Prospettive
assistenziali, n. 11-12, luglio-dicembre 1970
NOTIZIE
LETTERA AL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Copia
della lettera inviata il 7 dicembre 1970 dall'Unione Italiana per la promozione dei diritti del minore al Ministro e ai
Sottosegretari di Stato della Pubblica Istruzione, al prof. Giovanni Gozzer, Centro Studi del Ministero della Pubblica
Istruzione, al dr. Agostino Dispenza,
Direttore Generale per l'istruzione elementare della Pubblica Istruzione.
Oggetto: Schema di disegno di legge del Ministero della
Pubblica Istruzione e funzionamento delle scuole speciali, dei laboratori
scuola e delle classi differenziali.
Questa Unione manifesta il più vivo
stupore per il contenuto della lettera (Rif. To-7-106) inviata il 12 giugno 1970 dal Dr. Agostino Dispenza, Direttore generale per l'istruzione elementare
all'On. Romita, in risposta a una nostra missiva del
15 maggio.
Lo stupore di questa
Unione è determinato soprattutto dalia scarsissima conoscenza di un
funzionario ministeriale con così alte responsabilità in quanto egli afferma
che: «le istituzioni scolastiche per i cosiddetti minorati psichici, fisici,
sensoriali per le loro particolari caratteristiche di ordine didattico ed
organizzativo, possono funzionare con profitto soltanto se costituite autonomamente,
con propri orari e programmi e con calendario e ritmi di attività in parte non coincidenti con quelli delle classi normali. Non va trascurato
anche l'aspetto edilizio e igienico-sanitario, che
assume una diversa caratterizzazione nel settore
delle scuole speciali».
E' da rilevarsi innanzi tutto che se
tutti i direttori generali dei vari ministeri avessero le sconcertanti idee del
Direttore Generale della pubblica istruzione si avrebbero città per minorati psichici, fisici, sensoriali con propria architettura,
propri servizi igienico-sanitari, propri trasporti,
scuole diverse, ecc. ecc.
Forse sarebbero pensabili città
diverse per ciascun tipo di handicap.
Certamente il Direttore Generale della Pubblica Istruzione non è al corrente:
a) della diffusissima letteratura in
materia che porta avanti discorsi e indica soluzioni di sempre maggiore
integrazione degli handicappati e dei disadattati e combatte l'emarginazione sociale
a tutti i livelli, nel settore scolastico in primo luogo;
b) in particolare, della struttura
ufficiale della scuola francese che prevede già da anni l'istituzione di classi
di perfezionamento (le nostre classi speciali) presso
le scuole normali;
c) le esperienze in atto nella
scuola statale italiana, in particolare nella città e nella provincia di
Torino, ove si riproduce la stessa struttura francese.
Per quanto riguarda la validità
delle classi differenziali, asserita dal Direttore Generale per l'istruzione
elementare, sarebbe sufficiente la letteratura delle riviste specializzate, dei
giornali e dei rotocalchi per trovare, illustrate in
un linguaggio adatto per i vari lettori, le ragioni scolastiche e sociali che
sconsigliano non solo l'istituzione di nuove classi differenziali, ma ne
impongono la loro più rapida possibile eliminazione.
Unica dimostrazione possibile della
validità delle classi differenziali sarebbe la pubblicazione da parte del
Ministero della Pubblica Istruzione di dati statistici
che dimostrano l'affermazione del Dr. Agostino Dispenza:
«le classi medesime, (hanno) la funzione prevalente di reinserimento degli
alunni in stato di difficoltà transitoria nelle classi
normali».
Ma il Ministero della Pubblica
Istruzione non ha mai reso pubblici i dati relativi alla
percentuale di allievi di classi differenziali reinseriti in classi normali e
si ritiene che la loro pubblicazione non avrà mai luogo poiché sarebbe una
prova in più - e ufficiale - delle gravissime disfunzioni delle classi
differenziali stesse e della scuola tutta.
Si coglie l'occasione per chiedere al Ministero della Pubblica Istruzione che i corsi di
aggiornamento culturale siano estesi anche ai funzionari, ivi compresi quelli
di grado elevato.
Infine si chiede che il Ministro e i
Sottosegretari della Pubblica Istruzione sollecitino
l'esame da parte del Parlamento della proposta di legge d'iniziativa popolare «Interventi
per gli handicappati psichici, fisici, sensoriali ed i disadattati sociali»
promossa da questa Unione e presentata al Senato della
Repubblica (n° 1167) con oltre 230.000 firme di
cittadini elettori.
