Prospettive
assistenziali, n. 10, aprile-giugno 1970
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
ISTITUZIONI ECCLESIASTICHE DI ASSISTENZA. PARTECIPAZIONE O
ISOLAMENTO?
1) Le istituzioni
ecclesiastiche di assistenza.
La Commissione 16ª ha rilevato che
uno dei settori operativi più vasti per l'azione concreta in Italia degli Ordini,
delle Congregazioni religiose, del clero secolare e solo in piccola misura del
laicato, a livello diocesano
e parrocchiale, è ancora oggi quello
dell'assistenza ai poveri che si affianca ad altri tradizionali settori di
impegno quali l'assistenza ospedaliera e l'educazione ed istruzione della
gioventù.
(...) La commissione ha rilevato che
queste istituzioni ecclesiastiche (rientrate nell'ambito degli istituti privati
di assistenza) non realizzano alcun legame efficace con la comunità cristiana
della diocesi nel cui ambito sorgono, e in particolare il laicato non solo non
contribuisce che in limitata misura alle attività delle stesse, ma è all'oscuro
il più delle volte di quanto avviene al loro interno e - secondo quanto
risultato da alcune esperienze fatte - viene addirittura impedito nell'essere
informato e nel partecipare con azione collaborativa
di volontariato.
2) Carità e assistenza
non sono sinonimi.
La commissione ha preso a base di
riflessione i passi della Scrittura e quelli dell'insegnamento conciliare del
Vaticano II che concernono le cosiddette opere di misericordia come espressione
tipica e segni della carità, ed ha ritenuto che
ingiustamente ed erroneamente il linguaggio comune oggi identifica e considera
sinonimi carità e assistenza (...).
L'organizzazione
assistenziale compito della comunità civile.
In particolare la commissione
nell'interpretare
Viceversa, i servizi assistenziali al pari di tutti gli altri servizi sociali
come quelli ospedalieri, dell'istruzione, della casa, dei trasporti, ecc.,
costituiscono attività temporale che compete alla società civile e quindi allo
Stato e agli altri soggetti della pubblica amministrazione (anche se potranno
svolgerla per conto di essa organizzazioni private in base a concessioni
amministrative o convenzioni). La commissione ha riconosciuto che, sebbene in
una prospettiva di lungo periodo, organizzazioni stabili di assistenza
non sarebbe più necessario che venissero realizzate dalla Chiesa, rimarrà
permanentemente uno spazio proprio di attività per
Per essenzializzare il compito della
Chiesa nel mondo, sembra doversi auspicare che nella società di domani i
religiosi e il clero abbandonino questi compiti realizzativi dei servizi assistenziali per dedicarsi più completamente a compiti
pastorali propri.
Evitare la delega alle
istituzioni di assistenza.
E' sembrato alla commissione che le
istituzioni ecclesiastiche di assistenza assolvano
oggettivamente ad una funzione di delega nell'assolvimento degli atti
simbolici di carità da parte dei singoli membri: soprattutto laici, delle comunità
cristiane, i quali ritengono che esistendo tali istituzioni, essi siano
esonerati da compiti oblativi di servizio al prossimo
da svolgersi a livello personale in sede di volontariato.
La
povertà nel significato mistico del Vangelo e nel significato economico della
società contemporanea.
(...) Si è rilevato che non può darsi
come elargizione assistenziale che sia mero atto simbolico di esercizio della
carità ciò che sarebbe dovuto al povero come «atto di giustizia sociale»
(assegno assistenziale dello Stato). La commissione ha perciò lamentato che la
mancata attuazione della costituzione impedisce che
sia ancora oggi garantito come diritto al povero il mantenimento e l'assistenza
sociale, rimanendo il medesimo alla mercé di insufficienti organizzazioni
assistenziali alle quali è consentito rifiutargli l'assistenza per mancanza di
fondi, mentre ciò non dovrebbe avvenire come non avviene per le pensioni della
previdenza sociale.
