Prospettive assistenziali, n. 10, aprile-giugno 1970

 

 

EDITORIALE

 

I SERVIZI SOCIALI E LE REGIONI

 

 

La costituzione delle regioni a statuto ordinario, l'emanazione entro due anni delle leggi-quadro e, a più breve scadenza, l'approvazione degli statuti regionali sono fatti che possono modificare sostanzialmente la si­tuazione del nostro paese anche per quanto riguarda il settore socio-assi­stenziale.

E' però un momento estremamente delicato, in quanto si possono precostituire delle posizioni che sarà ben difficile smuovere in seguito. Vi sono infatti forti tendenze in atto miranti a:

- istituire, con il pretesto della prevalente funzione tecnica e non politica, consigli di amministrazione per ciascuna delle materie (assistenza sanitaria e ospedaliera, servizi sociali, assistenza scolastica, urbanisti­ca, ecc.), in modo da impedire che i problemi vengano affrontati in modo unitario e con la partecipazione diretta dei cittadini. Poiché la gestione da parte di «enti» è ormai inaccettata dai cittadini, è significativo il ten­tativo di introdurre il concetto di amministrazione per mezzo di «agenzie»;

- attribuire funzioni operative nelle stesse materie alla regione, alle province, ai comuni, ai consorzi di comuni, alle unità locali, eventual­mente conservando qualche competenza ai ministeri o attribuendone an­che ad «agenzie» regionali;

- predisporre leggi-quadro che indichino in modo dettagliato le attività che dovranno essere svolte dalle province, dai comuni, dalle unità locali, in modo che la potestà legislativa delle regioni diventerebbe poco ampia e quindi politicamente poco significativa;

- costituire le unità sanitarie locali tenendo conto esclusivamente dei bisogni terapeutici e limitando l'azione preventiva al livello personale (schermografie, vaccinazioni, ecc.) e non consentendo pertanto interventi sulle strutture sociali disadattanti (scuola, lavoro, piani urbanistici, ser­vizi sociali, ecc.). La costituzione delle unità sanitarie locali senza una visione d'insieme, potrebbe anche portare ad una impostazione esclusiva­mente o prevalentemente sanitaria e cioè «terapeutica» delle problema­tiche sociali.

Tutte queste tendenze mirano ad escludere o limitare fortemente la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione politica.

In linea con esse è lo schema di disegno di legge redatto dal Mini­stero della pubblica istruzione e relativo all'istituzione e al funzionamento delle scuole speciali, ai laboratori-scuola e alle classi differenziali, la cui impostazione è in netto contrasto con il pre-documento della Commissione del Ministero della Sanità incaricata di dare indicazioni sui rapporti fra i servizi sociali e le unità sanitarie locali.

Il problema più importante ed urgente, a nostro avviso, è quello di evitare che:

- vengano conservate competenze socio-assistenziali ai Ministeri (come ad esempio il settore rieducativo);

- le leggi-quadro siano troppo dettagliate;

- le regioni svolgano anche funzioni operative sia direttamente sia tramite le cosiddette «agenzie».

Il numero degli abitanti nei comuni italiani è estremamente variabile, come risulta dal seguente specchietto che riporta i dati del censimento del 1961:

 

Classi di ampiezza demografica (abitanti)

Comuni

Abitanti

fino a 500

491

174.996

501 - 1.000

1.017

765.850

1.001 -2.000

1.844

2.717.080

2.001 -3.000

1.246

3.029.936

3.001 -4.000

824

2.824.432

4.001 -5.000

627

2.780.077

5.001 - 10.000

1.172

7.978.950

10.001 - 20.000

488

6.572.969

20.001 - 30.000

137

3.277.844

30.001 - 50.000

95

3.586.274

50.001 - 100.000

62

4.384.940

oltre 100.000

32

12.530.221

Totale

8.035

50.623.569

 

I Comuni con un basso numero di abitanti non sono in grado di svol­gere funzioni politiche; i Comuni metropolitani non consentono la parteci­pazione dei cittadini, com'è dimostrato dalla nascita spontanea dei comitati di quartiere.

D'altra parte le province italiane hanno una popolazione che varia da 3.554.413 (Milano) a 140.367 (Gorizia), secondo i dati ISTAT al 31-12-1966. Da notare che con tutta probabilità il divario è aumentato sia per i Comuni che per le Province a causa delle migrazioni interne e delle emi­grazioni esterne e della creazione di nuovi Comuni e Province.

Di qui la necessità di ipotizzare le unità locali (1) come organi politici che coincidano con i comuni con popolazione dai 50.000 ai 100.000 abitanti, con il raggruppamento dei comuni con popolazione inferiore ai 50.000 abi­tanti e con la suddivisione di quelli con popolazione superiore ai 100.000 abitanti.

Eventualmente ai comuni attuali non coincidenti con le unità locali potrebbero essere conservate funzioni esclusivamente burocratiche-ammi­nistrative (servizi stato civile, anagrafe, uffici elettorali, ecc.).

Per quanto concerne le province, ipotizziamo la loro trasformazione in comprensori e cioè in organi politico-amministrativi comprendenti più unità locali di una stessa regione.

Alle unità locali ed ai comprensori dovrebbero essere affidate tutte le competenze operative per le materie delegate alle regioni oltre a quelle affidate dalle leggi della Repubblica. Sarebbe però necessario che anche il settore istruzione (pre-scuola, scuola dell'obbligo, scuola superiore e università) venisse delegato alle regioni per la inscindibile connessione fra i problemi sanitari, socio-assistenziali, urbanistici e quelli scolastici e culturali.

Naturalmente la riforma proposta, sulla quale sarebbe utile l'apertura di un vasto dibattito per verificarne la validità, ben difficilmente potrà essere attuata a breve termine soprattutto per le note opposizioni a ren­dere effettivamente partecipi i cittadini alla gestione della cosa pubblica. Possono però essere attuate, a breve termine, riforme di avvicina­mento come i consorzi dei comuni piccoli.

Per quanto concerne le nuove iniziative, occorrerà premere sulle pro­vince e sui comuni affinché i servizi che verranno predisposti o confer­mati, rispondano alle reali esigenze dei cittadini e non siano segreganti o emarginatori o comunque discriminanti.

Sapremo utilizzare l'attuale favorevole momento politico determinato dalla costituzione delle regioni a statuto ordinario? Oppure continueremo a dare la colpa agli altri disinteressandoci dei problemi di fondo?

 

 

 

(1) Secondo la definizione di Trevisan, «con il termine di unità locale si intende una circoscrizione territoriale e demografica valutata come ambito-base o minimo in cui funzionalmente si possa prevedere la presenza di tutti quei servizi di interesse generale il cui massimo decentramento sia auspicabile e possibile».

 

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