FINALMENTE L'ONMI HA CAPITO
Dopo una serie di istanze
e proteste inviate dall'Unione italiana per la promozione dei diritti del
minore, l'ONMI ha pubblicato su Maternità
e Infanzia, n. 3 marzo 1970, pag. 93, la seguente notizia:
«Con circolare n. 860 del 26
febbraio, allo scopo di rendere più vincolanti le disposizioni dell'articolo 50
del R.D. 15-4-1926 n. 718, sono stati invitati i Comitati Provinciali a
svolgere una attenta azione di vigilanza, in stretta
collaborazione con
Finalmente, dopo 44 anni, l'ONMI si
è decisa a far rispettare l'art. 50 del R.D. 15-4-1926 n. 718, la cui
inosservanza costituisce per i dirigenti degli istituti di assistenza
all'infanzia il reato di cui all'articolo 665 del codice penale.
Nel caso che i dirigenti e
funzionari dell'ONMI non provvedano a denunciare
all'autorità giudiziaria il reato di cui sopra, essi incorrono nel delitto di
cui all'art. 328 del codice penale (omissione di atti di ufficio).
L'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore ha provveduto a segnalare
ai Procuratori della Repubblica competenti oltre 500 istituti privi di
autorizzazione a funzionare e 31 presidenti di Comitati provinciali dell'ONMI
che, essendone a conoscenza, non hanno comunicato all'autorità giudiziaria che
detti istituti operavano, pur essendo privi dell'autorizzazione a funzionare.
Gli esposti sono stati inviati, non
perchè si ritenesse che l'intervento penale fosse risolutivo, ma al solo scopo
di rendere possibile e continuamente aggiornato, il censimento degli istituti di assistenza alla maternità e all'infanzia, censimento
indispensabile per poter rendere effettuabile la vigilanza sulle condizioni di
vita dei fanciulli.
Risulta che fino ad oggi solo una delle 34,
autorità giudiziarie si sia mossa.
CONVEGNO DI STUDI «GIOCO E DISADATTAMENTO»
Alla
Redazione di Prospettive assistenziali è pervenuta la
lettera che pubblichiamo.
Nel
pubblicare la lettera che ci è stata inviata in merito
al Convegno su «Gioco e disadattamento», ricordiamo che l'ente organizzatore U.N.A.M.S.I. (Unione Nazionale Medici Collaboratori della
Stampa d'informazione italiana) aveva invitato l'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore «di voler aderire al Comitato
Generale del Convegno» ed aveva richiesto che «in caso affermativo si
comunicasse il nome della persona che in detto Comitato rappresenterà codesta
Associazione».
L'Unione
aveva aderito: ma la persona designata, nonostante ripetute richieste, non era
stato chiamata a partecipare ai lavori del Comitato,
forse perché tutto era già stato deciso.
LETTERA APERTA A
PROSPETTIVE ASSISTENZIALI
Avendo partecipato al Convegno
«Gioco e disadattamento» tenutosi a Milano dal 23 al 27 settembre 1970,
organizzato dall'Unamsi e Cigi,
con il patrocinio del Comune di Milano, vorremmo avanzare alcune note critiche sulla impostazione generale di esso e quindi sul taglio
della maggior parte degli interventi.
Chi ha dato l'adesione al Convegno
aspettandosi sui due termini «gioco» e «disadattamento» un'impostazione
perlomeno critica (non accettandosi più ormai che la persona portatrice di un
handicap, sia esso fisico, psichico o sensoriale, sia colui per il quale si può
solo pensare al recupero al fine di un
inserimento sociale) è rimasto profondamente
deluso.
Crediamo ormai
infatti che in ogni caso si debba partire dal concetto di strutture non
emarginanti, crediamo che per tutti coloro che si occupano del problema, anche
per coloro che si occupano del gioco, lo sforzo debba essere quello di evitare
le infinite modalità con cui si concretizza il rifiuto.
Che l'organizzazione del Convegno avesse invece a priori deciso per un quieto discorso
tradizionale, che mirava a ulteriormente razionalizzare in un aspetto
particolare, il gioco, le strutture emarginanti attualmente in atto, è risultato
sia dalla sua impostazione formale, sia da scelte sostanziali nelle prospettive
operative.
