Prospettive
assistenziali, n. 3-4, luglio-dicembre 1968
APPENDICE
TEOLOGIA
DELL'ADOZIONE
PRESENTAZIONE
La teologia dell'adozione non è un
argomento per un gruppo ristretto di specialisti o un argomento astratto e
avulso dalla realtà. A parte il valore di ricerca spirituale e di arricchimento religioso per i credenti, esso ha un valore
storico e culturale non comune.
Per quanto riguarda la ricerca
spirituale e religiosa, con singolare penetrazione e con gioiosa sorpresa i credenti attingono, tramite la riscoperta dell'adozione, il
nucleo stesso, l'essenza più profonda della loro fede, la storia completa del
cammino soprannaturale dell'umanità: Dio creatore della famiglia umana, nucleo
naturale e divino di tutte le generazioni; Dio che allaccia con l'uomo un
rapporto di adozione («Io ti sarò Padre, tu mi sarai figlio») , tosto interrotto
dalla colpa degli uomini, ma riannodato e svelato in tutta la sua profonda
realtà dal Figlio primogenito, salvatore, della nuova figliolanza divina. Chi
aderisce a questo piano di salvezza e con la carità
partecipa alla sua realizzazione, contribuisce a ristabilire il piano
originario di Dio, tra cui anche la funzione non secondaria di dare a un
bambino che non l'ha una famiglia, «ristabilendo così per lui il piano
primitivo di Dio» (P. Oger).
Adozione divina e adozione umana: due realtà spirituali e concrete, che a vicenda si illuminano, si richiamano, si esaltano.
Dal punto di vista storico e
culturale, si può osservare che, quando San Paolo impiegava il termine di adozione per indicare un'immagine d'una realtà soprannaturale,
tracciava anche una concreta via di assistenza sociale. Infatti
i suoi appelli alle comunità cristiane, per l'aiuto alle vedove e agli orfani,
trovano già nell'antichissimo libro della Didaché un'eco concreta e un riferimento
preciso all'adozione umana: «Se un cristiano, maschio
o femmina, diventa orfano, sarà cosa bella e buona che un nostro fratello,
senza figli, lo adotti per suo pupillo e lo tratti come suo figlio».
In questa prospettiva, l'assistenza
cristiana, o in ambienti cristiani, avrebbe grande
bisogno e vantaggio nel richiamarsi e riformarsi alla luce di queste fonti
originali. Come osserva P. Oger, le istituzioni
caritative e sociali che si sono curate di bambini soli devono riconoscere il
loro valore transitorio e suppletivo, e cedere via via
il posto alla riscoperta e alla rivalorizzazione
dell'ambiente naturale e soprannaturale, insieme, che la famiglia rappresenta
per vocazione nei confronti dei bambini soli.
Nello studio di P. Oger, si coglie inoltre un parallelo significativo:
l'assistenza familiare, in grande considerazione nelle comunità cristiane
primitive, nei secoli successivi cede il posto alle istituzioni
extrafamiliari, allo stesso modo che la dottrina della «adozione divina» dal
fervore dei primi secoli cede il posto a disquisizioni giuridiche
sull'adozione. In particolare, sulla base della loro esperienza storica, i
teologi tendono a sminuire il valore dell'adozione umana (fatta in effetti per lo più a scopi patrimoniali), di fronte
all'adozione di Dio nei confronti dell'uomo, adozione non fittizia o puramente
giuridica, ma autentica, disinteressata, efficace, veramente donatrice
dell'essere.
Ma ancora una volta l'intuizione di
san Paolo ha il sopravvento sulle speculazioni teologiche: san Paolo non
distingue fra adozione umana e adozione divina, assume l'adozione umana come
immagine efficace dell'adozione divina.
E le moderne scienze pedagogiche,
psicologiche e psichiatriche gli danno ragione: come
l'amore di Dio trasforma l'uomo, così l'adozione umana attraverso l'amore, la
dedizione, la generosità produce una trasmissione vitale fra genitori e figli
adottivi. Osserva P. Oger: «Basterebbe, per
provarlo, paragonare fra loro bambini allevati in nidi e orfanotrofi e bambini
a cui l'adozione ha permesso di vivere una vita familiare
in una famiglia adottiva».
Con questo ci si colloca - in piena
oggettività e scientificità - in una situazione psicologica ed educativa per cui i genitori adottivi possono aver
ragione di eventuali, e non sempre provate, influenze ereditarie dei loro
figli.
Onde l'appello urgente che
scaturisce da questa impostazione:
La riscoperta del valore dell'adozione
è confermata in modo autorevole dal Concilio Ecumenico Vaticano II che nel
decreto sull'Apostolato dei laici pone al primo posto fra le opere di apostolato familiare: «infantes derelictos in filios adoptare», adottare i
bambini soli rendendoli propri figli.
TEOLOGIA DELL'ADOZIONE (1)
Che cosa bisogna intendere con l'espressione:
Teologia dell'adozione? Niente altro che: la
concezione cristiana dell'adozione.
Ma, proprio perchè si basa sulla
Fede, la concezione cristiana delle realtà umane non si
percepisce a prima vista: essa richiede di essere scrutata, approfondita,
illuminata dalla Fede. Questo è il servizio che ci rende
Svolgere la teologia dell'adozione,
significa dunque vederla come Dio la vede, situarla
nel piano di Dio, nelle prospettive cristiane.
Un numero troppo grande di laici,
troppi sacerdoti e religiose, troppi giuristi hanno
ancora, inconscia nel loro spirito, un'idea pagana dei diritti e dei doveri
dei genitori, la quale fatalmente ha la sua incidenza sull'educazione e rischia
di falsare le idee in materia di adozione. Significa ritornare all'errore del
razzismo, il rivendicare, come si fa troppo spesso, «la legge del sangue» o «i
legami del sangue».
Bisogna proclamarlo ad alta voce: la
paternità e la maternità sono anzitutto delle realtà spirituali, anche se si inscrivono da principio nella carne e nel sangue. Se non
sono «nate dal sangue», sono a maggior ragione spirituali,
senza perdere per nulla la loro realtà. Citiamo qui Jean
Guitton nel suo libro
Risulta molto chiaramente che la relazione
di un padre a un figlio è una relazione di spirito, cioè di appartenenza e di
responsabilità, molto più che di carne. E se la madre,
anche se legata dal corpo al suo prolungamento vitale, non fosse altro che
colei che porta e che mette al mondo il bambino, quanto poco sarebbe madre!»
Lo si constata d'altronde tutti i giorni,
la simpatia naturale, le «affinità elettive» creano spesso fra due esseri,
estranei l'uno all'altro per nascita, dei legami più forti di quelli della
parentela e della consanguineità. Quando si constata
questo fatto nel caso dell'amicizia e in quello dell'adozione - ed è esperienza
quotidiana di tutte le famiglie adottive - si può considerare con molto
scetticismo, la pretesa «legge del sangue».
Sarebbe misconoscere il sentimento
di paternità e il sentimento di maternità, che i genitori adottivi vivono come
gli altri, farne una questione di sangue. Diventare
padre o madre, di un figlio adottivo o di un altro, dipende dall'amore e non
dal sangue. Troppo spesso si dimentica che un bambino diventa un uomo con l'educazione...
e non con l'alimentazione!
Il generare, il partorire un essere
umano non è che un inizio. Che cosa diventerebbe il
bambino più dotato del mondo se non fosse educato,
amato, se l'ambiente umano venisse a mancargli improvvisamente? Lo si è potuto constatare chiaramente nell'esempio dei
«bambini-lupo». Il libro della Giungla
è senza dubbio pieno di poesia e ci ricorda opportunamente certe lezioni che
la vita artificiale della città ci aveva fatto
dimenticare, ma chi oserebbe pretendere che questo libro descriva l'ambiente
normale di educazione da riservare ai piccoli figli degli uomini?
D'altronde, il problema
dell'adozione si può porre non solo sul piano umano, ma sul piano
divino della nostra vita. L'uomo può adottare; ma anche Dio può
adottare e l’ha fatto, come vedremo.
Una migliore comprensione
dell'adozione ci permette di cogliere meglio non solo un certo genere di relazioni
fra due persone umane senza parentela comune, ma anche le relazioni nuove stabilite dal Cristo tra l'uomo e Dio.
Il tema dell'adozione ha troppe
affinità col Cristianesimo perchè noi non ci preoccupiamo di averne un'idea
esatta e non lo consideriamo in tutte le sue prospettive, umane e divine. Queste
prospettive sono riferibili a quelle della creazione dell'uomo da parte di Dio e della sua Redenzione da parte di Cristo.
Nelle sue prime pagine, il libro del Genesi ci riferisce la creazione dell'uomo e della
donna. La prima coppia umana di cui si tratta nella Bibbia ci
è presentata come quella che realizza un'intimità totale, che da sé
richiama l'esclusività e la stabilità. «Per questo l'uomo lascia suo padre e sua madre per unirsi alla sua donna e diventano una sola
carne» (Gen. 2, 24). I figli che nasceranno da questa unione
troveranno nella famiglia umana così costituita il loro quadro naturale.
