei riguardi del minore. Da molti (almeno 14) è stato esplicitamente dichiarato: «Con quale prepara­zione psicologica, pedagogica, sociale, ci possia­mo accostare a tutta la serie di problemi posti dall’“abbandono” del minore?»

 

3.

Nello stesso tempo, tuttavia, esiste una generale diffidenza a collaborare con le risorse (per es. i Servizi Sociali locali) esistenti.

L'art. 344, secondo comma: «Il giudice tutelare può chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni», viene ritenuto un «po' generico», di scarsa utilità pratica, quasi inutile.

Non esito a dire che queste giustificazioni, a me personalmente, hanno dato l'impressione di razionalizzazioni di una resistenza più profonda del magistrato a entrare in contatto ed a instau­rare collaborazione al di fuori delle specifiche mansioni di studio e interpretazione della legge, nonché di giudice, mansioni tutte che lo isolano enormemente dal contesto socio ambientale.

Mi pare interessante ricordare a questo punto l'esistenza di quei nuovi orientamenti circa la funzione sociale del magistrato.

 

4.

La legge sulla adozione speciale ha suscitato in tutti i Giudici Tutelari ampie critiche circa la possibilità di applicarla. Non è stato risparmiato alcun aspetto procedurale.

 

5.

Tuttavia giudici tutelari si sono recati perso­nalmente a visitare gli istituti e si sono occupati di approfondire le indagini sui singoli minori; tre giudici tutelari hanno convocato i dirigenti degli istituti ed hanno fornito spiegazioni sulle modalità dei loro compiti. nonché ricordato le sanzioni per i trasgressori.

 

6.

In modo abbastanza diffuso si è riscontrata una difficoltà psicologica di fronte all'accertamento di singole situazioni di minori: molti hanno di­chiarato di desiderare che ogni indagine venga svolta in sede di Tribunale per i Minorenni.

Se da una parte tale atteggiamento si può confi­gurare come «deresponsabilizzazione», dall'al­tra si potrebbe ricondurre al sentirsi insufficien­temente preparati (vedi punto 2).

 

7.

Nella maggioranza (24 su 27) si è potuta riscon­trare una generica accettazione dello spirito della legge, mentre per tre si è notato un vero e proprio rifiuto.

Sarebbe naturalmente di grande importanza che alla accettazione in certo senso «razionale» (come ritenere la adozione una «cosa cattiva»?) facesse seguito l'approfondimento di tutta la problematica, (rottura dei vincoli di sangue, in­serimento del minore adottato come figlio legit­timo, coesistenza di figli nati dal matrimonio e figli adottivi, ecc.) in modo che nella funzione che gli è propria il Giudice Tutelare apportasse, in concreto, le sue convinzioni profonde circa la necessità, l'urgenza, l'importanza assoluta, di garantire ad ogni minore la propria famiglia; quindi di giudicare sempre le situazioni nell'inte­resse e per il bene del minore, tenendo conto del diritto che gli è proprio, sin dalla nascita, di trovare quelle condizioni ambientali, famiglia­ri, psicologiche ed affettive per cui tutto il suo sviluppo biopsichico non ne debba soffrire proiettando gravi conseguenze nel futuro.

PATRIZIA PAGLIARI TACCANI

 

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