Prospettive assistenziali, n. 8-9, ottobre 1969-marzo 1970

 

 

DOCUMENTI

 

LE PROSPETTIVE «ASSISTENZIALI» DEL MINISTERO DELL'INTERNO

 

 

Si riporta la relazione redatta dal Ministero dell'Interno in merito alla proposta di legge n. 1676, proposta presentata alla Camera dei Deputati il 7 luglio 1969 dall'On. Franco Foschi e altri e recante il titolo «Organiz­zazione del settore dell'assistenza sociale e interventi per le persone in condizione o situazione di incapacità e, in particolare, per i disadattati psichici, fisici, sensoriali e sociali».

La posizione del Ministero dell'interno è una prova delle enormi diffi­coltà che si incontreranno per ottenere l'approvazione da parte del Parla­mento della riforma generale nel settore assistenziale della proposta di legge di iniziativa popolare «Interventi per gli handicappati psichici, fisici, sensoriali ed i disadattati sociali», che è molto simile a quella presentata dall'On. Foschi.

Non stupisce che il Ministero dell'interno consideri ancora che l'assi­stenza rientra nelle attività di difesa poliziesca dell'ordine pubblico. Infatti nella relazione redatta in occasione della presentazione alla Camera dei Deputati del bilancio di previsione dello Stato del 1969 (non del 1869), il Ministero dell'interno scriveva: «L'assistenza pubblica ai bisognosi (...) racchiude in sé un rilevante interesse generale, in quanto i servizi e le attività assistenziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari (...)».

Nella relazione che il Ministero dell'interno ha redatto contro la proposta di legge n. 1676, nonostante la sua lunghezza, non una parola viene detta sui diritti dei cittadini, diritti sanciti dalla Costituzione, dalla Carta Sociale Europea, dalle Dichiarazioni Universali dei Diritti dell'Uomo e del Fanciullo.

Giova anche ricordare che il Ministero dell'interno (A.A.I. esclusa) non ha in servizio un solo assistente sociale, ha sempre praticato e pra­tica tuttora una politica antifamiliare (ricovero dei bambini e degli anziani poveri in istituto invece di corrispondere prestazioni economiche ai sog­getti o ai loro familiari).

Inoltre vi è da ricordare che il Ministero dell'interno e le prefetture non hanno mai attuato seri controlli sugli istituti di assistenza, come da attribuzioni stabilite dalla legge a detti uffici; anzi è stato accertato che detti uffici non sono intervenuti per far cessare scandalose situazioni che si protraevano da anni (vedansi, ad esempio, i fatti dei Celestini di Prato e di Grottaferrata) e che da anni erano a conoscenza di detti uffici.

Infine il Ministero dell'interno non tiene in alcuna considerazione quanto disposto dalla legge 27 luglio 1967 n. 685 (approvazione del pro­gramma economico nazionale per il quinquennio 1966-1970), che prevede al paragrafo 91: «La revisione dei criteri di assistenza sarà accompagnata da un riassetto istituzionale a cui si provvederà mediante presentazione di una apposita legge-quadro».

 

Si segnala che in data 29 gennaio 1970 l'Unione italiana per la pro­mozione dei diritti del minore ha inviato ai Presidenti della Camera dei Deputati, del Senato della Repubblica e del Consiglio dei Ministri e ai Capigruppo parlamentari la seguente lettera:

 

OGGETTO: Negativa considerazione del Ministero dell'interno nei con­fronti del Parlamento e azione del Prefetto Renato contro la proposta di legge n. 1676 (Camera dei Deputati).

 

Questa Unione segnala che, a seguito della presentazione della pro­posta di legge n. 1676, il Ministero dell'interno ha redatto un parere che termina con le seguenti espressioni di scarso riguardo nei confronti del Parlamento:

«Un'ultima considerazione si pone ad epilogo dei motivi che suffra­gano il parere contrario e cioè la portata veramente rivoluzionaria della proposta di legge, la vastità e la varietà delle materie che essa tratta, e la complessità, la delicatezza e la somma dei problemi che involge inducono ad affermare l'opportunità che un progetto di tal genere non sia lasciato all'iniziativa parlamentare, ma sia, invece il frutto di medi­ tate ed approfondite valutazioni a livello governativo.

«Ed invero, una normativa che investe addirittura la organizzazione dello Stato, incidendo tanto profondamente sull'ordinamento istituzionale delle competenze di vari organi centrali e periferici della Pubblica Am­ministrazione e, per di più, coinvolgendo, con intenti di radicale elimi­nazione, molteplici enti ed istituzioni autonome, operanti sul piano nazionale e locale, non può non postulare la responsabile iniziativa del Governo.

«Il che trova, del resto, positiva indicazione nelle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (r.d. 14 novembre 1901 n. 466 e art. 95 della Costituzione), cui è demandata per la sua alta funzione di unitario indirizzo politico e amministrativo e di coordinamento, la pre­sentazione dei disegni di legge che riguardano l'amministrazione generale dello Stato e, comunque, organiche riforme».

Si segnala inoltre che il prefetto dr. Renato, capo ufficio legislativo del Ministero dell'interno, ha inviato il parere non a tutti ma solo ad alcuni parlamentari.

Questa Unione ritiene che detta interferenza sia inammissibile.

Il Presidente: Cons. Emilio Germano

 

 

Osservazioni e deduzioni in merito alla proposta di legge d'iniziativa degli Onorevoli FOSCHI, RUSSO Ferdinando, GERBINO ed altri concernente: «Organizzazione del settore dell'assistenza sociale e interventi per le persone in condizione o situazione di incapacità e, in particolare, per i disadattati psichici, fisici, sensoriali e sociali». (Atto Camera n. 1976).

 

La proposta di legge d'iniziativa parlamen­tare presentata alla Camera dei Deputati e ru­bricata col n. 1676 reca una complessa norma­tiva in materia di assistenza sociale e di inter­venti per le persone in condizioni di incapacità e per i disadattati psichici, fisici, sensoriali e sociali.

Essa è articolata su tre ordini di disposi­zioni e cioè:

a) norme di carattere generale sull'assi­stenza sociale e di carattere particolare per gli impediti e i disadattati (raggruppate nel ti­tolo I);

b) norme sull'organizzazione dei servizi e degli enti operanti nel settore dell'assistenza sociale (raggruppate nel titolo II) ;

c) norme finali e transitorie (raggruppate nel titolo III).

L'iniziativa legislativa intenderebbe, in so­stanza, dare un nuovo assetto organizzativo all'assistenza sociale, sia sul piano degli organi statali sia su quello delle strutture locali, muo­vendo da posizioni critiche nei confronti dell'attuale ordinamento, che verrebbe interamente sconvolto.

L'intendimento innovatore trarrebbe motivo, infatti, dal «livello di insufficienza» che presenterebbe, come si asserisce nella relazione illustrativa, il settore dell'assistenza nel nostro Paese, per la dispersione di mezzi, la contrad­dittorietà delle direttive, la frammentarietà de­gli interventi, l'eccessivo numero degli enti e degli organi, le sovrapposizioni di competenza e gli antiquati criteri di classificazione dei de­stinatari delle prestazioni.

La nuova strutturazione dell'assistenza so­ciale rivoluzionerebbe completamente il siste­ma ora in vigore.

