Prospettive assistenziali, n. 5-6, gennaio-giugno 1969

 

 

RELAZIONE ALLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

 

INTERVENTI PER GLI HANDICAPPATI PSICHICI, FISICI, SENSORIALI ED I DISADATTATI SOCIALI

 

 

1. PREMESSA

 

1.1. Passività degli organi responsabili e motivi dell'iniziativa popolare

Nonostante l'elevato numero delle persone (minori e adulti) che presentano handicaps psichici, fisici, sensoriali o disadattamenti sociali, non sono ancora stati adottati provvedimenti di legge diretti ad assicurare una idonea formazione personale e professio­nale a queste centinaia di migliaia di nostri concittadini.

Esperienze in atto all'estero hanno per contro dimostrato che queste persone possono essere proficuamente inserite nella so­cietà sempre che si provveda in modo tempestivo e con inter­venti idonei.

L'indifferenza dei poteri legislativo ed esecutivo ha imposto alla nostra coscienza di cittadini di assumere l'iniziativa concreta della presentazione dell'unita proposta di legge.

Siamo infatti gravemente preoccupati dell'attuale situazione de­gli handicappati psichici, fisici, sensoriali e dei disadattati sociali per l'alto numero dei soggetti, per le notevoli e vaste implicanze personali, familiari, sociali e per alcuni indirizzi non idonei che si manifestano a livello di taluni operatori del settore.

Il secondo comma dell'articolo 71 della Costituzione della Repub­blica italiana prevede «Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta da parte di almeno 50.000 elettori di un progetto redatto in articoli».

I firmatari della presente proposta di legge ritengono che la loro iniziativa attui inoltre il dovere costituzionale previsto dal secondo comma dell'art. 4: «Ogni cittadino ha il dovere di svol­gere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

 

1.2. Dati statistici

Secondo i dati riferiti dai Prof. Giovanni Bollea al 2° Congresso italiano di medicina forense (Roma 10-12 ottobre 1962 e riportati su «Problemi minorili» 3 del 1963) per quanto concerne i minori in Italia:

gli handicappati mentali gravi ricoverati                  sono circa        10.000

gli handicappati mentali gravi non ricoverati            sono circa          5.000

gli handicappati mentali medi certi                        sono circa       670.000

gli handicappati mentali casi limite                        sono circa       585.000

gli epilettici                                                         sono circa       160.000

i colpiti da paralisi cerebrali infantile                      sono circa       100.000

i disadattati del carattere e del comportamento      sono circa    1.500.000

i sordi                                                                 sono circa    20/25.000

i sordastri                                                           sono circa       400.000

i ciechi                                                               sono circa    15/18.000

gli ambliopici                                                       sono circa    15/16.000

W.D. Wall in «Education et santé mentale» Editions UNESCO 1959, riferisce che sull'insieme dei minori in età scolare, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della Sanità:

gli insufficienti mentali gravi (Q.I. circa 0-19) sono il 0,06% circa

gli insufficienti mentali medi (Q.I. circa 20-49) sono il 0,24% circa

gli insufficienti mentali lievi (Q.I. circa 50-69) sono circa 2,26% circa

i casi limite (Q.I. circa 70-90)  sono circa il 10% circa

 

1.2.1. Percentuale sul totale della popolazione

Gli esperti italiani e stranieri sono concordi nell'affermare che gli handicappati psichici, fisici, sensoriali ed i disadattati sociali (mi­nori e adulti) che hanno bisogno di interventi specializzati oscil­lano fra il 5 e il 10% della popolazione.

 

1.2.2. Fattori che determinano va­riazioni nel numero

Le variazioni nel numero dipendono da molti fattori, fra i quali si possono indicare: estensione e tipo degli accertamenti, situazioni ambientali e interventi che favoriscono o meno l'inserimento so­ciale, percentuale della mortalità infantile, diversa valutazione dei comportamenti di questi soggetti sia in relazione all'accettazione o al rifiuto sociale sia in conseguenza delle acquisizioni scienti­fiche.

 

1.3. Terminologia

Una particolare attenzione merita la terminologia impiegata per definire le varie categorie.

Senza entrare in dettagli si rileva che la terminologia indica e implica, necessariamente la valutazione umana, morale e sociale che si ha e che si dà a questi soggetti.

D'altra parte la terminologia stessa viene ad essere un veicolo di influenza sull'opinione pubblica in quanto favorisce l'accettazione o il rifiuto di questi soggetti.

L'abolizione dell'uso di certi termini (quali: deficienti, idioti, imbecilli, anormali, minorati, storpi) e la ricerca e l'adozione di termini nuovi deve tener conto della pari dignità umana di tutte le persone, dare atto delle loro effettive possibilità e rispondere all'evoluzione e al perfezionamento scientifico nella definizione di questi soggetti.

 

1.4. Riflessi personali e familiari

La situazione di questi soggetti (minori e adulti) che spesso sono incapaci di raggiungere da soli una sufficiente autonomia ed un accettabile inserimento sociale sottopone le persone interessate e le loro famiglie a continue frustrazioni che li portano, in mancanza di idonei interventi esterni, a crescenti difficoltà di adattamento.

 

1.5. Passività degli organi respon­sabili

La passività degli organi responsabili è ampiamente dimostrata dall'assenza di norme per alcune categorie (ad esempio per gli insufficienti dell'intelligenza) e dalla mancanza di una organica legislazione nei riguardi delle altre.

Infatti la legislazione vigente si occupa di singoli problemi di alcune categorie e non prevede invece globali interventi, con la conseguenza, fra l'altro, di creare dei gruppi isolati per tutta la vita. La rieducazione specifica è spesso attuata in modo da limitare o impedire rapporti umani, familiari e sociali.

Inoltre questa situazione ha provocato e provoca a volte la ricerca di riferimenti legislativi non appropriati.

Ad esempio per l'assistenza agli insufficienti mentali viene spes­so fatto riferimento alla legge del 1904 sui malati mentali con la conseguenza di creare confusione fra le due categorie e predispor­re interventi del tutto dannosi. Si consideri a questo proposito l'elevato numero di reparti e istituti per insufficienti dell'intelli­genza esistenti presso ospedali psichiatrici o costruiti nelle im­mediate vicinanze. Parimenti si rileva come i disadattati sociali spesso vengano assistiti includendoli nella categoria degli insuf­ficienti dell'intelligenza o in quella dei delinquenti minorili.

 

1.6. Impreparazione delle pubbli­che autorità

Veramente ben poco si è fatto per informare e responsabilizzare le autorità, per cui si è favorita la sopravvivenza di ingiustificati e disumani pregiudizi verso alcune forme di handicaps.

