Prospettive assistenziali, n. 5-6, gennaio-giugno 1969

 

 

NOTIZIE

 

 

CONVEGNO SUGLI HANDICAPPATI E SUI DIS­ADATTATI SOCIALI

 

Il giorno 27 ottobre 1968 si è svolta a Torino una giornata di studio organizzata dall'Unione Italiana per la promozione dei diritti del mino­re. La giornata è stata dedicata alla discussione della proposta della bozza di proposta «Inter­venti per gli handicappati psichici, fisici, senso­riali ed i disadattati sociali».

Erano presenti numerosi esperti e rappresen­tanti di enti e associazioni.

L'Avv. Oberto, presidente della Provincia di Torino, ha preso la parola a nome dell'Unione delle Province d'Italia esprimendo l'interesse di questo organismo per i problemi affrontati dal­la bozza di proposta di legge.

L'Avv. Oberto ha poi manifestato il suo pieno accordo al progetto di legge a proposito dell'opportunità di un solo organismo centrale.

Altro punto d'accordo col progetto è quello dell'attribuzione alle Regioni dei compiti regola­mentari nell'ambito della legge quadro, senza funzioni operative. I compiti operativi devono essere 'attribuiti in modo particolare ai Comuni in quanto sono gli enti più vicini agli assistiti, ed hanno maggiore possibilità di esaminare e sentire i problemi. Alle Province il compito al­tissimo dell'assistenza tecnica per l'attuazione dei servizi comunali o consortili.

L'Avv. Alberto Premoli, consigliere nazionale dell'Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Subnormali, ha dichiarato che i progetti prece­denti erano molto limitati, mentre il presente appare veramente completo non limitandosi al solo periodo dell'età evolutiva, ma estendendo­si lungo tutto l'arco della vita dell'handicap­pato.

Il Prof. Don Gutierrez si associa a quanto af­fermato in linea generale dal consigliere dell'ANFFaS. Vi sono istanze validissime nel pro­getto di legge, che rispondono alle esigenze che in questo momento la psicologia presenta al riguardo degli handicappati e disadattati.

Questo progetto va sostenuto con molta ener­gia.

La riconosciuta priorità della famiglia sugli istituti è principio validissimo da sostenere e portare avanti. Altro elemento positivo è costi­tuito dall'estensione dei provvedimenti lungo tutto l'arco della vita.

Sempre a proposito della priorità che si deve dare agli interventi che consentano all'handicap­pato di restare in famiglia, il dottor Palmonari di Bologna fa notare che attualmente negli in­terventi sociali a favore degli handicappati, si identifica il trattamento di questi soggetti con l'istituzionalizzazione. Questo è uno dei para­metri di fondo più deleteri nell'interpretazione dell'assistenza, quando è dimostrato che pro­prio l'istituto in sé è un fattore negativo, che genera distorsioni della personalità, portando verso qualche tipo di disadattamento. Infatti in­fluisce negativamente sullo sviluppo intellettua­le, sulle capacità di adattamento al mondo rea­le, ecc. In particolare, i subnormali istituzio­nalizzati, proprio per questo fatto, assumono determinate caratteristiche. Finora la teoria psi­cologica ha discusso molto su un certo tipo di personalità del subnormale, identificando que­sta personalità con forme di disadattamento da istituzionalizzazione. E' dimostrato che ragazzi subnormali non istituzionalizzati hanno una per­sonalità totalmente differente, correlata con quella che è la loro storia personale.

Il dr. Miano ha portato un contributo specifico per una migliore elaborazione di molti articoli della bozza, riguardanti soprattutto i disadattati sociali.

Altri contributi sono stati portati dagli inter­venti sopra citati e da Passerini Tosi, Henry, Don Ellena, Don Allais, Elia, Gaboardi, Bocca, Torelli, Loreti Ricci, Profumo, Appiano, Guanti­ni e Suor Lualdi. Di tutti questi interventi, re­lativi ai singoli articoli, si è tenuto conto nella stesura definitiva del progetto che verrà pre­sentato d'iniziativa popolare, come da decisione dell'assemblea degli intervenuti.

 

 

TELEGRAMMA AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA

 

Unione Italiana Promozione Diritti Minore plaude iniziativa costituzione direzione genera­le tutela minori primo passo per assicurare effettiva applicazione principi costituzionali pro­tezione infanzia nonché autonomia sviluppo et azione moderna efficace istituzioni minorili. (In­viato il 17 febbraio 1969).

