Prospettive assistenziali, n. 11-12, luglio-dicembre 1970

 

 

NON SIAMO I SOLI A DIRLO

 

 

I POVERI NELLA SOCIETA' DEI RICCHI

 

Dal 1° a1 5 luglio si è svolta a Parigi la 57ª Setti­;nana Sociale di Francia, sul tema «I poveri nella società dei ricchi». Il Segretario di Stato, a nome del Papa, rivolgeva ai convegnisti un messaggio da cui stralciamo alcuni passi di estremo interesse. Come nel Convegno indetto dalle A.C.L.I. di Torino (di cui in altra parte della Rivista), il problema degli handi­cappati e dei disadattati è visto nel più ampio qua­dro dell'emarginazione operata dalla nostra società. Osservatore Romano», 2 luglio 1970)

 

*  *  *

 

Inaccettabile la povertà come tributo allo sviluppo.

Il progresso comporta per il suo promotore dei nuovi doveri: bisogna controllare l'economia, spartirne accuratamente le responsabilità, ripar­tirne i frutti con equità, e rimediare agli squilibri che rinascono incessan­temente fra le branche professionali, le regioni, i gruppi di popolazione. Diciamolo chiaramente: (...) per i cristiani si tratta di imporsi con tutte le loro forze in nome del Vangelo contro il primato di un economismo che tenderebbe a legittimare una povertà «residua» come il tributo da pagarsi necessariamente alla crescita e allo sviluppo. Se qualcuno ha potuto dire che la ricchezza era una macchina per fabbricare i poveri, bisogna denun­ciare una concezione così disumana, e impegnarsi con tutte le forze contro un egoismo multiforme, per promuovere uno sviluppo autentico e integrale, cioè «di ogni uomo e di tutto l'uomo» (Populorum Progressio n. 14).

Un tale sforzo tenderà in primo luogo - è necessario sottolinearlo? - a impedire che certe categorie di persone, vittime in molti modi della crescita economica, non siano come rigettate e messe ai margini della società, fino a costituire dei gruppi sub-umani, e a impedire che questi «emarginati», secondo la denominazione significativa che si dà loro, non siano come «imprigionati nella loro povertà».

 

*  *  *

 

I «nuovi poveri» - Fattori economici, psicologici e socio-culturali della povertà

Bisogna, su questo punto, con coraggio e lucidità, risvegliare la co­scienza «che ha una voce nuova per la nostra epoca» (Populorum Pro­gressio n. 47), essere attenti ai nuovi poveri, e sforzarsi di portare rimedio anche ai fattori di squilibrio, d'ingiustizia, di oppressone di cui essi sono spesso le vittime impotenti. Nelle società del benessere, la povertà non si misura del resto soltanto secondo le rendite di cui ciascuno dispone e il livello di vita di cui gode. Ma la povertà si riferisce anche a condizioni di esistenza, al sentimento di sentirsi emarginato, escluso dai progresso, dall'evoluzione, dalla cultura, dalle responsabilità. La povertà è diventata un fenomeno complesso, in cui si congiunge l'azione di molteplici fattori economici, psicologici e socioculturali; la povertà quindi non è più soltanto quella del denaro ma anche la mancanza di salute, la solitudine affettiva, l'insuccesso professionale, l'assenza di relazioni, gli handicaps fisici e psichici, le miserie familiari, e tutte le frustrazioni che provengono da un'impotenza a integrarsi nel gruppo umano più prossimo.

Il povero non è in definitiva colui che non conta nulla, che non si ascolta mai, di cui si dispone senza chiedergli il suo parere, e che si inabissa in un isolamento così dolorosamente sofferto che può giungere talora fino ai gesti irreparabili di disperazione?

Una società si giudica dal peso che essa riserva ai suoi membri più sprovveduti, dalla preoccupazione che essa manifesta nel farli accedere a una vita pienamente umana, in cui essi ritrovino delle ragioni per vivere e sperare. Dove sarebbe il progresso di una società il cui sviluppo econo­mico si appoggiasse sull'oblio, anzi sul disprezzo dei poveri, e non impie­gasse tutte le sue energie per farli partecipare ai frutti del suo sviluppo?