Molto spesso le autorità sono state informate con richiami pie­tistici e sentimentali, per cui molti ritengono ancora che il massi­mo loro dovere consista nell'elargire qualche somma o, nella mi­gliore delle ipotesi, nel compiere saltuari interventi.

 

1.7. Impreparazione dei giovani

Quel che preoccupa ancor più, specie per i suoi riflessi futuri, è l'assoluta mancanza di preparazione dei giovani, la cui sensibiliz­zazione al problema potrebbe essere facilmente e senza alcuna spesa attuata, ad esempio nella scuola, con un'azione informativa, ma soprattutto con l'inserimento delle sezioni speciali nelle scuo­le comuni.

 

1.8. Tendenze nocive

Mentre le attuali conoscenze ed esperienze consentono di predi­sporre interventi in grado di portare la stragrande maggioranza dei soggetti alla maturazione personale e all'inserimento sociale, si riscontrano preoccupanti tendenze che pregiudicano queste possi­bilità, anche se alcune di esse sembrano essere positive ad un sommario esame.

Ci riferiamo, in particolare, alle tendenze che considerano il problema di esclusiva competenza o direzione sanitaria oppure risolvibile con soluzioni previdenziali o assicurative.

Sussistono inoltre tendenze a risolvere il problema con la sepa­razione dei soggetti dalla famiglia e dalla società, cioè con il ricovero permanente, adducendo a pretesto che il loro ambiente ideale, specie nell'età evolutiva, sarebbe la privazione di contatti con persone non handicappate.

 

1.9. Da Esprit 11 del 1965: Numero speciale su «L'en­fance handicapée»

«Il più delle volte, l'opinione pubblica nasconde a stessa que­sta realtà, senza dubbio per non essere scomodata nella sua ri­cerca della sicurezza e nel suo dogma del benessere. Questa ta­cita volontà di non vedere rende ancor più penosa la condizione di coloro che vengono rigettati ai margini della società per la loro povertà materiale o spirituale. A rigore, la collettività accon­sente ad alcuni sacrifici finanziari per le categorie più maltrat­tate, ma si rifiuta di preoccuparsi realmente della loro sorte e di tentare uno sforzo di «prise en charge» e di integrazione, che metterebbe in causa molte strutture, molte realizzazioni e molte idee tramandate».

JEAN-MARIE DOMENACH

 

Mentre condividiamo il pensiero autorevole di Domenach, dob­biamo rilevare che l'opinione pubblica è condizionata in questo atteggiamento dagli orientamenti dell'autorità pubblica riportati spesso con enfasi dai mezzi di informazione (per esempio, inau­gurazione di grossi internati).

 

 

2. PRINCIPI GENERALI

 

2.1. Diritto alla vita

Gli handicappati ed i disadattati - come tutte le altre persone - hanno diritto alla vita, diritto che non può essere in nessun caso considerato come un semplice diritto alla sopravvivenza.

Pertanto, fin dall'istante in cui è chiamato alla vita, come ogni persona, l'handicappato (o il disadattato) ha diritto a vivere se­condo la sua dignità di essere umano. Ha cioè il diritto al pieno sviluppo delle sue capacità che sono un tutt'uno con la sua per­sona e, di conseguenza, al proprio sviluppo sul piano fisico, psi­chico, intellettuale, familiare, morale, sociale e spirituale.

 

2.2. Riferimenti

Questo principio viene sempre più affermato come lo dimostrano le norme fondamentali contenute nella Costituzione Italiana, le Di­chiarazioni Universali dei Diritti dell'Uomo e del Fanciullo, la Carta Sociale Europea, la Raccomandazione n. 99 del B.I.T., le con­clusioni del Congresso Mondiale sui Diritti del Fanciullo (Bei­ruth, 16-23 aprile 1963) e della Conferenza su «L'integrazione so­ciale, professionale e ecclesiale dell'insufficiente mentale» (Roma 30 gennaio - 1° febbraio 1965), di cui gli allegati 1, 2 e 3.

 

2.2.1. Costituzione Italiana

In particolare la Costituzione italiana afferma fra l'altro:

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uo­mo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di re­ligione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'ugua­glianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'orga­nizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4 - 1° comma

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Art. 31

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose.

Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli isti­tuti necessari a tale scopo.

Art. 32 - 1° comma

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'indi­viduo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Art. 34 - 1° e 2° comma

La scuola è aperta a tutti.

L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbli­gatoria e gratuita.

Art. 38 - 1° e 3° comma

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avvia­mento professionale.

 

2.2.2. Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, considerato che è indispensabile che i diritti dell'Uomo siano protetti da norme giuridiche, afferma fra l'altro:

Art. 1

Tutti gli esseri nascono liberi e eguali in dignità e diritti.

Art. 2

Tutti i diritti enunciati nella Dichiarazione spettano ad ogni indi­viduo senza eccezione alcuna.

Art. 16

La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Art. 22

Ogni individuo ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla rea­lizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità.

Art. 26

L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della per­sona umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Art. 29

Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale sol­tanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

 

2.2.3. Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo

La Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, affermato che l'Umanità ha il dovere di dare il meglio di se stessa al fanciullo, precisa fra l'altro:

Principio primo:

A tutti i fanciulli senza eccezione alcuna devono essere ricono­sciuti i diritti enunciati nella Dichiarazione.

Principio secondo:

Il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni in modo di essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spi­rituale e sociale, in condizioni di libertà e dignità.

Principio terzo:

Il fanciullo deve beneficiare della sicurezza sociale.

Principio quarto:

Il fanciullo che si trova in una situazione di handicap fisico, men­tale o sociale, ha diritto a ricevere il trattamento, l'educazione e le cure speciali di cui abbisogna per il suo stato e la sua condizione.

Principio quinto:

Il fanciullo, per lo sviluppo armonico della sua personalità, ha bi­sogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto è pos­sibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in un'atmosfera di affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre. La società e i pubblici po­teri hanno il dovere di aver cura particolare dei fanciulli senza famiglia o di quelli che non hanno mezzi di sussistenza.

Principio sesto:

Il fanciullo ha diritto a un'educazione che contribuisca alla sua cultura generale e gli consenta, in una situazione di eguaglianza, la possibilità di sviluppare il suo giudizio personale e il suo senso di responsabilità morale e sociale, e di divenire un membro utile della società. Il superiore interesse del fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua educazione e del suo orientamento; tale responsabilità incombe in primo luogo ai suoi genitori. Il fanciullo deve avere tutte le possibilità di dedicarsi a giuochi e ad attività ricreative che devono essere orientate a fini educativi; la società e i poteri pubblici devono fare ogni sforzo per favorire la realizzazione di tale diritto.