I servizi assistenziali verrebbero accentrati in capo al Ministero della Sanità, che assume­rebbe la denominazione di «Ministero della Sa­nità e dell'Assistenza Sociale», con l'istituzio­ne, presso il medesimo, di un'apposita Direzione Generale. In tale modo, decadrebbero tutte le attribuzioni in materia di assistenza e benefi­cenza demandate alla Presidenza del Consiglio e agli altri Ministeri, fatta eccezione soltanto per i servizi di primo intervento alle popola­zioni colpite da pubbliche calamità, che verreb­bero conservati al Ministero dell'Interno.

E' inoltre prevista la istituzione in ogni Re­gione, come articolazione periferica del Mini­stero della Sanità, di «Uffici regionali dell'As­sistenza Sociale», ai quali, fra l'altro, compe­terebbe l'amministrazione dei fondi stanziati dallo Stato per tale settore e l'assegnazione di essi agli enti gestori.

Le Regioni avrebbero potestà normativa nonché compiti d'indirizzo programmatico, di coordinamento e di controllo sulle attività degli istituti minori, con esclusione delle prestazioni dirette.

Anche alle Provincie non competerebbero funzioni operative ma soltanto l'«assistenza» agli enti gestori e alle istituzioni di utilità so­ciale.

Sul piano comunale, dovrebbero essere costituite apposite «Unità socio-assistenziali locali» nei Comuni con popolazione compresa fra i 50.000 e i 100.000 abitanti, sotto la dire­zione dell'Assessore all'Assistenza Sociale e con il compito di provvedere «alle prestazioni economiche temporanee e alla istituzione e ge­stione dei servizi di assistenza sociale». Per i Comuni, invece, con popolazione inferiore ai 50.000 abitanti è sancito l'obbligo del raggruppamento in consorzio, ai fini della costituzione di una unità socio-assistenziale, la quale avreb­be sede nel Comune di maggiore entità demo­grafica: correlativamente, i Comuni con popo­lazione superiore ai 100.000 abitanti verrebbero ripartiti in zone territoriali, aventi ciascuna almeno 50.000 abitanti.

Nella delineata organizzazione si prevedo­no, altresì, «Comitati consultivi» ai livelli na­zionale e regionale nonché la creazione, in ogni capoluogo di Regione, di scuole professionali e corsi per l'aggiornamento del personale desti­nato ad operare nel settore.

Per quanto riguarda gli enti assistenziali, la proposta travolgerebbe tutte le «istituzioni pub­bliche di assistenza e beneficenza» non aventi carattere ospedaliero, per le quali è prevista la devoluzione «di diritto» ai Comuni in cui hanno la sede operativa, con la conseguente elimina­zione di tali istituzioni.

Dovrebbero, del pari, essere soppressi, en­tro tre anni dalla legge, tutti gli enti pubblici che svolgono a qualsiasi titolo attività di assi­stenza sociale, con il correlativo assorbimento delle competenze e del personale nei nuovi organi ed uffici.

D'altro canto, sempre in tema di enti assi­stenziali, la proposta prevede la possibilità di un formale riconoscimento, quali istituzioni o associazioni «di utilità sociale», nei confronti delle iniziative, anche private, che operino, nel settore dell'assistenza, sul piano nazionale, in­ternazionale o regionale.

 

Premesse generali.

La proposta di legge, come si è detto nella sintesi su esposta, intende assorbire nel Mi­nistero della Sanità ed in organi da istituire, dipendenti dal predetto Ministero, le attribu­zioni in materia assistenziale sia della Presi­denza del Consiglio dei Ministri che dagli altri Dicasteri.

Balza subito evidente, e non si può non trarne motivo di stupore e di disappunto, che la sfera operativa «in primis» e quasi esclusi­vamente colpita è quella pertinente all'Ammini­strazione dell'Interno nonché agli Organi locali assistenziali in atto esistenti (Enti comunali di assistenza e Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) .

Al Ministero dell'Interno, infatti, verrebbe­ro sottratti, nella totalità o in gran parte, i ser­vizi dell'Assistenza Pubblica, tanto centrali che periferici: e cioè l'omonima Direzione Generale al centro, nelle Prefetture gli appositi Uffici ed i Comitati provinciali di assistenza e benefi­cenza pubblica.

Tale orientamento, la cui razionalità (come si dirà in appresso) è senz'altro assurda, tra­duce chiaramente una propensione sfavorevole nei confronti del Ministero dell'Interno, un «pol­lice verso» e quasi un intendimento punitivo, umiliante e non certo conferente al suo pre­stigio.

E' da notare a tal proposito, sia pure «per incidens», che nel corso di un convegno di studi svoltosi a Roma poco tempo dopo la pre­sentazione dell'anzidetta proposta, sotto la pre­sidenza del giornalista Della Giovanna, sui temi della iniziativa parlamentare, è stato, tra l'altro, posto in evidenza che le attuali competenze dei Dicasteri della Pubblica Istruzione, della Giu­stizia e del Lavoro non verrebbero toccate. Ciò fa risaltare ancor più il proposito di desti­tuire esclusivamente il Ministero dell'Interno dalle tradizionali attribuzioni nel campo assi­stenziale, le quali, viceversa, ben potrebbero, o meglio dovrebbero, essere ampliate, sol che si pensi ad alcuni organismi nazionali operanti per la pubblica assistenza ma inquadrati nell'or­bita di altri Ministeri, come, ad esempio, l'Ente Nazionale Assistenza Orfani dei Lavoratori Ita­liani e l'Opera Nazionale Pensionati d'Italia, at­tualmente vigilati dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale; l'Opera Nazionale Ma­ternità ed Infanzia, vigilata dal Ministero della Sanità anche per la parte assistenziale.

Ma vi è di più: la proposta di legge, oltre ad annullare, quasi del tutto, le competenze dell'Amministrazione dell'Interno, aggredisce an­che le strutture assistenziali minori ed, in par­ticolare, le «istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza», delle quali sembra del tutto obliterare le scaturigini storiche e giuridiche, cioè che esse sono fiorite dalla munificenza e dallo spirito filantropico dei privati e che rap­presentano, quindi, un glorioso patrimonio di ci­viltà e un'insostituibile espressione di libertà.

Altro rilievo pregiudiziale emerge dal raf­fronto tra il progetto di legge e la relazione che lo illustra: infatti, mentre questa tratta preva­lentemente dei problemi degli anormali psi­chici, settore che è di pertinenza dell'Ammini­strazione della Sanità da cui non è stato an­cora disciplinato, la normativa, invece, investe tutta l'assistenza pubblica e privata, congloban­do categorie diverse di soggetti che non abbi­sognano di prestazioni sanitarie, curative o ria­bilitative, bensì di interventi o servizi di vera e propria assistenza sociale. Ne deriva un calei­doscopio di destinatari, di fronte al quale il progetto di legge offre soluzioni troppo sem­plicistiche, data l'eterogeneità delle istituzioni considerate.

 

Assistenza e Sanità. Posizione legislativa, costi­tuzionale programmatica.

La materia trattata dalla proposta di legge è così vasta, complessa e poliedrica che vale la pena di puntualizzare i concetti di assistenza pubblica e privata, da un lato, e di protezione e assistenza sanitaria, dall'altro.

Si tratta di concetti, e quindi di settori di legislazione, di organizzazione o di attività amministrativa, ben distinti l'uno dall'altro.

