Prospettive
assistenziali, n. 7, luglio-settembre 1969
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
L'OPINIONE DI UN ADULTO SORDO EDUCATO IN UNA SCUOLA PER SORDI
Si tratta di Pierre GORMAN, di
Melbourne.
Testimonianza pubblicata nel 1955.
La struttura della scuola per sordi
è essenzialmente un settore chiuso con una rigida limitazione del tipo di insegnamento e di educazione.
Gli adulti normali che vivono
maggiormente a contatto con questi bambini sono degli
insegnanti con una formazione professionale specializzata che li prepara a
comprendere, in modo particolare, i bisogni psicologici ed educativi dei loro
allievi sordi.
Si viene così a creare un ambiente
circoscritto e gli insegnanti sono considerati dai loro allievi come persone
normali tipiche, a causa delle limitate possibilità di stabilire contatti
all'esterno, con altri membri della comunità, di cui dispongono.
Gli estranei o i visitatori, che
capitano in queste scuole nel corso del trimestre, possono venire
considerati dal bambino sordo come persone insolite, di tipo sconosciuto,
estranee al loro ambiente.
Questo contatto circoscritto ai loro
insegnanti specializzati (in un ambiente così limitato) può indurli
a credere che le persone esterne alla scuola si comporterebbero con loro come
i loro insegnanti.
I bambini sordi hanno sempre gli
stessi compagni, alle ore dei pasti, a scuola, nei giochi, in luoghi riservati
a loro; tutto ciò non li prepara a vivere con soggetti normali, tanto più che i
loro insegnanti, i quali vivono continuamente accanto ad essi,
tendono a tollerare quelle «anomalie» del comportamento, particolari ai sordi.
Essi giungono a non notarle più, poiché vivono esclusivamente a contatto con
bambini sordi.
L'educazione di bambini sordi dai 2
ai 5 anni d'età in giardini d'infanzia speciali, riservati a loro, non fa che
spingere ancor più il bambino sordo verso un ruolo artificiale, verso una
mentalità particolare, a causa della convivenza con altri bambini affetti dalla
medesima infermità. Sembra che la grande maggioranza
dei sordi provenienti dalle apposite scuole non desiderino parlare:
1) Perchè non sono abituati a
parlare con degli estranei che non hanno avuto occasione di incontrare a
scuola.
2) Perchè scoprono che le persone
estranee alla loro scuola non li comprendono.
3) Perchè provano uno
choc emotivo alla scoperta che, malgrado i loro sforzi, non vengono compresi.
Il sordo che proviene da un
internato specializzato ha dunque due sole
alternative:
1) Vivere con altri sordi.
2) Vivere presso
le persone normali come un estraneo incompreso per tutta la vita.
Il sordo che lascia la scuola per sordi ha avuto pochissime esperienze reali della varietà di
reazioni possibili da parte di persone normali e tanto meno consigli pratici
sul modo di fronteggiarle. Tutto ciò lo conduce inevitabilmente a ripiegarsi
gradualmente su se stesso e ad appartarsi dagli udenti.
Da: M. Charpentier, L'épanouissement
de l'enfant sourd en scolarité normale, Les Éditions Sociales Françaises,
Paris, 1966, pp. 153-155.
(...) Oggi, per le istituzioni
assistenziali ed educative ecclesiastiche, non è facile mantenere in perfetta
efficienza gli istituti. Non è più tempo in cui possa
bastare il pronto soccorso ai bisogni elementari ed immediati. E' il tempo in
cui occorre rispondere con pienezza ad esigenze di crescita umana integrale
commisurata sul metro della società e della civiltà contemporanea.