Da questo primo racconto del libro
sacro, possiamo già dedurre che la famiglia è d'istituzione divina e che il
posto normale d'un bambino è nel seno d'una famiglia.
Poiché
La
colpa originale e i peccati degli uomini.
La
colpa dei nostri progenitori distrusse l'armonia che esisteva in seno alla
Creazione. I rapporti degli uomini con Dio e degli uomini fra
di loro furono sconvolti. La società degli uomini conobbe la discordia
e la famiglia stessa vide distrutta la sua armonia. Tutto era possibile ormai:
morte prematura dei genitori, disaccordo, separazione, divorzio, abbandono dei
figli...
La
storia della società antica ci riferisce la scarsa considerazione che gli
adulti dimostravano spesso verso i bambini: uccisione, «esposizione», cioè: abbandono, o accettazione dei figli e rifiuto delle
figlie.
Per essere
oggettivi,
ricordiamo tuttavia una istituzione dell'antichità, l'alumnat che assicurava a un bambino il
mantenimento e l'educazione, senza tuttavia integrarlo a una famiglia.
L'Antico Testamento non contiene
prescrizioni legali concernenti l'adozione. Riferisce tuttavia alcuni casi di
«adozione», tra cui quella di Mosè da parte della figlia del Faraone di Egitto, e quella di Ester da parte di Mardocheo,
ma questi si collocano in un ambiente straniero e non è certo che si trattasse
di adozione in senso stretto (2).
Se la storia romana ci parla di adozione in alcuni celebri esempi, per esempio, quello
di Tiberio da parte di Augusto, non si trattava di
adozione di bambini, ma di adulti. Il bambino non aveva ancora acquistato in questa epoca la considerazione che noi gli accordiamo oggi
e che gli viene dal Cristianesimo.
L'INCARNAZIONE E
Al fine di riunire gli uomini a Dio,
di farli rientrare nella sua amicizia, il Cristo s'inserì nel corso della
storia umana: si fece uomo, senza cessare di essere
Dio, e riscattò tutta la realtà umana.
La sua non fu soltanto opera di
salvezza, ma anche di luce. Ci rivelò il piano di Dio, «nascosto alle
generazioni». Quell'amicizia che Dio aveva inaugurato coi
nostri progenitori, era in realtà una
adozione. Dio diventava veramente nostro Padre e ci considerava come suoi figli. «Quando pregherete, direte: Padre nostro....» (Luca 11.2). «A tutti quelli
che l'hanno accolto, il Cristo ha donato il potere di diventare Figli di Dio» (Giov. 1.12).
A rigore di
linguaggio, bisogna dire tuttavia che solo il Cristo è Figlio di Dio per natura. Gli uomini non sono Figli di Dio,
né per natura, né per diritto, ma soltanto per grazia, per la grazia
dell'adozione divina, in partecipazione alla grazia del Cristo. Ma, in questo
senso, è giusto riconoscere una parentela col Cristo: egli è realmente «il
primogenito d'una moltitudine di fratelli», come dice
san Paolo (Rom. 8, 29). Figlio di Dio da tutta l'eternità il
Cristo ci fa partecipare alla sua filiazione divina. Se
noi siamo Figli di Dio in definitiva, lo siamo «nel Cristo» e «per il Cristo». Filii in Filio.
I rapporti fra Dio e Israele, suo
popolo, erano già stati abbozzati nell'Antico Testamento sotto l'immagine di un
rapporto padre-figlio e anche sotto quello di una adozione,
come ci ricorda la lettera ai Romani. Tuttavia non si trattava qui di una adozione individuale come quella che ci conferisce il
battesimo, ma d'una adozione collettiva, quella del popolo ebreo nel suo
insieme.
Nella pericope
in questione, san Paolo parla degli Israeliti «a cui appartengono l'adozione
filiale, la gloria, la alleanza... la promessa... e
da cui il Cristo è uscito secondo la carne...» (Rom. 9, 4-5). «San Paolo vuol
dire con ciò, ci spiega un esegeta, che Dio ha trattato il popolo ebreo come
suo figlio, liberandolo dalla schiavitù d'Egitto, dandogli una ricca eredità,
colmandolo di benefici, coprendolo con la sua protezione, difendendolo contro
i suoi nemici, in una parola dimostrandosi per lui come
il migliore dei padri». (3) L'Apostolo avrà cura di notare poco dopo che tutti
gli Israeliti non sono diventati tuttavia Figli di Dio, come tutti i figli di Abramo non hanno ereditato la promessa:
«Allo stesso modo che, pur essendo
discendenza di Abramo, non tutti sono suoi figli...
che non i figli della carne sono i Figli di Dio, i soli che contano come
discendenza sono i figli della promessa » (Rom. 9, 7-8).
L'idea di adozione
che san Paolo aveva solamente citato a proposito dell'Antico Testamento, l'ha
sviluppata soprattutto trattando della nuova economia della salvezza da parte
di Cristo:
«Voi non avete ricevuto uno spirito
di timore..., ma uno spirito di adozione nel quale
noi gridiamo: Abbà, Padre» (Rom. 8, 15).
«Benedetto sia Dio, il Padre di
nostro Signore Gesù Cristo... che ci ha eletti prima
della creazione del mondo... stabilendo da principio che noi saremmo per lui dei
figli adottivi per mezzo del Cristo Gesù». (Ef. 1,
2-5).
Ormai ogni essere umano, adulto o
bambino, acquista dunque un valore particolare. Non è solamente una creatura di
Dio, nel senso filosofico e astratto della parola, ma un figlio di Dio, un figlio adottivo che può rivolgersi a Dio dicendogli in
tutta verità: «Padre nostro».
Questa adozione divina, questa filiazione adottiva, come scrive F.
Amiot, è la definizione stessa della nuova vita del
cristiano». Essa porta d'altronde con sé dei doveri più precisi:
«L'adozione filiale impone all'uomo
un profondo cambiamento di vita, per la dignità eminente che gli conferisce,
per la trasformazione dei suoi rapporti con Dio, per le esigenze morali che
comporta, per i sentimenti di affettuoso rispetto e
di continua azione di grazia a cui lo invita ». (4)
I Padri della Chiesa hanno celebrato
a gara l'adozione divina. «Che Dio chiami l'uomo suo figlio, che l'uomo dia a
Dio il nome di Padre e che questo appellativo
reciproco sia l'espressione della realtà, ecco il dono che supera tutti i doni»
diceva san Leone. San Giovanni Crisostomo, parlando
ai suoi neofiti ne deduceva la seguente esortazione: «Colui dunque che crede e
professa che è figlio di un tale Padre, conduca una vita conforme alla sua
origine, conforme a quella di suo Padre; affermi nel
suo pensiero e nelle sue azioni ciò che ha ottenuto dalla sua origine celeste».
«Non è affatto
per mancanza, in difetto di figli, che Dio ci adotta; lo fa unicamente per amore,
allo scopo di diffondere su altri esseri, l'abbondanza delle sue perfezioni.
Infatti, egli possiede un Figlio uguale a sé stesso,
sovranamente perfetto, immortale, erede di tutti i suoi beni; ma, sospinto
dalla sua bontà, egli vuole allargare il cerchio della famiglia divina, ammettere
alla divisione dei suoi beni le creature che non vi avevano alcun diritto, e
conferire loro, adottandole, una sorta di filiazione che è un'immagine: di
quella del Verbo, allo stesso modo in cui, con l'atto creatore, aveva
comunicato a tutti gli esseri usciti dalle sue mani una somiglianza della sua
perfezione. Di qui le seguenti parole dell'Apostolo «Coloro
che Dio ha conosciuto nella sua prescienza, li ha predestinati ad essere
conformi all'immagine di suo Figlio» (Rom. 8, 29) (5).
Avendo vissuto la vita di un uomo
normale, il Cristo è risalito al Padre, ma continua sulla terra, attraverso
In un'epoca in cui
D'ora innanzi, le relazioni degli
uomini tra loro dovranno essere impregnate di Carità. Amare gli uomini equivale ad amare Dio. «Ciò che avete fatto al più piccolo
dei miei, diceva il Cristo, l'avrete fatto a me» (Mat. 25, 40).
Il Cristo ha particolarmente
raccomandato alla nostra carità i poveri, gli infelici di ogni
sorta e, in modo particolarissimo, i bambini. «Chi accoglie uno di questi bambini
in mio nome, accoglie me e chi mi accoglie, non
accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Marco 9, 37).
L'adozione diventa dunque, nella
concezione cristiana della vita:
- Un atto eminente della virtù
teologale della Carità;
- Un'opera di misericordia corporale
e spirituale;
- Un atto altamente
gradito a Dio, poiché riguarda uno di quei piccoli che egli ci ha particolarmente
raccomandato per mezzo del Cristo.
