Prospettive
assistenziali, n. 13, gennaio-marzo 1971
DOCUMENTI
NOTE
SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2040
Sul
disegno di legge n. 2040 presentato il 24 novembre 1970 dal
Ministero di Grazia e Giustizia (1), che vuole
istituire la direzione generale per la tutela e il riadattamento dei minori
presso il Ministero di Grazia e Giustizia, pubblichiamo un documento di
discussione degli operatori della rieducazione minorile e l'opinione della
Unione Italiana per
DOCUMENTO DI DISCUSSIONE DEGLI OPERATORI DELLA
RIEDUCAZIONE MINORILE
Roma, dicembre 1970
Gli operatori della rieducazione
minorile, presa atto delle analisi compiute sulla genesi del disadattamento
minorile, in particolare di quella operata dal IX
Congresso (giugno 1969), individuano nel disadattamento sociale dei giovani l'ultimo
anello di un processo di esclusione che diviene sempre più incalzante con lo
svilupparsi del sistema neocapitalista, basato sulla produttività e
sull'efficienza, ritengono che la differenza tra giovani «normali» e
«disadattati» consista essenzialmente nelle diverse opportunità di sviluppo
sociale fruibili dai due gruppi e che quindi non si possono individuare categorie quali i «disadattati» o i «delinquenti» o i
«malati di mente» se non nella misura in cui questi attributi sono espressione
tangibile della violenza esercitata su questi cittadini dal sistema.
Ne consegue l'artificiosità delle
distinzioni in varie categorie e della creazione di istituzioni
specializzate per ogni gruppo, distinzioni che rafforzano e confermano
l'esclusione, autoalimentando le strutture stesse.
È necessario negare queste
distinzioni e le relative strutture di recupero e, avendo ben presente che
un'uguaglianza effettiva tra tutti i cittadini può essere garantita solo da un
radicale mutamento nei rapporti economici e sociali, è necessario anche
assicurarsi che i servizi sociali non sanzionino e
aggravino le disuguaglianze prodotte da questi stessi rapporti. In questo
settore, quindi, è indispensabile la creazione di servizi sociali di base che affrontino globalmente i problemi che la comunità sente,
esprime e vuole risolvere: sembrano idonee, a tal fine, delle unità locali di
servizi (affiancate alle unità sanitarie) che saranno valide solo se la base
riuscirà a gestirle.
Non è infatti
pensabile che decentrare significhi automaticamente garantire servizi che siano
espressione della volontà popolare: esiste il pericolo che si ripetano, al
livello locale, gli stessi meccanismi di potere dei livelli di vertice,
mistificati da una parvenza di democraticità.
Nell'ambito dei suddetti servizi
sociali di base si precisa, anche, in modo più corretto il ruolo dei tecnici,
non più depositari di conoscenze esclusive, delegati del potere al fine di
oggettivarne l'utente e costringerlo entro schemi preordinati,
ma persona che si pone a disposizione della collettività con determinate
conoscenze.
Da queste considerazioni deriva la
necessità dell'assorbimento, da parte delle unità locali di servizi, delle
attività per l'infanzia e l'adolescenza, senza discriminazioni, ma
comprendendovi tutti i problemi propri dell'età evolutiva.
Naturalmente devono confluire in
tali servizi anche le attuali attività «rieducative»:
ciò, evidentemente, implica il raggiungimento della «depenalizzazione»,
unitamente al trasferimento alle Regioni della cosiddetta competenza
«amministrativa» dei tribunali per i minorenni.
Sulle ceneri dei servizi
rieducativi, dei servizi dell'ONMI, dell'ENAOLI,
dell'ENPMF e di tutti gli altri enti «attivi» nel settore dovrà costituirsi un
servizio unitario per l'infanzia e l'adolescenza.
In tal senso sarà fondamentale
l'azione perchè le regioni abbiano la piena competenza in campo socio assistenziale e che siano superate anche le impostazioni che
propongono in chiave apparentemente più avanzata soluzioni emarginatorie
e discriminanti.
