Prospettive
assistenziali, n. 7, luglio-settembre 1969
STUDI
NOTE
CRITICHE SUL DISEGNO DI LEGGE N. 284 GONELLA - COLOMBO (1)
«PROTEZIONE
DEI MINORENNI, PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLA DELINQUENZA MINORILE».
Con il regio decreto legislativo 20
luglio 1934 n. 1404 veniva istituito il Tribunale per
i minorenni, cui era attribuita una triplice competenza: amministrativa,
civile e penale. Quest'ultima, però, era senza dubbio prevalente e giustificava
la istituzione stessa e «prevalente» riappariva nella
successiva legge 5 luglio 1956 n. 888 che, prevedendo nuovi istituti di natura
strettamente amministrativa e prefiggendosi finalità educative, sembrò
costituire un progresso.
Tale caratteristica era inevitabile
conseguenza della ricerca di un impossibile compromesso tra misure repressive (pene,
detenzione, ricovero) dirette a contrastare il
disadattamento dei minori in difesa della società e misure educative e rieducative, tendenti al loro reinserimento nella
collettività.
Indicativo, a titolo di esempio il quadro della situazione per l'anno 1965, non
dissimile dai precedenti (2).
Provvedimenti penalistici
Proscioglimenti e assoluzioni (per
perdono giudiziale 5.691) 9.853
Condanne 1.071
Totale
10.924
Minori entrati
in sezione speciale di custodia
preventiva 1.989
in prigione scuola 7
in riformatori giudiziari 86
Totale 2.082
Provvedimenti amministrativi
Minori entrati
in istituti di osservazione 3.548
in casa di rieducazione 2.075
Totale 5.623
Sono da considerarsi in questo
quadro, inoltre, le 7.778 dichiarazioni di non procedibilità per la non
imputabilità a causa dell'età minore degli anni 14, che presuppongono che
l'azione compiuta dai minori sia stata presa in esame dal Tribunale senza che ne seguisse un giudizio, a causa, appunto, dell'età.
Occorre sottolineare
che le cifre riportate non comprendono:
a) i minori in stato di detenzione
preventiva nelle sezioni minorili delle carceri giudiziarie (non tutti i
Distretti di Corte d'Appello dispongono, come prevede la legge, di una sezione
speciale di custodia preventiva; nessuno dispone di
tali sezioni per le femmine);
b) i minori ricoverati in manicomi giudiziari
e in istituti per insufficienti mentali, dove non sono, tra l'altro, previste
sezioni apposite.
Le conseguenze degli aspetti
autoritari e repressivi, anziché profilattici e curativi, dell'attività rieducativa sono evidenti ed hanno conseguenze a vari
livelli anche nell'attuazione dei provvedimenti amministrativi. Per esempio:
a) un minore dalla condotta
irregolare, invece di essere trattato opportunamente in esternato e con normali
mezzi educativi, può essere spesso internato in «casa di rieducazione» perchè
le famiglie compiono la segnalazione dell'«irregolarità» con la più o meno chiara consapevolezza che la casa di rieducazione
è, in pratica, 1'unico istituto la cui retta venga totalmente assunta dallo
Stato o perchè la segnalazione stessa è compiuta dagli organi di polizia con
criteri punitivi;
b) un minore, in
attesa di giudizio, viene sottoposto ad un trattamento rieducativo.
Se condannato, tale trattamento può essere interrotto per la destinazione
ad un istituto di pena, con l'ovvio fallimento del trattamento stesso, non
sanato, certamente, dalla sua ripresa appena scontata la pena.
E' facile immaginare quali
conseguenze determinino vicende simili sulla personalità del minore disadattato,
che si sente «stigmatizzato» dalla pena o da un
provvedimento analogo assunto dalla autorità guidiziaria
e che si percepisce, quindi, nel ruolo di «dissociale» dal quale difficilmente
potrà uscire.