Principio settimo:

In tutte le circostanze, il fanciullo deve essere fra i primi a ri­cevere protezione e soccorso.

 

2.2.4. Carta Sociale Europa

Le Parti contraenti della Carta Sociale Europa (per l'Italia, legge 3 luglio 1965 n. 929) hanno riconosciuto come obiettivo della po­litica che si impegnano a perseguire con tutti i mezzi la realizza­zione di condizioni atte ad assicurare l'effettivo esercizio, fra l'altro, dei diritti seguenti: diritto al lavoro, diritto dei fanciulli e degli adolescenti ad una particolare protezione, diritto all'orien­tam-ento e alla formazione professionale, diritto alla tutela della salute, diritto alla sicurezza sociale, diritto all'assistenza sociale, diritto all'assistenza medica, diritto delle famiglie a una specifica protezione sociale, giuridica ed economica, diritto della madre e del bambino ad una protezione sociale ed economica e, in parti­colare, diritto delle persone handicappate fisiche o psichiche alla formazione professionale e al riadattamento professionale e so­ciale.

 

2.2.5. Raccomandazione della Con­ferenza Internazionale del Lavoro

La Conferenza Internazionale del Lavoro riunitasi a Ginevra ha adottato il 22 giugno 1955 la raccomandazione N. 99, in cui, pre­cisato che il termine «invalido» designa tutte le persone aventi un handicap fisico o mentale, indica dettagliate ;ed adeguate mi­sure per la preparazione e l'inserimento professionale di questi soggetti (vedasi l'allegato 3).

 

 

3. DIRITTI SPECIFICI

 

3.1. Pari dignità di tutti gli uomini

La pari dignità di tutti gli uomini implica che gli handicappati ed i disadattati sono membri effettivi della società indipendente­mente dalle loro condizioni.

 

3.2. Limitazione dei diritti e valu­tazioni aprioristiche

Ne consegue che non è ammissibile alcuna limitazione dei diritti che spesso si tenta di giustificare su valutazioni aprioristiche delle incapacità del soggetto.

In primo luogo si rileva che nel passato molte categorie di han­dicappati e disadattati erano messi al bando dalla società proprio per questa valutazione aprioristica. Oggi, alcune di esse, sono più o meno felicemente inserite nella società (ad esempio ciechi e illegittimi).

In secondo luogo il continuo progresso scientifico lascia intra­vedere nuove possibilità future di inserimento e alcune iniziative d'avanguardia offrono la dimostrazione pratica dei risultati positivi attualmente raggiungibili (1).

D'altra parte la carenza di strutture e di personale specializzato, l'insufficienza di strumenti diagnostici e rieducativi nonché le difficoltà di valutazione oggettiva delle condizioni e dei bisogni del singolo handicappato e disadattato impongono atteggiamenti di estrema cautela e di grande modestia sui giudizi diagnostici.

 

3.3. Specificazione dei diritti

Mentre alcune tendenze mirano a limitare i diritti degli handicap­pati e dei disadattati, altre correnti, accogliendo i principi enun­ciati al punto 2. e anche sulla base di esperienze concrete, giun­gono ad una specificazione e precisazione dei campi in cui tro­vano la loro applicazione i diritti fondamentali della persona uma­na e cioè:

diritto incondizionato alla vita;

diritto alla vita in famiglia;

diritto alla maturazione personale, educazione, istruzione e rie­ducazione;

diritto alle cure abilitative e riabilitative;

diritto alla preparazione professionale;

diritto a una vita professionale:

diritto a una vita sociale.

 

3.3.1. Presenza positiva degli handi­cappati e dei disadattati

La presenza di handicappati psichici, fisici, sensoriali e di disadat­tati sociali non è soltanto passiva in quanto portatori di diritti, ma è anche una presenza attiva in quanto portano il loro contri­buto specifico alla comunità sia per il loro valore personale, sia per i valori umani, familiari, sociali, morali e spirituali e per gli atteggiamenti positivi che essi suscitano nelle persone prepa­rate.

In questa realtà, il loro diritto alla vita appare in tutto il suo valore positivo, che supera di gran lunga il puro diritto alla sussi­stenza e dimostra l'oggettiva infondatezza della pratica del sem­plice mantenimento in vita degli handicappati e dei disadattati.

 

3.3.2. Pregiudizi condizionanti i di­ritti

Diffuso è il pregiudizio che gli handicappati ed i disadattati siano degli infelici a causa della loro situazione. Questo pregiudizio che deriva da un sentimento pietistico o da un più o meno incon­scio atteggiamento di rifiuto non appare fondato. Infatti la feli­cità o l'infelicità sono determinate sia dal tipo di educazione rice­vuta sia, soprattutto, dall'accettazione o meno dell'ambiente.

Altro pregiudizio è quello di considerare il livello intellettuale come indice dello sviluppo non solo dell'intelligenza ma dell'intera personalità.

Ne consegue anche il pregiudizio di ritenere che lo sviluppo del­la personalità, soprattutto degli handicappati psichici, non possa superare lo stadio infantile.

L'immagine che il soggetto si fa di se stesso e quindi anche il suo comportamento sono condizionati dal riflesso degli atteggia­menti che gli altri hanno nei suoi riguardi, né si dovrebbe igno­rare quello che, alla stessa età, accomuna fanciulli e adulti han­dicappati e fanciulli e adulti normo-intellettivi della stessa età cronologica: i sentimenti, i desideri, gli interessi, le aspirazio­ni (2).

A questa visione più rispettosa della realtà devono ispirarsi sia gli interventi educativi sia gli atteggiamenti della società se non si vuole bloccare lo sviluppo dell'handicappato o del disadattato ad uno stadio inferiore alle sue possibilità.

 

 

4. SIGNIFICATO E RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI GENITORI

 

4.1. Enti ed Associazioni di esperti

Nella situazione attuale è confortante, di frante alla passività ed impreparazione degli organi responsabili, la presenza sempre più numerosa ed attiva di enti ed associazioni di esperti e di persone sensibili al problema.

La loro benemerita attività dovrebbe essere incoraggiata e so­stenuta dai pubblici poteri, che dovrebbero sollecitare il loro in­tervento quando vengono studiate le linee direttive e predisposti i programmi operativi (3).

