Prospettive
assistenziali, n. 8-9, ottobre 1969-marzo 1970
I RAGAZZI
SUBNORMALI E I SORDOMUTI
a cura di VITO DE VECCHI (1)
Gli
ambienti in cui abbiamo incontrato persone che ci han fatto sentire poveri, perchè inadeguati, perchè
impossibilitati ad un'azione risolutiva, perchè non consapevoli della misura
in cui ci appartengono certi fatti, sono Cesano Boscone, e gli Istituti di rieducazione per sordomuti.
Alla
base di una non risoluzione del problema, che è quello del loro reinserimento fra di noi, sono le strutture elementari della nostra società:
le famiglie, le istituzioni di educazione.
La
sintesi attraverso i fatti la farete voi.
I SUBNORMALI
L'Ospizio della Sacra Famiglia è un
complesso ospedaliero che sorge alla periferia di Milano, a Cesano Boscone.
Attualmente ospita circa 3000 persone subnormali
che presentano diversi gradi di anormalità. Per tentare un loro possibile
inserimento nella società le persone ospitate vengono suddivise
in tre gruppi: recuperabili, semirecuperabili e
irrecuperabili.
Per ciascuno di questi gruppi viene
applicato un metodo diverso di recupero, chiamato «programma».
Al primo appartengono ragazzi dai 6
ai 18 anni con un quoziente d'intelligenza medio dello 0,80, cioè
quasi normale. La loro preparazione per un possibile recupero viene attuata mediante la frequenza di scuole elementari,
medie e professionali interne di tipo speciale. Normalmente questi ragazzi
dopo aver imparato un mestiere vengono gradualmente
dimessi dal Centro.
Il secondo gruppo è caratterizzato
da circa 200 ragazzi dai 14 ai 20 anni con un quoziente d'intelligenza medio
dello 0,60. Il loro grado di istruzione non supera la
terza elementare; subito dopo sono avviati a corsi speciali nei quali imparano
a svolgere alcuni lavori facili di carattere manuale e ripetitivo (sarti,
falegnami, materassai e rilegatori). Dato il loro scarso grado di apprendimento difficilmente vengono dimessi dal Centro. Infatti accanto ai ragazzi, vi sono in questo gruppo anche
200 adulti che svolgono la loro professione dentro.
Non è che queste persone non siano dimissibili in senso assoluto, ma, perchè possano uscire,
è necessaria la collaborazione di volontari esterni che li seguano
in maniera personale prima dentro e poi fuori.
Infatti in altri paesi europei (ad esempio:
Olanda, Francia, Svizzera) per questo tipo di subnormali esistono laboratori
esterni protetti.
Nel terzo gruppo vi sono circa 1500
persone tra giovani e adulti che vengono classificati come irrecuperabili e
che presentano un quoziente d'intelligenza medio dello 0,40.
Tuttavia per i bambini si tenta
ugualmente una rieducazione, anche se finora i metodi moderni non sono stati
ancora attentamente impiegati.
Una delle cause della loro
anormalità è che provengono direttamente da orfanotrofi o da famiglie
«difficili» che non si sono interessate a loro.
Anche quando vengono
mantenuti dei rapporti tra i ragazzi e la loro famiglia, questi spesso sono
più deleteri che positivi; per cui si cerca volutamente di ridurre al minimo la
possibilità di contatti.
Questo comporta una mancanza di affetti che rende possessivo e totale ogni loro rapporto
umano; ma evidentemente l'ambiente non è adatto a supplire a questa carenza,
poiché non è possibile un contatto educativo personale con essi.
Ad esasperare questo stato d'animo
c'è la mancanza di comprensione umana del personale resa più difficile dalla
scarsità dello stesso; infatti il rapporto tra
assistenti e ragazzi è di
Il personale che li educa tra l'altro non può incarnare una società normale poiché vive anch'esso all'interno e per la maggior parte dei casi non
ha l'occasione di confrontarsi con la società esterna.
Il fatto poi che i giovani conducano
una vita in comune con i più anziani è assolutamente
negativo perchè il giovane vede nell'anziano la proiezione futura della propria
vita ed allora perde la speranza di migliorare e accetta la situazione
passivamente o rifiuta violentemente la vita dell'ospizio.
Infatti quasi tutti desiderano fortemente
uscire da questo ambiente. Ma per chi esce cosa c'è
all'esterno?
All'esterno c'è la società impreparata
a riceverli, non tanto perchè non li accetta ma perché
non sa come trattarli nella loro condizione o perchè non sa come continuare ad
assisterli. Ancora oggi, infatti, il datore di lavoro, se li assume alle
proprie dipendenze, lo fa solo per beneficenza e non tiene conto che alcune di
queste persone sono anche in grado di svolgere delle mansioni modeste; oppure
se un subnormale dovesse avere bisogno di cure immediate nel caso ad esempio
fosse preso da un attacco di epilessia, non troverebbe
nessuno in grado di poterlo assistere.
