Prospettive
assistenziali, n. 10, aprile-giugno 1970
DOCUMENTI
PRE-DOCUMENTO
DELLA COMMISSIONE DEL MINISTERO DELLA SANITA' SUI
SERVIZI SOCIALI
I. - UNA NUOVA POLITICA DELLE ATTREZZATURE SOCIALI PER UNA DIVERSA
PROGRAMMAZIONE DELLO SVILUPPO
I.0 - Premessa
Al Comitato viene
affidato il compito di studiare i problemi e formulare le conseguenti proposte
in ordine ai rapporti che dovrebbero intercorrere a livello locale tra i
servizi sanitari ed i servizi sociali, quindi in ordine ai criteri di programmazione,
attuazione e gestione che dovranno essere tenuti presenti sia nella fase attuativa della prevista riforma sanitaria di base, sia
all'atto dell'entrata in funzione della più generale rete di servizi sociali.
Ciò richiede che si proceda, in via preliminare, a definire l'arco dei servizi
che dovranno costituire la futura organizzazione locale, la loro articolazione,
i criteri e i problemi posti dalle fasi di programmazione, realizzazione e
gestione. In questa direzione, occorre tuttavia aver presente che l'attuazione
della rete capillare di attrezzature sociali
prospettate nel campo sanitario ed in quello più vasto
dei servizi, appare destinata ad introdurre innovazioni così radicali rispetto
all'attuale situazione di carenza e disorganicità in questo settore, da finire
necessariamente con l'incidere in profondità, una volta realizzata, non solo
sul generale assetto del territorio, ma sugli stessi modelli di vita e sui rapporti
sociali oggi prevalenti e, in definitiva, sulla intera distribuzione e
utilizzazione delle risorse nel nostro Paese.
Si deve riconoscere, in altri
termini, che la questione della programmazione e dislocazione sul territorio di
tali attrezzature investe una problematica sociale, economica e politica tale,
che le sue implicazioni si riflettono direttamente già sul momento dell'individuazione
dei modi in cui esse dovranno essere concepite, programmate
e attuate. Pertanto ogni iniziativa di studio che volesse prescindere da quella
problematica non terrebbe conto delle esigenze
complessive e dei condizionamenti reali, rischiando con ciò di pervenire a
risultati di mera razionalizzazione delle distorsioni attuali e di pregiudicare
l'evoluzione futura.
Nasce di qui l'esigenza di
premettere alla parte specifica della nostra analisi alcune considerazioni
schematiche sul quadro politico-sociale ed economico in cui ci si trova a dover
operare e, per converso, sulle condizioni alternative che sarebbe
necessario realizzare nel caso in cui il problema delle attrezzature sociali
non fosse irrealisticamente considerato solo sotto il
profilo tecnico-funzionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista del ruolo
strumentale che esso riveste al fine di perseguire una convivenza umana più
giusta e più civile.
I.1 - Le distorsioni del modello di sviluppo attuale
Si può senz'altro affermare che le
ipotesi di intervento che qui ci interessano, non sono
dettate da una semplice esigenza di adeguamento delle strutture esistenti ai
nuovi bisogni che si presentano, ma rispondono soprattutto alla necessità di
colmare gravi carenze e ritardi nel campo delle dotazioni civili e dei servizi.
Carenze e ritardi che rappresentano un aspetto delle
più generali situazioni di squilibrio tuttora presenti nell'assetto sociale ed
economico del nostro Paese, per effetto del persistente scompenso tra
l'accrescimento reale e potenziale dei beni materiali e la sua utilizzazione ai
fini di una costante espansione dei valori della solidarietà e della
democrazia.
Tale scompenso, come
è noto, si rivela in diretta dipendenza del fatto che lo sviluppo economico,
che pure negli ultimi decenni ha interessato l'Italia in misura rilevante, è
stato conseguito a prezzo di gravi costi umani e civili, dal momento che non è
certo avvenuto nella programmata intenzione di perseguire l'obbiettivo dello
sviluppo globale della comunità, ma ha seguito soprattutto la logica economica
dei meccanismi evolutivi propri dei moderni sistemi industriali in generale
e, per quanto ci riguarda, dei sistemi capitalistici in particolare.
Così, i pur importanti risultati
raggiunti nell'incremento del reddito nazionale non si sono tradotti in una
sufficiente redistribuzione della ricchezza, e alla
graduale elevazione del tenore materiale di vita per vasti strati di cittadini,
non ha corrisposto una reale uguaglianza rispetto al godimento delle opportunità
di promozione che la società italiana poteva offrire, mentre è ancora vastissimo
il numero degli «esclusi» che sono relegati nell'area della povertà.
Allo stesso modo e conseguentemente,
fondamentali distorsioni sussistono per quanto riguarda l'effettiva
partecipazione dei cittadini ai diversi momenti della vita sociale ed economica
e alle loro possibilità di contribuire a scegliere il proprio futuro, posto che
il potere economico, politico e culturale è tuttora accentrato nelle mani di
ristrette categorie e posto che le strutture tuttora prevalenti,
nell'organizzazione sociale sono configurate e gestite in modo da rendere
assai problematico un corretto rapporto tra volontà
popolare e momenti esecutivi, tra classe politica e società civile.
L'effetto più stridente di queste distorsioni è una stratificazione sociale basata
su profondi divari di opportunità e di potere che costringono gli esclusi, i
lavoratori, i ceti popolari in genere, in una condizione di sostanziale
subordinazione, emarginazione e insicurezza.
I.2 - Sviluppo urbano-territoriale e squilibri socio-culturali
Da un diverso punto di vista, gli
equilibri ora descritti sono leggibili a livello economico, nel divario
esistente e distributivo, e a livello territoriale, con i gravi scompensi
esistenti tra aree sviluppate e arretrate del nostro Paese, tra le regioni
nord-occidentali, ricche di risorse e industrializzate, e le regioni del
Mezzogiorno, povere di risorse e agricole.
Ma il segno negativo di questo
sviluppo irrazionale è riassunto e specificato ad un tempo da quello che è
forse lo squilibrio più determinante dell'attuale assetto socio-economico: il
divario riscontrabile, a livello di tipologie di insediamento
e di modelli di sviluppo urbano, tra città e campagna; un divario ai cui
estremi stanno, da un lato la congestione alienante e la dissociazione delle
grandi aree metropolitane, in cui tuttavia sono accentrate le opportunità di
lavoro e di promozione; dall'altro lato, l'isolamento e l'emarginazione delle
aree rurali e montane, escluse da ogni centralità della vita sociale ed
economica.
All'origine di tale squilibrio, che si ripercuote pesantemente su tutto il tessuto dei rapporti
sociali, sta anche in questo caso il fatto che gli insediamenti non si sono
venuti formando sulla base di un programma e comunque intorno ad equilibrate
e qualificanti occasioni di vita personale, familiare e collettiva, ma in base
all'autonomo dislocarsi degli impianti produttivi privati che, in linea
generale, si sono appoggiati ai centri urbani esistenti per sfruttare la rete
di infrastrutture e la possibilità di assorbimento dei prodotti. Di qui l'ulteriore processo di concentrazione della manodopera che
ha fatto della città veri e propri serbatoi di forza-lavoro e il conseguente
allargamento del mercato, grazie anche ai moderni apparati distributivi e alle
sempre più raffinate tecniche di induzione al consumo.
Discende da questo processo anche
l'accentramento del settore terziario (servizi, commerciali, culturali e
sociali, pubblici e privati) e delle relative opportunità nelle aree
metropolitane, che ha determinato una apparente
situazione privilegiata per chi risiede nella città.
Si giustifica, quindi, il forte
potere di attrazione che queste ultime hanno potuto
esercitare sulle popolazioni dei settori e delle aree marginali, e il
conseguente fenomeno delle migrazioni e del progressivo inurbamento che ha da
tempo assunto dimensioni patologiche, lasciando spopolate le campagne.