L'impostazione «penale» è tanto più
grave in quanto la caratterizzazione dei minori oggetto
degli interventi può sintetizzarsi nei seguenti gruppi:
a) minori che presentano una rilevante
sintomatologia dissociale e comunque gravi disturbi
della personalità (caratterizzabili come soggetti a struttura pre-psicotica) comprendenti, di solito, quelli già avviati
al termine dell'età minorile, tra i 16 e 18 anni. Per costoro mancano
totalmente istituti specialistici (come del resto anche per quelli di età inferiore) e di fatto sono avviati nelle peggiori
case di rieducazione, quando incorrano in condanne detentive o siano dimessi
per irrecuperabilità (art.
b) minori che presentano una non grave
sintomatologia dissociale connessa a lievi disturbi della personalità,
insufficienti mentali e minori che presentano irregolarità di condotta dovuta
a patologia sociale ed esenti da significativi
disturbi della personalità. Anche per costoro mancano istituti specialistici
per il trattamento psicologico, quando necessario, o altri strumenti assistenziali, realmente preventivi, al di fuori della
istituzionalizzazione.
La lieve sintomatologia dissociale
di questo ultimo gruppo evidenzia, ancor più,
l'assurdo di un intervento del Ministero di grazia e giustizia laddove sarebbe
ovvio un intervento assistenziale; in realtà l'internamento, a spese del
Ministero stesso e dopo aver etichettato i minori come «dissociali», finisce
con l'attuare provvedimenti che non avevano potuto realizzarsi a carico di
altri enti.
Il Ministero di grazia e giustizia,
pertanto, da un lato non assolve ai suoi compiti
istituzionali, limitandosi ad isolare e punire i soggetti più disturbati,
dall'altro interferisce in compiti che dovrebbero essere meramente
assistenziali.
Da quanto esposto emerge l'equivoco di fondo, la contrapposizione delle finalità di «recupero
sociale» dei soggetti a quella della «difesa sociale». La società interviene
per «escludere» (cioè ricoverando in casa di
rieducazione) dalla collettività quella parte di essa che disturba (cioè i
disadattati sociali), senza mettere in opera adeguate misure che eliminino, o
quanto meno tendano ad eliminare le cause sociali del disadattamento.
Occorre non dimenticare che circa il
90 % dei giovani disadattati proviene dagli strati
socio-economici più poveri e che, nelle zone del cosiddetto «triangolo
industriale», il 75% appartiene a famiglie di recente immigrazione con gravi
problemi di inserimento.
Occorre anche non dimenticare che la
scolarità dei suddetti minori è la seguente:
anno 1963 su 940 condannati
139 erano analfabeti
685 licenza
elementare
116 scolarità
superiore
anno 1964 su 1102 minori condannati
123 analfabeti
858 licenza
elementare
121 scolarità
superiore
anno 1965 su 1071 minori condannati
113 analfabeti
841 licenza elementare
117 scolarità
superiore
Ulteriore elemento significativo è
l'incidenza dei reati contro il patrimonio (quasi tutti furti) che per il 1965
furono 895 contro 1071.
La concezione penalistico-repressiva
dei comportamenti che non corrispondono ai modelli dominanti, consente di
eludere i problemi di fondo: sia quelli dovuti agli
squilibri socio-economici, sia quelli conseguenti alla inadeguatezza delle
istituzioni scolastico-educative (scuola materna,
dell'obbligo, strutture sportivo - ricreativo - culturali, ecc.), che sono il
cardine per la formazione degli individui.
Conseguentemente questa concezione
consente di eludere ad una seria azione preventivo-rieducativa
che si attuerebbe solo se si identificasse la difesa
sociale con il pieno e positivo realizzarsi della personalità di ogni cittadino,
senza eccezione.
Da queste osservazioni discende la
fondamentale critica al disegno di legge n. 284, che ripropone
la visione giudiziale-repressiva della rieducazione
fin dagli artt. 1 e 2 che
concepiscono la protezione, la prevenzione e il trattamento della cosiddetta
delinquenza minorile come attività di competenza dell'amministrazione degli
istituti di prevenzione e pena, in relazione a provvedimenti ed attività
dell'autorità giudiziaria.
