Prospettive
assistenziali, n. 11-12, luglio-dicembre 1970
DOCUMENTI
REGIONI,
COMUNI, PROVINCE: PARTECIPAZIONE E SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI E SANITARI (1)
IMPORTANZA POLITICA DELL'ASSISTENZA SOCIALE
L'attuale situazione dell'assistenza
sociale è la prova viva e inconfutabile che questa società
non è costruita a misura dell'uomo.
Centinaia di migliaia di persone
sono emarginate.
Di qui
l'importanza politica del settore assistenziale, preminente rispetto a tutti
gli altri.
DEFINIZIONE OPERATIVA DEI SERVIZI SOCIALI
«Insieme di programmi, istituzioni,
attrezzature sociali, prestazioni, resi disponibili nel tempo per tutti i
cittadini, con criteri diversi da quelli connessi alla logica del profitto, diretti
a consentire un crescente standard di vita in rapporto ai bisogni di salute, di
sviluppo culturale, di educazione, di assistenza».
da Baldo de'
Rossi, Assetto dei servizi sociali per lo
standard, Convegno su «Lo standard sociale garantito», Roma 16-17-18 aprile 1970.
1. ALCUNI DATI
-
Il Ministero che raggruppa le più importanti
competenze è quello dell'interno, il cui concetto di assistenza è il seguente: «L'assistenza
pubblica ai bisognosi (...) racchiude in sé un rilevante interesse generale,
in quanto i servizi e le attività assistenziali
concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari...»
(dalla relazione del bilancio di previsione dello
Stato del 1969, non del 1869).
- Gli enti, organi ed uffici di assistenza
sono in Italia oltre 40.000, come precisa la legge 27 luglio 1967 n. 685.
- La somma spesa annualmente nel settore assistenziale
si aggira sui 700 miliardi di lire.
- I fanciulli nati fuori del
matrimonio dovrebbero essere assistiti dalle Province, i legittimi dall'ONMI;
gli enti pubblici nazionali per gli orfani sono oltre 25 (enti nazionali per
gli orfani dei lavoratori, dei sanitari, dei maestri, delle guardie carcerarie,
dei carabinieri, dei vigili del fuoco delle zone di confine, ecc. ecc.).
- Non è ancora riconosciuto il diritto alle prestazioni di assistenza sociale, per cui gli enti proposti agiscono
con le più ampie discrezionalità, il che favorisce inoltre il clientelismo, gli
abusi, ecc.
- Secondo i dati dell'Istituto Centrale di Statistica:
a) erano ricoverati in istituti assistenziali
al 31-12-1966:
96.084 orfani;
237.233 minori poveri o abbandonati;
116.269 vecchi indigenti;
20.432 handicappati psichici;
5.509 handicappati fisici;
10.648 handicappati sensoriali;
25.281 altri ricoverati;
b) sono stati assistiti nel 1966:
1.939.000 persone dagli Enti
Comunali di Assistenza;
1.843.653 minori dai patronati
scolastici;
155.276 malati di mente dalle
Province;
42.242 handicappati psichici dalle
Province;
149.455 nati fuori del matrimonio
dalle Province;
173.557 donne dall'ONMI (assistenza igienico-sanitaria);
771.285 minori dall'ONMI (assistenza
igienico-sanitaria);
30.307 donne dall'ONMI (assistenza
sociale);
424.253 minori dall'ONMI (assistenza
sociale);
1.475.200 assistiti dall'AAI (asili,
refettori e istituti di ricovero).
Non è indicato il numero degli assistiti dagli altri
innumerevoli enti pubblici in quanto l'ISTAT non ne fornisce i dati;
c) le presenze nei dormitori pubblici (minori e adulti) nel
1966 sono state 2.968.711;
d) occorre tener presente che è in considerevole aumento il
numero degli anziani e sempre più numerosi sono coloro che
hanno necessità di interventi di assistenza sociale;
e) le pensioni sociali assistenziali
sono vergognosamente basse (12.000 al mese agli ultrasessantacinquenni privi di
risorse economiche, stessa cifra agli invalidi impossibilitati a svolgere
attività lavorative);
f) per centinaia di migliaia di persone non è previsto alcun
intervento, ad esempio per gli handicappati psichici.