 

*  *  *

 

IL CIECO NON E' UNA CATEGORIA

 

Abbiamo molte volte scritto e ripetuta come nell'ambito assistenziale sia necessario cambiare il sistema attualmente vigente, che ha creato enti per i ciechi, i sordomuti, gli invalidi, i subnormali, gli spastici e che comporta caoticamente sovrapposizioni e conflitti di competenze, spreco di mezzi, e soprattutto etichetta gli individui in base ad un determinato handicap mentre invece esiste l'esigenza di avere una visione globale della personalità del soggetto in relazione ai suoi vari e talvolta mutevoli bisogni.

Che il nostro discorso sia valido lo dimostra il volumetto uscito tra le pubblicazioni di La Jaca Book Edizioni (1) che dopo averci fornito la cronaca delle agitazioni che hanno portato all'occupazione dell'Istituto Configliachi di Padova, per una settimana, da parte di 320 convittori e la relativa repressione, riporta un documento che giustamente l'Editore dice: «non è un documento sui ciechi ma per i ciechi».

Ne riportiamo alcuni passi che sono il risultato di un incontro con un gruppo di studio. Ecco la relazione di un ragazzo cieco: «Istituti e istitu­zioni per soli ciechi devono scomparire, non devono esistere Istituti dove ci sono 320 ciechi, ma istituti dove ci sono 20 ciechi e 300 vedenti. Per quanto un istituto sia perfetto, se vi vivono solamente ciechi, l'individuo che vi entra rimarrà sempre un minorato; chi mette piede dentro uno dei nostri istituti ha la netta percezione che gli vengano immediatamente a mancare l'80% degli stimoli culturali psicologici e affettivi. Così si viene a formare la “mentalità del cieco” che è un misto di abulia e di impo­tenza...». «Il cieco prova così sempre maggior difficoltà di inserirsi e si rinchiude in se stesso. Tutta l'educazione che ci fanno è finalizzata a fare di noi dei rassegnati, a toglierei anche il pensiero che sia possibile ribel­larsi: chi non spera più nulla da se stesso si aspetta tutto dagli altri. Si crea così la mentalità dell'assistito, una mentalità strisciante che si aspetta tutto dalla beneficienza». E ancora: «Gli ambienti nei quali ci costringono a vivere e mille altri fattori tramite i quali condizionano la nostra esistenza, ci conducono a ritenerci dei colpevoli. Nessuno, nemmeno noi, sappiamo dire quale è la nostra colpa. Ma anche questa ignoranza contribuisce a rendere più oscuro ma ancor più reale questo sentimento a livello incon­scio. Così costruiscono degli individui complessati che non riescono a reagire allo sfruttamento a cui sono sottoposti».

I ragazzi ciechi di Padova hanno capito che la società etichettandoli tende a fare di loro degli esclusi ed emarginandoli inconsciamente li re­spinge; hanno capito che non devono essere una «categoria» in quanto ciechi e che l'interesse di categoria è solo funzionale agli interessi dei dirigenti della categoria stessa e che anch'essi possono entrare nella società da sfruttati o sfruttatori indipendentemente dalla malattia o mino­razione che li accompagna.

Essi hanno capito che all'intervento economico debbano di pari passo procedere anche interventi di carattere sociale capaci di creare le condi­zioni per un armonico e globale sviluppo dell'individuo nella società.

 

*  *  *

 

LO SVILUPPO DELLE CLASSI DIFFERENZIALI. DISEGNO PEDAGOGICO O POLITICO?