Da un punto di vista formale si è
notato:
- la suddivisione tra tipi di
«disadattati» tendente ai solo discorso tecnico del
recupero dei malati;
- discorsi di apertura
del Convegno le cui linee non hanno trovato alcun seguito nei dibattiti
successivi;
- impossibilità, sia per mancanza,
sia per assenza dei relatori introduttivi ai gruppi, di una visione globale e approfondita del lavoro e quindi un dibattito tra
tutti i partecipanti.
Da un punto di vista sostanziale è
invece emersa la unilateralità dell'impostazione determinata
in buona parte dal tipo di partecipanti (o di inviti?): quasi tutti tecnici ed
operatori di istituzioni chiuse che potevano solo riferire le loro esperienze
impostate tradizionalmente, difficilmente disposti a mettere in discussione i
propri modi di operare (o i propri finanziamenti?).
Non erano presenti tutte quelle
persone che, singole o in gruppi, lavorano per aprire
queste strutture chiuse e sperimentare già di fatto l'educazione degli
handicappati secondo modalità non emarginanti.
Anche là dove, come nella Provincia
milanese, si stanno sperimentando nuovi modi di intervento,
è mancata da parte dei rappresentanti se non altro l'esposizione in termini
critici delle attività che vengono compiute nel modo tradizionale.
Se talvolta qualche intervento è
stato fatto denunciante perplessità sull'impostazione di
fondo del problema «disadattamento» è mancato però un rilancio del
problema nel dibattito, sia da parte dei moderatori e relatori, sia da parte
dei partecipanti: così sono sembrate anacronistiche fantasie prive di appiglio
quelle relazioni finali della giornata di chiusura che, almeno in parte,
riproponevano tematiche differenti e l'inserimento del particolarissimo
problema del gioco nella dimensione sociale del problema degli handicappati.
Tutte queste osservazioni potrebbero
sembrare di critica sterile, senza basi di proposte concrete se non fossero
convalidate da alcuni tentativi abbastanza recenti che implicitamente vedono il
momento del gioco sotto una diversa angolatura. Ricordiamo qui il lavoro di una
équipe della Provincia di Milano nelle scuole
materne, elementari e speciali di Cinisello Balsamo
che, attraverso un forte lavoro di responsabilizzazione
delle maestre e delle famiglie, è arrivata a poter:
- inserire bambini handicappati
psichici nelle classi normali di scuola materna;
- sottrarre alla
scuola speciale alcuni minori disadattati per inserirli nelle classi normali;
- far frequentare la scuola speciale
a minori precedentemente rifiutati perchè ritenuti
(solita motivazione) «non scolarizzabili».
L'esigenza da noi espressa è quella
anche di alcune associazioni genitori (V. Comasina di Milano) , le quali dichiarano che «l'esperienza
di collaborazione con la scuola, le indagini condotte in diverse scuole
cittadine... danno come la presenza di un 10% di ragazzi disadattati
ambientali, ricuperabili con adeguato servizio di assistenza».
Tali associazioni non individuano
questo servizio nelle classi differenziali, che definiscono «un assurdo
pedagogico», un «male minore», comunque un ripiego. La
loro proposta è quella di specialisti (assistente sociale e psicologo) i quali
metterebbero la scuola nelle condizioni «di raggiungere le finalità che la
legge istitutiva del 1962 le affida, in quanto aiuterebbero i docenti a promuovere lo sviluppo della
personalità dei ragazzi loro affidati secondo le caratteristiche psico-attitudinali di ciascuno; fornirebbe inoltre alle
famiglie un orientamento per le scelte successive alla scuola dell'obbligo compiute
sull'intero ciclo».
A nostro parere sarebbe importante
che tutte le esperienze in atto, in questa prospettiva, fossero conosciute e discusse il più ampiamente possibile.
Chiediamo pertanto che le persone
interessate mettano a disposizione la loro esperienza. Personalmente ci impegniamo, una volta ricevuta la documentazione, a
trasmetterla a tutti i partecipanti al Convegno (e ad altri) per aprire il
discorso, con l'ipotesi di arrivare anche ad un prossimo convegno che discuta
le modalità di non esclusione dei minori cosiddetti disadattati ed
handicappati.
Ugo
Albrigoni
Clara
del Bo
Maria
Teresa
Parisi Patrizia
Pagliari Taccani
www.fondazionepromozionesociale.it