 

4.2. Associazioni di genitori

La costituzione di varie associazioni di genitori con figli handicap­pati e la presenza di sezioni in tutto il territorio nazionale rap­presentano uno dei fatti più significativi e più meritevoli di at­tenzione.

Anche se le attività prevalenti di queste associazioni sono ri­volte alla giusta rivendicazione dei diritti, il significato più pro­fondo è costituito dalla presa di coscienza di molti genitori nei riguardi delle loro responsabilità affettive ed educative verso i fi­gli handicappati.

 

4.2.1. Categorie di associati

Alcune associazioni hanno fra i loro associati e negli organi di­rettivi persone ed esperti senza familiari handicappati. Questa presenza, che ha riscontro in moltissime associazioni estere, si dimostra molto positiva poiché:

consente l'estensione e l'approfondimento dei problemi;

favorisce la soluzione dei casi personali in programmi globali;

rende solidale un maggior numero di persone;

favorisce il sorgere di un maggior numero di iniziative.

 

4.2.2. Doveri dei pubblici poteri

Tenuto conto della gravità dei problemi e del notevole numero di persone interessate, i pubblici poteri hanno il dovere non solo di sollecitare i pareri delle associazioni di genitori ma anche di in­serirne rappresentanti in tutti gli organismi in cui ciò sia possi­bile.

Oltre tutto l'attiva partecipazione delle associazioni familiari alla cosa pubblica è uno dei postulati fondamentali di un regime de­mocratico.

 

4.2.3. Collegamenti e coordinamenti

Le varie associazioni di esperti e di genitori otterrebbero mag­giori risultati se ricercassero dei collegamenti con enti e asso­ciazioni che si interessano dei problemi sociali, culturali, sinda­cali, ecc. e informassero i mezzi di comunicazione.

Appare inoltre necessario che la loro azione sia coordinata sul piano nazionale e collegata ad organismi similari sul piano in­ternazionale.

 

 

5. ORIENTAMENTI OPERATIVI

 

5.1. Visione globale della persona handicappata o disadattata

Un grave errore che si riscontra è la mancata visione della glo­balità della persona handicappata o disadattata. Infatti il più delle volte gli interventi vengono incentrati solo sull'handicap senza te­ner conto dell'insieme delle componenti personali, familiari e sociali che consentono lo sviluppo della persona umana e il suo inserimento, e che in definitiva contribuiscono in larga misura a risolvere o a compensare l'handicap o il disadattamento.

Sotto questo profilo, tutte le soluzioni che pure si sforzano di rimediare agli handicaps senza tener conto di tutti i fattori perso­nali (specie affettivi), familiari. di integrazione nel contesto so­ciale sono superate.

I risultati non vanno valutati solo in base al superamento o mi­glioramento dell'handicap, ma occorre vedere se i risultati stessi non sono stati ottenuti a spese dello sviluppo affettivo e dell'in­serimento sociale del soggetto.

 

5.2. Minimo di isolamento e mas­simo di socializzazione

Il principio al quale ci si deve sempre ispirare nell'adozione delle soluzioni medico-socio-psico-pedagogiche e di altra natura è quello del MINIMO DI ISOLAMENTO E MASSIMO DI SOCIALIZZAZIONE.

La separazione dall'ambiente familiare e sociale viene spesso giustificata dalla necessità di interventi specializzati. Ma proprio la visione globale della personalità degli handicappati e disadat­tati deve indurre a compiere ogni sforzo per conciliare le esigenze della specializzazione e della socializzazione.

Gli handicappati ed i disadattati (minori e adulti) non devono essere sottratti alle cure e all'azione stimolante della famiglia quand'essa è idonea o quando un'azione di sostegno o di aiuto può renderla tale.

Se la separazione è indispensabile, occorre ricercare adeguate soluzioni familiari quali l'affidamento familiare a parenti o a fa­miglie educative. L'estrema soluzione è rappresentata dall'affida­mento ad istituzioni specializzate e organizzate a nuclei familiari.

La separazione dalla famiglia comporta anche l'isolamento dal contesto sociale nel quale gli handicappati ed i disadattati do­vranno inserirsi in seguito.

E' assurdo ritenere che la separazione dalla famiglia e dal contesto sociale, specie nel periodo evolutivo, possa favorire sia la maturazione personale sia il futuro inserimento familiare e sociale Essi si ottengono solo con un'azione precoce e continua di contatti e rapporti con l'ambiente reale.

D'altra parte la sostituzione dei ruoli parentali non rappresenta solo un danno per il soggetto ma costituisce anche una colpevole deresponsabilizzazione dei genitori e un ingiustificato onere finan­ziario per la comunità.

Infine si sottolinea che le nefaste conseguenze della carenza di cure familiari si ripercuotono sugli handicappati ed i disadattati in misura ancora maggiore che nei normo-intellettivi, dovendo i primi subire, purtroppo, anche le continue frustrazioni loro pro­vocate dalla impreparazione dell'ambiente.

 

5.3. Necessità di distinguere fra insufficienza dell'intelligenza e malattia mentale e conse­guenze

«Questi fanciulli sono sovente completamente isolati dagli altri, e talora anche separati totalmente o in parte dai loro genitori, e persino impediti di avere liberi contatti con i membri della col­lettività. Così pure i soggetti che presentano forme più gravi di insufficienza dell'intelligenza ancora oggi sono qualificati come de­ficienti mentali e considerati come dei malati, come dei soggetti che presentano delle alterazioni mentali. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, la loro inferiorità intellettuale non può es­sere attribuita ad alcuna lesione fisica o fisiologica, e, allo stato attuale delle nostre conoscenze, bisogna considerarli semplice­mente come dei soggetti che si allontanano dal livello attitudi­nale medio all'incirca come lo sono, in senso inverso, i soggetti superdotati: in altre parole si tratta di insufficienti e non di ma­lati. Benché una tale distinzione possa sembrare d'ordine pura­mente terminologico, essa presenta una grande importanza sul modo che conviene adottare per il trattamento degli interessati. La parola stessa di «deficienza» sembra implicare la necessità di cure mediche. Ora, nella maggior parte dei casi, il mezzo mi­gliore di aiutare questi fanciulli a svilupparsi consiste nel dare loro un'educazione speciale, adeguatamente concepita, e a fornire un aiuto razionale alle loro famiglie sul piano sociale e psico­logico» (Da W.D. Wall. Education et santé mentale - UNESCO, 1959, pagg. 247 e 248).

 

5.4. Disadattamenti d'origine so­ciale

Molte ricerche confermano che condizioni socio-economiche, so­cio-culturali e igienico-sanitarie sfavorevoli (zone depresse, rioni popolari non integrati, baraccati, immigrati, profughi ecc.) sono la fonte di numerosi disadattamenti e di alcune forme di handicaps.