 

Se consideriamo la prospettiva delineata dagli Organi Ministeriali alla luce dell'andamento dei ritardi nella scuoia elementare dal 1952 al 1968, se teniamo presente che il numero degli alunni in ritardo tra la prima e la terza elementare ammonta tutt'oggi al 30% circa di ogni classe di età e che questa percentuale non è diminuita dal 1959 ad oggi, benché nello stesso periodo la spesa per la scuola elementare si sia più che triplicata (da 150 miliardi a 500 miliardi), le prospettive delineate dagli Organi ministeriali assumono un ben preciso significato:

- si vuole evitare di modificare la struttura interna della scuola elementare, struttura profondamente classista, e far pagare le conseguenze di questa scelta politica agli alunni provenienti dalle classi sociali più basse;

- questo piano ha delle ben precise ragioni di esistenza; uno dei problemi fondamentali «della forza lavoro» in Italia è lo scarso numero di lavoratori che sono disposti ad accettare lavori economicamente e social­mente poco retribuiti; nei Paesi a sviluppo capitalistico avanzato questi posti di lavoro vengono occupati dagli immigrati (Svizzera e Germania) o dai negri (Stati Uniti), in Italia si vogliono inserire in questo settore dell'occupazione la maggior parte dei 70.000 alunni che ogni anno dovranno essere inviati dalle prime classi della scuola elementare alle classi diffe­renziali;

- gli Enti Locali assumono all'interno del piano avanzato dagli Or­gani Ministeriali un ben preciso ruolo. Da una parte si affida loro, appa­rentemente, un ruolo di gestione e di iniziativa, dall'altra invece e sostan­zialmente si affida loro un ruolo di mera esecuzione di direttive centrali. Il meccanismo utilizzato per questo nuovo tipo di rapporto è quello delle convenzioni tra équipes medico-psico-pedagogiche gestite dagli Enti Locali (Comuni, Provincia, Regioni) e dagli Enti assistenziali (O.N.M.I., Ente per la Protezione del Fanciullo) da una parte e Provveditorato agli Studi dall'altra: secondo queste Convenzioni le équipes sono pagate in funzione del numero degli alunni che diagnosticano come idonei per le classi differen­ziali, tanto più alto è il numero degli alunni diagnosticati tanto più alto è il profitto dei tecnici e dell'Ente.

Apparentemente l'Ente avrà poi la possibilità di intervenire in classi così formate, in realtà questo suo intervento non avrà nessuna conse­guenza; questo fatto è ampiamente dimostrato dal numero scarsissimo di alunni delle classi differenziali che nonostante l'intervento degli Enti hanno reinserito i «differenziali» nelle classi normali. Per esempio nel Comune di Roma, dove l'amministrazione comunale aveva contratto nel 1968-69 n. 13 Convenzioni per l'individuazione dei «differenziati» ed aveva contribuito alla formazione di circa 200 classi differenziali, il numero degli alunni rein­seriti nelle classi normali è stato di circa 50 su 2000, mentre è notevol­mente aumentato il numero degli alunni inseriti in classi differenziali di quarta e quinta elementare;

- un aspetto estremamente «moderno» e pertanto estremamente efficiente nel creare i 70.000 disadattati previsti è quello della continuità nella carriera del disadattato. Questa carriera inizia a tre anni e si conclude con l'abbandono della scuola al massimo a 14 anni; ciò è dimostrato ampia­mente dall'art. n. 16 della legge n. 444 del 1968 relativa all'istituzione della scuola materna di Stato la quale stabilisce la formazione di classi differen­ziali per alunni dai 3 ai 6 anni; dal fatto che si raccomanda ai Direttori didattici delle scuole elementari di approntare classi differenziali per i bam­bini che siano già stati inseriti in classi differenziali nella scuola materna; dal fatto che si raccomanda ai Presidi delle scuole medie inferiori di appron­tare classi differenziali per gli alunni che siano già stati inseriti nelle classi differenziali nella scuola elementare, ancora prima che questi alunni ab­biano iniziato il corso di studi nella scuola media (circolare n. 267 del 1969 del Ministero della Pubblica Istruzione);