Dolorosi episodi, che di recente
hanno riempito le cronache giornalistiche, hanno gettato un'ombra su di una
storia di generosità, di sacrificio, di dedizione impareggiabile ed umanamente
impagabile. I nostri istituti di educazione e di
assistenza diano prova del carattere eccezionale ed episodico di tali fatti,
tenendosi sempre all'avanguardia della migliore pedagogia ed eliminando anche i
minimi residui, che eventualmente potessero sopravvivere, di una metodologia
educativa sorpassata, mirando decisamente allo sviluppo armonico e plenario
della persona umana, al suo inserimento nella vita comunitaria, alla sua
apertura a tutti gli orizzonti umani. Tengano presente che si educa alla
libertà facendo esercitare la libertà soprattutto nel delicato e decisivo
periodo evolutivo della vita del fanciullo. E tengano
altresì presente che non si educa alla religione immergendo il fanciullo in molte pratiche religiose, ma piuttosto facendo
in modo che i sacri riti vengano ben compresi e generino la gioia dell'incontro
con Dio.
E,
quando le circostanze di persone, di mezzi, di ambiente
non consentono di affrontare adeguatamente l'impegno educativo-assistenziale,
abbiano il coraggio (doveroso fino all'eroismo) di rinunciare all'impresa,
anziché condurla in condizioni precarie, ristrutturando gli istituti per altri
e, forse, non meno urgenti compiti.
Card.
Corrado Ursi, L'ora
della speranza e dell'impegno cristiano, Il Regno, Documentazione, n. 177,
15 marzo 1969, p. 108.
«GLI ESILIATI NEI GHETTI SCOLASTICI DELLA SOTTOCULTURA»
Gli alunni delle scuole elementari
che abbisognano di un trattamento educativo speciale
esistono, ma sono in numero di cui si conosce già statisticamente l'entità in
rapporto ai ragazzi normali. Quando la quota percentuale aumenta, dobbiamo
ritenere che si tratti di falsa anormalità, ossia di alterazioni
di comportamento o di cattiva resa dell'intelligenza dovute a diseducazione o
mancata educazione, e recuperabili nelle classi normali, non in quelle
differenziali, tanto meno in quelle speciali. Ripeto che il proliferare di tali
classi (spesso tra l'altro situate in ambienti indecorosi e anti-igienici) , classi a cui vengono inviati alunni che non sono neppure
esaminati in tempo utile, cioè prima del costituirsi delle classi normali (e a
questo proposito abbiamo già in altre occasioni fatto constatare le disfunzioni
dei servizi medico-pedagogicí ) e che sono poi
separati dagli altri ed etichettati come indesiderabili ed inaccettabili, crea
non già le condizioni realistiche per il lavoro di ricupero, ma le condizioni
per l'accumularsi di risentimenti, stati di isolamento, stati di non fruizione
di normali processi educativi con conseguenze gravi sul futuro di tali ragazzi
e anche delle loro famiglie.
Rendere possibili al contrario classi meno numerose,
con insegnanti più aggiornati e impegnati, con l'integrazione di attività
completanti lo studio, con un'assistenza non umiliante, tradotta in termini di
garanzia e di sicurezza per tutti del diritto allo studio in condizioni di
parità, vorrebbe dire ridurre allo stretto necessario le classi speciali e
differenziali e dare a tutti i ragazzi il senso concreto di essere uguali.
Massucco Costa, Intervento svolto al Consiglio Comunale di
Torino, 15 marzo 1969.
IDONEITA' DELLE ATTUALI STRUTTURE PREPOSTE ALLA RIEDUCAZIONE
DEI MINORI
(...) Indipendentemente dagli sforzi e
dalla volontà dei singoli operatori, il Tribunale per i Minorenni e il
Ministero di Grazia e Giustizia nelle sue strutture rieducative,
sono rimasti una struttura autoritaria che esercita azione di controllo e di
repressione sulla condotta dei giovani. Era d'altro canto perlomeno ingenuo
presupporre che così non avvenisse: un organismo giudicante e che ha
istituzionalmente il potere di limitare la libertà del minore
anche se questi non ha commesso alcun reato, solo per prevenire che
possa commetterne, non può fare altro che il custode vigile dell'ordinamento
sociale del quale è espressione. In altri termini il Tribunale per i Minorenni,
almeno nella sua azione di prevenzione dei disturbi della condotta e del
carattere, non ha e non può avere altro compito che quello di evitare che i
comportamenti dei soggetti in età evolutiva si discostino da quello che è il
modello ideale della società, sia che una tale
deviazione sia in atto sia che si presuma possa avvenire.