Non si tratta più, in questo caso,
soltanto di un servizio transitorio e occasionale. Si tratta di ciò che vi è di
più importante per un essere umano: la sua vita, il suo
destino naturale e soprannaturale.
Adottare un bambino è ben altra cosa
che nutrirlo e vestirlo. Si tratta di impegnarsi verso di lui a una dedizione senza limite, durante tutta la sua vita.
Introducendolo nella Chiesa,
facendolo battezzare, educandolo cristianamente, si
prepara il destino soprannaturale di questo bambino. Gli si procura con ciò il
solo bene che abbia valore assoluto quaggiù,
Non sono soltanto i genitori
adottivi che accolgono questo bambino. E' il Cristo stesso, per mezzo loro e
attraverso loro. Così
L'amore parentale
è inscritto profondamente nel cuore della natura umana, a tal punto che ci
sembra snaturato il padre o la madre che non lo provano. Ma, poiché raggiunge
le profondità, consce o inconsce, della nostra natura, questo
amore è spesso soggetto a deviazioni: amor proprio, malintesa fierezza
dei genitori di aver messo al mondo un figlio, possessività,
orgoglio, ambizione...
Non intendiamo qui sminuire il
merito dei genitori che hanno avuto la ventura di trasmettere la vita, né
offuscare la loro gioia. Vogliamo solo constatare che in tutti i nostri affetti
umani, ivi compreso l'amore parentale, si scoprono
delle impurità.
Quando si richiede
ai genitori di amare di carità i loro figli e non solo secondo l'istinto, l'inclinazione
naturale facilita le cose. I genitori devono, in fin dei conti, amare i loro figli
come Dio li ama, poiché Dio li ama e, per ultimo motivo,
perchè i figli sono, sul piano soprannaturale, i Figli di Dio prima di essere
i loro propri figli. Bisogna tuttavia aggiungere subito che le prove della
vita, le opposizioni di carattere, gli scontri così frequenti fra genitori e
figli, i malintesi, le incomprensioni, tutti gli imprevisti che porta con sé
la vita in comune mette a prova e purifica
Ciò che si realizza per i genitori
naturali in questa purificazione della Carità vale a fortiori per i genitori adottivi,
poiché si richiede loro fin dall'inizio un maggiore distacco.
A quel bambino che accolgono nella loro famiglia, non hanno avuto la gioia di
trasmettere la vita; essi devono accoglierlo così com'è senza sapere spesso
granché delle sue origini. A questo proposito bisogna dire
che i genitori naturali, anche se conoscessero i loro ascendenti, difficilmente
potrebbero indagare oltre due o tre generazioni, ma lo «spirito di famiglia» -
che non è sempre una virtù - farà loro accettare più facilmente le sorprese
dell'eredità da parte dei loro ascendenti che non da parte di sconosciuti!
Bisogna inoltre ammettere che nella
nostra epoca l'eredità non è più lo spauracchio che era nel secolo scorso;
tuttavia, a prima vista e soggettivamente in ogni caso, il rischio può sembrare
maggiore nel caso di genitori adottivi che accolgono da un giorno all'altro
«uno sconosciuto» in seno alla loro famiglia, gli danno
il loro nome, ne fanno il loro erede, lo introducono nella loro famiglia
allargata, ascendenti e collaterali.
Aggiungiamo che l'amore dei genitori
adottivi è umanamente altrettanto vero di quello dei genitori naturali. Se hanno la gioia di accogliere un bambino nella culla,
subito lo amano, senza prevenzioni e senza riserve. Questo bambino diventa
loro dal momento che varca la parta della loro casa.
Non è permesso loro di sospettare in
ogni momento, e falsamente, l'eredità del bambino invece di riconoscere i
propri errori in materia di educazione.
Se l'eredità è causa reale di
difficoltà organiche o caratteriali, i genitori adottivi dovranno accettarle
in spirito di Carità.
Infine, accogliendo un bambino in
seno alla loro famiglia, i genitori si impongono lo
stretto dovere di rivelargli la sua adozione. Ogni essere umano infatti ha il diritto di conoscere la sua identità reale,
la sua situazione nel mondo in cui
vive. Si tratta qui di un diritto primordiale.
La psicologia del profondo ci ha
insegnato oggi ad essere più reticenti che mai quando
si tratta di giudicare il nostro prossimo. Dio sa per quale ragione quella
donna si è separata da suo figlio! Se non l'ha tenuto
con sé, ha avuto al meno il merito di portarlo per nove mesi, di preservarlo
da ogni male e di nutrirlo. Dio sa anche con quale strazio talora una madre si
è separata da suo figlio e quale ricordo lancinante ne
conserverà forse per tutta la vita, quale desiderio di rivederlo la
perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni!
Una prima forma di Carità verso la
madre naturale sarà di pregare per lei e di far
pregare il bambino (con discrezione, finché è piccolo).
Questo dovere si applica in
particolare agli eventuali genitori adottivi. Essi non potrebbero decidersi
all'adozione per ricavarne un vantaggio qualunque, di ordine
materiale o affettivo.
Una volta realizzata l'adozione,
dovranno cercare in tutto il bene del bambino.
Questa regola d'oro dell'adozione - il bene del bambino - dovrà essere la
loro regola per tutta la loro vita di genitori. Sarà
la loro salvaguardia e la condizione del progresso della loro Carità.
Allevare un bambino secondo la
volontà di Dio, significa elevare se stessi. Questa stessa regola suggerirà inoltre ai genitori
adottivi di non limitarsi a un solo bambino, ma di
accoglierne, se è possibile, parecchi nella loro famiglia. Questa regola li inciterà anche, se si sentono umanamente abbastanza forti,
con la grazia di Dio, ad accogliere dei bambini handicappati, che avrebbero
minori possibilità di essere adottati.
IL MISTERO DELL'ADOZIONE DIVINA E
San Paolo, che ha parlato sovente
della famiglia, non ha trattato dell'adozione. Egli ha definito più di una
volta i rapporti fra gli sposi, le relazioni fra genitori e figli, ma senza
fare allusione all'adozione.
Egli tuttavia la
conosceva, poiché gli è servita per uno dei suoi più bei paragoni concernenti
la vita soprannaturale.
«La vita soprannaturale, la grazia non ci è dovuta.
Essa è privilegio di Dio, la vita intima della Trinità beata. Questa vita esisteva
in pienezza nel Cristo e dalla sua pienezza, noi
abbiamo ricevuto» (Giov. 1, 16).
Ciò di cui si è parlato fin qui in
termini astratti, «il mistero nascosto alle generazioni», è l'amicizia con
Dio, l'introduzione degli uomini nella famiglia divina, la loro adozione da parte di Dio. Dio avrebbe
potuto limitarsi a fare di noi delle creature intelligenti, capaci di entrare
in relazione con lui - sarebbe già stato molto bello - ma
ha voluto di più. Non si è limitato ad essere il Creatore, il Maestro, il
Giudice: ha voluto essere per noi un Padre. Solo il Cristo è per natura Figlio
di Dio, ma il Padre ha voluto farci partecipare alla sua figliazione,
ci ha realmente adottati, introdotti
nella sua famiglia. Ci vede realmente, nel mistero del Cristo, come suoi figli.
«La dottrina della figliazione adottiva, nel suo aspetto giuridico, scrive un
teologo, si incontra per la prima volta nella teologia
paolina.
Essa ebbe una sorte diseguale nel
corso dei secoli. Accolta con fervore dai primi cristiani, Ireneo, Atanasio,
Giovanni Crisostomo, Cirillo d'Alessandria, Agostino, Girolamo e molti altri,
passò insensibilmente in secondo piano...
La definizione giuridica dell'adozione
sembrava tuttavia difficile da trasporre nell'ordine soprannaturale, poiché
l'adozione richiede di non aver ricevuto l'essere da colui
che adotta. La difficoltà risulta dal fatto che
la sola nascita conferisce già il diritto all'eredità. Ma
la creazione ci fa partecipare solo imperfettamente all'essere di Dio. Questa
partecipazione imperfetta fonda il diritto ai beni di sussistenza naturale,
non alla beatitudine divina. La partecipazione alla ricchezza propria di Dio è dovuta a benevolenza gratuita. Questa benevolenza, questa gratuità fonda la figliazione
adottiva.
Il diritto, di per sé, è solo una
realtà estrinseca, ma nell'ordine naturale, ha un fondamento reale nella
natura delle cose, e, nell'ordine soprannaturale, in una grazia reale che
deriva dalla volontà liberale del benefattore» (6)
Lo stesso autore aggiunge poco dopo:
«A differenza dell'adozione umana, di ordine puramente
giuridico, si afferma così, nella figliazione
soprannaturale, un aspetto fisico, secondo il quale potremmo parlare di una
nascita spirituale...
La partecipazione per grazia alla
natura divina si presenta così sotto il suo vero aspetto. Più dinamico che
statico. Le immagini e i paragoni improntati alle realtà inerti... non sono che lontane similitudini...