Un'altra nota di rilievo è che in
Italia non vi sono leggi particolari a favore dei subnormali e neppure esiste
alcun trattamento previdenziale a loro favore, come pensioni di invalidità o altre sussistenze.
Ci sembra, per concludere,
che la mancata rieducazione e il mancato recupero dei subnormali dipenda in
gran parte oltre che dalle insufficienze della struttura ospedaliera anche
dallo scarso interesse che la società mostra per questo problema.
Oggi l'Ospizio di Cesano e la società hanno delle responsabilità che
riteniamo possano essere queste:
il primo ha la responsabilità di
adeguare il tipo di assistenza e di formazione dei ragazzi alla coscienza della
società d’oggi. L'uomo che ne esce non deve essere
fatto su misura per la società, ma deve poterla capire;
l'addebito che possiamo muovere alla
società è che lascia nell'abbandono queste persone e assume nei loro confronti
atteggiamenti razzisti, mentre dovrebbe operare perchè i subnormali possano
prendere il loro posto all'interno di essa; la costruzione di scuole specializzate
anche se positiva non è di per sé sufficiente a risolvere il problema; sarebbe
invece molto opportuno che vi fossero delle famiglie disposte ad accettare
con sé uno di questi ragazzi il sabato e la domenica.
Qualcuno di noi si occupa già di
questi ragazzi e svolge funzioni complementari di preadozione.
La nostra attività con loro è
iniziata con degli incontri settimanali nel loro istituto, facendo nascere
così un'amicizia reciproca.
In seguito siamo usciti con loro ed abbiamo trascorso in loro compagnia giornate come quelle
che tutti i ragazzi normali passano a Milano.
Abbiamo visitato
musei, siamo
saliti sui tram e sulla metropolitana, ecc.
Siamo convinti che sia positivo uscire con loro, ma non sia sufficiente perchè il
successo di una educazione è dato dal fatto che le loro aspirazioni e le loro
esigenze siano simili a quelle di tutti gli altri ragazzi.
Cioè un servizio sociale come questo,
che non abbia come obbiettivo l'inserimento totale nella società, è solo un
paternalismo senza speranza.
Quello che ci proponiamo per il
futuro immediato è di collaborare sempre più con competenza
con le persone che seguono e meglio conoscono i ragazzi all'interno
dell'istituto e d'altra parte di rafforzare l'amicizia appena nata perchè essi
non si sentano più soli.
I SORDOMUTI
Abbiamo iniziato quest'anno ad
interessarci dei sordi, e quindi siamo stati travolti un
po' dalla situazione, che ci si presentava. Non conosciamo quanti essi siano a Milano, e non ci siamo presi la briga di darvi dei
numeri statistici, che avrebbero fatto forse impressione, ma onestamente vi
portiamo a conoscenza di ciò che sappiamo, e ciò che conosciamo è limitato.
Come nel caso precedente, Cesano Boscone, anche qui
sentirete parlare di recupero e di reinserimento nella società. Le cose, almeno
per i ragazzi, si presentano in modo più normale dal punto di vista familiare; infatti tutti i ragazzi che frequentano gli Istituti di
Rieducazione, hanno famiglia. Però, se pur tuttavia i sordi hanno qualcuno che
si interessa a loro, ci siamo accorti che questo non
li porta ad essere più fortunati o più ricchi degli altri ragazzi di Cesano, ma invece sono sullo stesso piano, poiché le
famiglie hanno una preoccupazione eccessiva verso i loro ragazzi che si traduce
in un isolamento, perchè hanno paura che i figli non vengano accettati come
persone e cioè non vengano trattati come bambini ma come minorati fisici.
I genitori quindi li mandano negli
Istituti oppure, nel caso di un Collegio con esternato, il pullman li trasporta
dalle loro abitazioni a scuola. Alla sera, dalla scuola a casa, viene ripetuta
l'operazione. Tutto ciò riduce al massimo il tempo a disposizione dei ragazzi
per un accostamento coi loro coetanei, che più tardi
li considereranno diversi.
Questo perchè non hanno mai potuto
incontrarli nei giochi, non li hanno mai visti per le strade del quartiere,
non hanno potuto capire quanto essi valgono, ma vedono
solo che non sanno parlare come loro, e perciò valgono di meno.
Il bambino sordo, nella maggior
parte dei casi, non sarà mai integrato nella società perché
la scuola lo occupa sino a 16 anni, cioè l'anno di frequenza alla nona classe
che corrisponde alla 5ª elementare; successivamente lo aiuta ad imparare un
lavoro. Attualmente i laboratori professionali sono:
cucito e maglieria per le ragazze, e falegnameria e legatoria per i ragazzi, ed
anche tipografia.
