Prospettive
assistenziali, n. 5-6, gennaio-giugno 1969
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
IL PROBLEMA DELL'ANORMALE VA TUTTO RIPENSATO
... «Da queste note si può dedurre
facilmente da una parte un senso
di ammirazione per
gli sviluppi raggiunti dalla pedagogia speciale, in poco più di mezzo secolo,
dall'altra una specie di insoddisfazione di fronte ad una meta che può apparire
ancora lontana e che ha fatto dire di recente ad uno specialista: «Il problema dell'anormale va tutto
ripensato» (1).
In effetti l'approfondimento delle tecniche di
diagnosi, delle terapie, dei singoli sistemi rieducativi di settore e la
progressiva individualizzazione dei trattamenti, particolari o generali, ci
portano a rimisurare lo stesso nostro rapporto con l'anormale, o meglio il
rapporto fra la nostra e la sua persona.
Questo è forse l'aspetto ultimo e
più nuovo del problema.
I grandi interessi
dell'ultimo Ottocento partirono purtroppo da una falsa base
d'appoggio: scoperto l'anormale gli studiosi e gli operatori del tempo ne
fecero un oggetto per le foro cure, i
loro studi e le loro fatiche. Da non molto la situazione si sta invertendo e non piccola, in questa «rivoluzione», è
l'azione della pedagogia: il soggetto irregolare,
fuori
dalla norma, si pone oggi alla nostra considerazione non per l'aggettivo
che lo rende «caso particolare», ma per il sostantivo «soggetto» che lo fa, come ogni altro uomo, centro di diritti e di
doveri.
Per la società (ivi comprese la
famiglia e la scuola), il fanciullo «così costituito»
ha un senso che dobbiamo ancora investigare ed al quale potremo dare una
risposta piena solo se lo prenderemo in esame fino in fondo.
Quindi, prima che all'aspetto
metodologico (di cui si sente effettivo bisogno), va ancora data una più
profonda soluzione all'impostazione generale del
problema implicante il tipo del nostro rapporto con tali fanciulli: solo da questa
via e per questa via troverà poi vita ed esatta sistemazione ogni altro
procedimento».
CECILIA ALIPRANDI, Saggio introduttivo all'opera di Jolanda Cervellati, in: Jolanda Cervellati,
Didattica differenziale. Guida di ortopedagogia
applicata,
C.E. Giunti, G. Barbera, Firenze, 1968, pp. 52-53.
(1) R. LAFON,
Congresso UNAR, Parigi
L'intelligenza ha avuto sempre un
ruolo decisivo nella storia dell'umanità poiché è
servita all'uomo per dominare le forze della natura e per crearsi un'esistenza
in mezzo a tante difficoltà. Ma il ruolo
dell'intelligenza nei diversi periodi storici non è stato sempre il medesimo.
Il nostro compito, però, non è
quello di determinare il ruolo dell'intelligenza nelle diverse epoche umane,
bensì quello di considerarlo nella nostra società industriale; così possiamo
vedere come oggi l'intelligenza non ha più esattamente
la stessa importanza di una volta per poter vivere, per poter sopravvivere.
Ci aiutiamo con qualche esempio.
Prima in un negozio ci voleva una
certa intelligenza per scegliere la merce e la qualità che si desiderava; oggi
i negozi si vanno trasformando in grandi magazzini nei quali anche alle
persone meno dotate è possibile acquistare, poiché il
problema non è tanto di comprare, quanto di decidere tra il comprare e lo
stare semplicemente fermi a guardare.
Questo esempio non vuole demolire il
ruolo che l'intelligenza ha nella vita, ma vuole portarci a considerare le
nuove possibilità che gli insufficienti mentali hanno oggi nella società.
Negli anni passati le persone
ritardate mentali venivano completamente isolate e vivevano
al di fuori della società; oggi, invece, si cerca anche per gli insufficienti
mentali un posto nella società, e questo è possibile perchè il punto centrale
della nostra sopravvivenza non è soltanto l'intelligenza, ma il comportamento.