 

 

UNA INIZIATIVA D'AVANGUARDIA

 

Dovendo allontanare sette fratelli (da uno a sette anni) dalla famiglia d'origine, il Comitato provinciale dell'ONMI di Milano non ha voluto seguire la facile via di affidarli ad un istituto o di distribuirli fra istituti diversi, ma ha ricer­cato una famiglia educativa.

La retta che l'ONMI è disposto a corrispon­dere è di L. 350.000..

Un articolo per la ricerca di una idonea fami­glia educativa è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 23 febbraio 1969.

Le risposte pervenute sono oltre trenta e l'équipe dell'ONMI di Milano sta provvedendo alla selezione delle famiglie.

La encomiabile decisione dell'ONMI di Milano costituisce una svolta nella prassi assi­stenziale italiana e ci auguriamo che analoghe iniziative vengano assunte da altri enti.

 

 

CONTRO IL BLOCCO DELLE ASSUNZIONI DI ASSISTENTI SOCIALI POSTO DAL MINISTERO DELL'INTERNO

 

In data 24 gennaio 1969 l'Unione Italiana per la Promozione dei Diritti del Minore ha indiriz­zato al Presidente e al Vice-Presidente del Con­siglio dei Ministri, al Ministro e ai Sottosegre­tari di Stato all'interno la seguente lettera:

La legge 5 giugno 1967 n. 431 sull'adozione speciale ha, com'è noto, la finalità di dare una valida e definitiva famiglia alle migliaia e mi­gliaia di bambini privi di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti te­nuti a provvedervi.

Inoltre la legge su citata dispone che il tri­bunale per i minorenni impartisca ai genitori dei minori in situazione di parziale abbandono prescrizioni idonee a garantire l'assistenza mo­rale, il mantenimento, l'istruzione e l'educazio­ne (art. 314/8 c.c.).

Sia nel caso in cui sono impartite le prescri­zioni, sia nel caso in cui è disposto l'affida­mento preadottivo, il tribunale per i minorenni deve stabilire «periodici accertamenti da ese­guirsi direttamente o avvalendosi del giudice tutelare o di persone o di servizi specializza­ti» (artt. 314/8 e 314/20 c.c.).

I tribunali per i minorenni affidano questi compiti ai servizi sociali degli enti pubblici di assistenza, sia nella considerazione che per­mangono all'ente pubblico di assistenza le com­petenze assistenziali fino alla pronuncia dell'adozione speciale o fino al definitivo inseri­mento del minore nel suo nucleo familiare di origine, sia nella constatazione, confermata dall'esperienza, che si tratta in effetti non di un controllo fiscale sull'adempimento delle prescri­zioni o sull'adattamento reciproco del minore e dei coniugi adottanti, ma di un'azione di so­stegno.

In particolare sono chiamati a svolgere le funzioni suddette i servizi sociali delle Pro­vince alle quali è affidata dalla legge l'assisten­za ai minori figli di ignoti o riconosciuti dalla madre, da cui proviene la stragrande maggio­ranza dei minori adottabili.

Inoltre la presenza del servizio sociale è in­dispensabile per il reperimento dei minori pri­vi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi o in situazione di parziale abbandono.

Occorre infatti, per ciascun minore - sia egli ricoverato direttamente in un Istituto provin­ciale per l'infanzia, sia egli stato affidato dalla Provincia ad un istituto assistenziale privato - che la sua situazione ed i suoi rapporti con i genitori siano attentamente vagliati per la segnalazione all'autorità giudiziaria per l'inizio del procedimento di adottabilità.

E' evidente che questo lavoro, come avviene in tutti i paesi civilmente progrediti, deve es­sere svolto da personale specializzato, in par­ticolare da assistenti sociali e psicologi.

Oltre ai preminenti aspetti umani ,e sociali che riguardano oltre duecentosessantamila mi­nori, sono pure rilevanti le conseguenze eco­nomiche.

Il costo di un assistito è di almeno lire mille al giorno e cioè lire seimilionicinquecentoset­tantamila per un periodo di diciotto anni.

E' pertanto sufficiente che un assistente so­ciale faccia uscire dall'assistenza un minore ogni anno perchè il suo stipendio sia ampia­mente compensato. Ora si può ritenere che un assistente sociale possa compiere in media almeno cinquanta affidamenti ogni anno.

Le economie realizzabili dalle Province sono dunque notevoli, senza considerare i rilevanti vantaggi dovuti alla non costruzione di istituti. La Provincia di Genova, proprio per la mancan­za di assistenti sociali, ha speso negli anni scorsi otto miliardi per la costruzione di un enorme istituto ed oggi finalmente ha cambia­to l'impostazione della sua politica assistenzia­le assumendo personale specializzato, e perciò fra pochi mesi l'istituto sarà disponibile per altre destinazioni.

