Prospettive
assistenziali, n. 13, gennaio-marzo 1971
DOCUMENTI
DICHIARAZIONE DEL
VICE PRESIDENTE DELLE A.C.L.I.,
MARIA FORTUNATO, SULLA ATTUALE SITUAZIONE DELLA TUTELA DEI MINORI E SUL
PROBLEMA DEGLI INVALIDI CIVILI
Mentre il discorso sulle riforme
procede con le difficoltà ed i limiti già denunciati; mentre, in particolare,
si porta avanti il discorso sul servizio sanitario
nazionale che dovrebbe rappresentare un serio passo per il definitivo
superamento delle logiche mutuo-assicurative e assistenziali verso un assetto
di sicurezza sociale, permangono per contro del tutto insoluti i problemi relativi
alla riforma dell'assistenza. Ciò nonostante il settore continua ad essere al
centro di clamorosi fatti di cronaca che rivelano le grandi carenze e il
profondo disagio che colpiscono larghissima parte di
cittadini. È questo il caso dello scandalo che in questa settimana ha
investito, con l'ONMI, il settore particolarmente delicato della
assistenza alla prima infanzia.
A ciò si aggiunge che, non solo sono
bloccate le proposte di legge, anche di iniziativa popolare,
relative agli handicappati psichici, fisici
e sensoriali e ai disadattati
sociali, ma vi sono una serie di iniziative che tendono chiaramente a
precostituire situazioni di fatto contrastanti con quelli che dovrebbero essere
i principi della riforma del settore.
Mi preme ora sottolineare,
in particolare, una serie di episodi riguardanti la tutela e la rieducazione dei minori e l'assistenza agli invalidi civili.
Mi riferisco, in primo luogo, per
quanto riguarda i minori, al disegno di legge n. 2040 attualmente in
discussione alla Commissione Giustizia della Camera il quale
prevede l'istituzione presso il Ministero di Grazia e Giustizia di una
Direzione generale specificamente preposta alla tutela e al riadattamento dei
minori. Parallelamente sembra procedere, nell'ambito dello stesso Ministero e
nel quadro della riforma della pubblica
amministrazione, una proposta tendente ad unificare in uffici comuni
l'intervento per gli adulti e quello per i minori; nel contempo si dovrebbero
costituire a livello regionale «provveditorati penitenziari» direttamente
dipendenti dal Ministero. In proposito ritengo si debba denunciare come
ambedue i provvedimenti agirebbero nel senso di sottrarre alle regioni i
compiti di prevenzione e trattamento del disadattamento minorile, con ciò
impedendo di fatto l'indispensabile collegamento con
le realtà locali. Si richiederebbe inoltre di schiacciare ogni possibilità di azione degli operatori di base cristallizzando gli
interventi e riducendo ancor più i servizi a strumento di custodia e di
repressione.
Ciò nel momento in cui è divenuto
ormai indilazionabile un intervento riformatorio globale
che inserisca la problematica del disadattamento minorile nel discorso di un
sistema articolato e partecipato di servizi sociali, che trovi nel livello
regionale un necessario momento di sintesi politica e di programmazione
nell'insieme delle politiche economiche e sociali tendenti ad affrontare alla
radice il problema dell' «esclusione».
Un secondo importante settore in cui
stanno maturando decisioni di segno decisamente negativo
in rapporto alla necessaria trasformazione del settore assistenziale, è quello
degli invalidi civili.
In questo campo sta avanzando un
disegno chiaramente tendente a perpetuare ed anzi ad aggravare l'emarginazione
dei cittadini invalidi. In tale direzione infatti, si
muovono le proposte avanzate dalla commissione permanente istituita presso
l'ONIG; proposte che partendo dall'assurdo presupposto che «la generalità dei
cittadini invalidi costituisce nel suo complesso un insieme nettamente
distinto del popolo italiano» richiedono la costituzione di un anacronistico
ed elefantiaco ente nazionale di diritto pubblico controllato dal Ministero
dell'Interno.
Non meno significativa
è la vicenda sviluppatasi intorno alla necessità di far fronte alla scadenza
della precedente normativa in materia di invalidi civili.
Come è noto, malgrado la proroga di tale
normativa si esaurisse con il 31 dicembre 1970, il Governo presentava un suo
disegno di legge soltanto il 15 dicembre, quando ormai era chiaro che non
sussistevano neppure i tempi tecnici per l'approvazione. Non solo, ma tale
disegno di legge non tiene in alcun conto le proposte elaborate dall'apposito Comitato ristretto della Camera in cui confluiscono
istanze significative dei diretti interessati, per cui finisce con
l'introdurre, nella sostanza, solo alcuni ritocchi marginali che lasciano
irrisolti i problemi di fondo.
Ne è risultato che è stato necessario
fare nuovamente ricorso ad un semplice decreto di proroga con l'aggravante che,
questa volta, non si è fissata alcuna scadenza se non quella, assolutamente
generica, dell'approvazione del disegno di legge.
Guardando alle proposte dell'ONIG e
al succitato provvedimento governativo è evidente che siamo in
presenza di iniziative che vanno nella stessa direzione: quella di
sancire definitivamente, per scopi chiaramente corporativi e di potere, la
emarginazione dei cittadini colpiti da invalidità, attraverso un assetto
verticale che, oltretutto, finirebbe con il frazionare gli invalidi in tre
settori (ciechi e sordomuti, e ente unico per gli invalidi civili).
Ma non è tutto; questo tipo di interventi consoliderebbe di fatto la presenza del
Ministero dell'Interno sia attraverso gli ECA che attraverso i Comitati
provinciali di assistenza e beneficenza pubblica e le Prefetture.
Con ciò si verrebbe a determinare un
ulteriore attentato alla autonomia regionale proprio
in una delle materie specificamente affidate dalla Costituzione alla competenza
delle Regioni. Senza contare che prenderebbe sempre più piede l'assurda
pretesa di trasformare gli ECA in quelle unità
locali dei servizi che dovrebbero invece essere il fulcro del nuovo assetto
dei servizi sociali per tutti i cittadini (quindi anche per gli invalidi
senza illogiche discriminazioni!), che dovrebbe scaturire dal superamento
definitivo della vecchia logica assistenziale.
Risulta a questo punto evidente che, mentre
da una parte va puntualmente contrastata tale linea di tendenza in atto,
dall'altra è necessario un impegno serrato e permanente a tutti i livelli per
incentivare una profonda innovazione del settore assistenziale nel quadro
della sicurezza sociale e delle più vaste politiche di promozione sociale.
In tale ambito andranno collocati
gli interventi volti ad abolire le discriminazioni e le condizioni di emarginazione che colpiscono le famiglie di lavoratori e
la larga fascia di «esclusi».
Non vi è dubbio allora che una delle
condizioni per battere le ipotesi ritardatrici (o
peggio) è che la classe lavoratrice tutta e le forze organizzate che la
esprimono, si facciano carico di tali problemi
premendo con una forte domanda dal basso sulle forze politiche ed
istituzionali.
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