Il risultato complessivo di tale
situazione, è quello di una convivenza sociale per molti versi distorta; di un
assetto del territorio segnato da profonde discriminazioni anche all'interno di
diversi tipi di insediamento (i centri residenziali e
i quartieri di lusso rispetto ai ghetti degli immigrati nelle grandi città, le
aree ad agricoltura meccanizzata e con industrie di trasformazione dei
prodotti agricoli rispetto alle aree ad agricoltura arretrata e ai comuni
montani).
Ma, per quanto più ci interessa, occorre rilevare come lo squilibrio che si presenta
ad un tempo effetto e causa permanente di ulteriori squilibri è quello tra
consumi privati e consumi pubblici. Tale squilibrio, infatti, da un lato è la
conseguenza dell'eccessiva dilatazione dei consumi
individuali superflui a discapito di quelli primari o collettivi, nonché dello
scompenso complessivo tra impieghi produttivi e impieghi sociali del reddito,
sui quali si basa un certo tipo di sviluppo economico; dall'altro lato, è il motivo
della carenza e irrazionalità delle attrezzature sociali e quindi delle
distorsioni patologiche della convivenza sociale che ne derivano, soprattutto
per le classi meno abbienti e per gli esclusi, il cui potere di acquisto non è
in grado, come invece avviene per i ceti più dotati economicamente, di
ristabilire un conveniente rapporto di uso con il territorio facendo ricorso
ai servizi mercificati sostitutivi.
I.3 - La spinta di base per l'eliminazione degli squilibri
Questa analisi schematica
dell'attuale situazione sociale, appare peraltro confermata dalle profonde
tensioni che negli ultimi tempi hanno percorso la vita del nostro Paese. Cresce infatti e si diffonde la coscienza che una società industriale
avanzata, come la nostra, è ormai decisamente avviata ad essere, possa e debba
garantire uno sviluppo economico e sociale più equilibrato e più giusto di
quello sin qui conseguito in Italia. Il segno più evidente e più costruttivo di questa coscienza che va traducendosi in domanda
politica, è rappresentato dalla forte
spinta di base, che sta all'origine delle sempre più numerose iniziative
spontanee a livello delle comunità locali, e che ha caratterizzato e caratterizza
le lotte sindacali sui grandi obbiettivi di riforma legati ai temi generali
della casa, della salute, del fisco.
Questa crescita di coscienza e di
conflittualità, ancor più che evidenti considerazioni di solidarietà e di
giustizia, rendono avvertiti che non è più possibile protrarre l'attuazione di
una serie di interventi organici rivolti a sanare i lamentati
squilibri tenendo conto della volontà espressa da vaste masse di cittadini.
Il processo di programmazione
economica che pur tra mille difficoltà è stato avviato intorno agli obbiettivi
fondamentali del riequilibrio territoriale, della piena occupazione, dell'aumento
e della qualificazione degli impieghi sociali del
reddito, sembra aver raggiunto allo scadere del primo piano quinquennale solo
alcuni degli obbiettivi che si proponeva. Appare particolarmente inquietante
che inattuati siano rimasti
proprio gli obbiettivi più qualificanti, cioè appunto quelli relativi
all'eliminazione degli squilibri e agli impieghi sociali del reddito, che pure
già nel 1962 erano stati indicati come nodali per il processo di
pianificazione. Di qui l'urgenza di fornirgli nuovo e più adeguato impulso,
anche in rapporto alla prossima istituzione delle Regioni
a statuto ordinario, mediante un adeguamento degli strumenti, e, soprattutto,
mediante procedure che consentano la partecipazione effettiva e democratica di
tutte le forze sociali ai diversi livelli e momenti.
Si tratta in altri termini di
pervenire - attraverso un controllo sociale che contemperi i diritti civili e
politici di tutti - ad una effettiva redistribuzione sociale e territoriale del potere, della
ricchezza, delle opportunità culturali e di promozione individuale e
collettiva, in modo da ristabilire il primato dell'uomo sull'economia, il
primato degli obbiettivi di solidarietà generale sui fini individuali e di
gruppo, piegando l'espansione produttiva alla espansione globale dell'uomo e
alla crescita armonica della comunità.
I.4 - Consumi pubblici e attrezzature sociali come fattori di riequilibrio
In questa direzione, e per quanto direttamente concerne la nostra ricerca, appare
possibile inserire il discorso sulle attrezzature sociali nella prospettiva di
un assetto del territorio e di un modello di sviluppo urbano, alternativi rispetto
agli attuali, cioè fondati sul sostanziale riequilibrio delle tipologie di
insediamento, sulla ricostituzione su basi nuove del tessuto dei rapporti
sociali, su diversi criteri di dislocazione degli impianti produttivi, delle
infrastrutture civili e dei servizi sociali.
Il problema, quindi, è quello di
mettere in atto un processo di riorganizzazione del
territorio inserito in quello della più generale pianificazione della
destinazione delle risorse.
In questa direzione, è anzitutto
necessario compiere una scelta politica,
dal momento che una scelta puramente
tecnico-funzionale non farebbe che razionalizzare (senza modificarne il segno
profondamente negativo) gli attuali modi di insediamento; tale scelta politica,
ferma restando la salvaguardia dei valori personali e familiari, si riferisce
al ristabilimento della giusta gerarchia tra consumi privati e consumi pubblici
(dando forte impulso ai secondi) e tra impieghi produttivi e impieghi sociali
(stabilendo una più equa ripartizione a favore di questi ultimi).
Solo questa scelta, infatti, appare in grado, a fianco
e come qualificazione e supporto dell'intervento di riequilibrio economico e territoriale,
di bloccare l'espansione abnorme delle aree urbane e l'involuzione patologica
delle aree rurali, di dare un significato e una base sociale adeguata
all'obbiettivo della piena occupazione, di dare un senso non parassitario e non
puramente finalizzato al profitto privato allo sviluppo delle attività
terziarie.
Sulla via del raggiungimento di
questi obbiettivi, non c'è dubbio che i servizi sociali potranno
avere un loro importante valore strategico, nella misura in cui siano
programmati e realizzati a questo fine.
In primo luogo, la creazione di una
rete di distribuzione di servizi sul territorio,
capillare e specificamente orientata, potrà svolgere la funzione di
riavvicinare le condizioni di vita della campagna a quelle della città, posto
che essa è in grado di costituire una reale occasione di perequazione rispetto
all'accesso alle opportunità offerte dal territorio.
Ciò comporta però che le future Unità locali di servizi siano concepite e realizzate come altrettanti punti nodali
del territorio capaci di segnare la nuova struttura urbana, di
essere l'armatura intorno alla quale potrà attuarsi, sia nelle zone di
concentrazione urbana che in quelle di dispersione rurale, una nuova condizione
di insediamento, fondata sui valori di socialità che i momenti collettivi di
vita e di consumo possono e debbono contribuire ad esprimere.
I.5 - Il ruolo indispensabile della partecipazione democratica e della
pressione di base
Così tracciata la prospettiva nella
quale debbono essere elaborate le proposte concernenti le
Unità locali di servizi e così
individuate le grandi linee direttrici lungo le quali dovrebbe muoversi il
discorso operativo che le concerne, resta da considerare un aspetto che appare
condizionante per queste come per ogni altra struttura sociale che voglia
rispondere ai bisogni non solo materiali presenti nelle comunità locali e
gettare le basi di un diverso rapporto tra vertici politici e tecnici e base
popolare; l'aspetto della partecipazione
democratica dei cittadini.
In proposito c'è da tener presente,
anzitutto, che non è pensabile di poter realizzare interventi che comportano modificazioni così sostanziali nell'assetto
sociale ed economico senza che la capacità decisionale ed esecutiva dei
pubblici poteri sia tale da costringere gli interessi costituiti, privati e di
gruppo, a piegarsi agli emergenti interessi sociali.
Ebbene, ciò può
accadere soltanto se la volontà politica dei vertici governativi, partitici e
sindacali sarà sollecitata e sorretta da una forte e diffusa pressione
popolare fondata sulla presa di coscienza del valore sociale generale delle
attrezzature sociali.