Quando si parla di «assistenza pubblica» in senso strettamente tecnico, si ha riguardo, evidentemente, al profilo soggettivo, cioè alla natura degli enti erogatori, per cui l'azione as­sistenziale pubblica è quella svolta dallo Stato e dagli enti pubblici, nazionali o locali. Ma se si consideri il profilo oggettivo dell'attività, e quindi l'aspetto finalistico ed il contenuto, si deve rilevare che l'assistenza, sia essa espli­cata da organismi pubblici o anche da privati, viene a diversificarsi da altre forme di inter­venti e di protezione sociale.

In sostanza, l'azione di assistenza è volta essenzialmente ad elevare le condizioni mate­riali e morali delle persone e delle famiglie prive di adeguate e sufficienti risorse; è una azione, perciò, che si traduce in interventi e prestazioni di carattere economico e di altro tipo, tendenti a sostenere e sorreggere i non abbienti, per liberarli in un primo tempo dal bisogno e favorirne quindi, ove possibile, il dignitoso inserimento nella vita produttiva del­la collettività.

Com'è noto, nel testo della Costituzione e nel linguaggio dottrinario ed amministrativo ricorre la locuzione «assistenza sociale»; e tale espressione vale a qualificare la metodologia operativa dell'assistenza. L'«assistenza socia­le» è, in altri termini, la via da seguire, il me­todo da attuare negli interventi, nel senso che l'azione assistenziale deve essere sempre più umanizzata e personalizzata, alla luce dei criteri che presiedono ai moderni «servizi sociali», di individuazione o di studio dei singoli casi di bisogno e di scelta e di applicazione, per cia­scun caso, del trattamento adeguato. Da ciò deriva, quindi, che l'assistenza sociale non è alternativa all'assistenza pubblica e non certo la sostituzione, ma rappresenta, invece, per gli organi e per gli enti che la esercitano, un im­pegno di perfezionamento organizzativo e fun­zionale, per così dire una nuova veste da assu­mere ed insieme un più ampio orizzonte da con­seguire nella dimensione e nella qualità degli interventi in favore delle classi meno provve­dute della società.

Ben diverso da tali strutture ed attività si presenta il campo della protezione sanitaria: campo di azione, altrettanto vasto ed impegna­tivo, in cui convergono problemi di complessa entità sul piano scientifico e tecnico e che ab­braccia molteplici rami di attività, come l'igiene e la profilassi, l'assistenza ospedaliera e l'assi­stenza psichiatrica, la medicina sociale, l'ordi­namento farmaceutico, l'alimentazione, l'orga­nizzazione veterinaria, ecc. L'obiettivo di fondo di tali servizi ed interventi è, in definitiva, la «tutela della salute», individuale e collettiva, da realizzarsi mediante adeguati presidi preven­tivi, terapeutici e riabilitativi.

Per discendere dall'astratto al concreto, si deve notare che la dicotomia tra i settori dell'assistenza e della sanità, come sopra rilevato, sul piano concettuale, sussiste anche nell'or­dinamento positivo, cioè nella legislazione ordi­naria, nella Costituzione e nelle norme della Programmazione economica nazionale e si ri­flette, quindi, nell'organizzazione amministrativa, essendo istituzionalmente impegnati il Ministe­ro dell'Interno nel campo dell'assistenza ai meno abbienti e il Ministero della Sanità nel campo della protezione sanitaria dei cittadini.

Quanto alla legislazione ordinaria, un pur sommario sguardo retrospettivo vale a dimo­strare, da un lato, la tradizionale competenza del Ministero dell'Interno nel settore assistenziale e, dall'altro, la peculiare distinzione di tale ambito operativo da altre attività pubbliche e, in particolare, da quella sanitaria.

Fin dall'unificazione del Paese gli organi dell'Amministrazione dell'Interno hanno avuto una investitura di ingerenza e di responsabilità nei confronti degli enti assistenziali. Basti ram­mentare la legge sulle Opere Pie del 3 ago­sto 1862, n. 753, che fu la prima legge dello Stato italiano in materia, e la successiva più organica disciplina dettata dalla legge 17 lu­glio 1890, n. 6972 per le «istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza».

In tempi successivi, la spinta evolutiva delle istanze sociali, il maturare di nuovi bisogni an­che connessi con i confitti mondiali, la progres­siva penetrazione dei poteri pubblici in ogni campo della vita economica hanno determinato un sempre più dinamico interessamento dello Stato verso i meno abbienti. In tale quadro, ha assunto significativo risalto l'attività del Mini­stero dell'Interno e dei suoi organi periferici, sia per l'assistenza dei bisognosi in genere e dalle categorie più colpite dagli eventi bellici in specie, che per la vigilanza e il coordinamento nei confronti degli enti assistenziali locali, pub­blici e privati, nonché di organismi a carattere nazionale, operanti in favore dei ciechi, dei sor­domuti, degli invalidi per servizio e degli invalidi civili.

Una evoluzione non dissimile, parallela e quindi distinta rispetto all'ordinamento assisten­ziale, ha avuto la legislazione in materia sani­taria, la quale, muovendo dalla prima legge or­ganica del 1865 ed attraverso alcune tappe es­senziali, costituite da una legge del 1868, e dai testi unici del 1907 e del 1934, ha delineato un processo di progressiva specializzazione dell'Amministrazione della sanità pubblica, culmi­nato nella legge del 1958, istitutiva del Ministero della Sanità.

La separazione dei settori della sanità e dell'assistenza trova, altresì, riscontro nella diversa posizione, per sistematica, contenuti e finalità, riservata ad essi dalla Corte costitu­zionale, agli articoli 32 e 38.

Le due norme, infatti, sono inserite in titoli differenti: quella relativa alla tutela della salute è inquadrata nel titolo li, concernente i «rap­porti etico-sociali», mentre la norma riguardante l'assistenza è collocata nel titolo III, dedicato ai «rapporti economici».

Quando all'oggetto e alle finalità, dall'art. 32 si evince il potere-dovere dello Stato di appre­stare mezzi idonei per salvaguardare la salute dei cittadini e per garantire cure sanitarie gra­tuite agli indigenti; dall'articolo 38 emerge, in­vece, lo scopo primario della protezione assi­stenziale, attuata da organismi pubblici e pri­vati e con i metodi dei servizi sociali, in favore dei soggetti che, per inabilità al lavoro o per penuria di risorse economiche proprie, non sono in grado di provvedere alle esigenze della vita.

I destinatari delle due norme costituzionali sono, quindi, riguardati in una diversa prospet­tiva: in quanto infermi, ai fini della tutela sani­taria, in quanto elementi in condizioni di salute normali ma impossibilitati all'autosufficienza produttiva, ai fini dell'intervento assistenziale.

Lo stesso criterio generale, seguito dalla Costituzione, di differenziazione dell'assistenza dalla sanità, è recepito dalla legge sulla Pro­grammazione economica nazionale (legge 27 lu­glio 1967, n. 685).

E' saliente notare, in proposito, che nell'an­zidetta legge il Capitolo dedicato alla «Sicu­rezza sociale» si articola in quattro rubriche e cioè: settore sanitario; settore previdenziale; settore assistenziale; protezione civile.

Il campo dell'assistenza, pertanto, pur do­vendo considerarsi come parte di un tutto (la «sicurezza sociale»), è riguardato e valutato nel Programma distintamente da quello sani­tario, cosicché esso assume, anche sul piano sistematico, una sua tipicità ed autonomia, co­me area di legislazione, di organizzazione e di attività.