- un aspetto di estrema importanza del Piano ministeriale è costi­tuito dall'affermazione che le tecniche psicodiagnostiche (cioè i tests d'in­telligenza) hanno un indiscutibile valore scientifico. Questo fatto è di fon­damentale importanza in quanto costituisce la base del «prestigio» dei tecnici il cui ruolo fondamentale sarà quello di convincere le famiglie ad accettare l'esclusione dei loro figli dal corso normale della scuola. Non è qui il caso di esaminare nei dettagli il problema dei tests d'intelligenza; si possono però fare due osservazioni fondamentali su questi strumenti apparentemente scientifici, in realtà strumenti di discriminazione di classe:

a) è stato dimostrato che al di sotto dei 9-10 anni il risultato ai tests è fortemente discontinuo sia perché lo sviluppo mentale e lo sviluppo della personalità sono, al di sotto di questa età, fortemente discontinui, sia per­ché il rendimento di un bambino ai tests d'intelligenza è fortemente deter­minato da condizioni emotive contingenti, e ciò è tanto più vero quanto più «bassa» è la classe sociale di origine del soggetto esaminato;

b) i cosiddetti tests d'intelligenza sono enormemente influenzati dalle capacità linguistiche di chi è chiamato «a risolverli»; è noto che fra tutti i comportamenti umani il linguaggio è quello che più di ogni altro è condizionato dall'ambiente sociale di provenienza, ciò è tanto vero in Italia dove è largamente diffuso nelle famiglie l'uso del dialetto come lingua unica (è da ricordare che i tests mentali sono lo strumento tecnico fonda­mentale con il quale i negri sono esclusi dalla scolarità normale negli Stati Uniti, ciò proprio per le ragioni linguistiche anzidette).

Queste sono alcune delle caratteristiche del sistema di esclusione pia­nificato e su larga scala progettato dal Ministero della Pubblica Istruzione e la cui realizzazione già iniziata sarà «completata» con il nuovo piano di sviluppo della scuola (1970-1975) a meno che forze politiche impegnate non rendano impossibile la sua realizzazione.

 

M. Cecchini, Ritardo e disadattamento nella scuola elementare, da «Psichiatria ed Enti locali», Rela­zioni e comunicazioni del Convegno promosso dall'Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia, 1970, pp. 116-118.

 

*  *  *

 

PRIMA DI BOCCIARE UN BAMBINO O DI MANDARLO ALLE DIFFERENZIALI DOVETE AVER CONOSCIUTO QUESTE COSE:

 

i rapporti di proprietà dell'Italia in cui vive - i suoi rapporti di pro­prietà - se ha paura dell'autorità - l'arredamento della sua casa - le malat­tie che ha avuto - se qualcuno gli parlava spesso quando era piccolo - il suo stato fisico - quali sensi ha adoperato di più - il mestiere del padre - quello della madre - dei fratelli - quello che vede dalla finestra - la sua immaginazione - se sente la TV durante i pranzi - se ha avuto la bicicletta - se ha paura di sbagliare - se suo padre cura molto l'automobile - quante strade deve attraversare per incontrare un amico - come il maestro l'ha accettato a scuola - se ha avuto una nonna - ripetenza - il suo senso di critica - se gli hanno lasciato fare dei giuochi pericolosi - gli oggetti che ha desiderato - il suo passato - il suo futuro - le sue amicizie - le sepa­razioni - se è mai stato al mare - se ha paura del buio - i suoi oggetti personali - se ha fame di compagni e di spazio - se ha viaggiato in treno - la sua posizione nella famiglia - se è stato all'ospedale - se a casa sua danno la cera ai pavimenti - soggezione - quante parole conosce in ita­liano - le liti che ha fatto - il suo senso di ribellione.