Ciò richiede che sia posto in atto un processo
formativo di identificazione tra i cittadini e le strutture del consumo sociale
e ne consegue che fin d'ora è importante prevedere che, già nelle fasi di
sperimentazione, programmazione e prima attuazione delle Unità locali di servizi, sia dato ampio spazio alla libera e
democratica partecipazione dei cittadini.
In questo modo, oltretutto, mentre
si sperimentano e si svolgono processi di riappropriazione politica da parte della base popolare
oggi emarginata, si sperimentano procedure diverse di pianificazione
urbanistica, mediante una continua verifica alla base delle scelte relative all'uso
del territorio e alle modificazioni della sua organizzazione; verifica non solo
dal punto di vista della rispondenza ai bisogni locali reali, ma anche da
quello della più diretta espressione della volontà dei cittadini.
II. - GESTIONE DECENTRATA DELLE ATTREZZATURE
SOCIALI E CONNESSIONI CON GLI STRUMENTI DI ASSETTO TERRITORIALE
II.1 - Il problema del decentramento a livello locale
La «partecipazione di base» alla programmazione e alla gestione dei servizi sociali non
potrà non far capo a forme di decentramento affidate «istituzionalmente» agli
Enti Locali, e in primo luogo - per la gestione diretta - alle amministrazioni
comunali.
Ciò presuppone profonde
ristrutturazioni dell'Ente Locale (revisione della legislazione comunale e provinciale):
problema di fondo questo, che presuppone a sua volta sostanziali revisioni dei
«contenuti» attuali della nostra forma di democrazia. Revisioni
cioè che da un lato consentano ambiti quanto più possibile estesi di autonomia
«effettiva» ai Comuni, e dall'altro garantiscano ai cittadini la possibilità
di espressione diretta dei propri bisogni e aspirazioni e diano loro il
potere di esigere il soddisfacimento da parte delle amministrazioni elette e di
controllare la diretta attuazione dei provvedimenti conseguenti.
Questo tipo di ristrutturazione
implica trasformazioni sostanziali dell'ordinamento amministrativo:
trasformazione che d'altra parte dovrebbero avere il loro avvio
dall'ordinamento regionale. Ciò anche per il fatto che l'istituto della
Regione dovrà necessariamente essere caratterizzato dalla competenza per
l'iniziativa programmatica in campo economico estesa a tutto il territorio,
ed è in funzione di questa competenza che resteranno definiti sia gli ambiti di autonomia degli Enti Locali di livello minore, sia le
forme di integrazione dialettica tra poteri di iniziativa della Regione a un
estremo e dei Comuni all'altro, per la formazione delle decisioni programmatiche
e operative ai diversi livelli.
In particolare la ristrutturazione
dovrebbe riguardare:
- le forme di espressione
della volontà popolare e cioè l'istituzionalizzazione della «partecipazione di
base» attraverso le organizzazioni sindacali, associative, cooperative, di
raggruppamenti spontanei;
- le possibilità
di programmare e operare a livello sopra-comunale (comprensori, consorzi
intercomunali) e a livello sub-comunale (circoscrizioni).
Tuttavia è da considerare che subordinare
gli studi ed i provvedimenti necessari per l'attuazione di un buon sistema di
servizi sociali alla preliminare soluzione di questi problemi significherebbe
- allo stato attuale - non portare alcun contributo concreto al nostro tema.
In questa situazione ci sembra utile
affrontare la questione invertendone i termini: partendo cioè
dalla «rete» delle attrezzature sociali come «chiave» per l'avvio della
ristrutturazione degli Enti locali.
II.2 - Competenza urbanistica comunale e Regioni
Per produrre una evoluzione
che consenta la realizzazione razionale del tessuto delle attrezzature sociali
e la loro gestione decentrata a livello comunale, un punto efficace di
«attacco» al problema - allo stato attuale - sembra essere quello della
competenza comunale per la determinazione delle trasformazioni edilizie nell'ambito
del proprio territorio: cioè la competenza a darsi strumenti urbanistici
(piani regolatori, programmi di fabbricazione, piani di zona, piani
particolareggiati).
Quali saranno verosimilmente le
competenze urbanistiche dopo l'attuazione delle Regioni:
a) lo Stato dovrebbe dare la legislazione
urbanistica quadro e curare direttamente l'attuazione di grandi
infrastrutture, concordando la localizzazione di
queste ultime nonché delle strutture produttive, con l'autorità urbanistica
regionale. Potrà riservarsi poteri di vincolo per il patrimonio storico,
artistico e monumentale e per particolari aspetti del
paesaggio ai sensi dell'art. 9 della costituzione;
b)
c) le competenze e gli ambiti di autonomia dei Comuni in materia di pianificazione territoriale
saranno definiti e limitati dalla legislazione-quadro
nazionale e dalle leggi urbanistiche regionali Saranno questi strumenti
legislativi a stabilire i casi (normali) in cui i piani comunali saranno
soggetti all'approvazione in sede regionale e quelli (eccezionali) in cui
interverrà l'approvazione a livello statale nonché gli eventuali poteri
sostitutivi, ecc.
Certamente per i problemi di
«crescita urbana» all'interno del proprio territorio il comune avrà ampia
autonomia nell'ambito di determinati indirizzi
normativi generali.
La legge-quadro nazionale e le leggi
regionali dovrebbero stabilire norme sia per il decentramento territoriale-amministrativo nell'ambito dei grandi
agglomerati urbani (circoscrizioni) sia per il consorziamento
di più Comuni in riferimento alla soluzione di problemi urbanistici di comune
interesse (comprensori), sia infine per i casi di intervento
dell'autorità urbanistica di livello superiore (Regione) per problemi di interesse
intercomunale non risolvibili attraverso il mutuo accordo dei singoli Comuni.
Una legislazione di questo tipo già comporterebbe di riflesso
modifiche sostanziali alla Legge comunale e provinciale.
II.3 - Innovazioni necessarie in materia urbanistica
Per raggiungere i nostri obbiettivi
per la via ora indicata sono necessarie due cose:
a) che l'attuale «logica dei piani»
sia capovolta: nel senso che si dia importanza primaria al tessuto delle
attrezzature sociali nei confronti del contesto della
residenza e delle attività produttive, e non viceversa;
b)
che sia
riconosciuto a tutti i cittadini, utenti della rete delle attrezzature sociali,
attraverso le loro organizzazioni rappresentative (sindacali, associative,
cooperative, di raggruppamento spontaneo) il diritto e il potere di intervenire nella formazione dei piani e nel loro controllo.
Per dare attuazione al punto a) è necessario:
- che le
aperture già contenute nell'articolo 17, 8° e 9° comma della legge 6-8-1967 n.
765 e nel decreto interministeriale n. 1444 del 2-4-1968 (1) e quelle offerte
dalle normative particolari per alcune attrezzature pubbliche (come l'edilizia
scolastica) siano riprese, articolate e arricchite dalla legge-quadro
urbanistica nazionale, così da ottenere la garanzia della realizzazione della
«rete» delle attrezzature sociali, del suo corretto inserimento nei vecchi e
nuovi tessuti urbani come elemento fondamentale di vitalizzazione,
della sua articolazione e differenziazione e del suo sviluppo nel tempo
secondo le diverse esigenze. Le relative definizioni potrebbero
essere compito del nostro Comitato di Studio;
- che l'Ente locale sia dotato - per effetto della stessa legislazione-quadro
urbanistica - dei mezzi finanziari e dell'assistenza tecnica necessaria a
darsi una struttura capace di predisporre correttamente la pianificazione delle
proprie attrezzature sociali, struttura che potrebbe costituire l'embrione
della organizzazione tecnica comunale (o intercomunale o comprensoriale) per
la gestione della «rete» di attrezzature sociali.