L'assistenza, in altri termini, è configurata come uno dei fattori, in concorso con le altre componenti indicate dal Piano, di quel «siste­ma di sicurezza sociale», che si tende a rea­lizzare mediante opportune e graduali riforme normative e strutturali.

Analoga impostazione è data alla materia anche nel «Progetto 80», cioè negli studi pre­liminari e preparatori per il Programma econo­mico nazionale 1971-75: in tale documentazione la parte dedicata alla «sicurezza sociale» è, infatti, suddivisa in distinti campi di azione, che riguardano, rispettivamente, la «tutela della sa­lute», la «previdenza sociale» e i «servizi sociali».

 

Attività del Ministero della Sanità e del Mini­stero dell'Interno.

L'iniziativa parlamentare non può essere valutata alla luce dei concetti generali sopra esposti e dei lineamenti storici e legislativi che si sono tracciati, elementi atti, già per se stessi, a far disattendere, nel fondo, la validità della proposta medesima.

Ma questa induce anche a considerare, su di un piano più concreto ed attualistico, se sia possibile, il che è da escludere, che il Dica­stero della Sanità riesca a sopperire adeguata­mente alla regia di settori operativi, tanto com­plessi e diversi tra loro, assumendo, con ciò, una posizione monopolistica che di per sé è inconciliabile con la rilevata non omogeneità delle funzioni di cui si tratta.

Il criterio secondo il quale l'Amministrazione sanitaria debba attrarre la materia dell'assisten­za sociale, anch'essa amplissima ed estrema­mente delicata, non è suffragato da alcun plau­sibile motivo, né di necessità né tanto meno di opportunità.

Senza dire, poi, che l'iniziativa in esame, scompaginando non soltanto l'organizzazione dei settore assistenziale sul piano dell'Amministra­zione dello Stato, ma travolgendo altresì inte­gralmente tutti gli enti nazionali o locali che operano per l'assistenza, concentrerebbero in capo al predetto Ministero ed ai nuovi organi ed uffici da esso dipendenti un tale coacervo ed intreccio di competenze e di attività da rendere elefantiaco l'apparato e nebulosa e caotica la sfera degli interventi.

La sanità è un campo di amministrazione pubblica che coinvolge rilevantissimi problemi ed è tale, perciò, da rendere veramente anomalo ed insostenibile il peso sullo stesso Dicastero di altrettanto delicate e complesse attività come quelle dell'assistenza sociale, con tutte le esi­genze ed i multiformi interventi che vi si con­nettono.

Basta scorrere la legge del Programma eco­nomico nazionale per rendersi conto della som­ma di questioni che sono ancora da risolvere nel settore sanitario e della entità delle riforme da realizzare.

Si pensi, in proposito, all'obiettivo di esten­dere a tutti i cittadini le prestazioni sanitarie, preventive, curative e riabilitative, il che richie­derà l'aumento e l'adeguamento qualitativo dei diversi presidi sanitari.

Si pensi alla prospettiva di costituire un «Servizio Sanitario Nazionale», articolato nelle Regioni, nelle Provincie e nei Comuni e a quella di creare le «Unità sanitarie locali» come unica struttura atta a «riassumere in sé tutte le com­petenze e tutte le funzioni sanitarie che attual­mente si ripartiscono, a livello locale, tra un numero notevole di organismi diversi».

Se, poi, dal Programma economico nazio­nale 1966-70 si passi a considerare i documenti preparatori del futuro Programma 1971-75 (Pro­getto 80 e relativa Appendice), si nota che viene ribadita la necessità di una profonda riforma dell'organizzazione sanitaria del Paese, per con­seguire una moderna politica nel campo della tutela della salute, i cui obiettivi sono l'innalza­mento del livello igienico-sanitario, l'elimina­zione delle malattie infettive, la lotta alle ma­lattie sociali, la rimozione delle cause che de­terminano malattie direttamente influenzate dal progresso tecnico e dalle condizioni di vita e di lavoro, il soddisfacimento della crescente do­manda di servizi sanitari mediante l'offerta di beni e servizi qualitativamente superiori sul piano scientifico e tecnico.

Vero è che alcuni settori particolari della vastissima area della sanità hanno formato og­getto, negli ultimi anni, di iniziative tradotte in provvedimenti speciali: così, ad esempio, l'or­dinamento dell'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia (legge 1 dicembre 1966, n. 1081), i ser­vizi di medicina scolastica (Regol. 22 dicem­bre 1967, n. 1518), l'assistenza ospedaliera (leg­ge 12 febbraio 1968, n. 132), l'assistenza psi­chiatrica (legge 18 marzo 1968, n. 431). Si è trattato, però, di discipline limitate a strutture e ad attività settoriali e che hanno determinato, come nel caso della legge ospedaliera, un lento ed ancora non compiuto sviluppo applicativo (solo circa 500 istituti sono stati sinora dichia­rati o costituiti in «ente ospedaliero») ovvero hanno costituito, come nel caso dell'O.N.M.I. e dell'assistenza psichiatrica, meri stralci di ben più ampie esigenze di riforma.

A proposito dell'assistenza psichiatrica, te­ma di per sé molto complesso e che è pure toccato dalla presente proposta di legge (a giu­dicare dai ripetuti richiami fatti nella relazione ai problemi del «disadattamento psichico» e dei «subnormali»), si deve notare che nella passata legislatura il Ministero della Sanità, la cui competenza primaria e tecnica nella mate­ria certamente non è contestabile, aveva predi­sposto uno schema di legge sull'«assistenza, cura e riabilitazione medico-sociale degli irre­golari psichici in età evolutiva»; senonché, tale iniziativa non ha avuto seguito ed ora lo stesso Ministero è venuto nella determinazione di co­stituire una Commissione interministeriale per lo studio di un nuovo progetto normativo, per cui anche tale problema è ancora in una fase del tutto preliminare e preparatoria.

Se, dunque, sul terreno dell'ordinamento sanitario qualche iniziativa si è concretata, mol­tissimo resta ancora da fare.

Basterebbe, a tal proposito, porre mente al settore della medicina mutualistica, che è ancora avulso dall'orbita del Ministero della Sa­nità e permane, invece, nell'ambito della sfera operativa del Ministero del Lavoro e della Pre­videnza Sociale, pur con l'enorme espansione della mutualità che investe la quasi totalità della popolazione (circa il 50 per cento).

L'irrazionalità del criterio di associare in un unico centro direzionale la protezione sani­taria e l'assistenza sociale si trae dalla rilevata assoluta diversità delle sue materie e dalla netta distinzione che di essa fanno la legisla­zione ordinaria, la Corte costituzionale e le nor­me della Programmazione economica.

D'altro canto, come si è visto, la comples­sità dei problemi che i due campi operativi, e specialmente quello sanitario, comportano rende addirittura problematica la possibilità della loro unitaria gestione.

Dimostrate, con quanto sin qui argomenta­to, l'anormalità della soluzione organizzatoria proposta ed altresì le ragioni che, anche sul piano dell'opportunità, la contrastano, è vera­mente logico e legittimo chiedersi per quali intenti ed aspettative di chimerico perfezioni­smo si voglia cancellare il settore assistenziale dalle attribuzioni dell'Amministrazione dell'In­terno, relegando questa alla modesta funzione di organo erogatore di interventi straordinari nelle sporadiche contingenze delle pubbliche calamità, e si voglia, per di più, eliminare dal mondo giuridico e sociale, con brevi e sempli­cistici tratti normativi, tutta una schiera di isti­tuti, le cui benefiche e provvide attività costi­tuiscono, spesso per secolare tradizione, un sin­tomo incontrovertibile di solidarietà umana e civile.