Si tratta evidentemente di un
processo lungo e complesso che incontrerà notevoli difficoltà di carattere
politico, culturale e giuridico; di un processo a lungo termine che esige un
grande impegno in settori molteplici, e prospetta la necessità di tappe
intermedie, di attività a breve termine.
Sembra particolarmente importante
promuovere la partecipazione popolare in tutti i modi
con tutti gli strumenti: è necessario infatti vincere un'ideologia ad un tempo
rassegnata e punitiva penetrata anche in chi la subisce e da lui condivisa;
primo compito è infatti promuovere la coscienza dei meccanismi di emarginazione
in chi ne è vittima. Altrettanto importante il costante contatto con i
sindacati, i partiti e le associazioni che dimostrino la reale disponibilità a recepire le suddette istanze.
Altre condizioni necessarie per
raggiungere tali mete sono il coinvolgimento, in questa scelta, di tutti gli
operatori e la sperimentazione e la realizzazione di attività
e interventi alternativi agli attuali. Tali attività devono essere finalizzate
nelle direzioni suddette e non devono servire da copertura per operazioni
mistificatrici.
A titolo di esempio
si possono citare, tra queste attività sperimentali e alternative rispetto agli
attuali interventi a carattere rigido e istituzionalizzante, le seguenti:
lavoro di quartiere, collaborazione con gruppi spontanei; collegamenti a
livello locale - con tutte le strutture e forze formali e informali che
operano nella direzione della promozione sociale e della partecipazione di
base; collocamenti familiari in una dimensione comunitaria; promozione di
servizi aperti a tutti i cittadini e a cui, naturalmente, possono accedere
anche i giovani (focolari, pensionati, servizi ricreativi, ecc.); revisione
della distinzione tra «inchieste» e «trattamenti» di servizio sociale nel
senso di rifiuto delle modalità cristallizzatrici e
delle categorie e posizioni giuridiche e di sviluppo, invece, degli interventi
a livello familiare e comunitario per realizzare il riassorbimento del «caso»
prima che sia catalogato burocraticamente e definitivamente considerato
«disadattato».
Le esperienze già fatte in materia
hanno chiaramente indicato che non è possibile condurle su un piano
individuale, ma che vi deve essere coinvolta la struttura.
È necessario raggiungere in merito
una chiara politica che, anche attraverso la routine, prepari i cambiamenti di fondo e combattere tutte le iniziative che, invece,
allontanino da questo fine.
In particolare è da combattere in
tutti i modi il tentativo che si fa sempre più
scoperto di utilizzare l'occasione offerta dalla riforma della Pubblica
Amministrazione per consolidare su posizioni più arretrate l'attuale, già di
per sé insostenibile, situazione del Ministero Grazia e Giustizia (direzione
generale istituti di prevenzione e pena).
Infatti, mascherata dall'etichetta
di una maggiore funzionalità, appare emergere una tendenza alla
operazione dei servizi per funzioni e non per settori d'attività,
unificando cioè ad ogni livello e in ogni sede i settori penitenziario per
adulti e rieducativo per minorenni e distinguendo,
invece, le varie funzioni (personale, fabbricati, contratti, ecc.) in appositi
uffici, che si dovrebbero occupare, indifferentemente, dei due settori.
Tale processo di unificazione
non riguarda, evidentemente, né i bisogni degli adulti, né dei minori, ma
tende a rinsaldare la struttura repressiva, a creare nuove possibilità di
posti direttivi e quindi di potere (soprattutto in sede periferica), a
bloccare ogni possibile sviluppo di effettivo decentramento a livello
regionale.
In particolare appaiono veramente
agli antipodi di tutto il processo storico, dalla Costituzione in poi, i
ventilati Provveditorati penitenziari regionali da cui dipenderebbero sia i
servizi per adulti che per minori.
Infatti tale struttura burocratica
creerebbe un formidabile accentramento a livello della regione, in diretto
rapporto gerarchico col ministero e taglierebbe qualsiasi possibilità di
rapporto tra servizi rieducativi e realtà locale.