Per dare attuazione al punto b) è necessario un radicale
capovolgimento dell'attuale tecnica di formazione, redazione e approvazione
dei piani urbanistici. Finora si è andati avanti con redazione a «livello
tecnico», con «conferenze dei servizi» di funzionari delle pubbliche amministrazioni
(prevalentemente centrali) interessati, con procedure di approvazione
a livello politico «ufficiali» nell'ambito dell'amministrazione dell'Ente
locale, con procedura di approvazione a livello tecnico burocratico in sede di
controllo superiore regionale e statale). Tutto un sistema che si è rivelato estremamente penetrabile ad influenze e pressioni, specie
sotto forma di speculazione fondiaria ed edilizia, e pressoché completamente
impenetrabile alla verifica, al controllo, alla semplice «conoscenza» da parte
delle masse dei cittadini interessati e delle loro organizzazioni
rappresentative, «spontanee» e ufficiali (movimenti associazionistici,
cooperazione, sindacati).
Oggi sappiamo di
essere di fronte al grosso fatto nuovo della presa di coscienza «di base»
dei problemi urbanistici. Si formano i comitati di quartiere appunto per la
soluzione dei problemi delle attrezzature sociali, del verde, degli spazi
pubblici, oltre che della casa, dei trasporti pubblici, ecc. I genitori si
riuniscono e si associano per risolvere i problemi della scuola. L'U.D.I. apre
la «vertenza nazionale» per gli asilinido e le attrezzature per la prima
infanzia. Infine le tre grandi organizzazioni sindacali preannunciano
che porteranno avanti la loro «politica della casa» esigendo tra l'altro la
pubblica discussione dei piani regolatori ed aprendo «vertenze sindacali»
specifiche per la loro formazione attuazione.
La proposta che si può fare a questo
riguardo è che la nuova legge urbanistica-quadro subordini la «componente tecnica» al controllo democratico e alla pubblica
discussione delle organizzazioni sindacali, quanto meno per quanto riguarda:
a) definizione degli obbiettivi del
piano;
b) materiale redazione (controllo e discussione
delle diverse fasi di approfondimento);
c) procedure di approvazione
ai diversi livelli.
Ciò non solo per i «nuovi piani», ma
soprattutto per le revisioni dei piani vigenti.
Alla base di questa proposta sta un'altra impostazione concettuale diametralmente opposta
rispetto alla tradizionale; quella di considerare la pianificazione non più
come quadro prefigurativo rigido «a tempo indeterminato» degli sviluppi della
realtà urbano-territoriale, ma come processo evolutivo continuo, da condursi
per successivi approfondimenti e relative decisioni.
Ciò dovrebbe consentire di porre
l'accento volta a volta su particolari problemi (primi tra tutti quelli delle
dotazioni di spazio pubblico e della rete di attrezzature
sociali) finalizzando drasticamente alla loro soluzione la progressiva
attuazione dei piani, senza per ciò perdere di vista il quadro generale del
processo.
Si tratta in definitiva di portare
legittimamente, apertamente e con peso prevalente nei processi di pianificazione
la componente «di base» (rappresentata dalle
organizzazioni sindacali e associative) e di consentire a tale componente di
esprimere le esigenze sociali fondamentali; di introdurre per questa via nei
processi di pianificazione territoriale un «peso politico» che riequilibri a
favore dei cittadini - cioè della stragrande maggioranza dei direttamente
interessati - il quadro delle diverse pressioni, che finora è sempre stato
squilibrato in misura predominante a favore degli interessi economici di pochi.
Questo potrebbe
ottenersi istituzionalizzando alcune fasi del processo di
pianificazione.
Esempio
- «a monte»:
- definizione degli obiettivi
sociali del piano;
-entità,
consistenza e caratteri del tessuto delle attrezzature sociali per i vecchi abitati
e le nuove espansioni;
- previsioni per i trasporti
pubblici e privati in rapporto ai moti pendolari casalavoro, casa-scuola, ecc.;
- definizione delle « qualità » per
la residenza e per l'habitat;
- acquisizione
all'uso pubblico di particolari strutture spaziali (vecchie ville, parchi,
ecc.);
- destinazione per
pubblica utilità del patrimonio edilizio storico artistico;
- in fase di formazione del piano:
«conferenze» (a somiglianza delle conferenze dei servizi) con i sindacati, le
associazioni, i comitati cittadini, ecc.;
- in fase di approvazione
comunale: richiesta ufficiale di parere alle stesse organizzazioni con
procedura analoga a quella dei «ricorsi» e con precedenza su questa;
- in fase di attuazione,
per la priorità delle realizzazioni in rapporto ai finanziamenti e alla spesa:
«conferenze» con le stesse organizzazioni (2).
II.4 - Norme urbanistiche per servizi sociali
La «normativa urbanistica» per
l'organizzazione della rete di attrezzature sociali
nel territorio (comunale, o circoscrizionale, o comprensoriale) dovrebbe
comprendere:
a) I «minimi standards»
quantitativi di spazio e di attrezzature incluso il
«verde pubblico»; articolazione, previa verifica, degli standards
fissati dal citato decreto n.
b) I criteri che consentano articolazioni
e variazioni (in più «rispetto al minimo standard») in rispondenza alle
diverse situazioni ed esigenze locali;
c) Le connessioni tra diverse
attrezzature (civiche, comunitarie, socioculturali, scolastiche, socio-assistenziali,
sanitarie, per il tempo libero) in termini di collegamenti, percorsi, ambiti di accessibilità e di influenza;
d) Le connessioni tra il «tessuto»
delle attrezzature sociali e il tessuto urbano nel suo complesso (con la
viabilità, le residenze, le attività commerciali,
ricreative, ecc., gli altri servizi civici): sia nei «vecchi centri» che nelle
nuove espansioni; ciò tenendo presente la necessità di integrare le
attrezzature sociali nel contesto urbano per farne elementi di animazione;
e) Criteri e strumenti per
l'utilizzazione di aree ed edifici del patrimonio
edilizio storico, artistico e monumentale per la realizzazione della «rete» di
attrezzature sociali;
f)
Criteri e modalità per la partecipazione delle organizzazioni di base agli
studi, alle scelte e alle determinazioni relative.
La normativa urbanistica dovrebbe
essere integrata da profonde modifiche alle norme di realizzazione, uso e
gestione delle diverse categorie di attrezzature
sociali. Modifiche che dovrebbero riguardare principalmente:
g) L'accessibilità pubblica (es.: uso di attrezzature
scolastiche - biblioteche, sale di riunione, impianti per giochi e sport - da
parte di altre categorie di cittadini nelle ore libere dall'uso scolastico) ;
h) Gli orari d'uso (es.: le attrezzature per la
custodia dell'infanzia, e al limite le altre attrezzature scolastiche,
dovrebbero avere orari d'uso corrispondenti agli orari lavorativi delle madri;
le attrezzature «culturali» - biblioteche, cineteche, ecc. - dovrebbero avere
orari alternati rispetto a quelli lavorativi e scolastici);
i)
La possibilità di progettare e realizzare in unica struttura edilizia opere
pubbliche diverse (come alloggi a cura dello Stato, attrezzature sociali
diverse, attrezzature civiche, commerciali, ecc.).
I punti g) e h) pongono il
fondamentale problema dell'istituzione di forme particolari di rapporti di
lavoro con orari differenziati per il personale
addetto ai servizi sociali.