In questo senso, potremmo parlare di
partecipazione di natura, di generazione spirituale, di figliazione
di grazia...» (7).
Ogni cristiano è quindi figlio
adottivo di Dio. Non si tratta qui, è chiaro, di una pia considerazione, ma di
un mistero essenziale del Cristianesimo. Lo spirito cristiano è uno spirito di adozione, con tutto ciò che questa idea racchiude.
L'uomo non aveva diritto
all'amicizia di Dio: essa gli è stata concessa per un favore, per una libera
volontà di Dio. Per natura, eravamo destinati a rimanere a
una distanza infinita da Dio, la distanza di una creatura dal suo Creatore. Ma
noi che eravamo lontani, siamo diventati prossimi di Dio, nel Cristo: siamo
stati chiamati a divenire figli e eredi di Dio,
coeredi del Cristo. Questa realtà, che fonda la nostra vita soprannaturale,
impone tutta una spiritualità a base di confidenza, di gioia, di lode, di
riconoscenza, ma anche di umiltà, di povertà
spirituale, di rinunzia.
L'ADOZIONE DIVINA NEL MISTERO DELLA TRINITA'
Il Dio che ci ha adottati si è
rivelato a noi come Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo.
La natura divina è unica e le tre
Persone vi partecipano al medesimo titolo, ma tra loro esistono delle
relazioni d'amore che le personalizzano. Il Padre genera il
Figlio da tutta l'eternità, il Figlio glorifica il Padre, lo Spirito
Santo personifica l'amore del Padre e del Figlio.
Per ciò che ci
concerne tuttavia, ogni azione di Dio in nostro favore deriva dalla Trinità. tutta
intera, che si tratti della Creazione, dell'Incarnazione, della Redenzione
delle nostre anime, della nostra santificazione terrena e della nostra
glorificazione nel cielo. Se il Figlio solo si è incarnato,
tutte le manifestazioni divine nei nostri riguardi sono l'azione della
Trinità, ivi compresa l'incarnazione. Solo per «appropriazione» un effetto
sarà «attribuito» in particolare a una Persona
divina, la creazione al Padre, la redenzione al Figlio, la santificazione delle
nostre anime allo Spirito Santo. In realtà,
Lo stesso si
verifica per l'adozione divina, che è veramente l'azione delle tre
Persone. Come dice san Tommaso d'Aquino,
noi siamo, per grazia, «i figli della Trinità».
Tuttavia, l'adozione può essere
«attribuita» in modo particolare al Padre, perché egli è il principio primo
della Trinità: da lui infatti procede ogni paternità
in cielo e sulla terra. Ma l'adozione può essere anche «attribuita» alle due
altre Persone divine; al Figlio, che ci fa partecipare alla grazia della sua figliazione divina e allo Spirito Santo, che ci infonde lo spirito di adozione.
Se il fatto dell'adozione si riferisce
principalmente al Padre, e se non può concepirsi senza una relazione alla figliazione naturale del Cristo, vi sarebbe tuttavia una
ragione speciale per «attribuirla» allo Spirito Santo. L'adozione filiale infatti non risponde solo a un desiderio del nostro cuore,
non è una creazione della nostra immaginazione, ma una realtà della nostra vita
spirituale e noi ne abbiamo una prova: lo Spirito Santo che ci è stato donato.
E' lo Spirito Santo stesso, presente e agente nella nostra anima, che ci infonde lo spirito filiale, che ci fa chiamare Dio
«Padre» e ci rende questa testimonianza interiore che noi siamo veramente
Figli di Dio. «Tutti coloro che sono mossi dallo Spirito
Santo, questi sono Figli di Dio» (Rom. 8, 14).
Riconsideriamo in
questa prospettiva il mistero della nostra adozione divina.
«La vita che il Cristo ci comunica,
scrive Padre Huby, è la sua vita di Figlio di Dio,
diventato con l'incarnazione il primogenito di
numerosi fratelli. Se egli porta questo titolo di
“primogenito” dell'umanità nuova rigenerata dalla grazia, è precisamente
perchè, possedendo in proprio la figliazione divina,
ce la comunica, fa di noi dei Figli di Dio.
Per noi, questa figliazione
è un'adozione, nel senso che essa é pura grazia, non avendo l'uomo per natura
alcun diritto a entrare nella figliazione
divina, ma questa adozione non è semplicemente giuridica come l'adozione umana
che conferisce dei diritti legali al nome, all'eredità, senza che vi sia una
trasformazione vitale del soggetto adottato: l'adozione divina mette in noi una
realtà profonda, una vita nuova.
Essendo questa vita una vita di figlio l'atteggiamento fondamentale del cristiano nei suoi
rapporti con Dio sarà un atteggiamento filiale... Nel Figlio, identificati in
qualche modo con lui, noi possiamo rivolgerci a Dio come a nostro Padre,
abbiamo accesso presso di Lui in tutta fiducia e entriamo in relazione con lo
Spirito Santo...
Benché san Paolo non faccia menzione
della formula del battesimo “in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo”, si vede tuttavia che nella sua dottrina l'iniziazione battesimale ha
per effetto di stabilire dei rapporti speciali tra il battezzato e ciascuna
delle persone divine: “rapporto di figliazione
riguardo al Padre, rapporto di consacrazione rispetto allo Spirito Santo,
rapporto di identità mistica con Gesù Cristo”. Lo schema
trinitario secondo il quale si ordina la preparazione e la realizzazione del
piano della salvezza, questo disegno del Padre, realizzato dal Cristo,
suggellato e ratificato dallo Spirito, si ritrova a presiedere alla vita
individuale del cristiano, dopo il battesimo fino alla sua consumazione nell'eternità,
dove Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, sarà “tutto in tutti”» (8).
A questo brano di Padre Huby, vorremmo aggiungere un rilievo. I genitori adottivi
d'oggi, coloro che adottano dei bambini piccoli e seguono amorosamente la loro
crescita attraverso le malattie dell'infanzia e le preoccupazioni della loro
educazione, sono spesso offesi nel veder considerare continuamente l'adozione
su un piano giuridico. Le definizioni che si danno loro dell'adozione «una
semplice formalità giuridica», «una finzione legale», «un atto puramente esteriore»...
sembrano loro talmente lontane dalla realtà che essi vivono tutti i giorni!
Per loro, adottare un bambino, non è prenderlo in cura giuridica, è associarlo alla loro vita,
farlo entrare nella loro famiglia.
Per dare all'adozione divina tutto
il suo valore, non è necessario sminuire l'adozione umana, collocandola
unicamente sul piano giuridico. Se l'adozione non comportasse elementi
giuridici, continuerebbe ad essere praticata perchè è anzitutto
«un'opera di vita» e anche un'opera di educazione. Così pure, se «il
legame del sangue» non esistesse fra genitori e figli nella maggior parte
delle famiglie, si misconoscerebbe l'opera educativa
dei genitori se si vedessero solo relazioni giuridiche fra loro e i loro figli.
Vedendo nell'adozione umana e
nell'adozione divina ciò che le avvicina piuttosto di ciò che le distingue,
consideriamo ora dunque l'elemento essenziale: «l'ingresso in una famiglia»,
con tutti i legami viventi e gli scambi vitali che vi possono costituire delle
relazioni fra esseri spirituali, capaci di amore
reciproco.
Il Padre Terrien
non è sfuggito a questa limitazione dell'idea di
adozione. Egli è tuttavia il teologo moderno che più ha sviluppato l'idea
dell'adozione nella sua opera molto conosciuta: La grazia e la gloria ossia la figliazione
adottiva dei Figli di Dio studiata nella sua realtà, nei suoi
principi, nel suo perfezionamento e nel coronamento finale.
Senza dubbio, un teologo ha ragione
di insistere sulla distinzione fra il mondo umano e
il mondo divino, essendo l'uno quello dell'imperfezione, l'altro quello della
perfezione. Non gli si rimprovererà mai di mostrare come il mondo soprannaturale,
quello di Dio, trascende il mondo naturale, quello dell'uomo.
E' suo preciso diritto di farci
vedere come l'adozione divina sorpassa l'adozione umana, come fa Padre Terrien nel suo capitolo III (volume
I), intitolato: Multipla preminenza
dell'adozione divina sulle adozioni umane. Questo buon teologo vi spiega,
in quattro punti, che l'adozione divina è più
«spontanea», più «fruttuosa» delle adozioni umane e che le supera pure in
«efficacia» e in «singolarità». Ma, per esaltare
l'adozione divina, è necessario sminuire l'adozione umana come egli fa nel
brano seguente dove vuole provare «l'efficacia» dell'adozione divina?
«Infatti,
egli scrive, l'uomo che adotta il suo simile non comunica nulla d'intrinseco al
figlio che fa suo, né la sua natura, poiché questo figlio è uomo come lui; né
le qualità che possono determinare la sua scelta, poiché questa scelta le
suppone ed esse la motivano. Impotente a dargli una salute più fiorente, un
sangue più generoso e più puro, uno spirito più vivo, non gli dà altro, col
suo amore, che un nome e dei diritti: il nome di
figlio, i diritti di erede» (9).