In questo contesto
di «penitenziarizzazione» del sistema rieducativo appare altrettanto negativa la fusione e/o l'intercambiabilità dei ruoli del personale minorile e del
settore adulti, profittando della prospettiva di un eventuale aumento degli
organici del personale.
Per quanto riguarda, ad esempio, il
servizio sociale, tale fusione servirebbe solo a mettere un assistente sociale
per ogni stabilimento penitenziario, polverizzando il servizio sia minorile che adulto, a dare una vernice di modernità al sistema
carcerario (che deve risolvere prima ben altri problemi) e mistificherebbe
ulteriormente il ruolo degli assistenti sociali, non dando alcuno spazio
autentico alla loro attività.
D'altra parte, sempre in tale contesto, anche la costituzione di una direzione generale
minorile, risulterebbe solo un'operazione di potere, ripetendo e allargando le
attuali condizioni negative.
Altro aspetto discutibile sembra la proposta di procedere per gradi, cominciando con
l'attribuire alle regioni la sola competenza amministrativa dei
tribunali per i minorenni (in luogo di una depenalizzazione completa). Tale
soluzione, che può sembrare tatticamente utile, invece è controproducente,
rispetto ai fini esposti in precedenza in quanto riconosce, implicitamente
l'esistenza di due tipi di giovani: i «disadattati» e i «delinquenti» (i primi
di competenza dei servizi regionali, i secondi di quelli del ministero grazia e
giustizia). Inoltre ciò, per la tendenza repressiva in atto, porterebbe (come
già avvenuto) ad inflazionare il settore penale.
Data l'esiguità attuale del volume
di «casi» amministrativi rispetto a quelli penali, in pratica, poi, il problema
resterebbe nei suoi termini attuali e, senza cambiare nulla, si rafforzerebbe
l'esclusione.
Una conclusione provvisoria di
queste note, che vogliono porsi solo come una base di
discussione tra tutti i gruppi interessati al problema, potrebbe essere
riassunta in due programmi uno inserito nell'altro, senza fratture: il primo, a
lungo termine, per il superamento, nei limiti possibili, del concetto di
disadattamento, mediante la depenalizzazione e la piena responsabilizzazione
delle comunità locali al problema; il secondo, a breve e medio termine,
comprendente tutte quelle iniziative che possono avvicinare la meta su
esposta: iniziative sia per combattere determinate tendenze (assorbimento, sia
a livello regionale che nazionale, dei servizi minorili in quelli
penitenziari, sviluppo del settore penale, ecc.), sia per promuovere tutte
quelle azioni che agevolino il passaggio da una fase all'altra (autentico
decentramento, stretta integrazione dei servizi rieducativi con quelli locali,
sperimentazione di interventi alternativi).
LETTERA DELL'UNIONE ITALIANA PER
Al Ministro ed ai Sottosegretari di Grazia e Giustizia
Al Presidente, ai Vice-Presidenti
e ai Componenti della Commissione
Giustizia Camera dei Deputati
Torino, 16 febbraio 1971
OGGETTO: Disegno di legge n. 2040/Camera «Istituzione della
Direzione Generale per la tutela e il riadattamento dei minori presso il Ministero di grazia e giustizia».
Questa Unione, riesaminato
attentamente il disegno di legge n. 2040/ Camera, chiede che detta proposta venga respinta poiché:
a) amplia le attuali competenze del
Ministero di grazia e giustizia relative al settore
minorile (adozione speciale e ordinaria, tutela, affidamento, affiliazione).
Dette competenze, che sono di natura assistenziale,
oggi sono svolte, contrariamente a quanto è scritto nella relazione, dai
servizi sociali degli istituti provinciali per l'assistenza all'infanzia,
dell'OMNI e dell'ENAOLI.