II.5 - Attuazione e gestione delle attrezzature sociali
Lo schema sintetico delle competenze
può così raffigurarsi:
a) Stato:
Programmazione interregionale, finanziamenti relativi, legislazione-quadro; normativa;
eventuale fornitura di prestazioni tecniche di ausilio
agli Enti locali attraverso strutture tecniche specializzate.
b) Regione:
Scelte programmatiche nell'ambito della programmazione nazionale integrate
dalla legislazione e dalla programmazione regionale; destinazione dei
finanziamenti regionali e sub-regionali; iniziativa di organizzazione
e realizzazione, normativa specifica e direttive agli Enti locali minori.
c) Amministrazione
comunale: Iniziativa di
programmazione locale nell'ambito delle decisioni urbanistiche; esercizio
delle proprie competenze di attuazione e controllo
nella realizzazione delle attrezzature; gestione dei servizi con
l'utilizzazione di personale proprio e con l'eventuale collaborazione tecnica
specializzata; attuazione dei principi della partecipazione di base per le
predette incombenze.
d)
Rappresentanza dell'utenza (associazioni, sindacati, organizzazioni cooperative,
raggruppamenti spontanei): iniziativa nella rappresentazione delle esigenze a
livello comunale e se necessario a livelli superiori; partecipazione alle
scelte urbanistiche comunali; controllo dell'attuazione; controllo - con partecipazione
diretta o meno - alla gestione.
e) Strutture
tecniche specializzate: fornitura di prestazioni tecniche specializzate al
servizio dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali minori per la
programmazione, realizzazione e gestione delle attrezzature.
II.6 - Dalle normative urbanistiche, specifiche, per le competenze
nella gestione dovrebbero derivare proposte di variante alla legge comunale
e provinciale per la ristrutturazione dell'Ente locale, che possano servire da
indicazioni per l'eventuale legislazione-quadro nazionale e - se del caso sotto
forma di «modelli alternativi e flessibili» - per le decisioni legislative e
programmatiche delle Regioni.
III. - INDICAZIONI PER L'ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI SOCIALI A
LIVELLO LOCALE
III.1 - Dalla «linea della povertà» alla «promozione sociale»
La ristrutturazione delle attività e
dei servizi sociali a livello periferico implica, come si è visto, oltre alle
più generali scelte a livello di riequilibrio economico e territoriale, la
scelta di un indirizzo di politica sociale all'interno del quale articolare e finalizzare
l'organizzazione dell'intervento sociale.
L'impostazione data fino ad oggi a
questo tipo di attività, come è noto, è stata
soprattutto orientata a criteri di difesa
sociale con la preoccupazione prevalente di dare risposta ai bisogni
sociali emergenti, senza peraltro riuscire a soddisfarli adeguatamente e senza
indagare ed operare sulle cause del loro manifestarsi. Ne è
scaturita una tipologia di iniziative tutte inquadrate nella «linea della povertà», come criterio
discriminante nell'accesso e nell'uso dei servizi e delle prestazioni.
L'indirizzo alternativo che è
urgente proporre deve spostare l'enfasi sulla «promozione sociale»
intesa come equa fruizione delle opportunità sociali e dei
frutti dello sviluppo economico, operando da un lato sulle circostanze che inducono
l'instaurarsi dei bisogni sociali ed insieme dando legittimità sociale e civile
ad una serie di esigenze la cui soddisfacente risposta costituisce oramai un
requisito base di uno standard sociale di vita da garantire a tutti i
cittadini.
Questo indirizzo di politica sociale
non può che postulare una politica del pieno impiego delle risorse produttive
e quindi della piena occupazione, problema primo della soluzione dal quale è possibile far discendere una serie di conseguenze
positive per una normalizzazione di molte situazioni sociali abnormi.
D'altra parte il riconoscimento di
talune esigenze fondamentali per un livello di vita civile, come diritti soggettivi
inalienabili (casa, servizi sociali, attrezzature sanitarie ed
educative, attrezzature culturali, ricreative e sportive, verde attrezzato,
ecc.), costituisce la premessa per un ribaltamento di concezione di tutte le
attività legate all'intervento sociale.
L'abbandono della linea della
povertà e la scelta di un indirizzo programmatico verso la promozione
del benessere richiede un completo riesame della tradizionale
organizzazione dei vari settori in cui si articola l'intervento sociale. In
particolare sembra necessario ricondurre in un quadro unitario le politiche
dell'occupazione (formazione e collocamento), i trattamenti economici di
natura previdenziale, contributiva o comunque di preminente interesse sociale
(pensione sociale, assegni familiari, disoccupazione,
ecc.) e i servizi integrativi per il normale svolgimento delle attività
sociali primarie (politica della casa, servizi per varie categorie d'età).
Tutte queste attività dovrebbero essere gestite in un quadro unitario, con un orientamento
promozionale, e sottoposte al controllo
democratico.
Pur essendo funzionalmente separate
dalle attività sanitarie e da quelle educative, le attività
tese alla promozione del benessere dovranno trovare le occasioni di un
raccordo permanente con le altre strutture sia in ragione della obiettiva
esigenza di integrazione tra i diversi momenti dell'intervento al livello di
programmazione e di gestione, e sia per consentire ai livelli eventuali di
corrispondenza sul territorio un affiancamento delle
strutture per facilitare il loro uso da parte dell'utenza.
La struttura
portante delle attività dovrà evitare forme burocratiche di gestione,
orientandosi nella direzione della continua flessibilità e sperimentazione dei
programmi per realizzare una costante corrispondenza tra bisogni e servizi.
Questa operazione sarà resa tanto più possibile quanto maggiore peso verrà assicurato all'utenza nelle decisioni programmatiche.
La partecipazione dei cittadini ai problemi della gestione nelle
forme appropriate, inoltre potrà favorire una crescita di coscienza dei propri
bisogni da parte della collettività, dando luogo ad una domanda politica che si
trasferirà nelle organizzazioni sociali (partiti, sindacati, ecc.) e nelle
sedi di programmazione ai vari livelli. Parallelamente, sarà necessario dare
una più ampia autonomia di ricerca ai protagonisti dell'intervento sociale.
La garanzia di una gestione
democratica verrà infine assicurata dalla gestione
delle attività sociali (insieme a quelle educative e sanitarie) attraverso
organi politici elettivi: regioni, province (o comprensori), comuni. L'assegnazione
a questi organi dei compiti di programmazione e gestione della politica
sociale, come parte del discorso più generale alla politica del territorio
(destinazione delle sedi produttive, insediamenti residenziali, ecc.) richiede
ovviamente, come si è visto, un radicale riesame dei compiti e della struttura
degli Enti locali.
Non ci attarderemo a ricordare il
problema dei divari di grandezza tra comuni metropolitani e comuni agricoli,
tra province che da sole non riescono a costituire neanche un'area comprensoriale
e province che ospitano all'interno più comprensori,
spesso tra di loro nettamente distinti.
Molti nodi di natura politica e
amministrativa debbono essere sciolti per giungere ad
un riassetto funzionale del territorio. Un modo per procedere su questa strada
è quello di esaminare i problemi secondo un approccio
operativo e pragmatico.
Si è già rilevato,
in proposito, come le esigenze di strutturazione periferica dei vari servizi
possano costituire appunto un pratico avvio per una riconsiderazione
generale dell'assetto del territorio.
Per quanto riguarda le proposte di
compiti da attribuire alle unità locali di servizi per la scelta delle attività
e dei servizi corrisponde alla linea dei discorsi fin
qui svolti. Il lavoro di aiuto sociale sia in forma di
prestazioni professionali che di servizi tende a comprendere tutte le attività
sociali tese alla tutela e alla reintegrazione sociale. In particolare si pensa
all'attuale rieducazione minorile che nella previsione di una totale depenalizzazione del settore dovrebbe essere svolta
nell'ambito delle future unità locali.
In generale dovrà essere prevista una limitata estensione delle soluzioni istituzionalizzate,
favorendo gli interventi «aperti» di appoggio nello svolgimento dei ruoli
sociali. Le istituzioni non avranno mai carattere «totale» ma
funzioneranno in intercambio con servizi di altri settori.
Un impulso notevole dovrà essere
dato, in corrispondenza dell'orientamento di una limitata diffusione di soluzioni istituzionalizzate, al lavoro volontario,
inteso come attività esercitata con impegno diretto personale nell'ambito di
programmi pubblici. Particolare sviluppo avranno quindi, ad esempio, le
attività di aiuto familare e affidamento familiare.
Dovrà essere studiata l'utilizzazione di popolazione
non produttiva per la gestione dei servizi (ad esempio anziani pensionati).
