Prospettive assistenziali, n. 10, aprile-giugno 1970

 

 

DOCUMENTI

 

RELAZIONE CONCERNENTE LO SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE E IL FUNZIONAMENTO DI SCUOLE ELEMENTARI SPECIALI, DI LABORATORI-SCUOLA, DI SEZIONI OCCUPAZIONALI E DI CLASSI DIFFERENZIALI (FEBBRAIO 1970)

 

 

Commento a cura di Giuliana Lattes (1)

 

L'Unione italiana per la promozione dei di­ritti del minore, in data 11 maggio, diffondeva su vasta scala il testo dello schema, scrivendo nella presentazione: «Esistono forti probabilità che lo schema di disegno di legge venga presen­tato e approvato in quanto tra l'altro è garan­tito da una totale copertura finanziaria. Questa Unione confida nella mobilitazione di tutte le persone interessate ai problemi degli handicap­pati e dei disadattati per evitare la sventura dell'approvazione del disegno di legge, che è diretto ad isolare dal contesto normale i sog­getti handicappati e quelli con qualche diffi­coltà».

 

L'emarginazione organizzata

 

Questo allarme è giustificato solo che si legga con attenzione il testo della proposta, an­che se alcuni redattori di essa sono forse su posizioni più avanzate di quanto hanno lasciato trasparire e di quanto hanno concretato negli articoli.

Si veda anzitutto l'articolo 1: le esclusioni e le riserve ivi contenute sono preoccupanti. La parentesi «esclusi i ciechi e i sordomuti» equi­vale a conservare la divisione delle categorie, divisione ingiusta e concorrente, ed equivale a lasciare l'educazione di questi soggetti alle at­tuali istituzioni, che sono notoriamente chiuse, non socializzanti, emarginanti per tutta la vita, e spesso assai deficitarie.

Ma più grave è la riserva, nello stesso arti­colo, che dice: «abbiano possibilità di ricupero parziale e di successivo avviamento ad attività lavorative». Discriminare i soggetti bisognosi in base a questi criteri, costituisce, a nostro avviso, stabilire una norma anticostituzionale. Essa infatti contrasta con i seguenti articoli del­la Costituzione:

- art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari di­gnità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'u­guaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva parte­cipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;

- art. 4 (1° comma): «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto»;

- art. 34 (1° e 2° comma): «La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita»;

- art. 38 (3° comma): «Gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avvia­mento professionale».

La stessa riserva dell'articolo 1 poggia su una fiducia antiscientifica sulle possibilità dia­gnostiche e prognostiche degli esami speciali­stici: a sei anni di età (come vuole l'art. 1) tali esami non ci danno affatto un'assoluta garanzia, per cui diventa gravemente lesivo dei diritti dei cittadini ricercare tale distinzione rigida che si ripercuoterà su tutta l'educazione futura e su tutta la vita dei cittadini.

Ed ecco, come controprova, l'art. 8: «Per i minori subnormali gravi dai 6 ai 18 anni, non assimilabili ai soggetti indicati all'articolo 1, e per i quali non è possibile prevedere un proficuo trattamento scolastico ai fini di un eventuale recupero, possono essere istituite, esclusiva­mente su richiesta del medico provinciale, se­zioni speciali presso ospedali psichiatrici o isti­tuti ospedalieri o altri istituti assistenziali qua­lificati».

Dove il «possono» denuncia un'altra grave violazione dei diritti dei soggetti più gravi, in quanto non stabilisce l'obbligatorietà dell'istitu­zione di sezioni speciali; dove tutti i soggetti più gravi sono lasciati praticamente al settore me­dico; dove soprattutto si ripropongono soluzioni come quelle presso gli ospedali psichiatrici, che peggiori non potrebbero essere, e che crede­vamo ormai sorpassate da decenni.

Ma l'emarginazione forse più vasta, perché interessa centinaia di migliaia di alunni è quel­la prevista dall'articolo 41, riguardante l'istitu­zione delle classi differenziali, soprattutto dove si fissano fra le cause delle difficoltà degli alunni anche quelle di carattere ambientale, sen­za enumerarne nessuna altra. Ora questa invo­lontaria (vogliamo credere) accentuazione delle cause di carattere ambientale potrebbe tradursi in pratica in una vera e propria discriminazione degli alunni in base alla loro origine sociale, economica, geografica.