Vi sarebbe molto da dire su questa
concezione dell'adozione umana. E' esatto che questa non modifica «la natura»
del bambino adottato, ma si potrà rivelare anzitutto che essa ha dei felici
effetti sulla sua salute, sul suo sviluppo fisico e intellettuale, sul suo
carattere... Basterebbe, per provarlo, paragonare fra loro bambini allevati in
nidi e orfanotrofi e bambini a cui l'adozione ha
permesso di vivere una vita familiare in una famiglia adottiva.
Ma la psicologia moderna ci fa vedere
le cose più profondamente. E' ancora esatto affermare oggi che l'adozione non
apporta nulla di intrinseco al bambino? Si comprende
meglio nella nostra epoca che l'uomo è essenzialmente un essere relazionale.
Le relazioni che un bambino intrattiene col suo ambiente, la sua situazione
privilegiata tra suo padre e sua madre, gli permettono di strutturare
la sua personalità, di diventare veramente se stesso.
Il Padre Terrien
parla opportunamente dell'amore dei genitori adottivi
per il loro figlio, ma l'amore è propriamente una realtà giuridica? L'amore
piuttosto ci fa uscire dal piano giuridico, nell'adozione umana come nell'adozione divina. Oggi si conosce quanto l'amore reciproco
fra gli sposi condizioni e indirizzi rettamente il loro amore per il figlio e
quanto l'amore sia necessario all'equilibrio psichico del figlio stesso.
Anche nei riguardi dell'adozione
divina, bisogna riferirsi all'amore, «Dio è amore»,
ci dice san Giovanni, e da questo amore noi siamo
nati. Credere all'amore di Dio è forse la cosa più difficile per l'uomo del
nostro tempo. Tuttavia è proprio questo che
caratterizza il cristiano autentico: «Noi abbiamo creduto all'amore di Dio per
noi», dice ancora san Giovanni (1 Giov. 4, 16). Senza
amore non vi sarebbe Trinità, e neppure vera adozione da parte di Dio. E'
l'amore che ci fa figli di Dio, che ci introduce nella
Famiglia divina, perchè siamo stati «eletti secondo il disegno del Padre,
nella santificazione dello Spirito, per obbedire al Cristo» (1 Piet. 1, 2).
San Paolo è stato il solo fra gli
scrittori del Nuovo Testamento a utilizzare il
paragone dell'adozione per esprimere la vita soprannaturale. Vi è di più: egli
è il solo a impiegare (5 volte) il termine di adozione (úiozesía) che
non si trova in nessun scritto del Nuovo Testamento né nella traduzione del
Settanta. San Giovanni, che ha meditato molto il mistero della nostra
divinizzazione, non parla dunque di adozione. Ne avrebbe parlato se l'avesse conosciuta? Non ne sappiamo
nulla. Tuttavia proprio san Giovanni impiega un'espressione
più ardita. Fin dal prologo del suo Vangelo, ci parla d'una nuova nascita, d'una ri-nascita, nel senso in cui il
Cristo diceva a Nicodemo: «Dovete nascere di nuovo» (Giov.
3, 7).
Per i due apostoli, il battesimo ci
conferisce la figliazione divina, ma concepiscono questa iniziazione cristiana in una prospettiva diversa.
Agli occhi di san Paolo, il
battesimo ci incorpora al Cristo, unendoci nello
stesso tempo alla sua morte che cancella i nostri peccati e alla sua
risurrezione che ci introduce in una nuova vita.
Per san Giovanni, senza che vi sia
qui un'opposizione fondamentale fra i due apostoli, il battesimo realizza in
noi una nuova nascita, una ri-nascita, una ri-generazione (10). La grazia è una
realtà che passa da Dio a noi, per l'intermediario del Cristo, solo Mediatore.
La divinizzazione dell'uomo, la sua partecipazione alla vita
intima di Dio, è dunque, in tutta verità, più che un'adozione. Diciamo che essa si situa fra l'adozione e la generazione
naturale, come termini di paragone. Noi siamo nello stesso tempo adottati e,
in un certo modo, generati di nuovo da Dio.
Il primo teologo
che abbiamo citato precisa così questa nuova nascita del cristiano. «La grazia, dandoci una dipendenza
nell'essere secondo una similitudine di natura, realizza la definizione stretta
della figliazione. E' figlio: l'uomo che si riferisce
a un altro come chi ha ricevuto da lui l'essere nella
stessa natura specifica. San Tomaso, da buona aristotelico,
parte da questa nozione filosofica della figliazione
nell'ordine naturale per trattare della nostra figliazione
secondo la grazia... Noi non siamo solamente, per grazia, un'immagine un po'
più perfetta di Dio di quanto non lo fossimo per creazione. Non siamo più «
immagini u di Dio, ma suoi “figli”; non causati a sua
somiglianza, ma « nati » da lui secondo la partecipazione alla sua natura»
(11).
Una spiritualità che ha tali
referenze nel Vangelo, non poteva mancare di attirare le anime e non ha-finito
di esercitare su di esse la sua attrattiva.
L'INFANZIA SPIRITUALE
Invitandoci a farci un'anima di fanciullo,
il Cristo stesso ha stabilito la base di nuovi rapporti tra l'uomo e Dio, ciò
che è stato chiamato nella nostra epoca l'infanzia spirituale.
Non possiamo rileggere senza
sentirci coinvolti, queste parole del Cristo: «Se non vi convertirete e non
diventerete come fanciulli, non entrerete nel regno
dei Cieli» (Mat. 18, 3). E
ancora: «Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà» (Mc. 10, 15).
Una santa moderna, santa Teresa di
Gesù Bambino, ha ricordato nel nostro tempo questa lezione dell'infanzia
spirituale e, poiché si cerca oggi di dare ai cristiani una fede adulta, gli autori
hanno fatto le precisazioni necessarie. Non può trattarsi qui di un «ritorno
all'infanzia», nel senso in cui l'intendeva Péguy.
Senza dubbio il cristiano è invitato, come ogni uomo, a conservare la
freschezza d'animo dell'infanzia, ma si tratta qui di fondare la sua vita
spirituale sulle virtù evangeliche: povertà, distacco, gioia, fiducia,
abbandono. E non di più: non può trattarsi di un
infantilismo spirituale, indegno di un cristiano adulto nella sua fede.
Santa Teresa di Gesù Bambino ha
insistito nel suo messaggio sulle disposizioni
d'animo necessarie alla «via d'infanzia». Toccherà forse al nostro tempo
approfondire anche il contenuto di
questa dottrina, la realtà profonda della nostra
adozione divina.
Quali sarebbero i tratti dominanti
di una tale spiritualità, gli atteggiamenti spirituali che richiede da noi? Mi sembra di poterli enumerare come segue:
- Credere all'amore del nostro Padre
dei cieli, malgrado le prove della vita o le apparenze
contrarie.
- In opposizione all'autosufficienza del mondo moderno,
praticare la semplicità e l'umiltà del fanciullo, pur
accettando le proprie responsabilità di adulto.
- Conservare
fiducia nel nostro Padre dei cieli e contare sulla sua Provvidenza (senza
cadere tuttavia nel fatalismo o nel «provvidenzialismo»). «Vostro Padre del cielo sa ciò
di cui avete bisogno» (Mat. 6, 32).
- Manifestare a
tutti l'amore del Padre per i suoi figli, esercitando una Carità fraterna
autentica e universale. «...affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui
cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt. 5, 45).
- Imitare il
nostro Padre dei cieli, come il bambino imita suo padre. «Siate dunque
imitatori di Dio, come figli carissimi». (Ef. 5, 1).
- Prendere il
Cristo come modello.
Egli è il nostro fratello primogenito, «il figlio dilettissimo
in cui il Padre ha posto le sue compiacenze» (Mt. 3, 17). Ha detto lui stesso:
«Io sono la via e la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mio
mezzo» (Giov. 14, 6).
- Conservare in cuore la
riconoscenza e la gioia. «E nessuno potrà togliervi la
vostra gioia» (Giov. 16, 22).
L'ADOZIONE PIENA
La vita dell'uomo sulla terra deve
essere una crescita continua. Anzitutto crescita fisica, quella
del nostro corpo che aumenta fino ad una certa statura. Sviluppo della
nostra intelligenza per mezzo dello studio e della riflessione. Sviluppo della nostra volontà per mezzo della disciplina
personale. Affinamento della nostra sensibilità.
Ma anche la nostra vita spirituale, la
vita della nostra anima deve svilupparsi. Ciò è possibile solo per mezzo di un
più grande amore, amore di Dio e amore degli uomini.
Questo amore di Dio, ora noi lo sappiamo, non è un amore astratto: comporta una caratteristica molto Particolare, l'amore filiale del
Figlio di Dio per il suo Padre dei cieli. Questo amore deve aumentare, non in
qualunque modo, ma nella sua direzione esatta. Come un figlio può sentirsi
sempre di più figlio dei suoi genitori, pur
emancipandosi dalla loro tutela, così il Figlio di Dio, a mano a mano che
avanza nella vita, deve acquisire una coscienza sempre più profonda della sua figliazione divina, della sua vocazione di Figlio di Dio.