In generale occorrerà evitare una eccessiva professionalizzazione
delle attività e servizi poggiando soprattutto sull'azione comunitaria e volontaria,
adeguando le tecniche di gestione e la formazione degli operatori sociali a
questi nuovi indirizzi di lavoro.
III.2 - La rete dei servizi a livello locale
L'impegno di individuare e proporre
una rete di servizi sociali, sanitari, formativi, ricreativi da collocare nella
prospettata Unità locale di servizi
deve necessariamente partire da una analisi delle
esigenze diffuse tra i cittadini e da una considerazione dei servizi che lo
sviluppo tecnico nel settore ha precisato nell'attuale momento storico.
Partire dalla individuazione
di «aree di domanda» concernenti la vita quotidiana della gente ci appare
necessario per vari motivi:
- l'importanza di essere collegati
col tessuto sociale, nella sua realtà di vita nella sua
evoluzione, piuttosto che con dei modelli giuridici ed istituzionali che
tendono a sopravvivere all'evoluzione dei bisogni e alla trasformazione della
richiesta;
- l'importanza di offrire alle
diverse realtà del Paese (anche se esse tendono per più versi ad omogeneizzarsi
progressivamente) un «modello di riferimento» non
rigido, adattabile alle specifiche situazioni, tale da sollecitare anche
l'inventiva di modi nuovi per soddisfare le stesse esigenze;
- l'importanza di garantire, nel contempo, a tutti i cittadini italiani (in qualsiasi
Regione o zona del Paese risiedano) che una stessa piattaforma di bisogni
venga per tutti ed ognuno tenuta presente e vi si garantisca una risposta
adeguata.
Pertanto, resta ferma la necessità
di definire a livello nazionale i traguardi essenziali che nel Paese si debbono raggiungere - attraverso il processo di
programmazione e la fiscalizzazione degli oneri sociali - per riferimento a
determinate esigenze e l'opportunità - sempre a quel livello - di indicare un
«modello» flessibile di servizi da considerare nella predisposizione dei
piani regionali e di unità locale. A tale obbiettivo si tenta
di dare un contributo in questa terza parte del documento.
Resta altrettanto ferma però
l'esigenza di garantire ai livello regionale - in
costante consultazione con quelli locali - la possibilità di adeguare il
«modello» alle specifiche situazioni, maturando nel contempo anche - con
eventuale sperimentazione di nuovi servizi e loro organizzazioni - proposte
alternative, integrative, modificate del «modello nazionale», il quale dunque
non deve essere rigido e non deve richiedere pertanto eccezionali procedure
legislative per essere modificato (la sede più opportuna per tale impegno
appare infatti il quinquennale piano nazionale di sviluppo).
Anche la stessa ampiezza demografico-territoriale delle Unità locali, di cui più
oltre si dirà, deve essere definito a livello regionale - con le indispensabili
consultazioni con i livelli locali - anche se a
livello nazionale debbono essere individuati i criteri di definizione, rispondenti
ad esigenze funzionali - pena una inefficienza delle nuove strutture - che
devono essere tenuti presenti nella articolazione dei territorio regionale in
Unità locali. Anche per questo impegno si deve poter
prevedere modificazioni nel tempo, per tener conto delle esperienze, della
trasformazione delle situazioni, dello sviluppo delle relative tecniche.
III.3
Si ritiene innanzi tutto che
nell'Unità locale debbano essere garantite ai
cittadini interessati tutte le attrezzature e le attività di sostegno e di
integrazione, destinate ad aiutare gli individui ed i gruppi primari allo
svolgimento delle loro funzioni sociali ed allo sviluppo delle risorse personali.
Le esigenze dell'uomo e della
famiglia - oltre a quelle sessuali, affettive e spirituali - cui generalmente
si dovrebbe far riferimento sono:
- sussistenza,
- lavoro,
- alloggio,
- formazione,
- ricreazione,
viste tutte in chiave di socialità, dato
il costante processo di socializzazione che tutti ci tocca, e data l'esigenza
che sia la società ad organizzarsi per soddisfare le esigenze diffuse di tutti
i suoi membri. Dando qui per acquisita una «politica
di pianificazione del territorio» (cui si è fatto espresso riferimento nella
seconda parte del documento) e la connessa «politica dei trasporti pubblici»,
tra le esigenze di vita menzionate non si prendono qui espressamente in considerazione
le categorie riferite all'alloggio (cfr. «politica della
casa») e al lavoro, anche se le interdipendenze con quanto si dirà sono
evidenti e costanti.
Occorre qui precisare che i servizi
- cui si farà riferimento - sono visti come «consumi pubblici», liberati perciò
dalla logica del profitto tipica dei consumi privati, si tratta pertanto di attrezzature e prestazioni non fornite a fine di lucro,
anche se ne vanno attentamente considerati i costi di impianto e di esercizio
che la comunità si assume. La fiscalizzazione
degli oneri sociali dovrebbe permettere in prospettiva
di garantire a tutti un sistema di servizi pubblici, anche se resta da
considerare l'opportunità o meno che l'utente partecipi in parte alle spese
vive connesse all'esercizio del servizio, qualora la situazione economica del
suo nucleo familiare lo consenta.
Prima di analizzare l'articolazione
dei servizi per rispondere alle esigenze menzionate, occorre fare una
specifica precisazione per il settore della «sussistenza» (intendendo con ciò
il dignitoso mantenimento e sviluppo in vita dell'individuo), per il quale,
fermo restando che esso va risolto prioritariamente e ogni volta che sia
possibile a livello di occupazione e salario, appaiono
essenziali due tipi di intervento, che vanno garantiti però a livello
generalizzato (come avviene per le infrastrutture civili: acqua, luce,
fognature, strade, ecc.), ed i cui riflessi saranno grandemente percepiti a
livello locale:
- i minimi di pensione rapportati al
livello del cosiddetto «minimo vitale» (siano tali minimi riferiti alle
pensioni contributive dei lavoratori che alla
cosiddetta «pensione sociale» da garantirsi a coloro che non sono in grado di
lavorare e di sostentarsi per tale via: minorati, anziani senza altra pensione,
disoccupati);
- i servizi commerciali, considerati
in modo che tendano a togliere il costo della vita dalla spirale della lievitazione dei prezzi, connessa all'abnorme iter per cui
si va dalla produzione al consumo.
III.4
In rapporto all'attuale maturazione
degli studi tecnici e delle esperienze significative
realizzate sinora nel nostro Paese, anche per effetto di una intelligente
utilizzazione dell'esperienza straniera, la rete di servizi sociali, sanitari,
formativi, ricreativi da collocare a livello locale sembra essere quella che
si dirà al punto seguente, vista per «gruppi omogenei di servizi».
Si è infatti
preferito non predisporre una pura e semplice elencazione di possibili servizi,
ma raggrupparli funzionalmente, sia per evitare il pericolo sempre immanente di
una considerazione rigida del modello, sia per sollecitare la localizzazione
più «economica» per le esigenze dei cittadini, la collaborazione dei
professionisti, la utilizzazione di attrezzature comuni.
Non va inoltre trascurato
il fatto che la presenza di questi raggruppamenti non significa che
ogni «gruppo di servizi» sia autosufficiente completamente e soprattutto non
debba essere in funzionale rapporto con gli altri gruppi. Tale differenziazione
e contemporaneamente interrelazione dei servizi deve d'altronde essere tenuta
presente e vagliata nella formulazione e nella realizzazione dei piani di
sviluppo dei servizi regionali e di Unità locale, e
deve costituire preoccupazione essenziale nella formazione, nell'aggiornamento
e nel costume quotidiano dei diversi professionisti impegnati nei servizi.
La partecipazione dei cittadini alla
formulazione, alla gestione e alla verifica di tale politica pianificata dei
servizi - di cui si J detto nella prima parte-di
questo documento - costituisce d'altronde un altro contributo per evitare - pur
nelle necessarie autonomie dei singoli servizi e dei singoli professionisti -
gli isolamenti nocivi e le contrapposizioni dannose nel «sistema dei servizi».