Molti casi di ritardi intellettivi, che spesso giungono ad avere conseguenze analoghe all'insufficienza dell'intelligenza, sono do­vuti a queste condizioni.

In questi casi l'azione sociale non può limitarsi a provvedere ai soggetti colpiti, ma deve intervenire per rimuover-- le cause del disadattamento al fine soprattutto di prevenire ulteriori vit­time.

I pubblici poteri hanno il dovere, nell'elaborazione degli inter­venti sociali, di dare priorità assoluta alla rimozione delle condi­zioni disadattanti e di impostare le nuove iniziative (costruzione di case popolari, redazione di piani urbanistici, nuovi insediamenti industriali, ecc.) tenendo conto in primo luogo delle esigenze della persona umana e della famiglia.

 

5.5. Distribuzione equilibrata de­gli handicappati

Il numero degli handicappati è distribuito all'incirca in modo uni­forme nella popolazione.

Esiste dunque un equilibrio fra il numero degli handicappati ed il resto della popolazione.

Come confermano anche esperienze straniere, la comunità, se idoneamente informata, non solo accetta ed integra gli handicap­pati nella loro proporzione naturale, ma anche ne ricava una ma­turazione morale e sociale.

Occorre dunque non alterare questa distribuzione equilibrata.

L'insieme delle istituzioni, nel numero e nelle categorie dei soggetti da accogliere e nella dislocazione territoriale, deve at­tenersi a questo essenziale principio.

 

5.6. Azione informativa ed edu­cativa

Poiché la famiglia come ambiente educativo ed affettivo è una delle componenti fondamentali e insostituibili per la maturazione del soggetto e per l'armoniosa convivenza sociale, ogni sforzo deve essere compiuto per informare e responsabilizzare le fa­miglie interessate e tutta la comunità affinché vengano predispo­sti interventi idonei e tempestivi.

 

5.7. Integrazione

Da quanto sopra esposto si può trarre la seguente conclusione: la comunità per il benessere suo e dei suoi singoli membri, ed an­che sotto il profilo della convenienza economica, deve integrare tutte le persone che ne fanno parte indipendentemente dal fatto che esse siano o no handicappate o disadattate.

 

5.7.1. Posizione sociale degli han­dicappati

Gli handicappati non devono essere trattati come una categoria a sé, con la conseguenza di avere dei privilegi (pensioni di invali­dità anche alle persone che possono esercitare un'attività lavora­tiva, laboratori protetti per coloro che possono lavorare nelle a­ziende comuni, facilitazioni di viaggio, pacchi dono, partecipazione gratuita a spettacoli, elargizioni varie ecc.) e nello stesso tempo di essere esclusi da un effettivo inserimento nella comunità.

 

5.7.2. Conseguenze positive della presenza degli handicappati e dei disadattati

Come si è più volte accennato in precedenza, la presenza degli handicappati e di disadattati è un elemento altamente positivo per la comunità e per i suoi singoli membri. La loro presenza in­fatti porta la comunità ed i suoi singoli membri a scoprire fon­damentali valori umani e sociali.

La presenza e lo studio degli handicappati e dei disadattati ha portato, ad esempio, molti cultori di scienze umane e sociali a individuare metodi e strumenti utili per l'intera comunità soprat­tutto nella prevenzione degli handicaps e dei disadattamenti. (4)

 

5.7.3. Aspetti economici

Molti ritengono che il ricovero in istituto a carattere di internato (che spesso dura tutta la vita dell'handicappato e del disadattato) costituisca la soluzione più economica per la collettività.

Sotto il profilo economico-produttivo occorre valutare non solo la retta versata agli istituti ricoveranti, ma anche la somma immo­bilizzata per la loro costruzione, le spese sostenute dalle ammi­nistrazioni pubbliche che provvedano al ricovero, e quelle a ca­rico degli organi di vigilanza e di controllo ecc.

L'ente erogatore non deve limitarsi a considerare la spesa che annualmente sostiene per il ricovero, ma occorre che tenga conto sia delle spese che verranno sostenute in tutto il periodo di ri­covero sia degli oneri finanziari derivanti dal mancato in­serimento socio-lavorativo delle persone istituzionalizzate.

Ad esempio, spesso avviene che l'insufficiente dell'intelligen­za venga istituzionalizzato nei primi anni di vita e che al raggiun­gimento di una certa età sia necessario, proprio per l'inidoneità della scelta assistenziale, il suo ricovero (per lo più definitivo) in ospedale psichiatrico.

Il semplice rapporto spese-assistiti non ha nessun significato sotto il profilo economico. La valutazione delle spese assisten­ziali deve essere raffrontata al numero delle persone recuperate e inserite nella comunità. (5)

 

5.7.4. Investimenti produttivi

Questa impostazione fa apparire discutibile, se non superata, la collocazione delle spese a carattere sociale fra i costi non pro­duttivi, quasi che la promozione umana e sociale delle persone non fosse anche un investimento produttivo.

a) «A questo riguardo il dato seguente è molto significativo: facen­do un calcolo su di un periodo di vita di 45 anni, un handicappato, ricoverato in internato per tutta la vita, viene a costare da 350.000 a 400.000 franchi svizzeri (corrispondenti a Lire 50-58 milioni), senza alcuna controprestazione; a queste spese si devono aggiun­gere quelle per trattamenti particolari» (6).

b) «Anche la parziale rieducazione motoria di una mano di un han­dicappato gravissimo, impossibilitato a camminare, sarà pur sem­pre un investimento economico, in quanto consente la diminu­zione delle spese relative alle cure infermieristiche. Si è speri­mentato di far acquisire ad insufficienti mentali gravissimi una capacità elementare, la capacità cioè di mangiare da soli. Pren­dendo come base la durata media della vita, un tale progresso consente di realizzare un risparmio di franchi svizzeri 115.000 (corrispondenti a L. 16.500.000) per handicappato, poiché per­mette di eliminare l'intervento di un'aiuto-infermiera per due ore al giorno. Se noi mettiamo l'accento sul fattore economico piutto­sto che sull'aspetto etico e morale, ciò è dovuto al fatto che molto spesso le esigenze degli handicappati sono respinte con il pre­testo delle spese, delle priorità o della convenienza». (7)

 

 

6. INIDONEITA' ED INSUFFICIENZE DELLE PROPOSTE DI LEGGE PRESENTATE NELLA IV E V LEGISLATURA

 

6.1. Proposte di legge presentate

In questa quinta legislatura sono state presentate finora due pro­poste di legge sugli handicappati:

Dal Canton e altri, N. 1 Senato della Repubblica, depositata il 5 luglio 1968 «Riabilitazione dei soggetti in età evolutiva che pre­sentano irregolarità psichiche»;

Petrini Cattaneo e altri N. 129 Camera dei Deputati, depositata il 5 luglio 1968 «Istituzione di classi e scuole speciali, di laboratori protetti e centri occupazionali».