 

Inoltre se voi avete fatto di tutto per:

non insegnargli cose stupide.

non deriderlo quando dice di sentire il mare in una conchiglia

non fargli domande alle quali non sa rispondere

non farlo parlare di cose che non conosce

non odiarlo

non sgridarlo se disegna rondini d'inverno

non dargli del coglione se cade dalla bicicletta

non annoiarvi con lui

non essere moralisti

non essere pedanti e libreschi

non insegnargli a tirar l'asino dove vuole il padrone

non farvi obbedire

non parlargli di Barnard o dell'Apollo 9 o dello Zecchino d'oro

non buttarlo fuori dalla classe pur tenendolo fisicamente dentro

 

E se poi avete capito cosa vuol dire:

non aver pietà della sua povertà

imbrogliare un bambino

mettere la propria esperienza al suo servizio

imparare da lui

non essere socialdemocratici con lui

essere unito con lui contro genitori noiosi

conoscere l'economia politica

imparare mentre s'insegna

essere dalla stessa parte di chi combatte il capitalismo

 

Se dopo tutto questo volete bocciarlo

o mandarlo alla differenziale

sfogate pure il vostro razzismo.

 

Dal volumetto Mio padre è basso, magro e povero, dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali, sezione di Parma.

 

 

VOCI CRITICHE ALLO SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE SULLE SCUOLE SPECIALI E CLASSI DIF­FERENZIALI

 

LA SEZIONE REGIONALE EMILIA-ROMAGNA DELLA A.N.U.S.M.I. (Asso­ciazione Ufficiali Sanitari e Medici Igienisti) e la SEZIONE REGIONALE EMILIA-ROMAGNA DELLA S.I.M.I.S. (Società Italiana di Medicina e Igiene della Scuola), presa visione del progetto di legge sulle scuole speciali che risulta essere all'esame delle competenti commissioni Ministeriali hanno emanato il seguente:

 

Ordine del giorno

 

La Sezione Regionale Emilia-Romagna dell'A.N.U.S.M.I. e la Sezione Regionale Emilia-Romagna-Marche della S.I.M.I.S.

 

Esaminato

 

il progetto di legge sulla istituzione di scuole elementari speciali, laboratori scuola e sezioni occupazionali per minori compresi nella età fra i 6 e 14 anni, che presentino anomalie e irregolarità fisiche, psichiche e sensoriali che richiedano uno speciale trattamento scolastico,

 

Preso atto

 

che tale progetto di legge è incostituzionale in quanto non tiene conto della istituzione del prossimo ordinamento regionale e che ignora siste­maticamente tutte le disposizioni di legge già vigenti in materia, tra cui particolarmente quelle sui servizi di medicina scolastica (D.P.R. 11-2-1961 n. 264 e D.P.R. 22-12-1967, n. 1518);

 

Rilevato

 

che le scuole speciali, così come sono previste nel progetto, presentano tutti i difetti rilevabili nell'attuale organizzazione scolastica, tra cui parti­colarmente l'accentramento burocratico e la organizzazione verticale sotto il rigido controllo delle autorità didattiche, senza alcuna possibile partecipazione reale dei genitori degli alunni e degli operatori scolastici tutti ad una vera partecipazione democratica alla gestione;

 

Constatato

 

che le équiqes medico-psico-pedagogiche, le quali dovrebbero operare in regime di convenzione stipulata tra loro enti e i provvedimenti agli studi, di fatto vengono operativamente condizionate da tali convenzioni e costi­tuiscono in ultima analisi un semplice strumento di consulenza utilizzato dalle autorità didattiche per avallare la discriminazione, già in atto nella scuola, tra alunni normali e alunni definiti anormali sulla base delle leggi della produttività;

 

Ribadito

 

che i terapisti della riabilitazione (fisioterapisti, ortottisti, logopedisti, ecc.) non possono essere configurati come personale insegnante, ma come per­sonale sanitario ausiliario la cui attività deve essere indirizzata e deve svolgersi sotto il diretto controllo del personale medico specializzato;

 

Si dichiarano

 

contrarie al progetto di legge e

 

Chiedono

 

che qualsiasi schema di legge in materia di scuole speciali tenga conto del futuro ordinamento regionale e che venga elaborato con la collabo­razione interdisciplinare di pedagogisti e sanitari scolastici.

 

  

 

(1) La repressione oltre i limiti dell’assurdo: la rivolta degli studenti ciechi di Padova, Ed. Jaca Book, Via Bagutta 1, 20121 Milano.

 

www.fondazionepromozionesociale.it