L'insufficiente mentale desidera
poter vivere nella società, ma sarà troppo difficile per lui se gli chiediamo
di condurre una vita come la nostra. E' necessario, pertanto, diminuire la distanza
tra la persona normale e la persona ritardata
mentale, se non vogliamo condannarla in un isolamento, che è sempre un impoverimento
delle possibilità di vita. Il ritardato mentale ha pure una personalità e come
noi si completa nella società a contatto con gli
altri, con le persone migliori, con i più dotati.
H. WINTSCH (Dalle
lezioni tenute al corso di aggiornamento per educatori
impegnati negli Istituti medico-psico-pedagogici e
per il personale operante nel settore delle scuole speciali, Amministrazione
Provinciale di Milano, 17-18 ottobre 1968).
... IL GRANDE VANTAGGIO PSICOLOGICO DI APPARTENERE
AL NORMALE COMPLESSO SCOLASTICO DI QUARTIERE ...
Occorre che tecnici nuovi come
l'ortofonista, il tecnico della rieducazione psicomotoria (fisioterapista e
terapista occupazionale), il professore di ginnastica correttiva oltre quello di ginnastica normale, entrino a far parte
dell'organico della scuola elementare.
Con la loro presenza si potranno
eliminare alcune classi speciali per dislessici, disortografici, dislalici, come
alcuni ricercatori vorrebbero.
La loro presenza renderà ugualmente
possibile la creazione nello stesso complesso scolastico di qualche classe o
pluriclasse speciale per soggetti (epilettici, ambliopici,
sordastri, paralisi cerebrale infantile, ecc.), che per evidenti ragioni non
possono andare nella classe comune, ma che potranno così essere studiati e
trattati adeguatamente e godere del grande vantaggio
psicologico di appartenere al normale complesso scolastico di quartiere...
... Con pochissime classi speciali,
formate di anno in anno secondo le necessità messe in
evidenza da questa stretta collaborazione medico-psico-pedagogica,
aggiungendo un oculato lavoro integrativo di alcuni nuovi tecnici per vari
disturbi settoriali, noi daremo vita ad una organizzazione educativa
funzionalmente e scientificamente completa ed economicamente in senso assoluto
meno dispendiosa di molte istituzioni e attività assistenziali separate.
Questo panorama di «complesso scolastico
elementare integrale», è per me la sola via per risolvere le tre gravi realtà
della nostra scuola elementare e cioè il forte aumento
dei disadattamenti, la ripetenza, lo scarso potere
formativo della scuola elementare che condiziona la gravità del salto alla
scuola media unica.
G. BOLLEA, Le pedagogie speciali nelle scuole elementari. Problematiche
del «dépistage» e del trattamento dei disadattati, in Annali della Pubblica Istruzione, n. 12-13,
Roma, luglio-ottobre 1964, p. 290.
ASPETTI NEGATIVI DELL'ISTITUZIONALIZZAZIONE
«... Questo tipo di vita (ricovero
in istituzioni speciali residenziali) offende sempre in qualche modo i bisogni
fondamentali del bambino, anche quando è vissuta in età
al
di sopra dei sei anni. E' l'istituto a carattere residenziale che è
inadatto alla vita di un bambino e ciò è vero anche quando in esso operano persone altamente qualificate (...). Ci pare
quindi che un piano della salute debba tener presente i problemi inerenti alle
istituzioni per l'assistenza all'infanzia.
E sembra indispensabile rivedere queste strutture per
modificarle e renderle più idonee alle esigenze psicologiche di un bambino. E'
necessario ridurre ai casi estremi il ricovero negli internati, allargando l'assistenza attraverso l'istituzione di piccoli centri a
seminternato. Sono convinta che la metà dei bambini che
oggi vivono in un istituto potrebbero esserne
dispensati se la società intervenisse in altro modo per risolvere il problema
di un illegittimo, di un orfano o del figlio di una famiglia numerosa e
bisognosa. Basterebbe considerare la situazione dei bambini che hanno soltanto
irregolarità sensoriali come sordi, sordastri, ciechi,
ambliopici
per i quali non è assolutamente necessario il ricovero in un istituto; anzi
in alcuni casi come per i sordi e per i sordastri la vita in un istituto è
controproducente ai fini della stessa rieducazione: basti pensare al fatto di
costringere il bambino con deficit uditivo a vivere in ambiente non parlante
per capire la dimensione di questo assurdo!».