_______________
Per quanto concerne la scuola, è da
segnalare che secondo i dati ISTAT, nel 1966 erano in ritardo di uno o più
anni:
- nella 1ª elementare il 16,5% del totale degli alunni
- nella 2ª elementare il 23,6% del totale degli alunni
- nella 3ª elementare il 29,9% del totale degli alunni
- nella 4ª elementare il 33,7% del totale degli alunni
- nella 5ª elementare il 35,6% del totale degli alunni.
Queste cifre dimostrano, se ve ne fosse
ancora bisogno, le gravissime carenze della scuola italiana.
2. IMPOSTAZIONE DI FONDO IN MATERIA DI SERVIZI SOCIO-SANITARI
E ASSISTENZIALI
2.1 Impostazioni
opposte
Due sono essenzialmente le impostazioni nei riguardi dei
problemi degli handicappati psichici, fisici, sensoriali (focomelici, spastici,
ciechi, opposte ambliopici,
sordi, sordastri, invalidi, deboli dell'intelligenza, ecc.), dei disadattati
(malati mentali, disadattati sociali, ecc.) e, in generale delle
persone( minori e adulte) con qualche difficoltà (orfani, minori in
situazione di abbandono, figli di famiglie prive di risorse economiche,
anziani, ecc.).
2.2. Prima
impostazione
La prima impostazione è diretta esclusivamente al recupero,
al reinserimento o alla rieducazione dei soggetti.
Questa impostazione dà per scontata una precedente esclusione
o una emarginazione, poiché evidentemente non si può
reinserire chi è inserito.
Da questa impostazione deriva
inoltre, fra l'altro:
- la classificazione dei soggetti in
«recuperabili» e in «irrecuperabili» fra «scolarizzabili»
e «non scolarizzabili» (2);
- la visione esclusivamente o prevalentemente tecnica del
problema, in quanto occorre «recuperare» o «riabilitare» il soggetto;
- la separazione delle categorie (ciechi, sordomuti,
invalidi, spastici, orfani, nati fuori dei matrimonio,
ecc.) in quanto la maggior parte degli interventi differirebbe da un tipo di
handicap all'altro;
- l'atteggiamento individualistico-repressivo
nei confronti delle persone i cui comportamenti non corrispondono ai modelli
dominanti e la repressione di detti comportamenti mediante la segregazione o
altre misure coercitive (sistema attualmente in vigore
per la rieducazione dei minorenni, ospedali psichiatrici, ecc.);
- la prevalenza di istituzioni a
carattere di internato ubicate spesso in località isolate e l'utilizzazione di
edifici anche plurisecolari.
Conseguenza di questa impostazione è
l'attuale situazione. Al massimo, non modificando l'impostazione di fondo, si possono avere dei miglioramenti funzionali dei
servizi.
2.3. Seconda
impostazione
L'altra impostazione, che questa Unione
condivide, reclama la necessità che ogni persona non venga a trovarsi nelle
condizioni negative che impediscono o condizionano la sua maturazione personale
e la sua attiva partecipazione alla vita politica e sociale (art. 3 della
Costituzione).
Si tratta dunque di attuare tutti i necessari interventi
diretti ad evitare l'emarginazione.
Si parte cioè dal principio che
tutte le persone sono membri della società, indipendentemente dal fatto che
siano o non siano handicappati a disadattati o con altre difficoltà, e
indipendentemente altresì dalla gravità del caso.
Una particolare attenzione deve essere rivolta ai soggetti in
età evolutiva. Conseguenza di questa impostazione è
la creazione delle unità locali dei servizi (3).
2.4. Visione globale della persona handicappata o disadattata o con
qualche difficoltà
Un grave errore che si riscontra è la mancata visione della
globalità della persona handicappata o disadattata o con qualche difficoltà. Infatti il più delle volte gli interventi vengono incentrati
solo sull'handicap senza tener conto dell'insieme delle componenti personali,
familiari e sociali che consentono lo sviluppo della persona umana ed evitano
la sua emarginazione e che in definitiva contribuiscono in larga misura a
risolvere o a compensare l'handicap, il disadattamento o le difficoltà.
Sotto questo profilo, tutte le soluzioni che pure si sforzano
di rimediare agli handicaps senza tener conto di
tutti i fattori personali (specie affettivi), familiari, di integrazione
nel contesto sociale sono superate.
2.5. Minimo di isolamento e massimo di socializzazione
Il principio al quale ci si deve sempre ispirare
nell'adozione delle soluzioni medico-psico-socio-pedagogiche
e di altra natura è quello del MINIMO DI ISOLAMENTO E
MASSIMO DI SOCIALIZZAZIONE.