Ciò premesso e considerato che gli studi e le ricerche scientifiche hanno accertato i de­leteri effetti della carenza di cure familiari che incidono negativamente (delinquenza, prostitu­zione, asocialità) sulla edificazione della perso­nalità dei minori ricoverati in istituti anche ri­tenuti ottimi, questa. Unione rivolge pressante istanza alle SS.LL. affinché vogliano almeno au­torizzare 1e Amministrazioni Provinciali ad as­sumere il personale specializzato indispensabi­le per l'applicazione della legge 5.6.67 n. 431 sull'adozione speciale o, preferibilmente, invi­tino le Province a compiere dette assunzioni.

 

 

LA SCUOLA E GLI HANDICAPPATI PSICHICI

 

L'Unione Italiana per la Promozione dei Dirit­ti del Minore ha indirizzato in data 7 ottobre 1968 al Provveditore agli Studi di Torino la se­guente lettera, di cui si attende ancora risposta:

Poiché conosciamo e apprezziamo la partico­lare sensibilità della S.V. nei confronti dei bam­bini handicappati e disadattati, avendo seguito con viva soddisfazione la Sua opera nei loro ri­guardi che si è manifestata in questi anni so­prattutto con l'istituzione di numerosissime classi differenziali e speciali e di una équipe medico-psico-pedagogica, pensiamo sia oppor­tuno e doveroso portare a conoscenza della S.V. alcuni dei numerosi elementi sull'attuale situazione di queste classi che ci vengono segnalati da varie parti e da diversi specialisti.

In primo luogo risulterebbe che in numerosi casi, forse con maggior frequenza nella città capoluogo, non vengono integralmente applica­te le norme contenute nelle circolari ministe­riali del 9-7-1962, n. 4525, e del 2-2-1963 n. 934/6 circa il reperimento degli alunni. Risulterebbe, infatti, che sono avviati a classi differenziali e anche a classi speciali alunni che non sono sta­ti sottoposti ad alcun accertamento medico-psi­co-pedagogico, ma che risultano solo generica­mente un po' difficili o ripetenti o di bassa e­strazione sociale o immigrati di recente o abi­tanti in determinati quartieri socialmente de­pressi. Inoltre non sarebbe attuato l'invito pu­re contenuto nelle stesse circolari: «La sele­zione degli educandi sarà accuratissima, e tale, in ogni caso, da escludere gli scolari che pos­sano trarre profitto da un buon insegnamento individualizzato nella scuola comune (...) . E' da escludere, in ogni caso, la destinazione alla classe differenziale, allorché il lieve squilibrio tra età anagrafica ed età mentale, e l'anomalia del carattere possano essere opportunamente eliminati nella scuola comune, attraverso l'at­tenta e vigile azione educativa, nonché median­te un insegnamento adeguatamente individua­lizzato».

I criteri di selezione e di destinazione alle classi differenziali e speciali attuati in vari casi sembrano richiamane, invece, alla mente le se­vere parole del prof. Volpicelli per il quale cer­te selezioni di alunni per tali classi sono «le se­lezioni dei poveri».

Le garanzie di selezione indicati nelle circo­lari ministeriali, nonché l'appello al ricupero in scuola comune tramite l'insegnamento indi­vidualizzato, hanno a nostro parere un duplice scopo:

1) di venire incontro ai reali bisogni dei vari alunni ipodotati, che sono all'incirca il 2% del­la popolazione infantile come adatti a classi spe­ciali e in percentuale non precisabile, ma forse non inferiore per classi differenziali; mentre oggi risulterebbe che alunni bisognosi non tro­vano posto in tali classi, perché i loro posti so­no presumibilmente occupati da alunni non bi­sognosi;

2) predisporre un ricupero che è indispensabile per i veri bisognosi, ma che risulta dannoso per i non bisognosi; secondo le osservazioni del prof. Volpicelli, con simili metodi si aggra­verebbe la situazione degli alunni che si trova­no in qualche difficoltà, poiché sembra certo che «una parte di alunni differenziati diventa­no differenziati per varie ragioni durante il corso dell'obbligo scolastico»: tale situazione viene anche riferita dal professor Volpicelli agli at­teggiamenti degli insegnanti di scuola comune che non di rado stentano ad accettare e a pren­dere veramente a carico gli alunni che presen­tano un qualche anche minimo problema.