Come giustamente obiettava Bollea a que­sto proposito, è veramente pericoloso fissare per legge l'istituzione delle classi differenziali, perché la distorsione dei loro fini (se pure ne hanno ancora), attualmente già assai diffusa, risulterebbe legalizzata o comunque difficilmen­te controllabile dagli organi ispettivi (che tra l'altro nella legge non sono chiaramente inve­stiti del compito assai delicato del controllo).

Un altro grave elemento di emarginazione è pure previsto quando in vari articoli è regola­mentata per legge una prassi del Ministero del­la Pubblica Istruzione che ormai da diversi anni assegna classi speciali statali e classi differen­ziali statali ad Istituti medico-psico-pedagogici privati: si vedano in particolare gli articoli n. 2 e n. 41. Questa prassi è accompagnata finora ad una grave carenza di vigilanza e a un funziona­mento molto problematico, come dimostrano an­che i casi limite degli istituti che sono stati oggetto di indagine e di denunce alla magistra­tura in questi ultimi anni.

E' chiaro che le istituzioni chiuse (e qui ci preme segnalare questo aspetto, e non tanto quello «privatistico») usciranno rafforzate da questo schema di legge e aumenteranno in nu­mero e in potere.

 

La chiusura al mondo esterno

 

La lacuna più grave di questo schema di disegno di legge è la sua u chiusura » nell'a­spetto tecnico e organizzativo, amministrativo e burocratico (che è pure accettabile in certa misura). Ma come non cogliere, prevedere e organizzare i vari collegamenti «esterni» che sono ancor più necessari e determinanti proprio per il ricupero dei soggetti in difficoltà? La fa­miglia, l'ambiente sociale, l'ambiente lavorativo, i coetanei «normali», la stessa scuola materna: come non riconoscere l'opera fondamentale che queste realtà educative esercitano insieme alla scuola speciale?

Non basta prevedere (all'art. 14) i rappre­sentanti dei genitori degli alunni nel Consiglio della scuola, quando non si prevedono servizi sociali, psicologici, educativi di chiarificazione, di appoggio, di sostegno alle famiglie, o di ri­cerca di famiglie sostitutive, adottive o edu­cative.

Non basta prevedere (all'art. 20) che «al termine della frequenza del laboratorio-scuola, l'alunno consegue un apposito attestato sulle capacità acquisite». Questa preoccupazione bu­rocratica è ben poca cosa rispetto alle esigenze reali dei ragazzi e delle loro famiglie: quali col­legamenti effettivi questi laboratori-scuola han­no col mondo del lavoro, come preparano in concreto al lavoro esterno, quali servizi sociali garantiscono per la collocazione al lavoro dei ragazzi, quali servizi sociali cureranno l'effettivo inserimento nel mondo del lavoro e risolveranno i gravi problemi del primo adattamento?

Inoltre se le cause ambientali sono quelle che più incidono nella genesi o nell'aggrava­mento del disadattamento, com'è possibile non prevedere alcuna azione di «prevenzione»?

E ancora: perché non si è tenuto conto né delle esperienze in atto all'estero e in Italia, né delle raccomandazioni di esperti e di vari organi­smi internazionali, che prevedono l'inserimento di classi speciali nei plessi delle scuole nor­mali, al duplice fine di favorire maggiormente il ricupero dei disadattati e la reciproca accetta­zione fra i due gruppi di soggetti?

E' chiaro a questo punto che il problema de­gli handicappati e dei disadattati non è risolvi­bile in una visione parziale e «scolastico-buro­cratica», come quella espressa in questo sche­ma di progetto di legge.

 

La elementarizzazione delle strutture interne

 

Ma anche la struttura «interna», l'organiz­zazione minuta delle scuole speciali (che pure è la parte migliore dello schema) manca di un respiro più ampio, di una visione più aperta, di vari collegamenti necessari; non va al di là di una «elementarizzazione» di tutta l'educa­zione speciale dai 6 ai 14 e ai 18 anni.

