Prospettive
assistenziali, n. 7, luglio-settembre 1969
STUDI
COMPETENZE
IN MATERIA DI RIEDUCAZIONE MINORILE
Il disadattamento, sulle cui
caratteristiche psicologiche si sofferma un altro articolo di questo numero,
consiste essenzialmente in una difficoltà nel rapporto tra la persona e la
realtà che la circonda: difficoltà, appunto, per il soggetto, di partecipare, inserendovisi felicemente, alla vita della società. Come
tale, esso riguarda sia l'adulto che il minore: ma è
durante l'età giovanile che se ne formano più spesso i presupposti e ne
agiscono le cause profonde. Va detto subito che, in questo come in altri fenomeni
patologici, oltre all'azione curativa, e prima e più di essa,
può valere quella preventiva: nel nostro caso, insieme con una più ampia e
generica opera di risanamento sociale ed educativo, dovrebbe essere presente
una specifica capillare attività pubblica di prevenzione che, nella realtà,
manca quasi del tutto. Sono previsti, invece, numerosi interventi
quando il disadattamento sia già manifesto. Quando si tratti
di minori, la decisione delle misure da prendere è affidata unitariamente ad
un giudice specializzato, il Tribunale per i minorenni. L'intervento di un
organo giudiziario in questa attività è determinato
soprattutto dalla considerazione che occorre garantire i diritti soggettivi
della persona, nei casi in cui siano necessari provvedimenti limitativi.
D'altra parte, la specializzazione dell'organo consente, o dovrebbe consentire,
una adeguata preparazione tecnica e una sensibilità particolare in coloro cui le decisioni sono rimesse.
Il Tribunale per i minorenni,
dunque, quando un giovane che non abbia più di 18 anni
(1) dia segni di disordine nel comportamento, può intervenire in modi diversi,
a seconda della gravità di questi segni e perciò delle necessità del minore.
L'esistenza di un reato non è presupposto indispensabile, contrariamente a
quanto spesso si crede, di questo intervento. In
materia di disadattamento il reato può essere, e non è necessariamente, un
segno rivelatore e come tale soltanto determina l'assunzione di misure correttive. Queste ultime, secondo una suddivisione
corrente, possono essere «in libertà» o «in internato»: la scelta tra le due
soluzioni deve fondarsi sui bisogni del minore, potendo essere utile di fronte
a difficoltà familiari gravi, un ricovero in istituto per un ragazzo che abbia dato modesti segni di irregolarità e d'altra parte
potendo giovare una libertà assistita a chi, pur avendo commesso più pesanti
azioni, possa inserirsi meglio nella società vivendo nella propria casa,
opportunamente seguito.
La legge stabilisce che il minore
irregolare per condotta e per carattere può essere affidato al Servizio
Sociale minorile o collocato in casa di rieducazione o in istituto medico psicopedagogico. Alle stesse misure può essere sottoposto
quello che abbia avuto il perdono giudiziale o la
sospensione condizionale, sempre che abbia necessità di trattamento rieducativo. E' possibile l'intervento anche quando la condotta
dei familiari sia pregiudizievole al minore, pur se
egli non abbia ancora mostrato di risentirne con irregolarità di comportamento.
Ricordiamo che in materia penale la competenza del Tribunale per i minorenni
sussiste per i reati commessi dal giovane che abbia
superato i 14 anni, ma non i diciotto. Le misure rieducative,
«amministrative» connesse non con il procedimento penale, devono essere assunte
prima dei 18 anni di età, potendo durare fino al 21°. Al di là di una troppo analitica esposizione delle norme che
regolano la materia, si può dire che esiste la possibilità di provvedere,
quando il minore ne abbia bisogno, con sufficiente elasticità e libertà di
valutazione nel momento di scegliere la forma e il contenuto dell'intervento.
Il minore, in attesa di provvedimento dell'autorità
giudiziaria, può essere accolto negli istituti di osservazione, dove la sua personalità
viene esaminata in vista del trattamento più adatto; una volta compiuta la
scelta, la casa di rieducazione o, se vi sia deficit mentale, l'istituto medico-psico-pedagogico, hanno il compito di attuarla:
affidati, invece, se più opportuno, al Servizio Sociale minorile, i ragazzi
vengono seguiti restando a casa o, se occorre, ospitati nei focolari di
semi-libertà (che ricalcano l'organizzazione e l'ambiente familiare) o nei
pensionati giovanili dove si respira, rispetto alle case di rieducazione,
maggiore libertà; già rieducato, infine, il minore, se non può essere
adeguatamente accolto in famiglia o altrove, può rimanere nel pensionato.
Socialmente pericoloso, lo aspetta
il riformatorio giudiziario; condannato alla reclusione o all'arresto, andrà
alla prigione scuola, e non al carcere, per essere istruito e rieducato.
Da questo quadro, per quanto
approssimativo, vien fuori una certa ricchezza di
soluzioni per il minore bisognoso di aiuto e di cure. Ma, di fronte alla varia nomenclatura, sta una ben diversa e
piatta realtà. Se non si può negare che le norme giuridiche, e in parte il
funzionamento concreto del sistema, hanno attenuato il loro tradizionale
carattere repressivo, occorre anche dire, con la fermezza che la situazione
richiede, che al momento di decidere ci si trova di fronte una sola apparente alternativa tra luoghi in realtà egualmente squallidi e
tristi, del tutto impari al compito loro spettante per legge e per urgente
necessità.