L'uomo adulto non può certamente uscire dall'orbita di Dio --
sempre resterà la sua creatura.
Ma, se non può ottenere
un'emancipazione totale nella sua vita spirituale, deve tuttavia diventare
sempre più adulto nella sua vita e nella sua Fede, pur conservando un
atteggiamento sempre più filiale verso il suo Padre
dei cieli. Così il figlio che supera lo stadio dell'infanzia e quello
dell'adolescenza, non vede diminuire per questo né il suo amore né la sua riconoscenza verso i suoi genitori.
La crescita nell'amore presuppone la
crescita nella conoscenza. Più si conosce, più si ama,
e più si ama, più si desidera conoscere.
Quaggiù tuttavia,
non possiamo conoscere Dio in pienezza, né amarlo quanto è amabile. Anche
Il Dio dei cristiani, noi lo
sappiamo, non è il Dio astratto dei filosofi, ma il
Dio-Trinità, quale si è rivelato a noi, il Dio-Padre.
«Ormai noi siamo Figli di Dio, ci
dice san Giovanni, ma ciò che noi saremo non è ancora stato manifestato. Noi
sappiamo che, al momento di questa manifestazione, saremo simili a lui perché allora lo vedremo tale quale è» (1 Giov.
3, 2).
San Giovanni ci parla dell'altra
vita. Ma già quaggiù, portiamo in noi una certa somiglianza col nostro Padre,
ma solo in cielo questa somiglianza sarà manifesta, quando vedremo Dio tale quale è. La nostra vita di adozione
è cominciata, e raggiungerà la sua pienezza solo nei cieli.
«Lo Spirito stesso, ci dice san
Paolo, rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio: se
figli, dunque, anche eredi; eredi di Dio e coeredi di
Cristo, poiché soffriamo con lui per essere anche glorificati con lui» (Rom. 8,
17).
Il Cristo ci ha meritato la nostra
eredità, ma noi dobbiamo guadagnarla a nostra volta, pur partecipando ai nostri meriti. Se il Cristo ha
sofferto, passeremo anche noi per la sofferenza, ma con ciò non pagheremo
troppo caro il prezzo della nostra eredità.
«Io valuto infatti,
continua san Paolo, che le sofferenze del tempo presente non sono commisurabili
alla futura gloria che si manifesterà in noi. L'ansiosa attesa del creato,
infatti, anela alla manifestazione dei Figli di Dio. Poiché il creato fu
sottoposto alla vanità,... ma con la speranza che la
stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per giungere
alla libertà della gloria dei Figli di Dio. Noi sappiamo
infatti che, fino ad ora, tutta la creazione geme e soffre per le doglie
del parto. E non essa soltanto, ma anche noi, che abbiamo
le primizie dello Spirito, gemiamo nel nostro intimo aspettando l'adozione a
Figli di Dio, il riscatto del nostro corpo» (Rom. 8, 18-23).
Malgrado questa attesa
interiore, abbiamo già il sentimento di essere risuscitati nella speranza,
poiché il Cristo nostro Fratello primogenito, ci ha preceduto presso il Padre.
L'ansia che ci possiede interiormente è simile a quella di figli che, non
avendo mai visto il loro Padre, vanno a incontrarlo
per la prima volta. Figli di Dio, noi lo siamo già, ma solo in cielo noi
percepiremo la pienezza di questa adozione.
EREDI DI DIO
Dove vi è vera adozione, vi è
divisione dei beni e quindi eredità. San Paolo stesso ha utilizzato questo elemento di paragone, parlando della nostra vita
soprannaturale. «Se siamo Figli, siamo anche eredi; eredi
di Dio e coeredi di Cristo» (Rom. 8, 17). Ma si direbbe
che i teologi, che hanno scritto finora dell'adozione in riferimento alla vita
divina, sono stati ossessionati dalla questione dell'eredità! Uno dei migliori,
il Padre Froget, giunge fino a scrivere: «Questo
diritto all'eredità paterna è ciò che vi è di più essenziale nell'adozione: ne
costituisce lo scopo e il fine...».
A scusante di questi teologi, diciamo che alla loro epoca molte adozioni avevano luogo per
trasmettere i1 patrimonio, quelle che noi chiamiamo oggi «adozioni fiscali». A
quei tempi, non si trattava di adozioni di bambini
come oggi. Si adottava un adulto o un semi-adulto, per evitare onerosi diritti
di successione, non a se stessi, ma ai propri eredi. Il disinteresse non va
più lontano! Ma si agiva così, sembra, sia per «diseredare»
lo Stato sia per favorire un estraneo. Come si vede, il fisco
ha sempre avuto dei nemici. «Piuttosto dare la mia fortuna a un estraneo, si pensava, che farne dono allo Stato!» Se i
teologi insistono tanto sulla questione dell'eredità, lo fanno per uno scopo
disinteressato, bisogna riconoscerlo: per introdurre l'argomento della
«eredità celeste»! Sgombriamo quindi il nostro spirito dalle idee di eredità terrene e di frodi fiscali. Si tratta qui di ben
altro.
Avendoci creati, Dio deve concederci
i beni materiali che possono servire alla nostra sussistenza e li distribuisce
in modo uguale (o disuguale) «ai buoni e ai cattivi», come dice il Vangelo.
Non si tratta qui, propriamente parlando, di un'eredità. Se ci riferiamo a un'eredità conseguente alla nostra adozione divina,
allora si tratta solo di beni spirituali, i quali, lo diciamo di passaggio,
possono distribuirsi senza diminuire. Se io divido la
mia scienza con qualcuno, l'arricchisco senza impoverirmi.
Di quali beni si tratta? Dei soli
beni che contano o piuttosto del Bene che li riassume tutti,
Dio stesso. Chi si limita ai beni terreni e li volesse
possedere tutti, sarebbe sopraffatto dalla loro moltitudine e dalla loro
diversità: vi perderà la sua anima. Piuttosto che inseguirli senza fine, non
sarebbe più saggio voltare le spalle ad ogni cosa per trovare tutto in Dio? Le
persone e le cose a cui teniamo tanto, un giorno ci
sfuggiranno di mano, ma se possediamo Dio, possederemo tutto, poiché tutto
gli appartiene.
Possedere Dio! Ci pensiamo noi?
Possederlo come si può «possedere» un essere spirituale,
con la conoscenza e con l'amore? Ma, se Dio è Dio,
egli è il Bene infinito, il Bene che riassume ogni bene. Tutto ciò che vi è di
bello e di buono sulla terra ci viene da Dio e deve
quindi ritrovarsi in lui.
Talora noi discutiamo per sapere ciò
che sarà il cielo. Il cielo sarà Dio; possedere Dio e, in lui, possedere tutto
il resto, ritrovare in Dio tutto ciò che abbiamo amato sulla terra, persone e cose. «Questa sarà la nostra ricompensa,
diceva san Bernardo, vedere Dio, essere con
Dio, vivere di Dio». Quando noi ci preoccupiamo di ciò
che «faremo» in cielo, noi, gli eterni agitati, che cosa bisogna rispondere?
Ciò che sant'Agostino ci dice, riassumendo la
felicità del cielo: «Vedremo e ameremo, ameremo e loderemo».
Videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus. Ciò che
abbiamo potuto trovare nell'amore umano nel tempo felice della nostra vita, lo
troveremo in Dio e, poiché si tratta di un essere infinito, non ce ne stancheremo
mai, avendo sempre da scoprire. Noi stentiamo ad immaginarlo, ma propriamente,
in questo caso, si tratta di relazioni fra esseri spirituali e la nostra
immaginazione non può essere di alcun aiuto. «L'occhio
dell'uomo non ha visto, il suo orecchio non ha sentito, il suo
cuore non può immaginare la felicità che Dio riserva a quelli che lo amano» (1
Cor. 2, 9).
Questa felicità del cielo, noi la
divideremo col Cristo, o piuttosto egli la dividerà con noi, poiché egli ne è il legatario universale, l'erede principale. Ogni
potere gli è stato dato in cielo e sulla terra, ma alla fine dei tempi, egli
rimetterà questo potere a suo Padre. Noi lo vedremo apparire allora in tutto
lo splendore della sua gloria, come egli ha annunciato, e giudicherà, allora, i
vivi e i morti. «Venite, o benedetti del Padre mio, egli dirà,
possedete il Regno preparato per voi dalla fondazione del mondo» (Mat. 25, 34). Fratello primogenito, egli dividerà il suo
Regno coi suoi fratelli adottivi. Il Cristo ricompenserà
con un'eternità felice gli atti di carità che gli eletti avranno compiuto sulla
terra: «Perchè ho avuto fame, e mi avete dato da mangiare; ho
avuto sete, e mi avete dato da bere; sono stato forestiero, e mi avete ospitato...».