Al danno recato agli alunni si deve aggiungere anche il trattamento non equo verso certe fa­miglie, specialmente verso quelle famiglie che, essendo incompetenti o analfabete o depresse dal punto di vista socio-culturale, non riescono a far valere le loro ragioni e le ragioni dei loro figli nei confronti della scuola.

D'altra parte, è opinione corrente che le clas­si differenziali più opportunamente sono adatte per alunni lievi ipodotati e meno opportunamen­te adatte per alunni «caratteriali», specialmen­te se di intelligenza normale o quasi: per que­sti ultimi gli specialisti indicano piuttosto al­tre soluzioni, come osserva, ad esempio l'ispet­trice ministeriale francese P. MEZEIX: «Bisogna opporsi a quella pratica, che si constata talora, che consiste nell'avvîare alle classi di perfe­zionamento (equivalente delle nostre differen­ziali e speciali) tutti i bambini insopportabili di una scuola, anche quando il loro livello mentale è normale. I bambini difficili, d'intelligenza me­dia o normale, devono, di massima, essere man­tenuti nelle classi che corrispondono al loro li­vello d'istruzione e disseminati in qualche mo­do nella scuola, e sé occorre provvedere per essi istituzioni speciali, meglio è avviarli a piccoli internati di tipo familiare».

Sembra invece che la raccolta di alunni «dif­ficili» in classi differenziali sia pratica abba­stanza diffusa, con grave danno degli alunni e gravissimo disagio degli insegnanti.

Oltre a questi gravi inconvenienti circa la selezione degli alunni, ci vengono segnalati al­tri inconvenienti non meno gravi sull'organizza­zione e il funzionamento delle classi differen­ziali e speciali. Vi sarebbero casi in cui il nu­mero per classe differenziale sale fino a 20-25 alunni difficili e ipodotati, in contrasto con le indicazioni ministeriali e con ogni criterio pe­dagogico (in questi casi sembra effettuarsi quella selezione di tipo «sociale» già segnala­ta). Altre volte le classi differenziali contem­plate in organico non funzionano nella realtà (perché, ad esempio, trasformate in classi normali), con grave disagio degli alunni bisognosi e delle loro famiglie che non ne possono usu­fruire.

Mentre l'attenzione rivolta dalle Autorità e dalla S.V. a queste classi dovrebbe incitare gli organi dipendenti alla massima cura in questo settore; risulterebbero invece gravi lacune sia nei locali destinati a queste classi (si tratta spesso di aule di fortuna, di piccoli locali adat­tati alla meglio, anche di negozi, lontani e iso­lati dall'edificio della scuola comune), sia ne­gli orari (anche le classi speciali e differen­ziali sono talora sottoposte ai doppi turni, con alternamento di due classi nella stessa aula), sia nell'organizzazione della refezione e del do­poscuola, che sono elementi essenziali per il ricupero degli alunni ipodotati e che spesso non esistono per dette classi o esistono in modo indifferenziato e quindi non adeguato con le al­tre classi comuni.

Ma il fatto più grave è lo spirito di segrega­zione e di isolamento che sembra gravare su queste classi, con riflessi negativi sugli alunni, sulle loro famiglie, sugli stessi insegnanti che spesso si sentono «a parte». E' in discus­sione se le classi speciali debbano o no essere istituite presso plessi di scuola comune (l'espe­rienza francese fin dal 1909, in senso positivo, è su questa linea; del resto per noi rimangono esemplari le classi speciali montessoriane che la Provincia organizza da anni in collaborazione con codesto Provveditorato presso scuole co­muni nella cintura). Ma è indubbio che almeno le classi differenziali debbano essere parte in­tegrante di un plesso scolastico normale. Osserva, fra gli altri, il prof. Agazzi: «Sappiamo tutti - e ben a ragione - che occorre inserire e mantenere il più possibile il disadattato e lo stesso deficitario in ambiente di vita e di rap­porti normale, ossia stimolante e non da de­pressione per isolamento separazionista. Que­sto implica capacità, tatto, preparazione negli insegnanti - e difficoltà non lievi - ma il pro­blema non si può risolvere con aggiungere dan­no a danno».

Ora sarebbero avvenuti casi di isolamento e di segregazione preoccupanti: dal direttore che giunto per trasferimento in un plesso comune con classi speciali (istituito e bene organizzato da oltre un decennio) avrebbe chiamato «le­gione straniera» alunni e insegnanti di dette classi, fino al caso-limite di un grande comune della cintura in cui si sono segregati in un edificio a parte non solo gli alunni di classi spe­ciali, ma anche di classi differenziali.