Un orientamento così ostile potrebbe am­mettersi solo se fosse suffragato dalla consi­derazione che tanto gli organi quanto gli enti operanti nel campo della pubblica assistenza abbiano dato in passato e diano attualmente palesi segni di inefficienza o di inutilità. Ma la realtà manifesta il contrario.

E' d'uopo, in proposito, riguardare con una visione d'insieme, obiettiva e serena, l'azione dei Servizi centrali e periferici dell'Assistenza Pubblica del Ministero dell'Interno.

La complessità della legislazione da appli­care e la molteplicità degli istituti da vigilare rendono tale azione indubbiamente multiforme e particolarmente impegnativa. Essa può sche­maticamente, articolarsi in tre ordini di funzioni e cioè:

1) controllo, indirizzo ed impulso verso alcuni enti assistenziali a carattere nazionale e verso gli enti assistenziali locali (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed enti comunali di assistenza) ;

2) integrazione e sostegno finanziario de­gli enti assistenziali pubblici e privati;

3) interventi di assistenza diretta per determinate categorie di bisognosi (profughi e rimpatriati, ex combattenti, ecc.).

Orbene, considerando globalmente le ac­cennate funzioni, si deve affermare, senza pos­sibilità di smentita, che gli organi dell'Ammi­nistrazione dell'Interno hanno ispirato sempre ed ispirano il loro operato proprio ai postulati dell'art. 38 della Costituzione e alle norme del Programma, con una visione responsabilmente consapevole delle esigenze dei non abbienti e delle necessità funzionali degli organismi assi­stenziali e sempre aperta e protesa verso ogni possibile miglioramento delle condizioni dei de­stinatari dell'assistenza.

L'attività governativa, quindi, è costante­mente aderente all'evolversi delle condizioni socio-economiche della collettività e si indirizza con ogni impegno al perfezionamento degli in­terventi assistenziali, così nell'aspetto dei me­todi come in quello delle dimensioni degli in­terventi stessi.

Di tali orientamenti sono sintomatiche indi­cazioni:

a) l'azione di oculata vigilanza, di coor­dinamento e di impulso, che viene attuata verso l'Opera Nazionale Ciechi Civili, l'Ente Nazionale Sordomuti, l'Ente Nazionale di Lavoro per i Cie­chi, l'Unione Nazionale Mutilati per Servizio, l'Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi Ci­vili nonché verso gli enti assistenziali locali;

b) l'azione di sostegno finanziario verso gli enti assistenziali pubblici e privati, condotta sempre con ponderato equilibrio, nell'ambito delle modeste risorse del bilancio, spesso ina­deguate rispetto alle pressanti e concrete esi­genze;

c) le direttive chiare, moderne ed effi­caci, impartite per il perfezionamento delle strutture e dei metodi dell'assistenza in favore sia dei minori accolti in istituti educativo-assi­stenziali che degli anziani in case di riposo, nonché per l'intensificazione della vigilanza in tale campo; ciò, allo scopo di assicurare agli assistiti un migliore livello di trattamento di ospitalità, sotto ogni profilo;

d) l'impegno perseguito per adeguare la misura della retta ministeriale corrisposta agli istituti per il mantenimento dei ricoverati; al riguardo, è significativo notare che tale retta è stata sensibilmente e progressivamente aumentata negli ultimi anni;

e) i provvedimenti legislativi promossi o assecondati, in settori di particolare rilievo, co­me quelli dell'assistenza ai ciechi civili, ai sor­domuti e agli invalidi civili;

f) la conoscenza statistica del settore, acquisita attraverso rilevazioni periodiche, d'in­tesa con l'istituto Centrale di Statistica.

Fervore di attività e di iniziative è dunque senz'altro riscontrabile nell'opera che ha svolto e svolge il Ministero dell'Interno per le classi meno abbienti.

Particolare riguardo merita, in questo qua­dro, la protezione sociale dei ciechi, dei sordo­muti e degli invalidi civili, ai quali l'Amministra­zione dell'Interno ha rivolto sempre speciale at­tenzione, assecondando e indirizzando lo svi­luppo delle attività degli enti nazionali operanti in favore di tali categorie e promuovendo al riguardo importanti misure legislative.

Possono essere rammentati, in proposito, le leggi e i regolamenti emanati dal 1954 al 1964 per la strutturazione dell'Opera Nazionale Ciechi Civili e per l'erogazione dell'«assegno a vita», poi trasformato in «pensione non reversibile», nonché la più recente legge 28 marzo 1968, nu­mero 406 con la quale è stata stabilita l'«inden­nità di accompagnamento» per i ciechi assoluti assistiti dalla predetta Opera Nazionale.

Nel settore dei sordomuti, va ricordata la legge 18 marzo 1968, n. 88, che ha disposto una provvidenza economica a carattere continuativo in favore di tali minorati, nella forma di asse­gno mensile di assistenza.

Per gli invalidi civili, valga notare la legge 6 agosto 1966, n. 625, nella quale è stata pre­vista, tra l'altro, l'assistenza economica conti­nuativa, pure in forma di assegno mensile e dalla quale legge si è sviluppata una cospicua attività degli organi centrali dell'Assistenza Pubblica e delle Prefetture.

In tutti e tre i settori suindicati si registra una dinamica evoluzione sul piano legislativo ed amministrativo.

Infatti, per i minorati della vista, sono at­tualmente allo studio, a cura del Ministero dell'interno, d'intesa con quello del Tesoro, pro­spettive per il miglioramento del trattamento pensionistico-assistenziale ed anche per un riordinamento dell'organizzazione relativa all'ac­certamento della cecità.

Per i sordomuti, si sta avviando, ad inizia­tiva del Ministero dell'Interno, un progetto di legge volto all'aumento dell'assegno mensile di assistenza e a un diverso assetto della materia. Anche nei riguardi della categoria degli in­validi civili, il Parlamento ha testè approvato un disegno di legge d'iniziativa governativa inteso ad aumentare la misura dell'assegno assisten­ziale ed è già allo studio il problema della pro­crastinazione di tali provvedimenti dal 1970 in avanti.

Altro settore di attività dei Servizi dell'As­sistenza Pubblica del Ministero dell'Interno, in cui si sono conseguiti risultati veramente posi­tivi sotto ogni aspetto, è quello relativo all'assi­stenza dei profughi di guerra e dei connazionali rimpatriati da alcuni Paesi per eventi ecce­zionali.

Un criterio di fondo domina e caratterizza l'azione che il Ministero ha svolto e svolge in tale campo: favorire, con idonee misure di assi­stenza economica ed alloggiativa, la sollecita normalizzazione delle condizioni di vita di tali cittadini ed il loro pieno reinserimento nel tes­suto sociale e produttivo del Paese.

Il linguaggio delle cifre è significativo ed eloquente.

Dall'epoca del dopoguerra a data corrente sono stati dimessi dai «Centri di raccolta», all'uopo istituiti, ben 202.638 profughi.

Di tali «Centri di raccolta» oltre 100 sono stati chiusi ed attualmente ne funzionano appe­na 9, che ospitano circa 3.500 profughi, per lo più in età avanzata.