III.5
Senza che l'ordine presuma di
indicare sempre e necessariamente una priorità di accesso
da parte dei cittadino alla «rete di servizi» ad una meccanica priorità di
realizzazione nel «piano di sviluppo dei servizi», ci sembra che attualmente
possa essere proposto come modello di una rete di servizi a livello locale il
seguente:
A. - Gruppo dei servizi
sociali di base.
Essi sono visti come supporto alla
soluzione dei bisogni primari e delle esigenze quotidiane e diffuse di tutti i
cittadini. Tale gruppo costituisce da un lato lo sviluppo moderno dell'antica
assistenza e dall'altro la concretizzazione in servizi
di richieste socio-culturali diffuse, anche se talora implicite, di larghi
strati della popolazione e connesse alle caratteristiche della società e del
suo modo di organizzarsi.
All'interno di questo gruppo di
servizio si individuano particolarmente i seguenti:
- Segretariato sociale - (informazioni, assistenza al richiedente,
smistamento e trasmissione, patrocinio legale, ecc.,
in riferimento alle prestazioni ed ai servizi connessi almeno alla sicurezza
sociale, all'alloggio, all'occupazione);
- Promozione del benessere - (prestazioni economiche per
garantire il minimo vitale nei casi di mancata o ritardata fruizione dei trattamenti
della previdenza sociale, aiuto in caso di emergenza e calamità, collocamento
al lavoro, ecc.):
- Assistenza domiciliare - (assistenza domestica a famiglie con
difficoltà momentanee, ammalati o puerpere, anziani non completamente autosufficienti,
ecc.),
- Servizio sociale professionale di zona - (studio del caso, prima
diagnosi e intervento, trasmissione a servizi specializzati, coordinamento
dell'intervento di vari servizi sulla stessa famiglia, ecc.,
con riferimento almeno ai seguenti settori: adozione, illegittimi, orfani, ex
carcerati, inabili al lavoro, madri nubili, prostitute, invalidi, inadempienti
all'obbligo scolastico, disadattati scolastici, disadattati sociali, ecc.);
- Consultorio familiare - (consulenza interdisciplinare diagnostica
e di primo trattamento, con eventuale smistamento per
trattamenti specializzati alle sedi opportune, per tutti i casi, individuali o
di coppie, riferibili all'esperienza matrimoniale e familiare dimostratasi
patologica o difficile; azione pre-matrimoniale);
- Centro di servizi culturali - (inteso
come servizio di promozione culturale e non solo di consultazione e prestito di
libri, riviste, dischi; con dibattiti, gruppi culturali, audizioni o proiezioni
speciali, mostre, rappresentazioni; tale servizio è anche specificatamente
collegato al sistema scolastico, evitando inutili doppioni);
- «Verde attrezzato» - (per tutte le categorie di cittadini, con
spazi appositi, attrezzati e con adeguato personale,
per il gioco dei bambini, dei ragazzi, dei giovani ed adulti; pertanto i campi gioco e gli impianti sportivi di base (campo di calcio, palestra, piscina
coperta) si intendono qui garantiti; tali impianti vanno visti anche a servizio
del sistema scolastico, evitando inutili doppioni);
- Casa-albergo - (che soddisfa le
esigenze di residenzialità: alloggio, vitto,
pulizie, altri servizi generali disponibili per chi intenda usufruirne, per
persone singole o coppie - in specie studenti, pendolari, giovani lavoratori
immigrati, anziani autosufficienti, persone comunque
prive di nucleo familiare in loco e di casa - che necessitano di alloggio, pur
mantenendo la massima autonomia).
Va tenuto presente che gli accenni
qui brevemente fatti alle prestazioni dei singoli servizi, vanno
opportunamente approfonditi in altra sede (standards
qualitativi dei singoli servizi) e che alcune specificazioni risentono della evoluzione in corso e delle necessarie
sperimentazioni, essendo talora tali sviluppi conseguenti anche a
modificazioni auspicate della vigente legislazione.
B. - Gruppo dei servizi
sanitari di base.
..... Il testo va predisposto da
membri del Comitato di studio esperti del settore, anche a seguito delle
acquisizioni dell'apposita Commissione ministeriale.
C. - Gruppo dei servizi
della scuola d'obbligo.
In una moderna concezione della
scuola - vista come strumento della comunità locale per un impegno di socializzazione - non si tratta tanto qui di individuare:
- i cicli (scuola materna, scuola elementare, scuola media unica,
scuola media superiore),
- né la
specializzazione per le situazioni di difficoltà (scuola materna speciale,
classi differenziali, scuole speciali),
- né i servizi integrativi (mensa
scolastica, trasporti scolastici, ecc.),
quanto di evidenziare la complessità di funzioni (istruzione,
socializzazione, ricreazione, sviluppo della salute), il che comporta:
- plesso scolastico attrezzato per tutti i cicli collocabili a
livello di Unità locali (senza rigidità di
attribuzione di locali ad un ciclo piuttosto che ad un altro) e con servizi
generali adeguati (aula magna, apparecchiature didattiche), locali per esercitazioni,
refettorio, locali di ricreazione) , evitando però lo predisposizione di
servizi ed attrezzature ad hoc (per lo sport, per la biblioteca, ecc.) quando
vi siano in loco presenti e facilmente accessibili alcuni servizi sociali di
base di cui si è detto (campi gioco, impianti sportivi, centro di servizi
culturali);
- disponibilità dei locali e delle attrezzature
scolastiche non solo per le esigenze degli allievi nelle ore di scuola, ma per
tutto l'ambiente locale (attività ricreativa, culturali, di recupero
scolastico, delle varie categorie di cittadini);
- efficienza di un lavoro di équipe non
solo tra gli insegnanti di un ciclo o di una classe; bensì tra i diversi
professionisti che, con ruoli specifici ma integrati, costituiscano oggi il
«corpo professionale» interessato all'attività della
scuola (insegnanti, assistenti per il tempo libero, assistente sociale,
medico, psicologo, orientatore, ecc.);
- costanti rapporti di dialogo e di verifica tra le varie componenti di una «scuola d'ambiente»: allievi,
professionisti, genitori, rappresentanze della realtà locale (amministrazione
comunale, associazioni, sindacati, organismi economici, ecc.).
Una tale concezione della scuola
«integrata» (non solo perché a tempo pieno, ma perché inserita nella realtà
locale e posta al suo servizio) postula la soluzione
preliminare di tre problemi organizzativi; l'edilizia scolastica, la residenza
in loco degli insegnanti e degli altri professionisti destinati allo specifico
plesso scolastico, il nuovo ruolo degli enti locali nel settore.
D. - Gruppo dei servizi
per la maternità e la prima infanzia.
Essi sono visti in funzione di uno
sviluppo armonico, fin dal concepimento, dei bambini, evitando
nell'impostazione dei servizi a ciò destinati l'impronta classista, sia essa paoperistica (oggi ancora tipica dei servizi pubblici in
questione) e agiata (prestazioni di lusso, a netta impronta speculativa):
- consultorio pediatrico-materno,
- asilo nido,
- istituto per la prima infanzia per gli indispensabili ricoveri nei
primi anni sia per esigenze assistenziali che
sanitarie, prevedendo gli essenziali collegamenti con l'adozione, per i casi
che rientrino in tale prospettiva, con il reparto pediatrico dell'ospedale di
zona per i problemi sanitari; nel suo ambito va previsto con opportuna autonomia
un pensionato per madri, con i
relativi bambini, utilizzabile prevalentemente da madri nubili finché non si
vede realizzabile l'inserimento nella «casa albergo» di cui si è detto).
La composizione in un unico blocco
articolato di questi tre servizi, oltre ad economie funzionali sul piano dei
professionisti, delle attrezzature e degli inter-rapporti, tenderà a superare
l'attuale organizzazione «segregativa» verso gli
illegittimi e le madri nubili, collocandoli in una normale rete di servizi per
la maternità e la prima infanzia, aperti a tutti.