Anche la stampa specializzata comincia a ri­chiamare l'attenzione su simili fatti: l'Educato­re italiano, dopo altri precedenti interventi, nell'ultimo numero del 1° ottobre 1968 segnala i pericoli dell'attuale situazione che non si risol­ve come dovrebbe a beneficio che alunni bi­sognosi, ma che sembra perseguire altri scopi meno nobili e meno umanitari.

Mossi solo dal superiore interesse dei fan­ciulli e delle loro famiglie, per i quali questa Unione è sorta e lavora, abbiamo portato a Sua conoscenza questi dati, che vorremmo concludere con alcune proposte. Sarebbe molto op­portuno da parte della S.V. impartire al propo­sito agli organi dipendenti alcuni essenziali ri­chiami, almeno quelli contenuti nelle citate cir­colari ministeriali. Un'accurata e continua ispe­zione e un coordinamento sul funzionamento di dette classi darebbe probabilmente alla S. V. un quadro esatto della situazione. Sarebbe inol­tre auspicabile che anche in Piemonte, come già in molte altre Regioni, fosse organizzato dal Ministero della P.I. un corso di aggiorna­mento per dirigenti scolastici sulle classi spe­ciali e differenziali.

 

 

TAVOLA ROTONDA SULLA GIOVENTU' DISADATTATA

 

Il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, presieduto dalla Dr. Teresita Sandeschi Scelba, in data 16 marzo 1968 ha tenuto a Roma una ta­vola rotonda sul tema: «Gioventù Disadattata e carenza di adeguati istituti assistenziali».

Sono intervenuti come oratori il dr. Celso Coppola, la dr. Maria Sofia Spagnoletti Lanza, la dr. Marta Prandi ed il dr. Filiberto Zarattini.

Sono stati trattati aspetti di politica generale riguardante il fenomeno del disadattamento ed il numero dei disadattati: la legislazione attuale e la pluralità degli istituti; la diversità di disa­dattamento maschile e femminile con i proble­mi del trattamento di semilibertà; ed infine è stato illustrato il metodo educativo degli isti­tuti «Domus Nostra».

E' stata evidenziata la crescente presa di co­scienza da parte della società del problema del disadattamento ed il sorgere delle nuove tecni­che riabilitative in contrasto con l'arcaica organizzazione esistente a livello di istituzioni e la caotica legislazione inerente all'assistenza. In­fatti, per i servizi sociali in genere, lo Stato spende circa mille miliardi all'anno (escluse le spese per il personale e gli enti privati) senza riuscire, con i suoi 40.000 enti, a dare adeguata e soddisfacente assistenza ai 3 milioni circa di disadattati esistenti in Italia.

Illustrando le diversità tra il disadattamento maschile e quello femminile, si è insistito sulla inadeguatezza dei rimedi offerti dagli attuali istituti chiusi che non sono di aiuto né ai sog­getti passivi, né ai soggetti ribelli in quanto in quel tipo di esperienza non si riesce a re­sponsabilizzarli né a socializzarli. Da favorire invece i focolari o pensionati di semilibertà la cui struttura, indubbiamente vantaggiosa per i disadattati, è problematica per il personale edu­cativo che è soggetto a maggiori tensioni e re­sponsabilità e riceve tutte le proiezioni negative da parte dei soggetti; infatti mentre l'istituto tradizionale ha il vantaggio della difesa della struttura, il focolare si regge sulle forze pro­prie di ciascun educatore che viene ad assu­mere un ruolo responsabilizzato nuovo in una situazione diversa e strutturalmente debole.

Date queste caratteristiche viene auspicato un lavoro di coordinamento e di aiuto reciproco tra i vari focolari per riuscire a superare con più facilità i problemi che via via si presentano, e una rotazione del personale educativo da un ruolo ad un altro per non sottoporlo ad un logo­rio irreversibile e dannoso anche per i soggetti da educare.

Si evidenzia la necessità di una scelta ocula­ta del personale, scelta che va fatta a livello di personalità ed atteggiamento piuttosto che a livello culturale e metodologico.

L'ultimo oratore si è soffermato sul metodo pedagogico introdotto negli istituti «Domus No­stra» che si basa su una assistenza di tipo fa­miliare a livello di affettuosa comprensione tra educandi ed educatori.