Circa la sistemazione alloggiativa della pre­detta categoria, è da notare che con i tre piani di costruzione disposti a carico dello Stato sono stati programmati 8.069 alloggi, dei quali già assegnati 7.980; inoltre, sono stati riservati per i profughi 11.781 alloggi, costruiti dagli Istituti per l'edilizia economica e popolare, e di tali alloggi 9.662 sono stati già assegnati.

E' da segnalare, infine, che con i normali fondi di bilancio il Ministero ha intrapreso la realizzazione di due case di riposo per i profu­ghi anziani, una delle quali funziona a Pigna ed un'altra è in via di allestimento a Bari.

Nella poliedrica attività assistenziale svolta dalla apposita Direzione Generale e dalle Pre­fetture molti servizi di particolare delicatezza ed utilità potrebbero essere passati in rasse­gna, per dimostrare l'incessante e fervorosa iniziativa degli organi responsabili della pub­blica assistenza.

Basti, comunque, rammentare, oltre a quan­to già accennato: il sovvenzionamento straordi­nario di enti assistenziali di qualsiasi natura, per ripianarne la situazione deficitaria ed age­volarne, il potenziamento; il concorso finanzia­rio verso istituti che organizzano e svolgono l'assistenza estiva ed invernale per i fanciulli bisognosi in colonie marine e montane, in cam­peggi, asili, doposcuola, ecc.; l'approvvigiona­mento e la distribuzione ad enti assistenziali e a categorie assistenziali di materiale assisten­ziale vario, come effetti letterecci, indumenti, calzature, ecc.; il concorso nelle spese per cure sanitarie, le forniture di presidi ortopedici e simili interventi in casi di particolare necessità.

Il quadro non sarebbe completo se non si facesse cenno dell'impegno operativo dei Ser­vizi dell'Assistenza Pubblica, centrali e perife­rici, per il soccorso e l'assistenza urgente di persone o di famiglie sinistrate dalle calamità naturali, che funestano, con ricorrenza non in­frequente, zone più o meno ampie del territorio nazionale. In tali circostanze eccezionali, impre­vedibili e spesso drammatiche, gli organi pre­posti alla pubblica assistenza sono mobilitati nell'attuazione immediata e solerte di provvi­denze in denaro o in natura, atte comunque ad alleviare i disagi dei sinistrati, fino alla norma­lizzazione delle loro condizioni di vita.

E' questa, una presenza, concreta ed inso­stituibile, dei pubblici poteri verso popolazioni tanto gravemente colpite negli affetti e nei beni, presenza, oltretutto, scevra da aspetti pub­blicitari ma silenziosa e costante, permeata da elevato spirito di solidarietà e da consapevole senso di responsabilità e di abnegazione.

Tali provvidi interventi, giova ricordare, so­no stati esplicati in numerose contingenze di estrema gravità e sempre senza dar luogo ad inconvenienti, come in occasione delle alluvioni del Polesine nell'autunno 1951, del disastro del Vajont dell'ottobre 1963, della frana in Agrigento del luglio 1966, delle alluvioni e mareggiate che devastarono, nell'autunno 1966, le Regioni settentrionali e centrali del Paese e, più recen­temente, dei moti sismici verificatisi nel gen­naio 1968 nella Sicilia occidentale, a seguito dei quali sono tuttora assistiti in varie forme e in diverse provincie della Repubblica circa 30.000 sinistrati del terremoto.

In sostanza, dal panorama che si è tracciato circa le attività del Ministero dell'Interno nel settore assistenziale risulta chiaramente che, attraverso l'opera dello stesso Dicastero, te­nace ed ispirata ai criteri delle moderne tecni­che di assistenza sociale, condizionata ovvia­mente dalle possibilità della pubblica finanza, si è realizzata una sia pur graduale attuazione dei precetti dell'articolo 38 della Costituzione, il cui contenuto programmativo ha trovato nelle leggi e nell'adozione amministrativa concreto sviluppo.

Si può ben dire, perciò, che proprio me­diante l'iniziativa dell'Amministrazione dell'In­terno gli impegni segnati dall'art. 38 siano stati in larga misura già soddisfatti: ciò, ove si tenga presente, nel quadro generale della protezione assistenziale, anche la recente legge sulla «pensione sociale» agli ultrasessantacinquenni privi di reddito (previdenza, questa, che è stata ascritta agli Organi della Previdenza Sociale ma che in fase preparatoria ha particolarmente im­pegnato anche i Servizi dell'Assistenza Pubblica del Ministero dell'Interno).

Ciò che essenzialmente resta da realizzare, nel campo dell'assistenza, è il coordinamento delle attività soprattutto a livello locale, coordi­namento che da tempo e da più parti è auspi­cato e che anche le norme della Programma­zione richiedono.

A tale finalità il Ministero dell'Interno ha già orientato sia la propria concreta azione sia gli studi per l'approntamento di un progetto di legge, che sarà quanto prima definito e che verrà a trasformare gli attuali E.C.A. in Unità comunali dei servizi di assistenza sociale; ciò, in piena armonia con gli indirizzi dei documenti preparatori per il Programma economico del futuro quinquennio (Progetto 80).

Brevi note nel merito della proposta di legge.

Le argomentazioni di ordine generale che precedono esimono da una dettagliata ed ana­litica disamina delle singole disposizioni di cui consta la proposta di legge.

E' d'uopo, peraltro, soffermare l'attenzione sull'aspetto innovativo della proposta stessa, che è altrettanto rivoluzionario quanto quello che investe l'organizzazione del Ministero dell'interno e che concerne la situazione degli enti assistenziali.

L'iniziativa legislativa prevede, infatti, la devoluzione «di diritto» ai Comuni di tutte le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficen­za non aventi carattere ospedaliero nonché la soppressione, entro tre anni, degli enti pubblici che svolgono a qualsiasi titolo attività di assi­stenza sociale, con l'assorbimento delle compe­tenze e del personale nei nuovi Uffici che ver­rebbero creati.

Sempre in tema di enti assistenziali, è da notare che la stessa proposta di legge contem­pla la possibilità di conferire il riconoscimento quali istituzioni o associazioni di «utilità so­ciale» alle iniziative, anche private, che eserci­tano l'assistenza sociale sul piano nazionale, internazionale e regionale.

Ciò posto, e poiché l'indirizzo soppressivo a carico degli attuali enti di assistenza sembra trovare movente nel rilievo del loro numero eccessivo, come emerge dalla relazione illustra­tiva, occorre, innanzitutto, sfatare tale assunto e ridimensionare il problema in termini più rea­listici e precisi.

Al riguardo, si deve considerare preliminar­mente che l'articolo 38 della Costituzione, pre­vedendo la coesistenza di strutture assistenziali pubbliche e private, alle quali ultime, anzi, ga­rantisce piena libertà d'iniziativa e di sviluppo, delinea un pluralismo di soggetti operanti (Sta­to, enti pubblici nazionali e locali, enti privile­giati) che diventa, perciò, una caratteristica peculiare del sistema positivo.

A parte ciò e venendo alle cifre, si deve rilevare che il numero globale degli istituti attualmente esistenti nel campo dell'assistenza non raggiunge la somma di 40.000, generalmente indicata.

Sono dimostrativi, al riguardo, i dati delle più recenti rilevazioni statistiche, effettuate dall'istituto Centrale di Statistica e dal Ministero dell'Interno, sulla situazione numerica degli enti assistenziali pubblici e privati:

 

Natura giuridica

Tipo di attività

 

Asili

infantili

Attività

di ricovero

Attività

non di ricovero

Totali

Istituzioni pubbliche di as­sistenza e beneficenza . .

