Prospettive
assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968
ATTUALITA'
PRESUPPOSTI PSICO-SOCIALI E TECNICI PER L'ATTUAZIONE DELLA LEGGE
SULL'ADOZIONE SPECIALE
L'applicazione della legge
sull'adozione speciale incontra difficoltà non solo di
ordine normativo, interpretativo ed organizzativo, ma anche di natura psicologica
e sociale.
Anzi da queste ultime, in sostanza, dipendono a nostro avviso tutte le altre.
IL MITO DEL DIRITTO DEL SANGUE
Non vogliamo certo negare la realtà
biologica e meno che mai l'importanza individuale e sociale dell'istituto della famiglia. Quello che non possiamo accettare è che dal solo legame di sangue si voglia far derivare un
assoluto ed intangibile diritto del genitore biologico sulla propria prole.
Diritto che, secondo noi, emerge e viene pienamente
acquisito solo quando vengono assolti i doveri parentali, consistenti nel
soddisfacimento delle esigenze materiali e psichiche (soprattutto affettive ed
educative) della prole.
Nessun'altra impostazione del legame
genitori-figli è secondo noi giustificata e va relegata
fra i tanti pregiudizi che ancora oggi condizionano il
pensiero di molti.
Così, se confrontiamo la proposta
n. 1489 con il testo di legge approvato, risulta evidente
che la sollecitudine per la sorte dei minori in situazione di abbandono, che
aveva ispirato il progetto originario, è stata in larga misura sopraffatta dal
mito del sangue. Non vediamo quale altra motivazione razionale e diversa dalla più o meno consapevole aderenza a questo mito possa essere
addotta per spiegare l'insistenza con la quale un gruppo di parlamentari ha ottenuto
l'introduzione di norme lesive dell'interesse dei minori.
Di questo sono prove significative
la macchinosa procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità
dei minori legittimi o naturali riconosciuti, la previsione (patetica nella
sua evidente inutilità) delle prescrizioni ai genitori anche se volontariamente
inadempienti da anni, il divieto gratuitamente discriminatorio
dell'instaurazione di legami giuridici fra l'adottato ed i parenti collaterali
degli adottanti.
CONDIZIONAMENTI DEI MAGISTRATI E DEGLI OPERATORI SOCIALI
Anche l'interpretazione e la applicazione della legge sono a loro volta di fatto
condizionate dall'influsso che il mito del sangue esercita da secoli nel
nostro ambito culturale.
Appunto perchè educati e vissuti in
questo contesto, nessuno forse si sottrae a tale
condizionamento: l'importante è che il magistrato prenda coscienza di questo
fatto e ne tenga conto nel formulare le sue decisioni.
Altrettanto vale per gli operatori
sociali che sono i primi a trovarsi a contatto con le situazioni
di abbandono e dalla cui valutazione dipendono i successivi interventi assistenziali
e giurisdizionali.
Altro condizionamento ci pare
costituito dalla identificazione inconscia
dell'adulto con l'adulto (genitori d'origine o aspiranti adottanti) che ha di
fronte a sé, piuttosto che con il bambino, che in genere rimane un'entità
astratta perchè personalmente sconosciuta.
E ancora non può essere trascurata
l'influenza esercitata, in chi deve decidere, dal modo in cui egli ha vissuto
il vincolo familiare sia nel ruolo di figlio che in
quello, eventuale, di genitore.
Indubbiamente occorre, in chi abbia avuto dei buoni genitori o consideri se stesso tale,
una notevole capacità di autosuperamento per dichiarare
adottabile un minore legittimo.
Così ad esempio può accadere che un
buon padre di famiglia sia portato ad identificarsi
con gli aspiranti genitori adottivi ed a soddisfare le esigenze loro piuttosto
che quelle obiettive dell'adottando (e capovolga cioè il problema
dell'abbinamento).
Un altro condizionamento, al quale
le caratteristiche stesse della professione possono rendere soggetto in modo
particolare il magistrato, è rappresentato dalla convinzione che la
conoscenza del precetto di legge, la minaccia di sanzioni penali o il paterno
consiglio possano modificare non il comportamento di
una persona (cosa indiscutibile) ma anche la sua disponibilità affettiva e le
sue capacità educative (il che è errato).
Avviene così di leggere: «Da questa azione [rivolta a stimolare i genitori ad un migliore
allevamento dei figli attraverso prescrizioni], dalla parola persuasiva del
Presidente del Tribunale per i minorenni e dal concreto pericolo di un procedimento
penale per violazione degli obblighi di assistenza familiare o per
maltrattamenti, può attendersi un risultato positivo per molte situazioni, che
oggi si determinano e si trascinano per inerzia, per noncuranza, per
ripicchi, in famiglie dissociate o in convivenze irregolari» (1).
Hanno ancora rilievo diversi altri
condizionamenti che non riguardano soltanto il settore dell'adozione: mancanza di iniziativa, tendenza a non assumere responsabilità,
formalismo giuridico, ecc.
