Prospettive
assistenziali, n. 8-9, ottobre 1969-marzo 1970
STUDI
PRINCIPII
POLITICO-COSTITUZIONALI IN MATERIA DI ASSISTENZA
Se la nostra Costituzione non è ancora
applicata in molti settori, certo il settore dell'assistenza è quello in cui
è maggiormente negletta. Ciò, probabilmente, anche per il fatto che molte
forze politiche ritengono erroneamente che i problemi inerenti all'assistenza,
meglio si direbbe alla emarginazione sociale, si
possano risolvere con meri interventi di natura economica e sanitaria,
dimostrando così palesemente di non avere affatto compreso i principii ispiratori del nuovo Stato sociale democratico.
Fondamentale è in proposito l'art.
3, giusta il quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, con la precisazione, tuttavia, che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese. Al vecchio concetto negativo della libertà, intesa come mera esclusione
da vincoli, al concetto statico, si sostituisce un
concetto dinamico, positivo, di libertà, intesa come liberazione dalle
condizioni negative che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Non basta, dunque, una eguaglianza puramente formale, una semplice solenne
dichiarazione di eguaglianza giuridica dei cittadini membri di uno stesso
Stato, caratteristica delle vecchie legislazioni e
concezioni politiche, ma occorre che sia realizzata tale eguaglianza, che sia
data la maggiore concretezza possibile a questo nuovo principio sociale, che
siano, cioè, rimossi gli ostacoli sovraccennati.
E' un solenne, preciso impegno
rivolto al nuovo legislatore.
Gli individui, infatti, nascono con
diverse capacità personali, familiari ed economiche e vivono in ambienti
socio-culturali diversi; pertanto, ogni persona, che pur ha diritto di vivere
secondo la propria dignità e nel pieno sviluppo delle sue capacità sul piano
fisico, intellettuale, morale e sociale, può, di fatto, per varie ragioni, non
avere la possibilità di attuare convenientemente il diritto di sviluppare le
sue qualità personali, di vivere con dignità di uomo
o di risollevarsi da una situazione di disadattamento, di frustrazione o di
inserirsi adeguatamente nella comunità. Da ciò nasce il dovere della comunità
politica di provvedere.
Alla luce di tali principii va considerato e interpretato l'art. 38 della
Costituzione, il cui primo comma sancisce appunto che ogni cittadino inabile
al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale, e il cui terzo comma aggiunge che gli
inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Alla tradizionale concezione dello
Stato di diritto, per il quale le finalità sociali erano generiche direttive della politica economica, sociale e
legislativa, vincolanti solo politicamente la
discrezionale attività degli organi di governo, succede ben più moderna
concezione di principii
giuridici imperativi per gli organi
medesimi, e di attribuzione di precisi diritti ai cittadini di ottenere, in
particolari situazioni di bisogno, le prestazioni necessarie per la normale
esistenza.
In tale prospettiva, è chiaro che
l'assistenza sociale non è semplice elargizione di sussidi economici, fine a se
stessi, ma mezzo per assicurare la vera libertà, ossia la liberazione dalle
condizioni negative, e la piena partecipazione dei cittadini alla vita
politica, economica e sociale, strumento, in una parola, per consentire
l'adattamento dell'individuo al suo ambiente e porlo in condizioni di usufruire
proficuamente di tutti i servizi messi a sua disposizione dalla società.
Porre gli individui in condizioni
umane di vita deve essere il fine concreto, essenziale dello Stato. Da questa
concezione, non di mera funzione assistenziale
meccanica, chiaramente deriva che diventa inutile, e oziosa, l'indagine sulla programmatività o precettività
delle norme della Costituzione, perchè la prevenzione e l'assicurazione ad
ogni cittadino delle condizioni di vita che consentano la piena esplicazione
della personalità deve essere la finalità stessa dello Stato e, sotto il
profilo socio-politico, il settore operativo più importante, il banco di prova,
inconfutabile, della funzionalità o meno degli altri settori (scuola, lavoro,
tutela della salute, previdenza, giustizia).
E', pertanto, sconfortante che le
varie forze politiche in Italia, sia parlamentari che
extraparlamentari, i vari movimenti ed associazioni, non abbiano compiuto una
profonda analisi della società, partendo dal settore degli emarginati, e non si
sia considerato soprattutto che l'intervento dei servizi sociali deve essere
orientato prevalentemente (come si ricava dall'art. 3 della Costituzione) alla
prevenzione. Pertanto il settore della cura degli effetti del bisogno dovrebbe
avere ragione di sussistere solo in via transitoria, e cioè
sino a quando non siano attuati i necessari interventi preventivi, e solo per i
casi eccezionali, destinati a diventare sempre più limitati.
Il vero problema dell'assistenza non
è tanto dunque di reinserire o recuperare alla società persone (minori o
adulti) - il che presuppone, purtroppo, una già avvenuta emarginazione - ma di
evitare che le persone siano poste ai margini della società; è non tanto un
problema di preminenza tecnica (come nella ipotesi del
reinserimento), quanto socio-politico, che richiede un impegno continuo e di
tipo nuovo della società.
Ne segue che, mentre oggi accade e si constata che si dà sempre più a chi ha maggiori
possibilità personali, familiari e ambientali, tale posizione va rovesciata, e
occorre riconoscere interventi prioritari più consistenti alle persone che
hanno minori possibilità.
Qualche considerazione va ancora
fatta sul contenuto dell'art. 38 della nostra Costituzione. Anzitutto,
l'assistenza sociale deve comprendere tutti gli interventi cui il cittadino ha
diritto. L'assistenza va, poi, nettamente distinta dalla beneficenza. Mentre
questa comprende il complesso delle attività di iniziativa
privata destinate al soccorso di coloro che sono
ritenuti bisognosi dalle persone o dagli enti erogatori (prestazioni
fornite a titolo discrezionale, e pienamente lecite), dovrebbe essere inibito
allo Stato ed agli altri enti pubblici di svolgere attività di natura benefica,
ivi compresa qualunque forma di aiuto agli enti benefici, dovendo l'attività
dello Stato limitarsi alle prestazioni cui i cittadini hanno diritto.
Altra cosa è la previdenza sociale,
prevista dal secondo comma dell'art. 38 della Costituzione, e consistente in
prestazioni obbligatorie dovute in determinate situazioni ai lavoratori. In
tema di assistenza sociale, va fermata l'attenzione
sul punto, di grande rilevanza, che va sostituita ad una visione standardizzata
delle persone una visione personalistica; va, cioè, rifiutato il sistema che
alle persone debba darsi una identica prestazione (non tutte, infatti, nascono
eguali), ma vanno predisposti per le persone servizi differenziati in base alle
specifiche necessità, il che non implica affatto mortificazione del principio
della pari dignità della persona umana, ma sua piena attuazione.
Il penultimo comma, poi, dell'art.
38 sancisce che ai compiti della assistenza sociale
provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato, il che apre
un intero vasto campo di attività sia alla gestione o partecipazione diretta
dei cittadini, sia ad altre forme di co-gestione o di auto-gestione da parte
dei cittadini stessi, superando così la vieta e arcaica contrapposizione, tra
assistenza pubblica e assistenza privata, che fu di ostacolo ad una evoluzione
positiva del sistema assistenziale.
Emilio Germano
www.fondazionepromozionesociale.it