 

 

CONVEGNO SULLA RIFORMA DELL'ASSISTENZA SOCIALE

 

La riorganizzazione del sistema di assistenza sociale, oggi gravemente carente dal lato tecni­co e pratico, come dal lato amministrativo e organizzativo, è stata l'oggetto della riunione tenuta il 21 Novembre 1968 a Torino e organiz­zata dal Centro Studi e documentazione e dall'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore. Sull'inadeguatezza dei mezzi assi­stenziali odierni rispetto alle esigenze dei cit­tadini, dopo una breve introduzione del Presiden­te della Provincia avv. Oberto, ha preso la pa­rola il dott. Vitrò, sottolineando tra l'altro la dispersione dei mezzi e delle forme assisten­ziali, mal distribuiti tra circa 40.000 enti non coordinati tra loro. Il problema fondamen­tale è una ristrutturazione unitaria e organica del sistema, che consenta un adeguato reperi­mento dei cittadini aventi necessità d'assisten­za e una opportuna messa in atto delle forme di tale assistenza.

E' indispensabile, tuttavia, che la struttura­zione unitaria auspicata non venga attuata in modo rigido e fisso, ma in modo tale da con­sentire una perfetta adeguazione alle necessità proprie di ogni singolo caso, necessità che pur nella loro varietà debbono essere pienamente intese per consentire il reinserimento dell'in­dividuo nella società attiva.

Per ottenere tale scopo è necessaria una or­ganizzazione autonoma dell'assistenza sociale ai vari livelli statali, Governo, Regioni, Province, Comuni, che consenta ai cittadini assistiti, il cui peso politico è, in confronto ad altri setto­ri, debole e pressoché nullo di esprimere voce in capitolo. Si auspica dunque la formazione d'un Ministero dell'assistenza sociale, cui non dovrebbero far capo competenze operative, sal­vo gli interventi relativi all'assistenza degli ita­liani all'estero, ma soltanto i compiti di assicu­rare l'indirizzo unitario dell'assistenza sociale: di promuovere inchieste e ricerche per accertare le necessità dei cittadini impossibilitati e le re­lative cause; di amministrare i fondi stanziati dal bilancio dello Stato e di curarne l'assegna­zione agli enti gestori, esercitando il controllo sugli stessi; di definire, infine, gli «standards» assistenziali minimi a cui devono attenersi gli enti gestori. Alle Regioni dovrebbe essere at­tribuita la competenza di legiferare in materia di assistenza sociale nell'ambito della legge quadro dello Stato, mentre dovrebbe esser vie­tata ad esse la facoltà di creare enti assisten­ziali.

Ancora alle Regioni dovrebbero essere affi­dati compiti della ricerca dei bisognosi e delle cause relative, mentre alle Province dovrebbero spettare i compiti di aggiornamento del perso­nale specializzato e di assistenza tecnica ai Comuni e ai Consorzi dei Comuni. I Comuni, infine, dovrebbero provvedere alle prestazioni economiche temporanee e alla gestione dei ser­vizi sociali con mezzi finanziari propri e con quelli forniti dal Ministero dell'assistenza so­ciale, con eventuale creazione di Consorzi tra Comuni inferiori ai 50.000 abitanti.

Tale distribuzione dell'assistenza pubblica si affiancherebbe all'assistenza privata, la cui o­pera d'azione deve essere limitata all'uso di mezzi propri e strettamente privati e non all'uso di contributi dello Stato, tendenti a creare una specie di beneficenza pubblica. La creazione di un Ministero dell'assistenza sociale, come organismo autonomo, sanerebbe il problema sia dell'incoerenza del sistema attuale di assistenza intesa più come beneficenza pubblica che come diritto di ogni cittadino in condizione e stato di necessità, sia di dar voce agli organismi assi­stenziali che ora non ne hanno.

La sfera d'azione della sicurezza sociale è stata invece l'oggetto dell'intervento dell'assi­stente sociale Scevola, il quale ha classificato nell'ambito assistenziale i settori sanitari, pre­videnziali e assistenziali. Di essi, il settore pre­videnziale assicura ai lavoratori la sicurezza so­ciale, mentre il settore assistenziale deve prov­vedere ai bisogni atipici e tipici dell'uomo, ri­spettivamente identificati con quelli determina­ti dall'indigenza assoluta e quelli relativi a co­loro che non sono lavoratori o hanno perduto tale caratteristica, cui si aggiungono gli inabili, gli emigrati, e, in modo discusso, gli handicap­pati. Tale assistenza si può applicare secondo l'articolo 3 della Costituzione a tutti i cittadi­ni, ma particolari categorie, maternità, infanzia, gioventù, minorati, sono individuati come stati particolari cui occorre garantire la sicurezza sociale.