La separazione dall'ambiente familiare e sociale viene spesso
giustificata dalla necessità di interventi
specializzati. Ma proprio la visione globale della
personalità deve indurre a compiere ogni sforzo per conciliare le esigenze
della specializzazione e della socializzazione.
Gli handicappati ed i disadattati (minori e adulti) non
devono essere sottratti alle cure e all'azione stimolante
della famiglia, quand'essa è idonea o quando un'azione di sostegno o di aiuto
può renderla tale.
2.6. Distribuzione
equilibrata degli handicappati
Il numero degli handicappati è distribuito all'incirca in
modo uniforme nella popolazione.
Esiste dunque un equilibrio fra il numero degli handicappati
ed il resto della popolazione.
Come confermano anche esperienze
straniere, la comunità, se idoneamente informata, non solo accetta ed integra
gli handicappati nella loro proporzione naturale, ma anche ne ricava una
maturazione morale e sociale.
Occorre dunque non alterare questa distribuzione equilibrata.
L'insieme delle istituzioni, nel numero e nelle categorie dei
soggetti da accogliere e nella dislocazione territoriale, deve attenersi a questo essenziale principio.
2.7
Abolizione delle categorie e della
legislazione settoriale
Altro problema di fondo è la
necessità dell'abolizione della legislazione settoriale e dei relativi enti
pubblici di categoria (per orfani, per nati fuori del matrimonio, per legittimi,
per ciechi, per sordomuti, per spastici, per invalidi, ecc.).
Per quanto riguarda invece le
Associazioni di categoria sarebbe utile che esse consentissero l'adesione a
tutte le persone interessate (handicappate e non handicappate) con parità di
diritti e di doveri.
Il problema degli handicappati è infatti sociale e
riguarda tutta la comunità.
Le prestazioni per le persone handicappate o disadattate o
con qualche difficoltà, ivi comprese quelle specialistiche, dovrebbero essere
fornite nell'ambito dei servizi per tutti i cittadini.
3. INTERVENTI PREVENTIVI
3.1. Prevenzione
L'emarginazione si evita o almeno si limita con due tipi di interventi che si possono definire: prevenzione primaria
e secondaria.
L'azione per ottenere la prevenzione primaria (che richiede
tempi lunghi) deve essere condotta contemporaneamente a quella secondaria (che richiede tempi
medi e brevi) al fine di incidere sulle cause socio-ambientali disadattanti e nello stesso tempo non lasciare senza
risposta i bisogni immediati.
3.2. Prevenzione
primaria (tempi lunghi)
Pertanto, per questa Unione è
fondamentale la richiesta di misure preventive per la rimozione delle cause
socio-ambientali emarginanti soprattutto nei seguenti settori: scuola, lavoro,
urbanistica, servizi sociali, ecc.
Tutto ciò postula una politica sociale che rispetti le
esigenze di tutti i cittadini e non solo di alcuni. Lo sviluppo economico dovrà
essere al servizio di quello sociale, e si dovranno riconoscere inoltre
interventi prioritari e più consistenti ai cittadini con minori possibilità
personali o familiari.
Parallelamente è necessario che sia fortemente
potenziata o attuata la ricerca scientifica (si pensi ad esempio alla avvenuta
eliminazione della poliomielite con la scoperta dei vaccini Salk
e Sabin) per limitare al massimo I insorgere di handicaps (ad esempio, distrofia muscolare).
3.3. Prevenzione
secondaria (tempi medi e brevi)
L'altra forma di prevenzione da attuare è quella di evitare,
in tutta la misura del possibile, permanendo le attuali strutture (da
modificare come sopra indicato) , l'emarginazione e
ancor più segregazione. Ad esempio:
- drastica riduzione del ricovero in
istituti a carattere di internato per giungere alla loro eliminazione;
- igiene ambientale compresi i
luoghi di lavoro;
- misure antinfortunistiche idonee
nelle abitazioni, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e in ogni altra sede;
- deciso miglioramento delle condizioni sanitarie e
ambientali alle gestanti, alle partorienti, alla prima infanzia e a tutti i
cittadini (ad esempio, molti diventano spastici a causa di gestazioni o/e di parti
privi di idonea assistenza);
- raggiungimento del minimo vitale funzionale per quanto
concerne la disponibilità finanziaria dei nuclei familiari;
- abolizione delle classi differenziali che sono vere isole
di segregazione e creazione, ove necessario, di classi di rotazione per
particolari trattamenti (ad esempio di logopedia, di educazione
psicomotoria, ecc.);
- abolizione delle scuole speciali
autonome (per ciechi, sordomuti, deboli dell'intelligenza, ecc.) e creazione,
ove necessario, di classi speciali presso le scuole normali;
- abolizione delle barriere architettoniche.