Spirito autoritario e repressivo che
si evidenzia nell'art. 3 che pone i servizi minorili
sotto la vigilanza del Procuratore Generale della Repubblica o, per esso, del
Procuratore della Repubblica preso il Tribunale per i minorenni, compiendo un
regresso anche rispetto all'attuale realtà.
Giacché non si può avallare la
giustificazione che essi rappresentino l'unica garanzia del rispetto della
personalità e dei diritti dei soggetti affidati agli organi rieducativi.
Garanzie peraltro, assai
compromesse, dalla semplicistica eliminazione dell'istituto di
osservazione. Se infatti cattivo è il suo
funzionamento per grave inadeguatezza di mezzi e per carenza di personale, la
sua abolizione farebbe sì che il minore sarebbe direttamente ammesso in un
istituto rieducativo sulla base di mere indicazioni
del servizio sociale eventualmente prive di garanzie specialistiche (art. 22 e
4), mentre le indagini sulla personalità del minore sarebbero proposte e
demandate all'istituto stesso. Tale regola, già in atto oggi a seguito di
disposizioni ministeriali, ha come conseguenza che, nell'attuale carenza di osservazione ambulatoriale, i minori possono
venire direttamente immessi negli istituti di rieducazione senza sufficienti
elementi di valutazione e che, a causa del maggior carico e dell'eterogeneità
degli internati, l'organizzazione degli istituti non è in grado di affrontare
il nuovo compito.
Nel progetto n. 284 non solo
l'applicazione del provvedimento rieducativo viene anticipata rispetto alla valutazione della sua
idoneità per il soggetto, ma affidata ad un Magistrato unico con eliminazione
di quelle garanzie di collegialità che l'attuale legislazione offriva con
Provvedimento tanto
più autoritario in quanto verrebbe adottato con la partecipazione del
minore e dei suoi famigliari «solo ove occorra e sia possibile» (art. 23 ).
Se da un lato questi sono gli aspetti
repressivi più evidenti, dall'altro l'apparente orientamento liberalizzatore e democratico del progetto si sostanzia in
proposte demagogiche e velleitarie.
Un rilevante esempio è il suo fare
perno sulla struttura del servizio sociale che dovrebbe risolvere tutti i
problemi concernenti la rieducazione. Ad esso è affidata, oltre ai già attuali compiti specifici: «ogni
altra attività di protezione e di prevenzione, anche in concorso ( ... ), ove
occorra, con i competenti organi delle amministrazioni statali, con quelle
regionali e degli enti locali» ed il compito di curare «lo sviluppo dei
rapporti con gli organi assistenziali e con le comunità di provenienza dei
minori, lo studio delle situazioni ambientali e le ricerche connesse con la
protezione dei minorenni e la prevenzione della delinquenza minorile», in
rapporto alle esigenze locali e nel quadro della programmazione nazionale e
regionale (art. 4).
Esso deve ancora (art. 5): «rimuovere
le difficoltà che si frappongono alle normali relazioni del minorenne con la
famiglia e con gli altri ambienti sociali» e offrire «altresì il proprio aiuto
per la soluzione dei problemi concernenti l'educazione,
l'istruzione, il lavoro, l'impiego del tempo libero».
Non può non essere evidente, quindi,
come la vastità dei compiti, tali da investire l'intero processo di
trasformazione della società, vanifichi la funzione del servizio sociale; così come è evidente che il servizio stesso non ha il potere di
interferire nell'attività degli enti pubblici e privati di assistenza, in modo
da conseguire, per suo intervento, un possibile coordinamento e neppure quello
di libera iniziativa nell'esercizio delle attività attinenti alla diagnosi ed
al trattamento, sottoposto com'è alla autorità giudiziaria ed all'amministrazione
penitenziaria.
Per quanto concerne gli «istituti»,
nei confronti dei quali potrebbe essere più verificabile l'effettiva volontà di
rinnovamento, il progetto di legge (art. 8 ) è estremamente
generico.
