Prospettive
assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968
INCHIESTE
CONTATTI CON I
GIUDICI TUTELARI DEL DISTRETTO DI MILANO: ALCUNE
CONSIDERAZIONI
Nel periodo dal mese di marzo alla
prima metà di luglio 1968
L'aver potuto discutere a viva voce,
e direi con generale apertura e comprensione al «colloquio», al «dialogo», ha potuto evidenziare una serie di problematiche di cui
diamo breve cenno in questa sede.
Sarebbe indubbiamente utile, oltre
che auspicabile, che il dialogo potesse aprirsi ed estendersi in sede di
convegno, con la presenza massima dei magistrati interessati, proprio perché si
è potuto riscontrare, a livello meramente empirico, quale utile apporto
sarebbe l'esperienza, negativa o positiva, di
ciascuno, da cui si potrebbe partire per avanzare proposte in sede idonea.
1.
In generale il Giudice Tutelare
ammette di avere necessariamente «relegato» tale funzione a margine del
proprio lavoro, la cui entità è portata a giustificazione di tale
atteggiamento.
Anche se abbastanza diffuso, verbalmente
per lo meno, non è invece generale il riconoscimento dell'importanza intrinseca
della funzione di Giudice Tutelare.
Ritengo che alla base stia una carenza di fondo: la non conoscenza di tutti i problemi
inerenti al minore in genere, al minore istituzionalizzato in particolare. Solo
una bassissima percentuale di magistrati (4 su 27) possedeva determinate nozioni
di base circa i problemi della carenza di cure
famigliari.
2.
A questo proposito si deve dire che il Giudice Tutelare avverte la lacuna nella propria
preparazione in vista di esercitare una funzione nei riguardi del minore. Da
molti (almeno 14) è stato esplicitamente dichiarato: «Con quale preparazione
psicologica, pedagogica, sociale, ci possiamo accostare a tutta la serie di
problemi posti dall’“abbandono” del minore?»
3.
Nello stesso tempo, tuttavia, esiste
una generale diffidenza a collaborare con le risorse (per es. i Servizi Sociali
locali) esistenti.
L'art. 344, secondo comma: «Il
giudice tutelare può chiedere l'assistenza degli organi della pubblica
amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi
corrispondono alle sue funzioni», viene ritenuto un «po' generico», di scarsa
utilità pratica, quasi inutile.
Non esito a dire
che queste giustificazioni, a me personalmente, hanno dato l'impressione di
razionalizzazioni di una resistenza più profonda del magistrato a entrare in
contatto ed a instaurare collaborazione al di fuori delle specifiche mansioni
di studio e interpretazione della legge, nonché di giudice, mansioni tutte che
lo isolano enormemente dal contesto socio ambientale.
Mi pare interessante ricordare a questo
punto l'esistenza di quei nuovi orientamenti circa la funzione sociale del magistrato.
4.
La legge sulla adozione
speciale ha suscitato in tutti i Giudici Tutelari ampie critiche circa la
possibilità di applicarla. Non è stato risparmiato alcun aspetto procedurale.
5.
Tuttavia giudici tutelari si sono recati
personalmente a visitare gli istituti e si sono occupati di approfondire le
indagini sui singoli minori; tre giudici tutelari hanno convocato i dirigenti
degli istituti ed hanno fornito spiegazioni sulle modalità dei loro compiti. nonché ricordato le sanzioni per i trasgressori.
6.
In modo abbastanza diffuso si è
riscontrata una difficoltà psicologica di fronte all'accertamento di singole
situazioni di minori: molti hanno dichiarato di desiderare che ogni indagine venga svolta in sede di Tribunale per i Minorenni.
Se da una parte tale atteggiamento
si può configurare come «deresponsabilizzazione», dall'altra si potrebbe ricondurre al sentirsi insufficientemente
preparati (vedi punto 2).
7.
Nella maggioranza (24 su 27) si è
potuta riscontrare una generica accettazione dello spirito della legge, mentre
per tre si è notato un vero e proprio rifiuto.
Sarebbe naturalmente di grande
importanza che alla accettazione in certo senso
«razionale» (come ritenere la adozione una «cosa cattiva»?) facesse seguito
l'approfondimento di tutta la problematica, (rottura dei vincoli di sangue, inserimento
del minore adottato come figlio legittimo, coesistenza di figli nati dal
matrimonio e figli adottivi, ecc.) in modo che nella funzione che gli è propria
il Giudice Tutelare apportasse, in concreto, le sue convinzioni profonde circa
la necessità, l'urgenza, l'importanza assoluta, di garantire ad ogni minore la
propria famiglia; quindi di giudicare sempre le situazioni nell'interesse e per il bene del minore, tenendo conto del diritto
che gli è proprio, sin dalla nascita, di trovare quelle condizioni ambientali,
famigliari, psicologiche ed affettive per cui tutto il suo sviluppo biopsichico non ne debba soffrire proiettando gravi
conseguenze nel futuro.
PATRIZIA PAGLIARI
TACCANI
www.fondazionepromozionesociale.it