Naturalmente gli obiettivi a breve termine
dovranno essere raggiunti in modo da costituire piattaforme valide per arrivare
agli obiettivi a lungo termine, il che richiede una partecipazione cosciente
dei cittadini.
3.4. Equivoci nella
prevenzione
Da molte parti viene affermato che la
prevenzione consisterebbe nell'intervenire appena insorge una malattia o una
difficoltà e nella continuazione dei trattamenti diretti ad evitare ricadute.
In tal modo si spaccia per prevenzione la cura tempestiva e la post-cura, con l'evidente scopo di non intervenire nelle
cause socio-ambientali ed economiche disadattanti.
3.5. Unificazione dei
servizi
Se l'aspetto prioritario degli
interventi sanitari e di quelli assistenziali è la prevenzione, sono allora
evidenti i loro strettissimi legami, fatto che porta alla necessità di non
separare gli interventi ma di unificarli in un unico servizio.
D'altra parte occorre notare che una gran parte degli
interventi dovrà essere effettuata nella scuola, per
cui occorre anche uno stretto collegamento fra i servizi di prevenzione e la
scuola, e altrettanto dicasi per quanto riguarda gli ambienti di lavoro, ecc.
In ogni caso occorre evitare che vi sia uno stacco fra
servizi di prevenzione e servizi curativi, condizione
che si può ottenere ponendo tutti i servizi sociali sotto una direzione
politica, direzione che dovrà evidentemente essere partecipata dai cittadini.
4. PARTECIPAZIONE
4.1. Responsabilizzazione della comunità
Attribuendo il problema dei servizi sociali alla competenza
esclusiva o quasi dei tecnici, si deresponsabilizza progressivamente la
comunità, per cui il suo livello di accettazione delle
persone in difficoltà scende inevitabilmente, provocando pertanto l'aumento
del numero di tali persone che vengono a trovarsi in situazione di difficoltà.
Il problema basilare invece è quello di evitare
l'emarginazione (il che ovviamente non esclude, anzi richiede più
imperiosamente trattamenti specialistici), per cui
occorre che la comunità resti sempre coinvolta nei problemi socio-assistenziali
in particolare e in quelli sociali in generale.
4.2. Partecipazione
Di qui deriva anche la necessità della ricerca di strutture
che consentano la maggior partecipazione possibile della comunità sia alla
determinazione degli indirizzi della politica sociale in generale e di quella socioassistenziale in particolare sia alla
gestione (cogestione, autogestione) dei servizi. Tale gestione si intende in senso comunitario e non corporativo e cioè non
di esclusiva competenza degli utenti, ma di tutti i cittadini
La condizione prima per una effettiva
partecipazione è la ristrutturazione degli enti locali, attribuendo ad essi
precise ed ampie competenze ed i mezzi necessari.
Occorre pure che i poteri decisionali siano affidati al
numero più limitato possibile di organi, di modo che
i cittadini abbiano anche la possibilità di conoscere chi detiene
effettivamente detti poteri. Occorre inoltre che i poteri decisionali siano
vicini il più possibile ai cittadini, anche sotto il profilo della loro collocazione territoriale.
La creazione delle unità locali di servizi in sostituzione
dei comuni, di cui si dirà più avanti, permette di avere 700-800 unità locali
invece degli attuali 8055 comuni e permette inoltre una drastica
riduzione o la soppressione degli attuali 40.000 enti che operano nel solo
settore assistenziale.