Nel caso particolare delle ragazze,
questi lavori hanno la possibilità di essere eseguiti in casa, per cui la maggior parte di esse continua a vivere nella
sfera familiare e ha meno possibilità di incontri con gli ambienti esterni. Ma
facciamo un passo indietro e soffermiamoci sui criteri di educazione
messi in pratica dagli Istituti.
Sappiamo che il sordo non parla
perchè non sente, ed incomincia a parlare attraverso l'educazione alla
pronuncia esatta dei suoni, perciò il metodo di insegnamento
attuale si basa soprattutto sull'educazione alla parola.
Questa, giustamente, viene vista come mezzo principale di traduzione
dell'intelligenza.
E' però importante per la completa educazione
del bambino sordo, il suo inserimento in un ambiente che gli sia continuamente
di stimolo. Infatti, un ambiente passivo, dove cioè
non vengono considerate le esigenze del bambino, non stimola gli interessi e
non gli consente di uscire dal suo mondo interiore e di aprirsi all'ambiente
esterno.
Ad esempio, per la nostra piccola
esperienza fatta in un Istituto di Suore, ci siamo accorti che esse tendono a
giustificare alcuni atteggiamenti che portano il ragazzo a considerarsi un
minorato. Ad esempio, troppe volte si risponde al sordo dicendo: «tu non riesci
a far bene questo (es. capire, esprimerti) perché sei
sordo» e non invece «non riesci a far bene questo perchè o ti sei dimenticato o
non ti sei sforzato. Prova».
Ci sembra che il valore che ha lo
stimolare e l'incoraggiare nel sordo le proprie capacità,
è veramente importante e debba essere incominciato fin dai primi anni di
insegnamento, in quanto porta alla responsabilizzazione del sordo di fronte
alla sua vita di istituto ed ai suoi problemi personali.
Così facendo, il sordo potrebbe
arrivare nel corso degli ultimi anni di Istituto ad
una partecipazione attiva nell'impostazione delle attività della sua giornata.
Nel campo dell'insegnamento ci
sentiamo di suggerire alcuni punti che possono attuare una formazione più
completa dei ragazzi.
La cosa che ci sembra più importante
è l'introduzione della forma attiva nell'insegnamento; per forma
attiva intendiamo la presentazione della lezione in una forma concreta,
attraverso ambienti e cose concrete, in quanto per noi ha il vantaggio di
fissare con meno difficoltà i nomi degli oggetti nella memoria e di risvegliare
con più facilità l'attenzione del bambino.
Inoltre ci sono altri due punti che
per noi dovrebbero essere riscoperti nell'insegnamento, e questi sono, uno il
sussidio visivo (es. documentari), che ha il valore di essere ricevuto con
facilità e di cui ci si può servire per creare un punto di interesse
che stimoli l'intelligenza. Il secondo è la lettura perchè aumenta la capacità
di linguaggio ed attraverso l'assimilazione di nuovi
concetti sviluppa l'intelligenza.
Per quanto riguarda la preparazione
al lavoro delle ragazze sorde, rifacendoci alla nostra esperienza in
istituto, ci sembra che in pratica si potrebbe iniziare una preparazione a
delle mansioni impiegatizie o ad un lavoro specializzato di fabbrica, che
risponda alle esigenze delle ragazze. Soprattutto ci sembra che oggi non ci si
sia resi conto, all'interno dell'istituto, che la quasi totalità delle
ragazze, dopo il nono anno, deve e vuole affrontare la scelta di un lavoro alla
quale non viene preparata e siamo convinti che la
linea da seguire sia l'incoraggiamento della predisposizione o dell'aspirazione
della ragazza stessa.
Dopo aver visto le difficoltà che i
genitori incontrano con i loro figli sordi ed il modo in cui affrontano
la loro situazione, ci sentiamo di proporre, come linea da seguire e da riapprofondire, la collaborazione della scuola con i
genitori, in quanto questi possono e devono seguire l'educazione del bambino,
completandola mettendolo a contatto con gli ambienti esterni all'istituto.
A tutti ci sentiamo di dire che il modo migliore perchè non sia inutile il lavoro
che gli istituti e le famiglie fanno è quello di vedere e di comportarsi col
sordo, non come di fronte ad un minorato fisico, ma ad una persona.
Il nostro essere
cristiani in
questa situazione è l'essere coscienti che il lavoro di contestazione e di
revisione che abbiamo appena cominciato all'interno dell'istituto e che oggi
parte dalle piccole cose (cioè dai pregiudizi e dalle posizioni di chiusura
delle suore e dell'ambiente) è l'inizio di una revisione sempre più profonda
all'interno dell'istituto, revisione che è Resurrezione
del Cristo nella situazione, e che di fatto questo lavoro oggi tiene conto,
e che dovrà sempre tenere, della posizione delle ragazze sorde, delle suore, e
della nostra.
(1) Relazione
presentata al Convegno di Gioventù Lavoratrice «Chiesa e Povertà».
www.fondazionepromozionesociale.it