E. - Gruppo dei servizi
per i disadattati e gli handicappati.
Oltre all'impegno di inserire - ove
possibile ed utile per le loro situazioni ed esigenze - tali disadattati ed
handicappati nei servizi già previsti con i gruppi precedenti, resta da evidenziare
che qui si è fatta la previsione di una totale depenalizzazione della
rieducazione minorile, con l'assegnazione all'Unità
locale dei servizi e delle attività tese alla prevenzione e al trattamento del
disadattamento visti in un unico gruppo (pur con le necessarie
specializzazioni) per le ricorrenti sovrapposizioni e contemporaneità di tali
forme.
(Specifica dei servizi prioritari prevedibili
a livello di Unità locale, da parte dei competenti membri del Comitato di
studio)
- Istituto medico-psico pedagogico
- Focolare
- Laboratorio protetto.
Resta da
considerare - e la sperimentazione soprattutto lo dovrebbe dire - se i servizi
sin qui previsti nei vari gruppi soddisfano - in una concezione nuova del
superamento dell'emarginazione (cfr. le leggi
recenti sull'adozione, sulla pensione sociale) - tutte le esigenze, evitando
forme oggi diffuse di internato (Case di riposo per anziani, Istituti di
ricovero per bambini e giovani) o «Centri» talora sperimentati in questo
dopoguerra, ma in una situazione di carenza proprio
di una rete di servizi (si pensi ai Centri Sociali, oratori, club per anziani,
e simili).
(La discussione in assemblea del Comitato
di questa bozza permetterà intanto di fare sin d'ora un tale controllo)
Comunque e soprattutto, va sottolineato che
la presenza nell'ambito di una Unità locale di una effettiva ed esauriente rete
di servizi delle categorie A, B, C, è essenziale per decongestionare tutto il
«sistema di richieste», evidenziando i casi di effettiva gravità e
specificità, anche se ciò non riduce, ma anzi rende pressante, l'esigenza di
funzionali servizi specialistici.
IV. - CONSEGUENZE SUL PIANO DELL'ORGANIZZAZIONE DELL'UNITA' LOCALE
1. Direzione politica e tecnica
dell'Unità locale.
2. Il personale
(elencazione, situazione attuale, preparazione, aggiornamento, collaborazione,
direzione.
3. Dimensione dell'Unità
locale nell'ambito dell'articolazione regionale (giustificazioni teoriche e
parametri-tipo per situazioni diverse; aggiornamento delle delimitazioni;
problemi giuridico-amministrativi per il
decentramento metropolitano e per i consorzi di piccoli comuni).
4. I costi.
5. Rapporti con i
livelli superiori politici e tecnici.
(Parte da redigere)
V. - INDICAZIONI E PROPOSTE IN
ORDINE AI PROBLEMI DI COLLEGAMENTO DEI SERVIZI SANITARI E SOCIALI A LIVELLO DI
BASE
(Parte
da redigere)
D. M. 21 gennaio 1970: «Costituzione presso il Ministero
della Sanità, per la durata di mesi sei di un Comitato di studio con l'incarico
di formulare indicazioni e proposte in ordine ai
problemi del collegamento dei servizi sociali di base con i servizi sanitari».
Presidente del Comitato:
On.le Dott.
Franco FOSCHI
Componenti:
BIANCO Dr. Stefano - Assistente sociale Ente Riforma - via
interna O. Fiacco, 19 - tel. 080/249771 - Bari
CAPPELLI Dr. Antonio - Esperto in problemi della sicurezza
sociale - CIRSS - via Vacuna,
62 - tel. 4380626 - Roma
CASSANMAGNAGO D.ssa M. Luisa -
Assessore all'Assistenza della Provincia di Milano - tel. 02/7740 - Milano
CATELANI Dr. Riccardo - Segretario Generale ISSCAL - via Nerola, 13 - tel. 8386675 - Roma
COLOMBARI Dr. Gian Berto - Esperto in problemi assistenziali ENPMF - via A. Costa 141/2° - tel. 412769 - Bologna
CORSINI Ass. Soc. Mario - Esperto in servizio sociale -
ISTISS - via Arno, 2 - tel. 855557 - Roma
D'ABBIERO Dr. Alfonso - Medico Provinciale Capo - Ministero
della Sanità - Roma
D'ALBA Dr. Biagio - Segretario Centro Studi Ministero della
Sanità - Roma
FARRACE Dr. Antonio - Esperto in problemi
della sicurezza sociale AAI - Largo G. Chiarini,
18 - tel. 575769 - Roma
FAUSTINI Dr. Gino - Esperto in problemi della sicurezza
sociale - ISPE - via Deruta,
13 - tel. 7857311 - Roma
GALASSI Sig.ra Fabiola - Esperta in
problemi assistenziali - piazza Prati Strozzi, 21 -
tel. 3565546 - Roma
GIOVENALE Prof. Arch.
Fabrizio - Direttore Generale dell'I.S.E.S. - via G.
B. Morgagni, 30/H - Roma
GIBERTINI Dr. Guido - Esperto in assistenza sociale - ENAOLI
- via Savoniero, 21 - tel.
68863 - Modena
LERMA D.ssa
Milena - Sovraintendente dei servizi sociali della
Provincia di Milano - tel. 7740 - Milano
MARCON Prof. Paolo - Esperto nei
problemi della gioventù disadattata - viale G. Cesare, 109 - tel. 3567727 - Roma
MARCHIO' Avv. Eugenio - Segretario Generale Provinciale ONMI
- via G. Guarino, 47 - tel. 22017 - Modena
MARLIA Dr. Arch. Anna Maria -
Esperto nei problemi dell'assetto territoriale - Ministero LL. PP. - via R. Lanciani, 74 - tel. 426060
- Roma
PASSARINI TOSI Prof. Carlo -
Segretario Generale ANFAS - via Roma, 3 - tel. 263167
- Firenze
PASSUELLO Sig. Francesco - Esperto in problemi della
sicurezza sociale - via Monte dei Cenci, 8 - tel.
655192 - Roma
ROCCHI Dr. Lidio - Esperta in problemi della medicina sociale
- Ospedale Civile di Cesena - tel. 22878 - Cesena
SANTANERA Sig. Francesco - Segretario Gen. Unione Italiana
per la promozione dei diritti del minore - Via degli
Artisti, 34 - tel. 81279 - Torino
TORRACA D.ssa Jolanda - Segretaria
Generale del Consiglio Nazionale della Donna Italiana - Via del Monte Oppio, 5
- tel. 485708 - Roma
TREVISAN Dr. Carlo - Esperto in problemi cella sicurezza
sociale - AAI - via Val Cristallina, 15 - tel. 894837
- Roma
VETERE Prof. Carlo - Ispettore
Generale Medico Ministero della Sanità - Roma
Le funzioni di segreteria saranno svolte dai Signori:
DI GIACOMO Dr. Romano Rosario - Ministero della Sanità - Roma
MASTROCOLA Dr. Claudio - Ministero della Sanità - Roma
(1) Definizione, per
zone territoriali omogenee, di limiti inderogabili di densità edilizia, di
altezza, di distanza tra í fabbricati, nonché di rapporti massimi tra spazi
destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o
riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.
(2) Tutto ciò può
essere ottenuto istituzionalizzando «per legge» queste procedure (col rischio
per le organizzazioni di base di trovarsi condizionate «al sistema»), oppure
può essere ottenuto direttamente da queste organizzazioni, attraverso la
pressione «dall'esterno del sistema». Nei due casi, per quanto riguarda il
tessuto delle attrezzature sociali, un lavoro di definizione svolto dal nostro
Comitato (per i contenuti, la qualità, l'articolazione territoriale,
l'inserimento nei contenuti urbani), può costituire un supporto utile.
www.fondazionepromozionesociale.it