3.948

2.151

1.433

7.532

Centri assistenziali dipen­denti da Enti pubblici locali

3.927

490

508

4.925

Istituti assistenziali privati

8.845

2.899

540

12.284

Totale

16.720

5.540

2.841

24.741

8.052

Enti Comunali di Assistenza

 

 

 

 

Totale

32.793

 

Occorre, ora, sceverare gli elementi di cui sopra per valutare in giusti termini il problema quantitativo.

Innanzitutto, va rilevato che il numero degli E.C.A. è strettamente collegato a quello dei Co­muni, in quanto per legge in ogni Comune deve esistere un ente comunale di assistenza; il numero stesso, pertanto, non è riducibile. Procedendo nell'analisi, si nota poi che vengono registrati oltre 16.000 asili infantili. Al riguardo si deve considerare che, secondo la moderna evoluzione dell'ordinamento scola­stico in generale e delle scuole materne in particolare, gli asili infantili non possono più annoverarsi tra le strutture tipicamente assi­stenziali, anche se parte di essi conservi ancora la veste giuridica dell'istituzione pubblica di as­sistenza e beneficenza, ma si debbono ascri­vere, invece, più correttamente e sostanzial­mente, tra gli istituti che operano nell'orbita della scuola in quanto concorrono a realizzare la finalità sociale dell'educazione e dell'istru­zione della popolazione minorile.

Se, dunque, per le ragioni anzidette, nel considerare il complesso degli enti di cui si tratta, non si tenga conto degli E.C.A. e si escludano gli asili infantili, rimangono circa 8.000 istituti, pubblici o privati, cifra, questa, che non è certo imponente a fronte sia delle tradizioni gloriose della beneficenza nel nostro Paese sia del principio di libertà dell'assistenza privata, sancito dall'art. 38 della Costituzione.

Di questi 8.000 enti, circa 5.500 esplicano attività di ricovero e mantenimento in favore di minori, di adulti inabili e di vecchi: vi si com­prendono i brefotrofi, gli istituti educativo-assi­stenziali per minori, le case di riposo per an­ziani, i dormitori e simili centri di ospitalità.

Al riguardo, non può essere sottovalutata la proficuità, anzi l'indispensabilità dell'apporto che gli istituti di ricovero con le proprie risor­se danno all'assistenza di soggetti apparte­nenti a famiglie bisognose o addirittura privi di sostegno familiare; ciò, anche nella conside­razione del costo di tali servizi, che sarebbe certamente di gran lunga superiore nell'ipotesi di una completa statalizzazione dei servizi stes­si. Si pensi, infatti, ai forti aumenti verificatisi in breve volgere di tempo nelle rette ospeda­liere, mentre per gli istituti assistenziali che assistono minori, anziani od inabili per conto del Ministero dell'Interno la retta a carico dello Stato, pur essendo stata opportunamente incre­mentata negli ultimi anni attraverso un note­vole sforzo finanziario, è differenziata in ragione dell'età degli assistiti e non supera comunque le 1000 lire al giorno pro capite.

L'altro gruppo di istituti svolge utili pre­stazioni assistenziali in forme varie, non di ricovero, e non può dirsi certo numeroso in quanto comprende all'incirca appena 2500 or­ganismi.

Ciò premesso e scendendo nel merito del­la questione, si deve notare che il congegno delineato dagli artt. 37, 41 e 54 della proposta di legge, per la soppressione degli enti, non risulta affatto chiaro, in quanto non s'intende bene se tra gli istituti che si occupano degli invalidi fisici, psichici, sensoriali e dei disadat­tati sociali e che verrebbero soppressi, si vo­gliano comprendere anche gli organismi di na­tura privata.

Sta di fatto, comunque, che le previsioni normative anzidette eliminerebbero altresì dall'ordinamento giuridico addirittura gli enti na­zionali che operano per i ciechi ed i sordo­muti. A tal proposito, è d'uopo riferirsi all'ar­ticolo 38 della Carta costituzionale, più volte richiamato, per sottolinearne il penultimo com­ma, nel quale si dispone che ai compiti in materia di assistenza provvedono lo Stato e gli istituti da esso «predisposti o integrati». Orbene, gli enti nazionali istituiti per la pro­tezione assistenziale dei minorati sensoriali trovano movente proprio nell'anzidetto dettato del Costituente, onde la proposta legislativa, oltreché nebulosa, è quanto meno assurda per­ché non tiene conto delle indicazioni contenute nella fonte giuridica superiore, di ordine costi­tuzionale.

Altro indirizzo, parimenti assurdo, che pre­senta l’iniziativa parlamentare e sul quale s'in­tende particolarmente anche soffermarsi, è quello della soppressione delle istituzioni pub­bliche di assistenza e beneficenza.

E' appena il caso, a tale riguardo, di ram­mentare che le dette istituzioni scaturiscono generalmente dalla volontà benefica dei pri­vati, promanando da atti «inter vivos» e «mor­tis causa» che traducono l'intento di rendere continuativa nel tempo la destinazione di beni e di attività a favore degli indigenti, sì che l'impulso solidaristico dei promotori dell'inizia­tiva non si disperda ma abbia concreto ed effi­ciente sviluppo.

Il crisma di pubblicità che lo Stato confe­risce con il procedimento di entificazione non annulla, quindi, ma anzi, per così dire, esalta l'originario impegno munifico e filantropico, as­sunto per sollevare le sorti dei soggetti meno provveduti nella società.

Sotto tale riguardo, perciò, la prevista de­voluzione delle istituzioni ai Comuni è da rite­nersi incostituzionale, in relazione all'ultimo comma dell'art. 38 della Costituzione, che san­cisce la libertà delle iniziative private nel cam­po dell'assistenza.

La stessa esistenza e le attività delle isti­tuzioni pubbliche assistenziali rappresentano, in definitiva, un patrimonio di tradizioni demo­cratiche, la cui validità è sempre attuale ed è insostituibile, come tipica espressione della civiltà italiana.

In tali istituzioni, infatti, si tramanda la fiaccola della generosità e dell'altruismo, se­gno, ad un tempo, di civile coscienza e di prov­vida e libera azione nell'interesse dei biso­gnosi; ed è una fiaccola che, lungi dell'essere sopita, dovrebbe invece essere ravvivata e trovare alimento e sostegno da parte dei pub­blici poteri.

Ciò, ovviamente, non esclude che venga perseguito un indirizzo di coordinamento di tali strutture, volto alla estinzione degli enti che non abbiano mezzi sufficienti di sopravvivenza ovvero alla fusione degli istituti con finalità similari: questo indirizzo è convenientemente attuato dagli organi dell'Assistenza Pubblica, che negli ultimi tempi hanno promosso nume­rosi provvedimenti del genere, con una note­vole riduzione del numero delle istituzioni pub­bliche assistenziali.

Sul piano della costituzionalità, si ritiene che la proposta sia suscettibile di un'altra cen­sura, per quanto concerne le attività previste per le Regioni (art. 33).

Al riguardo, poiché secondo gli artt. 117 e 118 della Costituzione alle Regioni spettano la potestà legislativa concorrente e le funzioni am­ministrative nella materia della «beneficenza pubblica», non si vede come possano prede­terminarsi compiti specifici e, in modo partico­lare, divieti di operare senza, con ciò, svuo­tare di contenuto le anzidette potestà.