In questo raggio d'azione delle competenze della sicurezza sociale, il problema focale - ha detto l'oratore - è stabilire prima il mini­mun vitale e successivamente le forme in cui va dato. Occorre tener presente che un mini­mun vitale deve essere determinato su basi dinamiche che tengano conto del livello di vi­ta della nazione e delle singole città o paesi o zone, e deve esser calcolato sul potere di ac­quisto della moneta.

Una buona organizzazione dall'assistenza de­ve dunque stabilire un minimum vitale oggetti­vamente valido, sottraendo la sua determina­zione alle considerazioni delle disponibilità di mezzi dell'ente.

Un grave e urgente problema del sistema assi­stenziale è poi stato messo in luce da molti interventi: la mancanza nell'organizzazione assistenziale di personale specializzato e ben preparato, indispensabile per sanare realmente le carenze degli assistiti e per far sì che l'assi­stenza diventi un servizio umano e non buro­cratico, tale che tenga conto di tutte le com­ponenti fisiche, psichiche, intellettuali, sociali del soggetto e delle sue esplicazioni nella fami­glia, nell'ambiente, nel lavoro, nella scuola. La sola assistente sociale è insufficiente a tale compito; occorre un intervento articolato in varie specializzazioni che tuttavia rispetti l'unità del soggetto e si mantenga di conseguenza al livello di un lavoro di équipe.

Su tale problema, di urgente soluzione, si è quindi chiuso il dibattito.

 

 

CORSO DI AGGIORNAMENTO PER EDUCATORI

 

Segnaliamo l'ottima iniziativa della Provincia di Milano che ha organizzato un corso di aggior­namento per educatori addetti ad istituti me­dico-psico-pedagogici.

Riportiamo il programma del corso, tenuto dal Pastore Hermann Wintsch e introdotto dal­la D.ssa Maria Luisa Cassanmagnago.

 

Giovedì - 17 ottobre 1968

Introduzione: La società e gli insufficienti men­tali

TIPOLOGIE CLINICO-EDUCA TIVE DELLE MINO­RAZIONI MENTALI E CLASSIFICAZIONI DIA­GNOSTICO-PROGNOSTICHE

- tempi e metodi di valutazione del grado e della natura delle minorazioni

- il significato di determinate classificazioni in senso educativo oltre che psichiatrico e psico­logico

- metodologia dell'osservazione

- esperienze e metodi del Kinderheim Schür­matt

- proiezioni

- discussione: esperienze e metodi

 

Venerdì - 18 ottobre 1968

Introduzione: Condizioni d'una vita normale e in­sufficienza mentale

CLASSIFICAZIONI, TEMPI E METODI DI TRAT­TAMENTO

- sezione di adattamento

- sezione di esperienza

- sezione di attività scolastica

- caratteristiche delle tre sezioni e criteri di appartenenza

- possibilità di passaggio da una sezione all'altra

- esperienze e avvenire della sezione di adat­tamento nel Kinderheim Schürmatt

- proiezioni

 

Giovedì - 14 novembre 1968

Introduzione: Problemi educativi e il mondo del lavoro (agricoltura, industria)

PROSPETTIVA EVOLUTIVA DELL' APPRENDI­MENTO

- attività scolastica e laboratori

- categorie, metodi, passaggi, valutazione del progresso

- tempi di integrazione tra attività pratica ed attività scolastica

- esempi dell'attività scolastica e laboratori

- proiezioni

 

Giovedì - 16 gennaio 1969

Introduzione: I subnormali dopo il tempo della scuola

FUNZIONE DEL LABORATORIO SCUOLA ED IMPOSTAZIONE E FUNZIONAMENTO DEL LA­BORATORIO PROTETTO

- condizioni e organizzazione del laboratorio pro­tetto

- il personale:

educativo

insegnante

tecnico

(preparazione, funzioni, attività)

 

Venerdì - 17 gennaio 1969

Introduzione: I subnormali come partecipi della nostra società.

PROBLEMA UMANO E SOCIALE DEL MINORA­TO PSICHICO

- come si percepisce il minorato psichico

- le attività del tempo libero

- il problema sessuale

- le necessità di successo e di corsi di ripeti­zione

- le attività di socializzazione

- il minorato attempato

 

Giovedì - 13 febbraio 1969

Introduzione: Il minorato tra l'indipendenza e la dipendenza per tutta la vita

IMPLICANZE DELL'ISTITUTO DELLA FAMIGLIA

DELLA SOCIETA'

- previdenza

- collaborazione con associazioni delle famiglie dei fanciulli subnormali

- vita in famiglia

- vita in istituti

- numero di minorati e organizzazione generale per l'integrazione

- proiezioni

 

Le dispense sono disponibili presso l'Ammi­nistrazione Provinciale di Milano, via Vivaio 1, 20122 Milano.