E' stato inoltre presentato dal Governo il disegno di legge N. 284, Senato della Repubblica «Protezione dei minorenni, prevenzione e trattamento della delinquenza minorile».

Nella scorsa legislatura, oltre alla proposta Dal Canton, erano state presentate le seguenti:

a) Picardo. N. 1394, Senato della Repubblica, depositata il 15 ottobre 1965 «Riabilitazione dei soggetti in età evolutiva che presentino irregolarità dell'apparato visivo»;

b) Ferrari e altri, N. 2495, Camera dei Deputati, depositata il 2 lu­glio 1965 «Scuole speciali per minorati e inserimento degli ado­lescenti minorati nella vita sociale e nelle forze del lavoro»;

c) Balconi e altri, N. 2185, Camera dei Deputati, depositata il 13 marzo 1965 «Tutela della salute mentale ed assistenza psichia­trica»;

d) Balconi e altri, N. 3762, Camera dei Deputati, depositata il 2 feb­braio 1967: «Istituzioni di classi e scuole speciali statali, di isti­tuti speciali e laboratori protetti e di scuole di specializzazione per il personale addetto»;

e) Sempre nella scorsa legislatura, il Ministero della Sanità aveva redatto lo schema di disegno di legge «Assistenza e riabilitazio­ne degli irregolari psichici in età evolutiva e l'igiene mentale infantile», non presentato al Parlamento.

 

6.2. Esame critico delle proposte di legge presentate nella IV e V legislatura

Le proposte presentate nella scorsa legislatura decaddero senza essere state discusse.

Tutte le proposte di legge presentate nella IV e V legislatura difettano a nostro avviso per i seguenti principali motivi:

a) Affrontano il problema in modo settoriale senza una visione gene­rale dell'assistenza e partono dall'astratto presupposto di poter includere in ben definite e prefissate categorie gli insufficienti mentali o gli handicappati della vista od i disadattati sociali e non tengono conto del fatto che molte sono le persone che presentano contemporaneamente handicaps psichici, fisici, sensoriali e disa­dattamenti.

Inoltre le suddette proposte di legge non tengono conto del nu­mero (imponente) dei casi limite.

b) Il problema dell'assistenza «nella» e «alla» famiglia non è nep­pure preso in considerazione, nonostante che la scienza e l'espe­rienza insegnino che i disadattati e gli handicappati (gravi o lievi, minori o adulti) devono, per quanto possibile, essere assistiti in famiglia (d'origine, adottive o affidatarie). Naturalmente occorre predisporre gli opportuni interventi affinché l'inserimento fami­liare possa essere attuato.

c) Secondo alcune proposte (Ministero della Sanità, Dal Canton, Picardo) ogni prestazione verrebbe a cessare al 21° anno di età e cioè proprio quando maggiore è il bisogno dei soggetti sia per il loro inserimento socio-lavorativo; sia per le diminuite possibilità di sostegno della famiglia (anzianità dei genitori, maggiori proba­bilità di diventare orfani, ecc.).

d) Alcune proposte (Ministero della Sanità, Balconi, Picardo) pren­dono in esame quasi esclusivamente l'aspetto sanitario, men­tre, com'è noto, tale aspetto, anche se di particolare importanza, non esaurisce le prestazioni necessarie per l'inserimento fami­liare, sociale e lavorativo degli handicappati e disadattati.

e) Tutte le proposte prevedono in prevalenza la creazione di istitu­zioni speciali autonome, come se il contatto fra handicappati e non handicappati fosse pregiudizievole, mentre invece riteniamo questi contatti formativi, non solo per i minori handicappati, ma anche, se non soprattutto, per i minori non handicappati che po­tranno conseguire una piena formazione civile e morale.

f) Le proposte presentate nella scorsa e nella presente legislatura non tengono conto della possibilità di inserimento nel lavoro nor­male, con normale rendimento, degli insufficienti dell'intelligenza.

Nessuna misura è inoltre prevista per- attuare l'inserimento de­gli handicappati fisici, psichici e sensoriali nel lavoro con salario integrato dallo Stato.

g) Inoltre, e questo ci pare l'aspetto più preoccupante, le proposte di legge sopra indicate non hanno previsto una organizzazione dell'assistenza sociale che sia in grado non solo di soddisfare, in un primo tempo, I,e esigenze di inserimento di tutte le categorie di handicappati e di disadattati di qualsiasi età essi siano, ma che sia idonea ad essere inserita, in un secondo momento, nella ormai urgente riforma generale del settore assistenziale.

Infatti, poiché è praticamente impossibile una distinzione fra normalità e subnormalità nei casi limite (il cui numero è supe­riore a quello degli insufficienti mentali gravi, medi o lievi), poi­ché una grandissima e progressiva percentuale di disadattati è prodotta da cause ambientali e quindi alcuni soggetti rientrano nella normalità quando le cause stesse vengono eliminate) e poi­ché, infine, l'assistenza ai normali compete ad un numero vastis­simo di enti, è facile prevedere quanti conflitti di competenza avverranno, se non si prevede un'unica organizzazione assisten­ziale.

Vi è anche da osservare che uno sviluppo delle istituzioni di assistenza agli insufficienti dell'intelligenza non accompagnata da un analogo sviluppo dei servizi per normo-intellettivi, indurrebbe l'operatore sociale ad abbassare il livello del quoziente intellet­tivo, come avviene purtroppo già oggi, per fare beneficiare al mi­nore del solo servizio esistente (8).

 

 

7. PUNTI BASE DELLA PROPOSTA DI LEGGE

 

7.1. Impossibilità di delimitare la insufficienza mentale e il di­sadattamento

Come ha magistralmente rilevato il Prof. Lafon in un suo recente articolo (la traduzione è riportata nell'allegato n. 4) non solo è impossibile tracciare una linea di demarcazione fra insufficienza mentale e normalità intellettiva (lo stesso dicasi per il limite fra disadattamento e non disadattamento ma l'area degli handicap­pati psichici (e dei disadattati in genere) si è ampliata e si am­plia in conseguenza della maggiore scolarizzazione richiesta dalla società attuale.