Peraltro, tale diritto
all'assistenza deve competere solo agli inabili al lavoro, cioè
a chi si trova nell'oggettiva impossibilità di guadagnarsi da vivere e in
particolare quindi ai soli bambini abbandonati, ai minorati e ai vecchi privi
di pensione. Per i poveri che si trovano in questa condizione in quanto
disoccupati, non si deve parlare di diritto all'assistenza, ma di diritto al lavoro, onde l'azione politica sociale deve
tendere ad una società dove sia garantito il pieno impiego e per una ristretta
ineliminabile aliquota di disoccupati temporanei una totale copertura assicurativa.
E
il Concilio?
Si può dire
che il Concilio ha provocato in molti cristiani sia singoli o in gruppo una
coscienza nuova del modo di esercitare la carità. Si è sentita l'esigenza di
superare attività individualistiche, paternalistiche che non toccano la radice
dei mali e anche l'esigenza di una competenza e specializzazione. Ma non si è
andati molto al di là dell'interrogarsi sul problema.
Quanto alle strutture, il primo dato da rilevare è quello delle difficoltà delle conoscenza e del giudizio. Ma
già questo dato pare mettere in dubbio che siano «vivida espressione di carità»
perché indica una non corresponsabilità da parte della comunità.
Pare poi a livello generale che non siano espressione di delicatezza, libertà e rispetto della
dignità degli assistiti che vengono strumentalizzati dalle esigenze dell'istituzione
(di carattere amministrativo burocratico) di modelli di vita (per es. quello
conventuale).
Alla luce di queste chiarificazioni,
è sembrato di poter dire che nella tensione a una non
gestione da parte della comunità ecclesiale come tale dell'organizzazione
assistenziale, si debba gradualmente operare in questo senso anche:
1) facendo sì che le istituzioni assistenziali siano testimonianza effettiva di carità al
loro interno sia nell'organizzazione amministrativa che nel compito
assistenziale loro specifico;
2) siano aperte alla
corresponsabilità.
Linee operative
Per quanto riguarda
la collaborazione di volontari (temporanei e succedutisi nel tempo) ad
istituzioni stabili di assistenza, la commissione ha ritenuto che i gruppi
fucini molto opportunamente per il periodo presente possono scegliere come loro
campi di lavoro non tanto attività tradizionali come le Conferenze di San
Vincenzo de' Paoli e altre
di moda (ad es. la raccolta della
carta), quanto la collaborazione mediante visite e contatti personali e diretti
con i ricoverati, rivolta a bambini e ragazzi di brefotrofi e orfanotrofi e a
vecchi di gerontocomi e ospizi di mendicità.
A tal fine, i gruppi potrebbero
tentare anche un'azione a livello diocesano parlando direttamente col Vescovo
per poter entrare in contatto a colloquio con le istituzioni ecclesiastiche di assistenza soggette al suo magistero e con i responsabili
degli ordini e delle congregazioni religiose per discutere con loro
problematicamente il superamento della gestione diretta dell'assistenza;
possono formarsi comitati o partecipare ad organi collegiali che facciano un
quadro delle istituzioni esistenti. Di esse valutino
il numero dei posti letto, le risorse finanziarie e le loro fonti e diffondano
nella comunità, alla base, la conoscenza e il senso di responsabilità per le
opere di assistenza delle diocesi e tentino di concordare la partecipazione
delle visite alle varie istituzioni da parte dei vari gruppi cattolici di
volontari a seconda delle necessità, come pure esaminino e denunzino
tempestivamente, sia eventuali strumentalizzazioni dell'assistenza, ad es. per
il procacciamento di suffragi elettorali, sia il cattivo funzionamento che per
caso si verificasse (come ad es. per i Celestini di Prato) in alcune
istituzioni che coinvolgono le responsabilità della comunità cristiana.
Conversione
alla politica e istituzioni ecclesiastiche di assistenza. Dagli «Atti del
40° Congresso Nazionale FUCI» - Verona, pubblicati in «Ricerca», A.