Un altro rilievo deve essere fatto in or­dine alla prospettiva (di cui all'art. 35) che i Comuni con popolazione inferiore ai 50 mila abitanti debbano consorziarsi tra loro per isti­tuire la «Unità socio-assistenziale locale». Si nota, al riguardo, che tale criterio orga­nizzativo è inopportuno e di difficile realizza­zione, in quanto verrebbero obbligati al rag­gruppamento in consorzio quasi tutti i Comuni della Repubblica, cioè ben 7958 Comuni su 8052 e le unità locali potrebbero comprendere aree di territorio anche di eccessiva latitudine. Un'ulteriore notazione critica attiene alla previsione dell'istituzione, in ogni capoluogo di Regione (articolo 50), di scuole professio­nali nonché di corsi per l'aggiornamento dei personale e per il riconoscimento di particolari qualifiche in relazione ai servizi dell'assistenza sociale.

Si osserva, al riguardo, che tale problema di istruzione specializzata è una questione che da tempo si agita e che deve essere risolta dagli Organi del Ministero della Pubblica Istru­zione d'intesa con quelli del Ministero del La­voro e della Previdenza Sociale, che sono en­trambi interessati al problema stesso, in rap­porto alle rispettive sfere di competenza.

 

Note conclusive

Alla luce di tutte le considerazioni e le osservazioni sin qui formulate, la proposta di legge non può non trovare pieno dissenso.

E ciò, con particolare riguardo a due riflessi di fondo, che debbono essere ribaditi in linea conclusiva:

1) profili di incostituzionalità;

2) inopportunità, sotto l'aspetto politico­organizzativo.

In ordine al rilievo di cui al primo punto, la proposta, come si è già detto, è da ritenersi censurabile sotto l'aspetto della sua confor­mità ai precetti costituzionali, sia in quanto tende a sopprimere enti ed istituzioni che promanano dalla libera iniziativa privata, nel campo dell'assistenza, garantita dall'art. 38 del­la Costituzione, sia in quanto, nel delineare compiti e nel sancire divieti per le Regioni, la proposta stessa non si palesa coerente con la sfera delle potestà riservate alle Regioni me­desime dagli artt. 117 e 118 della Carta fon­damentale.

In merito al secondo punto, si deve con­fermare che la commissione sul piano orga­nizzativo e su quello operativo dei servizi di protezione sanitaria e dei servizi di assistenza sociale è un orientamento che, come si è di­mostrato, oltre a disconoscere le tradizioni dell'ordinamento positivo, travalica le linee segna­te dalla Carta Costituzionale e delle norma­tive della Programmazione economica per l'e­voluzione, dinamica sì, ma distinta dei due settori di pubblico intervento, la sanità e l'as­sistenza.

Lo stesso orientamento, d'altro canto, sot­traendo al Ministero dell'Interno il settore assi­stenziale, depaupera la politica interna di uno dei cardini sui quali essa poggia e fa leva.

L'assistenza è indubbiamente un polo di osservazione, di rilevamento e di sintesi delle istanze sociali ed è, nel contempo, per lo Stato, un campo di azione diretta e di coordinamento delle iniziativa pubbliche e private, in cui è do­minante e sovrano l'interesse generale del benessere e del progresso dell'intera colletti­vità nazionale.

E', perciò, da disattendere il proposito di assegnare a un Dicastero tecnico-sanitario una sfera di valutazioni, di rapporti e di attività di così notevole contenuto etico-sociale, estra­niando totalmente da essa proprio quell'Am­ministrazione che, per essere investita di at­tribuzioni generali, ha la responsabilità prima­ria dell'ordinato evolversi della vita del Paese.

E tale disegno, davvero straordinario ed immotivato, si contrasta qui non certo per una miope, conservatrice e negativa concezione, secondo la quale la competenza del Ministero dell'Interno sarebbe giustificata dalla preven­zione o repressione del pauperismo come feno­meno di parassitismo sociale, bensì sulla base di una ben più ampia, lungimirante, moderna vi­sione delle funzioni dello Stato, che porta a rivendicare allo stesso Ministero il compito di concorrere efficacemente alla elevazione morale, oltre che materiale, delle classi meno abbienti e al loro dignitoso inserimento nel tessuto pro­duttivo della Nazione. Il che, del resto, ha co­stantemente ispirato ed ispira l'opera fervida, sensibile a consapevole dei Servizi centrali e periferici dell'Assistenza Pubblica, al di là di ogni sterile e formale polemica.

In questa opera il Ministero dell'Interno e le Prefetture non hanno certo demeritato ma, al contrario, come si è dinanzi avuto modo di ricordare, hanno assunto e promosso iniziative ed attività valide a rendere vieppiù concreti ed effettivi, in sede legislativa ed amministrativa, i precetti programmatici dell'art. 38 della Costi­tuzione e le indicazioni del Piano di sviluppo economico-sociale.

Togliere, dunque, l'assistenza dalle attri­buzioni istituzionali dell'Amministrazione dell'Interno significherebbe restringerne gravemen­te l'orizzonte conoscitivo ed operativo; signifi­cherebbe escludere l'Amministrazione stessa dal grande quadro della «sicurezza sociale», per la cui graduale realizzazione essa ha già dato ed intende dare concreti apporti di espe­rienza e di azione significherebbe, oltretutto, con la prevista eliminazione degli organismi mi­nori che oggi ad esso fanno capo, mutilarla di quella superiore funzione di coordinamento e di impulso che ha sempre svolto, quasi non fos­se giudicata capace di adeguato equilibrio e di apertura verso le autonomie locali e verso le esigenze della collettività.

Una impostazione del genere si deve, dun­que, respingere: il Ministero dell'Interno, pro­prio per una visione completa e globale dei problemi e delle esigenze della comunità na­zionale, non può essere disimpegnato dal cam­po dell'assistenza che investe le necessità e la vita di una parte della stessa comunità e che, ovviamente, postula strutture operative e forme di attività condotte secondo i moderni criteri e metodi del servizio sociale.

Un'ultima considerazione si pone ad epilogo dei motivi che suffragano il parere contrario e cioè che la portata veramente rivoluzionaria della proposta di legge, la vastità e la varietà delle materia che essa tratta, la complessività, la delicatezza e la somma dei problemi che in­volge inducono ad affermare l'opportunità che un progetto di tal genere non sia lasciato all'i­niziativa parlamentare ma sia, invece, il frutto di meditate ed approfondite valutazioni a li­vello governativo.

Ed invero, una normativa che investe addirittura l'organizzazione dello Stato, incidendo tanto profondamente sull'ordinamento istituzio­nale delle competenze di vari organi centrali e periferici della Pubblica Amministrazione e, per di più, coinvolgendo, con intenti di radicale eliminazione, molteplici enti ed istituzioni auto­nome, operanti sul piano nazionale e locale, non può non postulare la responsabile iniziativa del Governo.

Il che trova, del resto, positiva indicazione nelle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri (R.D. 14 novembre 1901, n. 466, ed art. 95 della Costituzione) cui è demandata, per la sua alta funzione di unitario indirizzo politico e amministrativo e di coordinamento, la presentazione dei disegni di legge che ri­guardano l'amministrazione generale dello Sta­to e, comunque, organiche riforme.

 

 

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