Sono note altresì le influenze dell'ambiente sia sullo sviluppo e sul ritardo intellettuale sia sulle maggiori o minori possibilità di inserimento familiare, sociale e lavorativo.

Ad esempio è ovvio che la società agricola non industrializzata respinge un numero ben minore di insufficienti mentali in con­fronto della società tecnicamente evoluta ma impreparata sul pia­no dei rapporti umani.

Si aggiunga il fatto che, secondo dati riferiti dal Wall (9), gli insufficienti dell'intelligenza gravi, medi e lievi sono complessiva­mente circa il 2,56 per cento sull'insieme della popolazione sco­lastica, mentre i casi limite sono circa il 10 per cento.

Appare pertanto insoluto ed insolubile il problema di attribuire la competenza per questi ultimi soggetti, molti dei quali hanno bisogno di interventi specializzati, o al settore preposto all'assi­stenza dei normo-intellettivi o a quello degli handicappati psichici.

Il problema si complica ulteriormente considerando che vi sono moltissimi insufficienti dell'intelligenza con handicaps fisici, sen­soriali e con disadattamenti, per cui non è possibile includere questi soggetti in una definita categoria.

A queste difficoltà aggiungiamo quelle dovute alla caotica ri­partizione (vigente nel nostro paese) delle competenze assisten­ziali attribuite in base ad astratte categorie (nati fuori del matri­monio, legittimi, trenta categorie di orfani, ecc.).

Per cui abbiamo tratto il convincimento che la creazione di un settore a sé stante preposto all'assistenza degli insufficienti dell'intelligenza porterebbe un vantaggio (iniziale ma non a lungo termine) agli insufficienti mentali gravi, medi e lievi, ma danneg­gerebbe i casi limite il cui numero è quattro volte superiore ai sog­getti sopra indicati.

 

72. Urgenza degli interventi

Ciò considerato, riteniamo però che il problema dell'inserimento familiare, sociale e lavorativo degli handicappati e disadattati non possa essere ulteriormente dilazionato. Le gravissime conse­guenze per migliaia di persone, dovute al ritardo finora accumu­lato senza alcuna ragione valida, non permette ulteriori indugi.

 

7.3. Inquadramento degli interven­ti per handicappati e disa­dattati nella ristrutturazione generale del settore assisten­ziale

Occorre a nostro avviso che gli interventi per gli handicappati e per i disadattati siano diretti effettivamente al loro inserimento sociale. L'esperienza infatti ci insegna tra l'altro che chi trascorre tutto il suo periodo formativo in una falsa realtà quali sono gli istituti, pur lussuosi e di recente costruzione e con personale altamente specializzato, avrà enormi difficoltà - il più sovente insuperabili - a reinserirsi nella comunità dalla quale è stato allontanato.

Al fine di raggiungere un effettivo inserimento degli handicap­pati e dei disadattati e di superare obiettive difficoltà di indivi­duare gli handicappati e i non handicappati, i disadattati e i non disadattati, proponiamo una struttura organizzativa che provveda, in un primo tempo, agli handicappati ed ai disadattati, ma che possa essere estesa, in un secondo tempo, senza subire modifi­che, a tutti gli aventi diritto all'assistenza (anziani, minori privi di assistenza ecc.).

 

7.3.1. Ristrutturazione generale dell'assistenza

L'organizzazione generale dell'assistenza sociale dovrebbe a no­stro avviso essere la seguente (10):

a) Le competenze centrali dell'assistenza sociale dovrebbero essere concentrate in un unico Ministero, tramite l'assorbi mento di tutte le competenze facenti capo attualmente alla Presidenza del Con­siglio dei Ministri, ai vari Ministeri e agli enti pubblici a carat­tere nazionale.

Al Ministero dell'assistenza sociale non dovrebbero essere af­fidate competenze operative, salvo gli interventi concernenti l'as­sistenza agli italiani all'estero. Il Ministero della assistenza so­ciale dovrebbe essere soltanto l'organo programmatico e diret­tivo dell'assistenza sociale, e gli interventi operativi dovrebbero essere affidati ai comuni ed ai consorzi fra comuni. Al Ministero dell'assistenza sociale dovrebbero essere attribuite le seguenti competenze generali:

assicurane l'indirizzo unitario dell'assistenza sociale;

promuovere inchieste e ricerche per accertare i bisogni e le cause relative;

amministrare i fondi stanziati nel bilancio dello Stato per l'assi­stenza sociale e curarne l'assegnazione, fino alla riforma della finanza locale, ai comuni;

esercitare il controllo sugli enti gestori dell'assistenza sociale;

definire gli «standards» assistenziali minimi ai quali devono at­tenersi gli enti gestori;

provvedere all'assistenza sociale dei cittadini italiani emigrati all'estero.

b) Alle Regioni dovrebbe essere attribuita la competenza a legife­rare in materia di assistenza sociale nell'ambito della legge-qua­dro dello Stato, ad emanare il regolamento di attuazione della legge quadro, a stabilire «standards» assistenziali minimi più favorevoli per i cittadini.

Dovrebbe essere vietata alle Regioni la facoltà di creare enti assistenziali.

Non dovrebbe essere attribuita alle Regioni la potestà di eser­citare funzioni operative.

Alle Regioni dovrebbero essere infine affidati compiti di ricerca dei bisogni e delle cause relative, di formazione ed aggiornamento del personale.

c) Alle Province dovrebbero essere affidati compiti di assistenza tecnica ai comuni ed ai consorzi fra comuni. Nel caso di soppres­sione delle Province, questi compiti potrebbero essere affidati alle Regioni.

d) I Comuni, in quanto organi a più diretto contatto con i cittadini, dovrebbero provvedere in via esclusiva alla prestazioni economi­che temporanee; dovrebbero inoltre gestire i servizi di assistenza con propri mezzi finanziari e con quelli forniti dal Ministero dell'assistenza sociale e dalle Regioni.

Poiché l'ampiezza demografica dei comuni presenta una gamma estremamente variabile (ad esempio, secondo il censimento ge­nerale del 1961, su 8035 comuni, 4598 avevano meno di 3000 abi­tanti), si ritiene necessario che i Comuni piccoli consorzino i loro servizi. Si ritiene altresì necessaria la ripartizione territoriale dei servizi dei grandi Comuni.

e) Le prestazioni, escluse quelle economiche di spettanza esclusiva dei Comuni, dovrebbero poter essere erogate sia direttamente dai Comuni o dai consorzi fra Comuni, sia tramite istituzioni di ini­ziativa privata.

f) Si ritiene inoltre necessaria una netta separazione fra le attività di assistenza sociale (a cui le persone hanno diritto) e le attività di beneficenza (volontarie). Queste ultime dovrebbero essere li­bere e dovrebbe essere vietata l'erogazione da parte dello Stato e degli organi della pubblica amministrazione di qualsiasi somma agli enti o persone che svolgono attività benefiche.