4.3. Tendenze contro
la partecipazione
Vi sono tendenze in atto contro la partecipazione miranti a:
1) attribuire funzioni, nelle stesse
materie, a Comuni, consorzi fra comuni, unità locali, province, regioni,
ministeri, frazionando ulteriormente le competenze attuali;
2) istituire, con il pretesto della prevalente funzione tecnica
e non politica, consigli di amministrazione per
ciascuna materia (vedansi ad esempio i consigli di amministrazione degli
ospedali, il tentativo del Ministero dell'interno di trasformare gli E.C.A. in
unità socio-assistenziali, la proposta dell'INAM di porre i suoi poliambulatori quali nuclei centrali e basilari delle unità
sanitarie locali) ;
3) frazionare le stesse singole materie, come ad esempio per
il settore assistenziale, con la creazione degli enti
regionali per ciechi, sordomuti, invalidi, anziani, ecc.;
4) costituire le unità sanitarie
locali tenendo esclusivamente conto dei bisogni terapeutici e limitando la prevenzione
al livello personale
(vaccinazioni, schermografie, ecc.) e non intervenendo pertanto sulle strutture
sociali disadattanti (scuola, lavoro, piani
urbanistici, servizi vari);
5) predisporre leggi quadro che indichino in modo dettagliato
le attività che devono essere svolte dai comuni, dalle province, dalle unità
locali, di modo che la potestà legislativa spettante alle Regioni diventerebbe
poco ampia e quindi politicamente non significativa.
5. REGIONI, COMUNI, UNITA' LOCALI E PROVINCE
5.1. Competenze delle Regioni
L'art. 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni
potestà legislativa, fra le altre, nelle seguenti materie:
circoscrizioni comunali,
beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed
ospedaliera,
istruzione artigiana e professionale e
assistenza scolastica,
urbanistica,
lavori pubblici di interesse regionale.
L'art. 118 della Costituzione prevede: «
5.2. Situazione
demografica dei Comuni
La divisione in classi di ampiezza
demografica dei Comuni italiani risulta dal seguente specchietto che riporta i
dati del censimento del 1961:
Classi ampiezza demografica
(abitanti) Comuni Abitanti
fino a 500 491 174.996
501
- 1000 1.017 765.850
1001
- 2000 1.844 2.717.080
2001
- 3000 1.246 3.029.936
3001
- 4000 824 2.824.432
4001
- 5000 627 2.780.077
5001
- 10000 1.172 7.978.950
10001
- 20000 488 6.572.969
20001
- 30000 137 3.277.844
30001
- 50000 95 3.586.274
50001
- 100000 62 4.384.940
oltre 100000 32 12.530.221
Totale 8.035 50.623.569
La situazione dal 1961 ad oggi, a causa della
emigrazione e della immigrazione, si è modificata nel senso che il
numero degli abitanti nei comuni piccoli è diminuito, ed è aumentato nei comuni
grandi.
Questa situazione si è verificata anche nel Piemonte.
Affermare di
decentrare ai Comuni funzioni politico-amministrative significa pertanto non
tenere conto della realtà estremamente diversa dei Comuni
stessi, in quanto è
indiscutibile ad esempio che i comuni piccoli non sono in grado di svolgere
alcuna funzione politico-amministrativa.
5.3. Bisogni dei
cittadini e unità locale dei servizi
Partendo dal bisogni dei cittadini,
è stata individuata l'unità locale dei servizi intesa secondo la definizione di
Trevisan (4), come «una circoscrizione territoriale
e demografica valutata come ambito-base minimo in cui funzionalmente si possa
prevedere la presenza di tutti quei servizi di interesse generale il cui
massimo decentramento sia auspicabile e possibile». Detta unità locale è
quindi anche l'ambito-base minimo che consente la maggior partecipazione
possibile dei cittadini.
L'unità sociale potrebbe comprendere dai 50.000 ai 100.000
abitanti.
5.4. Compito delle
unità locali
Alle unità locali dovrebbero essere attribuite le funzioni
base in materia di assistenza sanitaria e
psichiatrica, di assistenza sociale (ivi compresa quella scolastica), e tutte
le altre competenze operative nelle materie delegate alle Regioni dall'art.
117 della Costituzione e nelle materie affidate dalle leggi dello Stato.
Una richiesta fondamentale sarebbe quella di lottare per
ottenere che la materia «istruzione prescolastica e scolastica di ogni ordine e grado» e non solo l'istruzione artigiana e
professionale venisse attribuita alle Regioni e di conseguenza alle unità
locali.
Pertanto alla Regione dovrebbero essere affidate le
competenze in materia di preparazione professionale degli insegnanti
specializzati, istruttori professionali, assistenti
sociali, educatori, logopedisti, fisioterapisti, ecc.
e l'aggiornamento di tutto il personale, compreso quello medico, sociale e amministrativo,
che opera nella Regione, nei Comuni e nelle Province.