Purtroppo tale caratteristica
sostanziale del Tribunale per i Minorenni e dei Servizi rieducativi del
Ministero di Grazia e Giustizia non è stata appieno
compresa né dagli operatori diretti del settore, né da quanti professionalmente
operano in settori paralleli riguardanti sempre i problemi dell'età evolutiva,
né da quanti sono effettivamente coinvolti con quelli che rappresentano gli
utenti di questo servizio (i genitori).
Si assiste quindi ogni giorno di
più, nel vuoto assistenziale sempre più pauroso che si
verifica in Italia, all'equivoco che il problema così delicato dell'età
evolutiva, quello cioè riguardante il raggiungimento dell'autonomia psico-affettiva, viene sempre più demandato al Tribunale
per i Minorenni e ai Servizi rieducativi del Ministero di Grazia e Giustizia.
P. Benedetti e M. Pittaluga, L'equivoco della prevenzione in età
evolutiva, Infanzia Anormale, n. 96, gennaio 1969, p. 95.
INADEMPIENZA DI ISTITUZIONI PUBBLICHE E PRIVATE DI ASSISTENZA
Deludenti sono, contrariamente alle
nostre aspettative, i dati statistici relativi alle
adozioni speciali, di cui alla legge 5 giugno 1967, n. 431: le dichiarazioni di
adottabilità emesse nel periodo in esame sono appena tre, i decreti di adozione
soltanto quattro.
Bisogna però guardarsi dal trarre, dai dati
riferiti, affrettate conclusioni negative, poiché, se la nuova legge ha avuto
finora scarsa applicazione, ciò è avvenuto non già perchè la legge medesima non
abbia trovato largo favore nelle nostre generose popolazioni - numerose sono
infatti le domande pendenti davanti al tribunale per i minorenni - ma perchè -
secondo quanto mi è stato riferito dal detto tribunale - non si è provveduto da
parte di chi ne avrebbe avuto l'onere, agli adempimenti richiesti dall'art.
314/5 della citata legge n. 431, il quale, com'è noto, pone a carico dei
pubblici ufficiali e degli organi scolastici l'obbligo di riferire al più
presto al tribunale per i minorenni, tramite il giudice tutelare, sulle condizioni
di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano comunque a conoscenza,
e a carico delle istituzioni pubbliche o private di protezione e assistenza
all'infanzia l'obbligo di trasmettere trimestralmente al giudice tutelare del
luogo ove hanno sede l'elenco dei ricoverati o assistiti.
E' da notare che la situazione di
figlio di genitori ignoti legittima senz'altro la dichiarazione dello stato di adottabilità, che può essere anche provocata dall'ente
che assiste il minore. Orbene, nessuna delle 98 istituzioni pubbliche e private
di protezione e di assistenza esistenti nel distretto
si è avvalsa della facoltà di provocare quella dichiarazione; quel che è
peggio, soltanto due delle predette istituzioni, e precisamente l'Amministrazione
provinciale e l'O.N.M.I. di Caltanissetta, hanno
trasmesso, nel periodo preso in considerazione, i prescritti elenchi, mentre
altre tre istituzioni, fra le quali l'Amministrazione provinciale e l'O.N.M.I.
di Enna, hanno adempiuto all'obbligo soltanto nel
secondo semestre del
A me sfuggono i
motivi di tale inadempimento, che ha impedito al tribunale di procedere alla
dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori abbandonati e di
provvedere sulle domande di adozione presentate ai sensi delle norme transitorie
di cui all'art. 6 della legge speciale; è certo però che nessun motivo può
giustificare la resistenza o la semplice inerzia, poiché la norma che impone
quegli obblighi non prevede alcuna eccezione.
E debbo qui
dichiarare che il mio ufficio ha disposto opportune indagini al fine di accertare
eventuali responsabilità penali.
Estratto dalla relazione tenuta in data 11
gennaio 1969 dal Cons. Salvatore Spataro,
Procuratore Generale della Repubblica di Caltanissetta.
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