LINA MANNUCCI, Il
bambino istituzionalizzato, in Scuola e Città, aprile 1968, p. 247. Intervento
svolto sul problema dell'assistenza agli handicappati psichici ed ai
disadattati sociali in occasione del convegno «Un piano per la salute»,
organizzato dalla rivista «Politica» e tenutosi a Firenze il 16 e 17 dicembre
1967.
MINOR COSTO DELL'AFFIDAMENTO FAMILIARE SPECIALIZZATO
«... Si potrebbe infine sottolineare quanto, accanto, a tutti questi vantaggi,
questo tipo di affidamento (affidamento specializzato per disadattati e
handicappati) sia economico in rapporto ad altre soluzioni...».
FRAYSSINET, Définition et indications du placement
familial spécialisé, in Sauvegarde de l'Enfance, n. 8, ottobre
1967, p. 405.
I GROSSI ISTITUTI DI ASSISTENZA
«Le vicende del progetto per
costruire il nuovo brefotrofio provinciale sono ormai
note e da molti anni si attende di poter ospitare i bambini in locali moderni
e confortevoli.
L'attuale sede di
via
Simone di Collobiano è addirittura indecente
nonostante gli enormi sforzi delle brave suore e delle assistenti per rendere
meno cupo il soggiorno dei piccoli che non conoscono il sorriso della mamma.
Ma gli anni passano e le cose
invecchiano. Tanto più oggi in cui le novità durano ben poco e tutto viene superato vorticosamente. Così il progetto per il nuovo
brefotrofio si approssima alla sua realizzazione.
Ma con quali note caratteristiche?
Non vogliamo
allarmare
nessuno, né le autorità, né chi attende quest'opera tanto necessaria, ma
dobbiamo dire alla luce dei nuovi criteri pedagogici e legislativi che il
progetto nella sua linea di massima e nel suo criterio funzionale è già vecchio
ancora prima di mettere le fondamenta. E' invecchiato nei corridoi della burocrazia!
Abbiamo appreso proprio in questi
giorni le revisioni che alcune Province hanno dovuto
apportare a edifici appena ultimati e costruiti con gli stessi criteri di
accentramento e di blocco come prevede il progetto vercellese.
Ad esempio
Certo qualche cosa si può fare ed è
necessario che tutto venga esaminato per essere
aperti ai nuovi problemi dell'infanzia. Questo perchè bisogna abbandonare la idea del «brefotrofio», così materialmente inteso. E'
una ragione sociale che dà l'idea della caserma del
monoblocco, dell'accentramento.
Deve essere prima
di
tutto una «casa» ed i bambini, anche se ancora inconsci della realtà cui
sono sottoposti, devono sentirsi in «casa». Il bambino ha bisogno di conoscere
subito l'amore e la gioia di vivere ed a questo riguardo conta molto
l'ambiente in cui si trova.
Noi crediamo che sia ancora
possibile, senza ritardare l'attuazione, riconsiderare il problema e metterlo
nella luce di una più completa finalità».
G.M., La «Casa dei bambini soli» sarà ancora un
brefotrofio? in L'Eusebiano,
18 aprile 1968, p. 6.
VALIDITA' DELL'AFFIDAMENTO FAMILIARE SPECIALIZZATO.
«Il primo grosso problema che i
familiari debbono superare è il fatto di avere un
figlio insufficiente mentale: tale accettazione non significa non far nulla
perchè il bambino non migliori o progredisca, vuol dire invece saper valutare
la situazione realisticamente, senza farsi illusioni in termini sproporzionati.