Un altro compito fondamentale delle unità locali dovrebbe
essere quello di fornire gli elementi base e le richieste per la programmazione
regionale e nazionale affinché veramente non vengano
imposte ai cittadini soluzioni dall'alto.
5.5. Comuni e unità
locali
Le unità locali di servizi, che dovrebbero comprendere dai
50.000 ai 100.000 abitanti, corrispondono ai Comuni aventi questa popolazione.
Sarebbe necessario che i comuni con popolazione inferiore ai
50.000 abitanti si consorziassero per costituire l'unità locale.
Sarebbe però preferibile che
Per i comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti
occorrerà prevedere la loro ripartizione in unità locali.
Con la creazione delle Unità locali piccoli comuni attuali
verrebbero ad essere unificati nelle unità locali; le funzioni di quelli
grandi, come ad esempio il Comune di Torino, potrebbero essere affidate alle
unità locali (quartieri).
Per raggiungere questo obiettivo occorreranno
ovviamente dei tempi lunghi. Pertanto, se ritenuto valido quanto sopra,
potrebbero essere ricercati gli obiettivi a breve e medio termine e cioè le tappe intermedie (consorzi dei comuni piccoli,
creazione dei comitati di quartiere con funzioni politiche nei comuni grandi).
Si ritiene però di fondamentale importanza che sia evitata ad ogni costo la creazione di unità tecnocratiche.
Se oggi è infatti difficile togliere il potere ai
burocrati, domani sarà ancor più arduo smuovere i tecnici dai loro centri di
potere.
5.6. Compiti delle
Province
Poiché tutte le funzioni non possono
essere svolte dalle Unità locali, si rende necessaria l'attribuzione di dette
competenze ad un ente intermedio fra Unità locali e Regioni:
Compito primario delle Province dovrebbe essere quello di
favorire la creazione delle Unità locali, sollecitando la partecipazione dei
cittadini, fornendo assistenza tecnica: si tratta cioè
di invertire la tendenza attuale che porta
5.7. Regioni ed altri
enti
Allo scopo di consentire una effettiva
partecipazione dei cittadini alle decisioni sulla istituzione dei servizi e
sulla loro gestione,
Il livello operativo resterebbe pertanto affidato
esclusivamente alle Unità locali e alle Province, di cui si può ipotizzare una
ristrutturazione in comprensori (cioè in organi
politico-amministrativi con delimitazione territoriale comprendente più unità
locali). Il numero dei nuovi comprensori potrebbe risultare
inferiore a quello delle attuali province.
5.8. Centro nazionale
Ad un ministero esistente ristrutturato o ad uno nuovo
dovrebbero essere affidati i compiti di coordinamento, di alta
vigilanza, di ricerca dei bisogni e delle cause relative e di programmazione.
A detto centro non dovrebbero essere affidate funzioni
operative.
Le competenze del centro nazionale delle regioni, delle
province, delle unità locali dovrebbero essere fissate con legge-quadro non
troppo dettagliata e non rigida.
(1) Documento
dell'Unione Italiana per
Il presente documento
è stato redatto soprattutto per la ricerca degli obiettivi a lungo termine. Se
detti obiettivi risulteranno validi dal dibattito,
sarà poi relativamente facile proporre gli interventi a breve e medio termine.
(2) Vedasi, ad
esempio, lo schema di disegno di legge del Ministero della pubblica istruzione:
«Istituzione, organizzazione e funzionamento di scuole
elementari speciali, di lavoratori-scuola, di sezioni occupazionali e di classi
differenziali» in Prospettive assistenziali, n. 10, Via Artisti 34,
Torino.
(3) Vedasi al riguardo
Fondazione Zancan, «L'Unità locale dei servizi», a
cura di A. Farrace
(ciclostilato) e i quaderni n. 8 e 13 di detta Fondazione.
(4) C. Trevisan, Unità
locale e poteri locali, Quaderno n. 13, Ed.
Fondazione Zancan 1970.
(5) A questo riguardo
si segnala l'avvenuta fusione dei Comuni calabresi di S. Eufemia Lametia, S. Biase e Nicastro,
nell'unico comune di Lametia Terme.
Questa fusione ha
dato ottimi risultati (vedasi C. Tedeschi in Unità locale e poteri locali, op. cit., pag. 123 e segg.).
L'art. 133, 2° comma
della Costituzione prevede: «
www.fondazionepromozionesociale.it