Non possiamo credere che vi sarà in quel momento una benedizione speciale per i
genitori adottivi che, da parte loro, cercarono di
fare durante la loro vita la volontà di Dio e non cercarono la loro
soddisfazione personale, ma il bene dei loro figli? Poiché
ciò che altri hanno fatto, in occasione di una miseria momentanea, essi,
genitori adottivi, come veri genitori, l'hanno fatto impegnando tutto il loro
destino al seguito di quello dei loro figli. Noi li conosciamo
abbastanza per sapere che non cercano ricompensa né in questa vita né
nell'altra. Essi sappiano almeno, nei loro momenti difficili,
quale sarà l'ultima parola del Cristo: «In verità vi dico: ogni volta
che l'avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei
fratelli, l'avete fatto a me» (Mat. 25, 40).
Rimane infine da considerare un
secondo aspetto del piano di adozione di Dio.
Sulla croce, nel momento di
ritornare al Padre, il Cristo, in virtù della sua missione, ci affidò alla
Madonna in modo particolarissimo. «Donna, ecco tuo figlio», gli disse mostrando
san Giovanni. E a san Giovanni, che rappresentava noi
ai piedi della croce, come ha compreso la tradizione cristiana: «Figlio, ecco
tua madre» (Giov. 19, 26-27). Si può dire che in quel momento
Sarebbe infatti
restringere senza ragione la portata di questo testo vedervi soltanto un atto
di ospitalità.
«In maniera generale, scrive il
Padre Lucien Deiss, l'esegesi
antica (la più favorevole a Maria) vi vedeva un atto
di pietà filiale: prima di morire, Gesù affidò sua Madre al discepolo che egli
amava: quest'ultimo avrebbe vegliato su di lei come un figlio farebbe per sua
madre: la sua presenza accanto a lei avrebbe addolcito la solitudine provocata
dalla morte di suo Figlio.
Questa interpretazione è
perfettamente accettabile in ciò che ha di affermativo.
Giovanni nota d'altronde: “E da quell'ora il
discepolo la prese con sé”. L'interpretazione sarebbe tuttavia incompleta, noi
pensiamo, se volesse essere esclusiva di ogni altra
interpretazione, minimizzando la portata delle parole del Cristo» (12)
Senza dubbio, vi è una distanza
infinita fra l'adozione decisa dal Padre da tutta l'eternità e quella che, in
nome di lui, il Cristo realizzò nel momento della sua morte affidandoci alla
Madonna. Tuttavia, queste due adozioni si situano,
entrambe, nell'ordine della grazia, mentre la seconda è una conseguenza della
prima e non ha senso che per mezzo suo. La maternità adottiva della Madonna da
parte sua, è un'estensione della sua maternità
naturale, ma non è meno reale in quanto alla causa. In tutta verità noi
possiamo dirci figli adottivi della Madonna.
Per corretta esegesi, non
bisognerebbe tuttavia dedurre la maternità spirituale della
Madonna dal solo testo di san Giovanni che abbiamo ora citato: Maria è
realmente nostra Madre, non perché Giovanni l'accoglie per Madre ai piedi
della croce, ma semplicemente perchè è
Bisognerebbe, tuttavia, rifiutare
alla Madonna il titolo di Madre adottiva? Tutto dipende dalla concezione
dell'adozione che si accetta. Se la si concepisce solo
sul piano giuridico, è certissimo che in questo caso
non si attribuisce abbastanza alla Madonna. Ma, quando si tratta dell'adozione
di esseri umani; non si tratta sempre di una relazione
spirituale tra due esseri e non abbiamo allora il diritto di parlare di una
maternità adottiva come di una maternità spirituale? «Rappresentando
Questa «maternità seconda», come
quella di una madre che abbia già un figlio e che ne
accolga altri in maniera definitiva nella sua casa, non è forse una maternità
adottiva?
A ben considerarla, la maternità
seconda del
Il peccato originale ha causato la
destituzione dei nostri progenitori, ma il piano di
Dio è stato restaurato in un modo più spirituale. Diventando uomo, il Cristo divenne necessariamente il primo degli uomini, il
nuovo Adamo, «il padre del secolo futuro», Pater
futuri saeculi.
«... Non è bastato a Giovanni..., scrive Padre Braun, far entrare
Maria nel piano della salvezza semplicemente per aver dato alla luce il Salvatore.
La presenza di Maria sul Calvario l'aveva introdotta
in un altro mistero. Egli non teme di far comprendere che nel momento in cui Gesù consumava il suo sacrificio la maternità di Maria aveva acquisito una nuova dimensione» (15).
Dal momento che certi cattolici tendono già a
sostituire a Dio, nostro Padre, e al Cristo, nostro solo Signore, l'immagine
della Madonna o quella di un santo, noi non vorremmo sopravalorizzare
UNA SPIRITUALITA' DELL'ADOZIONE?
Come abbiamo
visto più sopra, una spiritualità dell' infanzia si è diffusa nella Chiesa e
il culto di Santa Teresa di Gesù Bambino le ha attirato il favore del popolo
cristiano. Il rinnovamento delle idee sull'adozione e la presenza di numerosi
cristiani fra le famiglie adottive può sollevare un
problema. Una spiritualità dell'adozione ha la stessa possibilità di
diffondersi come quella dell'infanzia spirituale? Bisogna espanderla nella
Chiesa?
Nella nostra epoca in cui si parla
di spiritualità laica, religiosa o sacerdotale, coniugale o familiare, bisogna
ricercare una spiritualità particolare destinata ai genitori adottivi, che metta l'accento sulla nostra figliazione
adottiva nel Cristo?
Esprimiamo anzitutto una riserva.
Appena usciti da un'epoca di «devozioni particolari», temiamo sempre di vedere
i cristiani ritornare a un qualunque particolarismo
nella loro spiritualità, lontano dal Cristo totale e universale.
Comprendiamo tuttavia che una tale
spiritualità suscita particolari risonanze nelle anime per le quali l'adozione umana non è solo una teoria, la soluzione di un
problema sociale, ma un'esperienza vissuta, un'esperienza
di tutti i giorni che li ha profondamente formati. Qui, dobbiamo dire, noi
pensiamo, ai genitori adottanti, più che ai figli adottivi. Il mistero
dell'adozione divina è d'altronde talmente essenziale al Cristianesimo che fa
parte integrante di ogni spiritualità cristiana.
Senza essere così ricco come quello dell'infanzia spirituale, esso lo completa per certi aspetti propri.
Forse il fatto dell'adozione quale si realizza in modo massiccio nel
mondo d'oggi aiuterà a reintrodurre il tema
dell'adozione nella corrente della spiritualità cristiana e inviterà i cristiani
ad approfondirlo di più? In questo senso, noi saremmo favorevoli a questa idea di una spiritualità dell'adozione, non nel senso
in cui si volesse creare una spiritualità particolare e quasi esclusiva, ad uso
delle famiglie adottive.
Infatti, bisogna dirlo e ripeterlo, i genitori
adottivi vogliono essere «dei genitori come gli altri» e, nella vita
spirituale non meno che in materia d'educazione, non desideriamo formare una
categoria a parte. Un particolarismo spirituale ripugna
loro quanto ogni altro particolarismo, Se, fra i cristiani, è permesso loro di
vivere il mistero dell'adozione divina con una coscienza più viva, bisogna
tuttavia distinguere, a questo proposito, la diversa situazione dei genitori
adottanti e quella dei figli adottivi, come abbiamo lasciato intendere più
sopra.
Sul piano umano, i figli sono nella
migliore situazione per vivere questa spiritualità, essendo stati essi stessi
oggetto di adozione. I genitori, da parte loro, hanno
rappresentato la parte di Dio (ont joué le rôle de Dieu) e sarà loro richiesto,
piuttosto, di mettersi nella situazione dei loro figli, di identificarsi a
loro. Se essi considerano il loro ruolo dalla parte di Dio, potranno allora cercare di imitare, il meno imperfettamente
possibile, in tutta la loro condotta, la liberalità e la magnificenza di Dio,
Creatore e Padre.
H.M. OGER, O.P.
APPENDICE I
UNA CERIMONIA RELIGIOSA DI ADOZIONE
Esiste nella Chiesa greca una
cerimonia religiosa di adozione.
La riproduciamo qui di seguito
desumendola dal grande Eúcologlio del Padre Goar, O. P. - sive Rituale Graecorum... Opera R.P. Jacobi
Goar, O.P.,
Editio secunda, Venetiis, M.D.CC.XXX, pp.
561-562.
Il
figlio - o la figlia - che deve essere adottato rimane all'interno delle porte
del santuario; e chi sta per adottare, all'esterno. Tutt'e due portano dei ceri accesi.
Il sacerdote, rivestito della stola, li benedice recitando la
preghiera seguente: Tre volte santo... Santissima Trinità... Padre
nostro... Segue una breve preghiera al
santo patrono della chiesa. Poi l'orazione seguente.