Il Servizio Sociale, cui spetta di
svolgere le indagini sull'ambiente di vita dei ragazzi e di seguirli
individualmente durante il trattamento, è l'ombra di ciò che dovrebbe essere
per mancanza di organico, di mezzi, di organizzazione;
i riformatori e le case di rieducazione, distinti nel nome, sono frequentemente
uniti nello squallore degli edifici, nell'insufficienza, quantitativa e
qualitativa, del personale, nell'inettitudine al compito rieducativo,
spesso tradito da un risultato di fatto opposto per la miseria della sistemazione
e la mancanza delle stesse condizioni fisiche ed igieniche primarie e
antecedenti all'opera rieducativa.
Focolari e pensionati sono in numero
del tutto insufficiente, e non tutti quelli esistenti
danno affidamento. Gli istituti di osservazione sono
in condizioni talora penose; valga per tutti l'esempio di quello torinese,
sordido e malsano, chiuso con un atto coraggioso. Gli istituti medico-psico-pedagogici mancano
quasi del tutto.
Che cosa resta della scelta che la
legge conferisce al Tribunale per i minorenni nel momento di dare al minore la
giusta prescrizione? La finzione di chi vuole credere e far credere
che le cose stiano come la legge le vorrebbe; o la desolazione di chi, rendendosi
conto della realtà, si rifiuta di prendere un provvedimento inutile e dannoso.
Proviamo a tirare le fila: l'opera
di prevenzione non esiste, o quasi; la cura è solo apparente, per buona parte,
ed i risultati vengono ogni tanto in luce grazie a qualche inchiesta
spregiudicata; lo stesso responsabile della decisione, il Tribunale per i minorenni, è afflitto dalla mancanza di giudici, dalla loro
insufficiente preparazione nella materia, da spaventosa carenza di mezzi e di
organizzazione. Intanto, il disadattamento, che è sofferenza, spesso lunga e
senza uscita, in termini umani, che è gravissimo danno
per l'intera società, non ha veri rimedi. I fenomeni di emigrazione,
così imponenti verso le città industriali del Nord, lo conoscono in proporzioni
dolorose ed allarmanti: mutamenti d'ambiente sconvolgenti, mancanza di affetto
nella famiglia smarrita, assenza di istruzione, mandano allo sbaraglio i
giovani, esasperandoli contro la società che si chiude dinanzi a loro: ed essi
reagiscono come possono all'immenso sforzo cui li si sottopone. Qui veramente
s'intende che cosa sia il disadattamento, la difficoltà di un
rapporto sia pure critico ma costruttivo tra il minore e l'ambiente in
cui viene trasportato e confuso. Qui ci si rivolta al pensiero che gli
interessi economici cui spesso l'emigrazione, obbedendo, soddisfa, non smuovano anche tutte le iniziative necessarie a prevenire e
curare, incidendo alla radice, le reazioni e le ribellioni (2).
In realtà,
l'intero settore dell'assistenza minorile deve essere riorganizzato; gli
istituti, che operano con i più diversi criteri, vanno ricondotti ad unità; lo
sforzo finanziario, per la ricostruzione materiale e umana, dev'essere
ben maggiore, e maggiore la passione di rinnovamento. E' il caso di pensarci: il potere
elettorale dei minori in difficoltà è scarso, o sembra tale, scarse
sono le loro possibilità di paralizzare con scioperi la vita del paese, minimo
il loro potere economico, debole la loro voce nel generale clamore per un
miglioramento.
Aspettano dunque tutto da noi
adulti, titolari di diritti civili e politici pieni, di una parte di potere:
non hanno, insomma, la forza di ricattarci e dunque aspettano tutto dalla
nostra onestà e da quella dei nostri rappresentanti al
Parlamento e al Governo. Da anni, noi e loro, non facciamo nulla.
Manca un termine per il sillogismo e
non occorre dirlo.
Adriano
Sansa
Giudice del Tribunale per i
minorenni di Torino
(1) Non è però
previsto il limite minimo di età, per cui vi sono nelle case di rieducazione
anche bambini di 6 anni (V. inchiesta Senzani).
(2) Un esempio, tutt'altro che raro: famiglia siciliana, 9 figli, padre
invalido del lavoro, alcoolista, spende per le bevande la pensione; madre
stanca, distrutta dal peso della famiglia e della miseria; entrambi i genitori
semi-analfabeti. Il minore, portato all'attenzione del Tribunale per i
minorenni ha 15 anni, ha frequentato la terza elementare, ripetendola 3 volte.
A 11 anni ha cominciato a rubare. Insieme con i fratelli è abbandonato a se
stesso. Nessun intervento, al paese natale, se non qualche
sgridata. Quand'egli ha 13 anni, e numerosi furti
all'attivo, la famiglia si trasferisce a Torino per far lavorare qualcuno
dei suoi membri. Il minore trasportato nel nuovo ambiente, non sa, perchè non
può, reagire positivamente, e continua a rubare; denunciato, processato, ha
il perdono giudiziale. Ora bisogna dargli quello che non ha mai avuto,
educarlo. Bene: nel momento di decidere, non c'è un luogo a disposizione dove possa andare, per averne un vantaggio. Certo non si può
pensare a un istituto a carattere più o meno
repressivo. E' storia di ogni giorno.
www.fondazionepromozionesociale.it