Intanto i «laboratori-scuola» (termine già equivoco e carico di significati e di intenzioni «elementarizzanti») sono affidati alla direzione di un funzionario notoriamente preparato solo a livello di scuola elementare, qual è il diret­tore didattico. A parte il fatto che alcuni diret­tori didattici, a questa proposta, si sono già sen­titi tremare le vene e i polsi, vogliamo sottoli­neare che non voler vedere i collegamenti ne­cessari con i Centri professionali del Ministero del Lavoro è un tentativo di voler attribuire al Ministero della Pubblica Istruzione un compito superiore alle sue capacità strutturali.

Per noi significa «infantilizzare» il proble­ma e non impostare in maniera moderna e dina­mica la preparazione professionale dei disadat­tati che è compito ben più importante ed essen­ziale che non l'istruzione scolastica. Equivale soprattutto a non credere che gli adolescenti handicappati .hanno spesso le stesse capacità e le stesse esigenze di preparazione professio­nale degli adolescenti normali.

Ma anche nella stessa organizzazione della vera e propria scuola speciale, si rivela il ten­tativo di «elementarizzare» tutto l'arco educa­tivo dai 6 ai 14 anni. Il riferimento alle strut­ture della scuola elementare normale è condi­zionante in varie parti e soprattutto all'art. 20 dove si dice: «Al termine della frequenza della scuola elementare speciale, all'alunno viene ri­lasciato, previo esame di accertamento, un atte­stato comprovante l'adempimento dell'obbligo scolastico ed il grado di cultura conseguito, cor­rispondente a quello di una determinata classe elementare normale».

E veniamo al punto di questa organizzazione che rivela una scarsa conoscenza diretta delle vere esigenze psicologiche ed educative degli handicappati, e delle difficoltà molto gravi che presenta l'educazione contemporanea di bambi­ni di 6 anni e di ragazzi di 14 anni nello stesso ambiente educativo. Dovrebbe ormai essere no­to «ciò che, alla stessa età, accomuna i fanciulli e adolescenti insufficienti mentali e i fanciulli e adolescenti normali della medesima età cro­nologica: i sentimenti, i desideri, gli interessi». Così affermano i Programmi d'insegnamento nelle classi di perfezionamento francesi, che prevedono appunto due periodi ben distinti di educazione: uno elementare dai 6 ai 12 anni, ed uno post-elementare dai 12 ai 14 anni, adattati ciascuno alla particolare e differenziata psico­logia dei due periodi. Così pure la proposta di legge di iniziativa popolare prevede dai 12 ai 14 anni un periodo non più di proseguimento della scuola elementare, ma un periodo nettamente distinto e più valorizzante rispetto alle esigenze degli adolescenti handicappati psichici, cioè un periodo pre-professionale, che non li discosti troppo dagli adolescenti normali che frequen­tano la scuola media.

Quindi, a nostro avviso si impone una de-ele­mentarizzazione della scuola speciale, e una sua spaccatura in due periodi netti, corrispondenti alla psicologia nettamente differenziata dei fan­ciulli e degli adolescenti handicappati.

 

Le «sezioni di rotazione»

 

Uno degli aspetti positivi più rilevanti del­lo schema è all'art. 47 la previsione della trasformazione delle classi differenziali in «sezioni di rotazione», ove gli alunni con particolari dif­ficoltà verrebbero seguiti da insegnanti specia­lizzati nella rieducazione ambulatoriale, pur ri­manendo regolarmente iscritti e frequentanti la classe normale.

Questo è un aspetto, anche caldamente rac­comandato da vari specialisti, come il Bollea, e già sperimentato all'estero, che veramente va segnalato per la sua modernità e per la sua impostazione avanzata.

Ma allora ancor più pressante viene la do­manda: perché non desistere dalla regolamen­tazione per legge delle classi differenziali, che già dicemmo pericolosa e ambigua, e invece procedere coraggiosamente su questa linea più moderna che investe la riforma della nostra scuola? La nostra struttura scolastica così rigida nella sua divisione per classi, nell'assegnazione di una classe ad ogni insegnante, veramente fa­rebbe un passo avanti notevole, rompendo que­sta rigida distribuzione e prevedendo l'assegna­zione di insegnanti specializzati senza classe fissa, che in collaborazione con altri specialisti (psicologi, medici, assistenti sociali) curino il ricupero degli alunni che si trovano in varie dif­ficoltà.