Preghiamo: Signore nostro Dio,
grazie a vostro Figlio dilettissimo,
Nostro Signore Gesù Cristo, voi ci chiamate vostri figli per adozione e per
l'amore del vostro Spirito santo e onnipotente che ha detto: «Io sarò per lui
un padre e egli sarà per me un figlio». Voi pure, misericordioso Signore, riguardate dalla vostra santa
dimora, questi servi che sono vostri; e coloro che la natura secondo la carne
generò separati l'uno dall'altro, uniteli voi stesso come padre e come figlio
per mezzo del vostro Spirito Santo. Rendeteli forti col vostro amore,
uniteli con la vostra benedizione, assumeteli nella vostra gloria,
fortificateli nella vostra fede, conservateli attraverso tutto, non permettendo
che siano vane le parole che essi pronunciano. Siate
l'intermediario delle loro promesse vicendevoli affinché
mantengano fermamente, fino alla fine della loro vita, la promessa che fanno
davanti a voi e le siano fedeli, vivendo nella vostra presenza, voi, loro Dio vivo
e vero. Rendeteli degni dell'eredità del vostro regno poiché voi stesso siete
degno di ogni gloria, di ogni onore, di ogni
adorazione, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei
secoli. Amen.
La pace sia con tutti voi. Chinate
le vostre teste verso il Signore.
Signore, Signore, Signore, che avete
creato tutto l'universo e che, nel primo uomo, Adamo, avete riunito tutta la
sua discendenza secondo la carne, voi ci elevate nel
Cristo Gesù, vostro Figlio dilettissimo e nostro Dio,
alla partecipazione della vostra grazia, voi che conoscete tutte le cose
prima che siano. I vostri servi chinano le loro teste,
domandando la vostra benedizione: con un legame indissolubile, essi si
scelgono l'un l'altro come padre e come figlio. Da voi, di conseguenza, sperano
il beneficio di un mutuo rispetto dimostrandosi degni dell'adozione che vi promettono,
voi al quale sia la gloria, ora e sempre, in nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
L'adozione
ha luogo in questo momento, all'altare. Il figlio si inginocchia vicino al padre, il padre posa la mano sulla spalla
di suo figlio dicendo:
«A partire da oggi, tu sei mio figlio. Io ti ho
generato oggi». Egli la rialza e si abbracciano. Il sacerdote li accomiata benedicendoli e
li istruisce sui loro doveri.
APPENDICE II
ALCUNE CITAZIONI PER UN APPROFONDIMENTO DELLA TEOLOGIA DELL'ADOZIONE
- E chi accoglie nel mio nome un fanciullo come questo, accoglie me (Mat.
18, 5).
- In verità vi dico: ogni volta che
l'avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei
fratelli, l'avete fatto a me (Mat. 25, 40).
- Chi accoglie uno di questi fanciulli in mio nome, accoglie me, e chi mi accoglie, non
accoglie me, ma colui che mi ha mandato (Marco,
9, 37).
- In verità, voi non avete ricevuto
uno spirito di schiavitù, per ricadere nel timore, ma avete ricevuto uno
spirito di figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abba»,
Padre. Lo spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito
che noi siamo figli di Dio: se figli, dunque, anche eredi; eredi di Dio e coeredi
di Cristo (Rom. 8, 15-17); (prima lettura nell'ottava
domenica dopo
- Io valuto che le sofferenze del
tempo presente non sono commisurabili alla futura
gloria che si manifesterà in noi. L'ansiosa attesa del creato,
infatti, anela alla manifestazione dei figli di Dio.
Poiché il creato fu sottoposto alla
vanità, non per suo volere, bensì a causa di colui che
lo sottopose: ma con la speranza che la stessa creazione sarà liberata dalla
schiavitù della corruzione, per giungere alla libertà della gloria dei figli
di Dio.
Noi sappiamo
infatti che, fino ad ora, tutta la creazione geme e soffre per le doglie
del parto. E non essa soltanto, ma anche noi, che abbiamo
le primizie dello Spirito, gemiamo nel nostro intimo aspettando l'adozione a
figli di Dio, il riscatto del nostro corpo: in Cristo Gesù nostro Signore (Rom. 8, 18-23; prima
lettura nella quarta domenica dopo
Fino a quando l'erede è minorenne,
non differisce in nulla da un servo, pur essendo padrone di ogni
cosa: egli si trova sotto il potere di tutori e di amministratori, fino al
tempo stabilito dal padre.
Così noi pure, finché eravamo in
minore età, eravamo schiavi degli elementi del mondo. Ma
quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò il Figlio suo, nato da una
donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge,
affinché noi ricevessimo l'adozione di figli.
E la prova che voi siete Figli, è che
Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che grida: «Abba»: Padre!
Così non sei più schiavo,
ma figlio: e, se figlio, anche erede, per grazia di Dio (Gal. 4, 1-7; prima lettura nella domenica dopo Natale;
Cfr. Ef. 1, 2-6).
- Se un
cristiano, maschio o femmina, diventa orfano, sarà cosa bella e buona che un
nostro fratello, senza figli, lo adotti per suo pupillo e lo tratti come suo
figlio (Didaché o Costituzioni apostoliche, 4, 1, P.G.
1, 807).
- Non crediate che questo diritto di adozione non sia stato conosciuto dalle Scritture; non
immaginate che l'idea sia stata ricavata dalle leggi umane, e che l'adozione
sia assolutamente estranea all'autorità degli oracoli divini. Un costume
antico, spesso ricordato nei libri sacri, prova che la benevolenza genera dei figli tanto quanto la natura: delle donne che non
avevano avuto figli adottarono quelli che il loro marito aveva procreato dalla
loro serva (...) .
Se le donne potevano avere dei figli
senza averli messi alla luce, perchè gli uomini non
potrebbero, da parte loro, avere dei figli senza averli generati, adottandoli?
Non leggiamo forse che il patriarca Giacobbe, benché fosse già padre di una
famiglia tanto numerosa, volle prendere per figli i bambini di suo figlio Giuseppe? (...) . Si dirà
che il termine di adozione non si incontra nella Sacra Scrittura? Ma che
importa la parola, se vi è la realtà? Se si vedono
delle donne avere dei figli che non hanno messo al mondo, e degli uomini
considerare per loro figli dei bambini che non hanno
generato? (...) .
Considerate, fratelli miei,
considerate i diritti che dà l'adozione; vedete come
un uomo diventa figlio di colui che non gli ha dato la luce. Eppure, per sua sola volontà, chi adotta acquista più
diritti di chi l'ha messo al mondo. (S. Agostino,
Sermone 51, 16).
- Il maestro che ci ha dato
- O Dio onnipotente ed eterno, che rendi la tua Chiesa sempre feconda di nuova prole, aumenta
nei nostri catecumeni l'intelligenza della fede: e rinati nel fonte del
battesimo saranno aggiunti ai Figli della tua adozione.
(Preghiera per i catecumeni nel
venerdì santo).
(1) Traduzione da «Théologie de l'adoption» in Nouvelle Revue Théologique, n. 5, maggio 1962.
Prospettive assistenziali ringrazia P. Oger e
(2) R. DE VAUX O.P., Les institutions
de l'Ancien Testament, Les Editions du Cerf, Paris, 1958, t. l, p. 85.
(3) S. MANA, Adoption, dans
Dictionnaire de
(4) F. AMIOT, L'enseignement de saint
Paul, Gabalda, Paris, 1938, t. I, p. 238.
(5) B. FROGET, O.P., De l'habitation
du Saint-Esprit dans les âmes des justes, Lethielleux,
Paris, 3ª ed. (1900), pp. 313-314. Da
quest'ultimo autore sono ricavate le due citazioni precedenti.
(6) S.I. DOCKX, O.P., Fils de Dieu
par grâce, Desclée De Brouwer, Paris, 1948, pp. 21-22.
(7) Ibid., pp. 25-26.
(8) J. HUBY, S.J., Mystique
paulinienne et johannique, Desclée De Brouwer,
Paris, 1946, pp. 26-27 e 29.
(9) J. B. TERRIEN, S.J., La gràce et la glorie...,
Nouvelle édition revue et corrigée, P. Lethielleux,
Paris, 1901, p. 40.
(9) J. B. TERRIEN, S.J., La gràce et la glorie...,
Nouvelle édition revue et corrigée, P. Lethielleux,
Paris, 1901, p. 40.
(10) Vedere a questo proposito: J. HUBY, Mystique
paulinienne et johannique, pp. 156-157.
(11) S.I. DOCKX, O.P., Fils de Dieu
par grâce, pp. 122-123.
(12) R. P. LUCIEN DEISS, C.S. Sp., Marie,
Fille de Sion, Desclée De Brouwer, 1959, p. 237. Vedere nelle pagine
seguenti la dimostrazione di questa ultima
affermazione.
(13) Ibid., p. 239.
(14) F. M. BRAUN, O.P.,
(15) Ibid., p. 91.
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