Gli interventi in questo settore
degli uffici di servizio sociale dipendenti dal Ministero di grazia e
giustizia sono andati diminuendo, anche per la loro accertata inidoneità
principalmente dovuta al fatto che non sono a conoscenza diretta della
situazione dei minori in stato di abbandono e dei loro
genitori d'origine;
b) uno svolgimento delle competenze
più aderente ai bisogni dei minori in materia di esecuzione
dei provvedimenti rieducativi e penali, emessi dall'autorità giudiziaria, non
dipende certamente dall'assetto burocratico del Ministero di grazia e
giustizia, ma dalla volontà politica di caratterizzare o meno gli interventi in
modo afflittivo.
Pertanto nulla cambierà con la
creazione della Direzione generale per i minori, mentre una politica diversa
consentirebbe all'Ufficio IV di introdurre decisi miglioramenti nell'attesa che
le regioni svolgano le competenze loro affidate dalla
Costituzione;
c) le competenze legislative e
amministrative in materia di tutela della salute, di assistenza
sociale, di addestramento professionale competono alle Regioni (art. 117 della
Costituzione) che deve esercitarle anche nei confronti dei minori rinchiusi
nelle case di rieducazione, nei riformatori, nelle prigioni-scuola e nei centri
di osservazione (ed anche degli adulti carcerati) ;
d) sono stati organizzati in varie
parti d'Italia ad iniziativa di partiti, sindacati, associazioni politiche,
sociali e di operatori sociali dibattiti sui problemi
dell'assistenza in cui saranno trattati ovviamente anche i problemi dei minori
cosiddetti «disadattati» e «delinquenti». Sarebbe pertanto necessario che il
Governo e il Parlamento non prendessero decisioni prima dello svolgimento dei
dibattiti in corso, dai quali emerge sempre di più la necessità di trasferire
alle Regioni tutte le competenze assistenziali, compresa l'esecuzione dei
provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria minorile in materia penale e
amministrativa, sotto il controllo dell'autorità giudiziaria stessa.
Nel caso in cui Lei non ritenesse negativa la costituzione della predetta Direzione
generale, questa Unione chiede che l'esame del disegno di legge n° 2040 sia fatto congiuntamente con la proposta di legge n° 1676/ Foschi che prevede all'art. 4 «L'autorità
giudiziaria affida la diagnosi e il trattamento dei minori disadattati di sua
competenza ai servizi sociali comunali e consortili».
Lo stesso concetto è contenuto nella
proposta di legge di iniziativa popolare n° 1167, promossa da questa Unione, presentata al Senato
della Repubblica il 21-4-1970 e sottoscritta da 224.056 cittadini elettori,
della cui volontà politica espressa in materia il Governo e il Parlamento dovrebbero
tener conto.
(1)
CAMERA DEI DEPUTATI
DISEGNO DI LEGGE N. 2040 presentato il 24
novembre 1970 dal Ministro di Grazia e Giustizia
ISTITUZIONE DELLA DIREZIONE GENERALE PER
Art. 1
Presso il Ministero
di Grazia e Giustizia è istituita la direzione generale per la tutela e il
riadattamento dei minori, la quale attende alla protezione dei minori, con
particolare riguardo agli istituti dell'adozione ordinaria e speciale, della
tutela, dell'affidamento e dell'affiliazione, nonché
alla prevenzione ed al trattamento del disadattamento sociale e della
delinquenza minorile.
Art. 2
La tabella C annessa
alla legge 25 luglio 1966, n. 570, è sostituita dalla tabella allegata alla presente legge.
Tabella:
PERSONALE DEL
MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA
Numero dei posti
Magistrati di Corte
di cassazione con ufficio direttivo a norma dell'art. 6,
n. 3 della legge 24
maggio 1951, n. 392 1
Magistrati di Corte
di cassazione con ufficio direttivo a norma dell'art. 6,
n. 3, della legge 24
maggio 1951, n. 392, ovvero magistrati di Corte di cassazione 6
Magistrati di Corte
di cassazione 3
Magistrati di Corte
d'appello, magistrati di tribunale e aggiunti giudiziari 107
Totale
117
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