 

 

CONVEGNO SULL'ADOZIONE

 

Alla presenza del Sottosegretario di Stato Renato Dell'Andro, si è svolto in Roma il 17 dicembre 1968 un convegno sull'adozione organizzato dall'Associazione del Mondo Giudi­ziario.

I lavori sono stati introdotti dal Presidente dell'Associazione e dalla Dott.ssa Anna Tabili Brusca ed è stato proiettato il documentario scientifico della Dott.ssa Aubry «La carenza di cure materne».

Nella relazione, il Cons. Emilio Germano ha deplorato che da qualche parte si continui a fare confusione fra adozione speciale e ado­zione tradizionale, permettendo che bambini di età inferiore gli anni otto privi di assistenza materiale e morale da parte dei genitori conti­nuino ad essere adottati con il vecchio istitu­to, spesso da persone inidonee.

Rilevato che in tutta Italia i magistrati che lavorano a tempo pieno nei 24 tribunali e nelle 24 procure per i minorenni sono 54 (a tempo parziale 49) e cioè «assurdamente e parados­salmente insufficienti», l'oratore si è chiesto «se non sarebbe il caso di dichiarare in primo luogo in stato di abbandono gli uffici tutele, i tribunali e le procure per i minorenni!».

La Sen. Maria Pia Dal Canton ha illustrato le finalità della legge sull'adozione speciale e le positive conseguenze umane, familiari e socia­li della sua applicazione.

E' seguito un interessante dibattito che ha messo in luce l'urgente necessità di adeguare gli uffici giudiziari minorili ed i servizi sociali degli enti che assistono i minori.

 

 

INCONTRO SULL'ADOZIONE

 

La sezione ligure dell'Unione ha organizzato in data 10 gennaio 1969 un incontro sull'ado­zione.

Di particolare importanza sono state le di­chiarazioni pubbliche del Presidente della Pro­vincia di Genova che ha riconosciuto la non validità del nuovo istituto provinciale per l'in­fanzia, inaugurato nel settembre 1968 dal Presidente della Repubblica ed avente una capien­za di 500 posti.

Il Presidente della Provincia di Genova ha inoltre annunciato la costituzione di due équi­pes formate da assistenti sociali, psicologi e neuropsichiatri infantili per il reperimento dei minori adottabili, lo studio della loro situazione, la selezione degli aspiranti adottanti e per l'abbinamento bambini-adottanti.

 

 

SEMINARIO PER LA FORMAZIONE DI TECNICI SPECIALIZZATI SUI PROBLEMI DELL'ADOZIONE

 

Uno dei problemi più importanti per risolvere l'attuale situazione in materia di adozione è certamente la preparazione del personale.

Particolarmente utile è l'iniziativa del Comi­tato provinciale dell'O.N.M.I. di Milano, il cui programma è il seguente:

 

24 gennaio 1969 - ore 14,30/19

D.ssa M. Luisa Cassanmagnago Presidente del Comitato Provinciale O.N.M.I. di Milano

«La politica dell'ente in relazione alla legge sull'adozione».

Dr. Michel Soulé

Neuro-psichiatra dell' Hospital S. Vincent de Paul di Parigi

«Assistenza al nucleo familiare di origine in riferimento all'accettazione del ruolo materno e paterno».

 

21 febbraio 1969 - ore 14,30/19

Dr. Michel Soulé

«Valutazione dello stato di abbandono - pro­blemi e soluzioni».

 

28 marzo 1969 - ore 14,30/19

Dr. Luigi d'Orsi

Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano

«A quasi due anni dall'entrata in vigore della legge sull'adozione speciale: esame della me­desima ed eventuali proposte di modifica».

Padre Giacomo Perico

«Aspetti umani e morali dell'adozione».

 

18 aprile 1969 - ore 14,30/19

Dr. Michel Soulé

«Selezione e preparazione delle famiglie adot­tive».

 

16 maggio 1969 - ore 14,30/19

Dr. Michel Soulé

«Studio del bambino con particolare riguardo ai grandicelli. L'abbinamento e l'affidamento preadottivo».

 

20 giugno 1969 - ore 14,30/19

Dr. Michel Soulé

seguito del tema precedente.

 

Ad ogni relazione seguirà la discussione in riu­nioni di gruppo.

 

www.fondazionepromozionesociale.it