 

7.4. Struttura dei Servizi sociali

I servizi sociali di cui all'articolo 31 sono stati concepiti come l'or­gano tecnico con cui i comuni e i consorzi fra comuni provvedono a tutte le erogazioni assistenziali di competenza.

Mentre in altre leggi si prende tale e quale la struttura attuale dei centri medico-psico-pedagogici e si fa di questi l'organo non solo di diagnosi e di trattamento, ma anche l'organo propulsore dell'assistenza agli handicappati ed ai disadattati, noi invece rite­niamo che la struttura attuale dei centri medico-psico-pedagocici non sia idonea a rispondere a tutti i bisogni.

I centri medico-psico-pedagogici devono essere pertanto inse­riti nel contesto più ampio dei servizi sociali che, come risulta della presente proposta di legge, devono provvedere alla preven­zione, diagnosi e trattamenti ai vari livelli.

 

7.5. Funzioni operative ai comuni ed ai consorzi fra comuni

Le funzioni operative sono state affidate ai servizi comunali o consortili, piuttosto che alle province come altri propongono, per i seguenti principali motivi:

a) il legislatore ha conferito recentemente ai comuni ed ai consorzi fra comuni (D.P.R. 22 dicembre 1967 n. 1518 «Regolamento dei servizi di medicina scolastica») rilevanti compiti in merito al re­perimento, diagnosi e trattamento degli handicappati e dei di­sadattati;

b) i comuni devono provvedere in base alle norme vigenti all'assi­stenza degli inabili e degli anziani;

c) su base comunale agiscono attualmente gli enti comunali di as­sistenza, i patronati scolastici, i comitati comunali dell'O.N.M.I.;

d) alcuni comuni provvedono da tempo all'assistenza degli handi­cappati e dei disadattati.

e) le province che provvedono all'assistenza degli handicappati stanno decentrando i servizi su basi comprensoriali.

Si rileva inoltre che su base comunale o consortile l'assistenza tiene conto della situazione ambientale, è più vicina ai soggetti, offre maggiori possibilità di azione preventiva e di reperimento, e di interventi tempestivi. Può essere meglio controllata dai cittadini che possono far valere le loro istanze in modo più diretto ed immediato.

Infine, solo su base comunale o consortile si possono attuare interventi che coprano tutta l'area dei bisogni superando, fra l'al­tro, ogni conflitto di competenza.

 

 

8. APPELLO AI PARLAMENTARI E AL GOVERNO

 

La presentazione di questa proposta con iniziativa popolare rap­presenta un notevole sforzo per la raccolta delle 50.000 firme, sforzo tanto più gravoso in quanto l'iniziativa non è l'espressione di un gruppo politicamente o sindacalmente organizzato, ma ma­nifestazione volontaristica.

Confidiamo che il Parlamento e il Governo terranno conto della volontà popolare che esprime non soltanto un'esigenza di giusti­zia nei riguardi degli handicappati e dei disadattati, ma si fa por­tavoce di quelle categorie (ad esempio circa un milione di in­sufficienti mentali) che non sono in grado di richiedere diretta­mente il riconoscimento dei loro diritti.

Confidiamo soprattutto che le esigenze vitali di centinaia di mi­gliaia di persone e delle loro famiglie non continuino ad essere trascurate con il pretesto della carenza di mezzi finanziari; come abbiamo indicato, le spese per gli interventi proposti risultano es­sere investimenti anche economicamente produttivi.

 

 

(1) Vedansi, ad esempio, le realizzazioni dello «Institut medico-professionel de l'Oeuvre laique de perfectionnement professionnel du Rhône» - 280 Avenue Jaures-Lyon e del «Kinderheim Schürmatt» Zetzewil, Aarau (Svizzera). Vedi «Prospettive assistenziali» n. 2 del 1968 p. 3 e questo numero, p. 106.

(2) Cfr. Programmi e metodi di insegnamento nelle classi di perfezionamento francesi (Decreto del 12 agosto 1964) e R. Frau, B. Andrey, J. Le Mon, e H. Dehaudt, Psicothérapie des débiles mentaux, P.U.F., Paris, 1966, pag. 10 e segg.

(3) Vedasi il Rapporto redatto nel settembre 1966 dalla Federazione svizzera delle Associazioni di Famiglie di ragazzi mentalmente insufficienti su richie­sta delle autorità federali svizzere: «Elements d'un programme en faveur des handicapés mentaux».

(4) Gli studi del Bowlby sulle conseguenze delle carenze di cure materne han­no portato ad un miglioramento dei sistemi assistenziali e alla positiva evo­luzione della legislazione in materia di adozione. Nello stesso tempo questi studi hanno messo nella giusta luce il valore educativo e formativo della fa­miglia (d'origine o adottiva) incidendo nei rapporti fra genitori e figli.

(5) A chiarimento (anche se il raffronto è solo indicativo), si osserva che le aziende industriali calcolano il costo economico-produttivo non sul totale della produzione, ma solo su quella tecnicamente riuscita e funzionale.

Il costo economico produttivo dell'assistenza agli handicappati ed ai disadat­tati non è rappresentato dal totale delle spese sostenute, ma deve essere cal­colato in base alle persone socialmente inserite. Gli enti non devono quindi prevedere delle spese, ma dei costi produttivi.

(6) Da FEDERATION SUISSE DES ASSOCIATIONS DE PARENTS D'ENFANTS MEN­TALEMENT HANDICAPES, Cahier de documentation. Septembre 1966, p. 6.

(7) Ibidem, p. 11.

(8) Presso gli ospedali psichiatrici di Torino sono ricoverate 1800 persone (su un totale li 4.600) che «non sono malate di niente» che non vengono dimesse per mancanza di altre strutture (gerontocomi, ecc.). Dichiarazione dell'Avv. Gianni Oberto, Presidente della Provincia di Torino, in «La Stampa» del 30 gen­naio 1969.

(9) Vedasi il punto 1.2.

(10) Vedansi gli atti del convegno sulla riforma dell'Assistenza, tenutosi a To­rino il 21 novembre 1968, organizzato dal Centro Studi e Documentazione di Torino e dall'Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore.

 

www.fondazionepromozionesociale.it