 

Le équipes e il regime deleterio delle convenzioni

 

All'art. 11 sono previste le équipes di spe­cialisti «che operano in regime di convenzione con istituzioni ed enti specializzati, per conto dei provveditori agli studi».

Questo argomento meriterebbe una tratta­zione a parte, a causa dell'importanza della col­laborazione di vari specialisti al fine rieducativo e a causa della grave situazione attuale di que­sto regime di convenzioni, già attuato dal Mini­stero su vasta scala.

Due autorevoli voci, fra tante, di Ispettori centrali del Ministero della Pubblica Istruzione, denunciano questa situazione: si vedano G. Ci­ves in «Scuola di Base», 1969, n. 5, p. 36; e A. Zelioli, in «Ragazzi d'Oggi», 1970, n. 1, p. 10.

L'ostinazione di voler proseguire su questa strada (che risale al «Piano Gui») e di istituzionalizzarla in una legge contrasta con la legge in vigore (e praticamente violata) sui servizi di medicina scolastica e in particolare col regola­mento di questa legge (D. P. R. 22 dicembre 1967, n. 1518) che prevede invece come com­pito degli Enti locali, in particolare dei Comuni, la «assistenza medico-scolastica nelle scuole speciali, classi differenziali, istituti medico-psi­co-pedagogici, educativi e assistenziali»: si ve­da tutto il titolo IV di detto regolamento, che porta appunto tale titolo, dall'articolo 29 al 38.

Tale regolamento, pur nei suoi difetti e nei suoi limiti, afferma una linea politico-amministra­tiva decisamente moderna, che è in accordo col decentramento attuale delle Regioni e con l'at­tuazione delle «unità sanitarie locali» e delle «unità sociali». La linea seguita invece dal Mi­nistero della Pubblica Istruzione, se pure può essere comprensibile nel vuoto quasi totale dei servizi degli Enti locali, in definitiva e in pra­tica è un tentativo e un invito a disattendere una legge positiva che deve essere attuata dai Co­muni.

In pratica avviene proprio questo: possia­mo citare moltissimi Comuni, anche grandissi­mi, con mezzi finanziari notevoli, che non hanno creato le équipes previste nel Regolamento sui servizio di medicina scolastica, proprio a causa della coincidenza delle «convenzioni» proposte dal Ministero della Pubblica Istruzione. Altri Co­muni (o Province o Enti), che pure già avevano alcune équipes, convenzionandosi col Ministero, non hanno per nulla aumentato i loro servizi, ma semplicemente hanno rimpinguato le loro casse.

Altri Comuni o Enti, pur di convenzionarsi, hanno racimolato équipes improvvisate con per­sonale già assorbito in molte altre mansioni o con personale non inquadrato nei propri ruoli, con tecnici raccolti all'ultimo momento, provvi­sori, fuori ruolo, «borsisti» o «parcellisti», mal retribuiti, o retribuiti con notevole ritardo. Ta­lora si è verificato lo scandalo di Comuni o Enti che si sono convenzionati col Ministero, senza fornire in tempo utile agli specialisti gli stru­menti necessari (tests, cartelle medico-psico­sociali, ecc.), per cui il loro lavoro per alcuni mesi è stato praticamente impedito.

Alcuni specialisti hanno pure denunciato che le convenzioni si prestano a interpretazioni gravemente lesive dal punto di vista della mo­rale professionale: è infatti possibile un'inter­pretazione «cottimistica» delle prestazioni, che vengono pagate a seconda degli alunni esami­nati e avviati a classi speciali o differenziali.

Ben diversa sarebbe la situazione se gli Enti locali, in particolare i Comuni, avessero un proprio personale inquadrato nei ruoli, e a tem­po pieno. Il Ministero della Pubblica Istruzione potrebbe venire incontro in altro modo alle spe­se dei Comuni, in un quadro di un'assistenza più generale alle spese degli Enti locali e nello spi­rito di un moderno decentramento.

 

 

 

(1) Il testo è riportato integralmente nelle pagine seguenti.

 

www.fondazionepromozionesociale.it