Non prevede stanziamenti finanziari
per il rinnovamento delle strutture, per l'ampliamento dell'organico e per la
qualificazione del personale.
Tale mancata previsione è quindi
indice di disimpegno circa le garanzie del trattamento del minore anche a
livello materiale e pedagogico e favorisce il perpetuarsi dell'attuale
sperequazione tra istituti, quelli gestiti direttamente dal Ministero di grazia
e giustizia che beneficiano di rette aggirantesi
sulle lire 5.000-6.000 giornaliere pro capite e gli altri
privati-convenzionati, che ricevono lire 1.000-1.500. Il che,
a parte il già rilevato abuso della copertura di un onere assistenziale da
parte del Ministero di grazia e giustizia, determina uno sfruttamento
economico delle risorse private a scapito del livello delle prestazioni e l'elusione di un intervento a livello pubblico.
Le condizioni di una vita
democratica, infine, dovrebbero scaturire da un'organizzazione di tipo
comunitario, con la partecipazione dei minori alle decisioni della vita interna
degli istituti, quasi che questa non fosse strettamente condizionata dalla loro
dipendenza dalla gerarchia penitenziaria e dall'autorità giudiziaria:
quest'ultima conserva il suo potere perfino relativamente alle
licenze, ai permessi, ecc. (art. 20).
Da quest'analisi dell'attuale
politica rieducativa che si sostanzia in un'azione
repressiva, e delle strutture ad essa funzionali
consegue che un nuovo e reale orientamento della prevenzione e cura del
disadattamento sociale minorile potrebbe verificarsi solo con soluzioni
radicali quali, in sintesi:
A) Abrogazione delle leggi ed
abolizione delle istituzione a carattere conclamatamente repressivo, e cioè:
1) totale «depenalizzazione»
nei confronti dei minorenni;
2) sottrazione della competenza assistenziale dei minorenni disadattati al Ministero di
grazia e giustizia, limitando l'intervento dell'autorità giudiziaria
all'omologazione dei provvedimenti proposti da enti tecnicamente qualificati
nei casi contenziosi, nel rispetto, in questa ipotesi, delle regole del contraddittorio;
B) incentivo ad una politica capace di
rimuovere le cause sociali del disadattamento, che investa cioè
gli aspetti economico-politico-strutturali che
determinano le situazioni oggetto dell'intervento assistenziale. L'assistenza, cioè, dovrebbe essere l'aspetto integrante di una politica
che garantisca a tutti le condizioni per una sana formazione della personalità
e non uno pseudo-correttivo degli squilibri e dei
conseguenti fenomeni di patologia sociale e individuale.
Solo così, le scelte indicate al
punto A) acquistano validità.
In questa prospettiva, particolare
attenzione è da attribuirsi alle istituzioni scolastico-educative e a tutte le istituzioni per
l'infanzia e l'adolescenza, al fine di un loro funzionamento non selezionatorio ed emarginante.
Altra condizione essenziale è
l'abolizione della suddivisione in categorie degli «assistibili» e della
conseguente polverizzazione degli enti, e l'istituzione di un'organizzazione assistenziale che consenta risposte globali e coordinate,
per la soluzione dei problemi plurimi nascenti dalle singole situazioni.
Relativamente alle strutture, si sottolinea la necessità
dell'istituzione di un ministero dell'assistenza sociale con funzioni di
coordinamento dei servizi e delle competenze specifiche dei ministeri
interessati e la necessità di decentrare alle regioni, province e comuni
l'attività assistenziale di programmazione, coordinamento, controllo con
deferimento del potere decisionale, oltre che esecutivo, ai rispettivi organi.
Bianca
Guidetti Serra
(1) L'articolo è
tratto, quasi integralmente, da un documento elaborato da alcuni operatori
sociali e da alcuni giuristi appartenenti all'Associazione Giuristi Democratici
- Sezione di Torino.
(2) Dall'annuario
statistiche giudiziarie - ISTAT - Roma 1968.
www.fondazionepromozionesociale.it