XXV, n. 17-18, 30 settembre 1969, pp. 57-59.
«CARITA'» DELLA CHIESA O ASSISTENZA DELLO STATO?
Nonostante
alcuni episodi che hanno generato scandalo e perplessità, le iniziative
religiose in campo assistenziale possono vantare nei
secoli autentiche benemerenze. Tuttavia una certa efficienza strutturale non
supplisce, neanche qui, alla carenza di un sistema
paternalistico che istituzionalizza e disumanizza.
La radicale trasformazione dell'ordinamento assistenziale in uno stato
democratico non annulla l'iniziativa privata e religiosa in questo settore, ma
la subordina in un'attitudine di servizio che è fra l'altro più consona alla
nuova consapevolezza che
Può essere duro per istituzioni
forse vecchie di secoli affermare che l'assistenza deve rientrare negli
indirizzi generali di politica sociale e dallo stato come strumento della
comunità civile deve essere pianificata, finalizzata e regolata: tanti
istituti infatti dovranno scomparire per incapacità ad
adeguarsi o saranno costretti a rinunciare a certe autonomie che diventano
fonti di inefficienza e garanzia di disumanizzazione
(...) .
Altro motivo per un discorso a parte
sulla chiesa e l'assistenza è la massiccia presenza degli ecclesiastici (preti
e suore) nel campo delle attuali organizzazioni assistenziali
esistenti in Italia. Purtroppo ci si è ricordati di loro solo in occasione di
recenti gravissimi scandali: Prato, Modena, Grottaferrata,
Ruta di Camogli, ecc.;
mentre proprio questa presenza faceva forse comodo alle autorità civili, che si
sentivano dispensate dal por mano a problemi così gravi. Non bisogna certo
semplicisticamente identificare l'assistenza ecclesiastica con i casi abnormi
di cui sopra: è generalmente ammesso che in una valutazione globale
delle tradizionali organizzazioni assistenziali, quelle rette da religiosi non
sfiguravano affatto se confrontate con quelle private tenute da laici o quelle
dirette da enti pubblici. Pure è questa una piccola
consolazione e rimangono tutti gli interrogativi suscitati nell'opinione
pubblica dalle aberrazioni cui si è giunti in istituti retti da ecclesiastici.
Anche il più ignorante rimane sbalordito al sapere che monsignori o frati o
suore si sono fatti dei patrimoni, usurando sulla vita di poveri infelici, che avevano bisogno di tutto eccetto che di essere ulteriormente
sfruttati. A questi eccessi può arrivare una persona, nonostante la
consacrazione religiosa o sacerdotale? Si capisce da questo interrogativo
come anche uno solo di questi scandali crei un senso di ribellione e non ci si
possa appellare né agli altri numerosi istituti assistenziali benemeriti né al
parallelo delle aberrazioni degli istituti statali o privati laici. Si è saputo
purtroppo che questi scandali creano degli alibi per altri istituti retti da
ecclesiastici; constatando di essere alieni da certi
eccessi, ci si tranquillizza e non ci si preoccupa dei traguardi totalmente
nuovi che si stanno aprendo nel campo dell'assistenza sia da un punto di vista
di trattamento economico che di attrezzature specialistiche. E' chiaro che non
basta essere massivamente presenti nel settore
dell'assistenza per poter dire che si fa
dell'autentica assistenza. Anzi il fatto di una non indifferente resistenza,
che da parte di certi ambienti ecclesiastici si oppone alle istanze
di rinnovamento rapido e profondo dei sistemi assistenziali, porta a porre con
chiarezza se abbia o no ancora un senso una presenza diretta della chiesa in
questo campo.