Vi sono infatti molti genitori (di quelli che possono
permetterselo) che portano il loro bambino in Svizzera, in Francia, in altri
paesi perchè sia sottoposto a stranissime operazioni. Tutto questo perchè non
hanno saputo accettare la situazione e lottano
disperatamente contro qualche cosa che è dentro di loro: invece è importante
non dimenticare che l'insufficiente mentale non è di per sé triste, non è un
disgraziato, un distrutto. Egli, nell'ambito della sua più limitata intelligenza,
può essere felice, nel senso più ampio della parola. Siamo noi (i normali) che
siamo condizionati e che gli ributtiamo addosso questa
infelicità, questa angoscia; di fatto, quando si vede un mongoloide che
sorride, si capisce che è un bambino che ha un suo spazio nella vita, uno
spazio in cui muoversi, agire, progredire ed essere sereno. Per questo è
importante che le famiglie siano aiutate a tirare fuori i loro conflitti
interni in modo da superare una sorta di angoscia che
attanaglia e pervenire ad una serenità e ad un equilibrio, che è sicuramente
possibile raggiungere. Se non si fa un'opera di
maturazione delle famiglie che hanno bambini insufficienti mentali, non si può
pervenire a risultati apprezzabili. Ed il discorso
vale anche per noi medici. Viene infatti da noi una
madre: capiamo che sotto il suo atteggiamento iperprotettivo
c'è in realtà una non accettazione profonda; noi si percepisce tutto questo ma
non si ha il coraggio di farle capire la realtà. Si finisce perciò con il
dirle che è meglio che il figliolo sia ricoverato in
Istituto psichiatrico; il che spesso vuol dire: tagliate i ponti, abbandonatelo.
La donna si sente decolpevolizzata ed il ragazzino
ormai non ha più una famiglia su cui appoggiarsi affettivamente.
E questo problema si presenta anche
quando il bambino viene dimesso, perchè i genitori
spesso non vogliono più saperne. Invece è proprio attraverso questo contatto
con un mondo familiare che l'insufficiente mentale, se opportunamente aiutato
da un centro assistenziale idoneo (che sarà a seconda
dei casi il laboratorio protetto, la scuola speciale ecc...), potrà trovare un
suo equilibrio. E' talmente importante la presenza del nucleo familiare, che
desidero sottolineare una iniziativa che viene ormai
fatta in molte nazioni, dagli Stati Uniti alla Francia Si tratta della
iniziativa dei foster parents o
dei placements familiales,
cioè di nuclei familiari che si assumono l'incarico di assistere
personalmente uno o più subnormali. Naturalmente tali famiglie devono essere
retribuite ed in genere sono date loro cifre sulle 60-70.000 lire mensili: se
ad esempio, ci si assume l'impegno di accudire a tre
bambini, questa situazione può anche essere accettabile. Ora, badiamo bene, un
ricoverato in un Istituto costa all'amministrazione pubblica dalle 90 alle
100.000 lire al mese e spesso viene ricoverato solo
perchè la propria famiglia non vuole saperne oppure è meglio che non se ne
occupi, oppure non è finanziariamente capace di occuparsene. Pertanto
iniziative come queste dovrebbero essere incoraggiate
ed inserite in leggi più ampie come quella sull'adozione, o, ancora più in
generale, nel problema della tutela del minore; tale discorso viene portato
avanti attraverso l'Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore
(via Artisti, 34, Torino), in quanto si sente l'esigenza di pervenire ad una
maggiore integrazione tra disadattato e famiglia e disadattato e società.
Altrimenti si ripeteranno sempre gli schemi di una società classista: un
istituto fatto solo per gli insufficienti mentali, una scuola per i signori,
una per i poveri, un centro per gli illegittimi, uno per le ragazze madri
ecc... tutte divisioni che non hanno senso!».
G. CICORELLA, La possibilità di affidare l'insufficiente mentale ad altre famiglie,
in Il Mulino, n. 187, maggio 1968, pp. 446 e 447.
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