Più generalmente, sul piano
professionale, tuttavia, pensiamo influisca in modo determinante la
conoscenza o meno dei bisogni fondamentali dei minori e degli effetti della carenza
di cure familiari.
COLLABORAZIONE FRA MAGISTRATI E OPERATORI
SOCIALI
Questa collaborazione esiste
istituzionalmente per la presenza nel tribunale minorile dei componenti privati. Ma pensiamo
che l'intervento degli operatori sociali in sede decisionale, seppur
indispensabile, non sia sufficiente.
In effetti, la risoluzione del caso
dipende in larghissima misura dalle risultanze istruttorie.
Lo studio del bambino e del suo
nucleo familiare d'origine, la selezione e la preparazione dei candidati
genitori adottivi, la proposta di abbinamento non sono
materie che rientrano nell'ambito delle discipline giuridiche. Ne discende la
necessità che lo svolgimento di queste fasi sia affidato
dal tribunale ad operatori sociali qualificati.
Ugualmente rilevante è l’aiuto che
l'operatore sociale può offrire al magistrato nella valutazione dei comportamento dei genitori biologici.
Così pure l'operatore sociale, che ha seguito il minore e il suo nucleo familiare e che
conosce l'ambiente in cui essi sono vissuti, può fornire al giudice gli
elementi indispensabili per una obiettiva valutazione delle dichiarazioni rese
dai genitori ai sensi dell'art. 314/8 della legge 431/67.
Questo argomento è stato ampiamente
discusso già nel seminario di studi sull'interpretazione ed applicazione della
legge sull'adozione speciale (Ivrea, 22-23 settembre 1967) la cui mozione
conclusiva recava, fra l'altro: «venga realizzata nei modi più opportuni una attiva cooperazione fra gli organi giurisdizionali e gli
enti assistenziali, in considerazione della natura prevalentemente tecnica
della materia...».
Questo della collaborazione appare
ancora oggi un problema non pienamente risolto, anche se nel corso del primo
anno di applicazione della legge 431/67 rapporti
soddisfacenti siano stati instaurati in alcuni distretti.
Dall'esame del lavoro svolto dai
tribunali per i minorenni e dagli enti assistenziali
risulta in modo inequivocabile che le uniche sedi in cui l'applicazione della
legge 431/67 ha raggiunto un livello soddisfacente sia dal punto di vista
quantitativo che qualitativo sono quelle in cui vi è stata una stretta collaborazione
fra giudici ed operatori sociali.
Ci risulta
anche che alcuni tribunali, i quali in un primo tempo non ritenevano necessaria
od opportuna questa collaborazione, vi hanno in seguito fatto ricorso dopo
aver constatato l'impossibilità di operare unicamente con il proprio personale.
Una tale collaborazione esige
ovviamente una disponibilità degli enti pubblici e
privati di assistenza.
Purtroppo anche questa risulta
ancora largamente insufficiente, specie per quanto riguarda le istituzioni
private che in parte non hanno ancora recepito lo
spirito e la lettera della legge o, peggio, le oppongono una resistenza la cui
motivazione non espressa risiede anche nel timore di vedersi privati dei loro
«clienti».
E ancora, una proficua collaborazione
non può sussistere se non quando gli enti dispongono di personale specializzato (medici puericultori, pedopsichiatri,
assistenti sociali, psicologi infantili, educatori).
Gli operatori sociali devono tenere
conto delle esigenze del magistrato, quali ad esempio, l'esatto adempimento delle formalità, la necessità che le loro opinioni -
espresse nelle relazioni - vengano sempre corroborate da dati di fatto.
Particolarmente utili si sono
dimostrate le riunioni informali (avvenute purtroppo
finora solo in alcune zone) fra magistrati del tribunale per i minorenni e gli
operatori degli enti assistenziali, alle quali sarebbe assai opportuno per non
dire indispensabile la partecipazione dei magistrati della procura minorile e
dei giudici tutelari del distretto.
Queste riunioni hanno portato ad
una migliore conoscenza delle esigenze reciproche e degli assistiti ed
all'elaborazione di schemi operativi validi.
Ci si è resi conto ben presto (come
a Torino) che queste riunioni dovevano avvenire periodicamente per poter dare
adeguate soluzioni ai problemi (che nella loro multiformità
non possono mai essere ristretti in schemi rigidi e statici), oltre che per
consentire un continuo miglioramento delle prassi
istituite.
Proficue pure le riunioni fra i
magistrati del tribunale per i minorenni e degli uffici tutele come quelle
avvenute a Bologna e a Torino, poiché in mancanza di un efficiente collegamento
fra questi due organi si verifica una strozzatura
che mette in grave pericolo l'efficienza di tutto il sistema.
Visto che la legge ha affidato alla
magistratura la sorte dei minori soli, spetta ora ai magistrati di promuovere
tutte le iniziative atte a dare il più sollecitamente
possibile una valida famiglia ai bambini che ne sono privi.
ERNESTO E. TAUBER
(1) I. BAVIERA, L'adozione speciale, Giuffrè, Milano
1968, p. 156.
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