Notiamo anzitutto che l'impegno
della chiesa nel campo dell'assistenza non è stato che uno dei modi in cui il
cristianesimo ha realizzato il soffio incarnazionistico
che il Cristo vi ha immesso fin dalle origini e che pur tra tentazioni spiritualeggianti si è conservato fino ad oggi, ottenendo
in certi periodi una particolare attenzione. Ma come ogni anelito innovatore,
anche l'assistenza ecclesiastica, dopo aver incarnato in certe strutture,
l'impulso per l'uomo scartato dalla società, ha subito la forte tentazione di
divenire solo struttura e perdere via via la carica fortemente umanistica delle origini. Questo deterioramento,
comune a ogni «iniziativa di cristiani» che diventi
«iniziativa cristiana», può in parte spiegare che anche in campo ecclesiastico
abbiano perdurato e perdurino situazioni assistenziali chiaramente disumanizzanti (...)
.
Anche per la chiesa, almeno nelle
affermazioni teoriche è completamente superata la concezione elemosiniera
dell'intervento assistenziale, che si poneva a livello
discrezionale, episodico e paternalistico. Ogni assistenza
che si presenti come «carità» e non giustizia, invece di essere umanesimo è
sopraffazione e alimento dato all'oppressione, e se fatta in nome di Cristo
diventa oppio e aroma illusionante. L'assistenza
sociale sta trasformandosi in iniziativa rilevante e cosciente della
collettività politica, che si organizza nei confronti dei cittadini che attualmente versano in stato di bisogno, e ciò fa in una
duplice direzione: incidendo nelle strutture per modificarle cosicché vengano ridotte
le possibilità del ripetersi di certe situazioni e impegnandosi nell'assicurare
ai bisognosi di oggi un'esistenza almeno pari a quella degli altri cittadini.
Non si parte più dalla concezione dell'assistenza come fatto spontaneo, frutto
di filantropia umana e di anelito religioso, ma a
fondamento di ogni intervento è posto il diritto all'assistenza sociale,
diritto che instaura un rapporto giuridico tra cittadino e stato alla stessa
maniera degli altri diritti, come quello del lavoro, della libertà di opinione
o di associazione, per fare qualche esempio. Superato il carattere caritativo
dell'assistenza, viene minata alla base ogni priorità
che la chiesa si attribuiva in tale settore (...) .
La resistenza degli enti assistenziali ecclesiastici a questi orientamenti, oltre che
da interessi materiali o personali spesso inattaccabili anche da chiari
pronunciamenti teorici, può venire anche da una tradizione storica che pone i
cattolici italiani in polemica verso lo stato unitario e denota il permanere di
un immaturo senso dello stato. Si ha spesso la coscienza inconfessata di essere noi cattolici la comunità statuale, responsabili
in proprio della soluzione dei problemi della comunità civica. La tentazione
del confronto è sempre viva: difendiamo a denti stretti le nostre istituzioni,
che in partenza sono ritenute più efficienti. Lo stato più che usato fiscalmente
e in qualità di concorrente, dovrebbe essere servito e
promosso con criteri di competenza.
Questo pieno inserimento dei
cristiani nella realtà terrestre, fatta secondo i criteri conciliari sopraricordati, esige che ci si perda in mezzo agli «altri»
e che si rinunci in ogni settore semplicemente umano a mettere in piedi delle
istituzioni da qualificare col termine di «cristiano». Non dovremo parlare o
fare dell'assistenza sociale cristiana, ma preparare dei cristiani che si impegnino accanto ai non cristiani nell'assistenza
sociale. E' la competenza umana che dà un valore graduato ai vari interventi
assistenziali e non la presenza distinta in base a
ideologie politiche o religiose diverse. Nel contesto
italiano un grande servizio potrebbe essere reso alla collettività dai
cattolici, se questi non solo si rendessero disponibili a mutare radicalmente
l'attività assistenziale degli enti promossi da ecclesiastici, ma essi stessi
diventassero stimolo per gli organi pubblici affinché questi assumano
integralmente il compito loro spettante. Chiediamo forse troppo alla chiesa
italiana? Un conto è naturalmente la maturazione delle idee e prospettive, e
altra cosa è la realizzazione pratica: tutti possiamo
accettare che l'attuazione concreta proceda con maggiore gradualità rispetto
alle idee.
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