Prospettive
assistenziali, n. 14, aprile-giugno 1971
CHI SONO GLI ESCLUSI?
APPUNTI SULL'ESCLUSIONE IN PROVINCIA
DI PAVIA A CURA DEL COLLETTIVO PAVESE SULLA SCUOLA
«Crediamo così poco alla obbiettività e alla neutralità che abbiamo deciso di
essere parziali, di stare da una parte sola: quella degli esclusi, appunto».
Riportiamo dall'interessante
pubblicazione dallo stesso titolo (Cooperativa editoriale pavese, 1970, Pavia,
Piazza del Carmine 6) alcuni dei passi più significativi.
Si tratta di un esame dell'esclusione che si verifica
nella scuola materna e nella scuola dell'obbligo, diretta in gran parte verso i
figli dei lavoratori e tendente ad emarginare fin dall'età dei tre anni i
bimbi cosiddetti «anormali» dagli altri normali (1).
Gli autori ci dicono
che i dati contenuti in questi appunti sono stati difficili da raccogliere,
perché la scuola non li pubblica, il Comune li tace. E
perché? «La risposta che abbiamo trovato è questa: perché non si sappia la verità».
Asili nido e scuola
materna
Gli asili nido a Pavia e Provincia
sono 23 cioè 1 ogni 622 bambini; sono assistiti 1.037
su 14.325. Le scuole materne sono 192 cioè 1 su ogni
83 bambini; sono assistiti 8.220 su 17.151.
Tutti i bambini hanno diritto ad
un'assistenza continua e completa, le mamme d'altra parte devono essere liberate
dal dovere incessante e continuo di occuparsi dei figli così da avere il tempo
di pensare con maggiore tranquillità anche a se stesse e soprattutto a ciò che
succede fuori dell'ambito familiare. I bambini, inoltre, hanno bisogno di
frequentare dei coetanei e potere giocare con loro. Gli asili pubblici però
sono insufficienti: in compenso esistono quelli privati.
Un esempio:
Quale operaio può permettersi di
spendere queste somme senza che il suo bilancio sia di molto compromesso? Ci
sono in realtà famiglie operaie che non trovando posto per i loro figli in
asili pubblici fanno sacrifici enormi per pagare queste cifre, e così «pagano»
due volte il servizio: una con le tasse e un'altra
con la retta.
Da cinque anni a questa parte le
donne lavoratrici sono diminuite di un milione, a
causa della strumentalizzazione del lavoro femminile che varia a seconda delle
esigenze del mercato.
Nella prospettiva della diminuzione del lavoro
femminile lo Stato non si affretta a costruire scuole materne,
contemporaneamente fa una legge (n. 444, marzo 1968), che per il momento non
applica, ma già congegnata in maniera tale che, se volesse applicarla, gli
garantirebbe il controllo dell'educazione dai 3 ai 6 anni.
La scuola materna di Stato non è
concepita come «un grado di istruzione», ma «come un
servizio gratuito per l'assistenza e l'educazione». I valori fondamentali che vengono trasmessi indirettamente dalla scuola materna sono:
il rispetto incondizionato dell'autorità, la disciplina, il patriottismo. La
scuola materna di Stato non prevede neppure, come sua specifica e precisa funzione,
l'educazione del linguaggio.
È ormai dimostrato che il linguaggio
sia una delle forme di apprendimento più fortemente influenzato
dall'ambiente sociale di provenienza.
Infatti il figlio dell'operaio che si
presenta in I elementare, dopo tre anni di scuola materna, e presenta ancora
grosse difficoltà di linguaggio, sarà ancora più facilmente e con maggiore convinzione
bollato come «ipodotato» dal maestro, che
dall'istruzione impartitagli nella scuola magistrale identifica l'intelligenza
con la capacità di esprimersi.
La legge che istituisce la scuola
materna di Stato dice (art. 12, legge n. 444): «sezioni
differenziali e scuole speciali accoglieranno quei minori affetti da disturbi dell'intelligenza e del
comportamento e da menomazioni fisiche e sensoriali»; come se avesse un
senso, oltre a quello della segregazione, cercare di individuare e isolare già
all'età di 3-4 anni i bambini ritardati o deboli di mente.
Scuola dell'obbligo
La scuola dell'obbligo fornisce il
certificato di esclusione, con tanto di bollo dello
Stato.
La scuola elementare e media, sulla
carta, è scuola dell'obbligo. Eppure 40 ragazzi su 100 non raggiungono la
licenza media, cioè il livello minimo d'istruzione e
qualificazione garantito dalla legge. La selezione comincia prestissimo, in I elementare, dove sono bocciati 16 ragazzi su 100, e poi
continua.
Chi sono i
bocciati? Figli di lavoratori, di operai, di
contadini, di immigrati.
La scuola incapace di eliminare le
differenze sociali si «disfa» degli scolari che «non
servono»: bocciandoli. Una, due, tre, quattro volte,
finché i genitori si stufano di spendere soldi inutilmente e mandano il
figlio a lavorare.
Che ci sta a fare
la scuola? A bocciare e ad escludere, visto che di insegnare non è capace o non
vuole.
Ma se la scuola elementare e media è obbligatoria, tutti
debbono essere messi nelle condizioni di essere promossi, tutti debbono avere
la licenza media.
a) Dati nazionali
bocciature scuola elementare e media:
7 bambini su 100 non conseguono la
licenza elementare;
20 bambini su 100 non si iscrivono alla scuola media;
40 bambini su 100 non conseguono la
licenza media.
b) Dati provenienza
sociale bocciati (Bocciati scuola dell'obbligo):
figli di genitori analfabeti 59%
figli di invalidi e pensionati 46%
figli di genitori senza licenza elementare 39%
figli di disoccupati 36%,
orfani 32%
figli di operai e manovali 27%
figli di genitori con V elementare 23%
figli di genitori con III media 12%
figli di genitori diplomati 6%
figli di famiglie agiate 5%
figli di genitori laureati 0,4%
figli di professionisti 0%
Dalle statistiche si vede che i
ragazzi vanno a scuola con una preparazione e un bagaglio di conoscenze che
corrisponde al livello culturale dei genitori. Il
maestro o il professore, anche se volesse, non potrebbe soffermarsi a curare
quei ragazzi che ne hanno più bisogno perché ha un programma da svolgere. E così quelli che
sono indietro rimangono ancora più indietro.
La scuola diventa così una corsa ad
ostacoli: chi cade non ha il tempo di rialzarsi, né viene
aiutato. Anzi, l'interrogazione, il voto,
l'esame servono a rendere i ragazzi egoisti e
preoccupati solamente del proprio successo.
Così il ragazzo che non ha capito
invece di essere aiutato a superare la difficoltà è abbandonato a sé stesso, eliminato mediante brutti voti
nell'interrogazione e sempre più si allarga il divario, mentre il professore o
maestro continua il suo «programma». In tal modo il ragazzo perde fiducia in
se stesso e mentre nasce in lui la ribellione, il grande escluso resta anche il
genitore che «punito» dal dirottamento del figlio se ne libera con l'alibi che
il bimbo non è tanto normale: è convinto che è «diverso» che non può aspettarsi
successi, che non ha quasi diritti in questa società.
Doposcuola
La scuola inizia alle 8,30 e termina alle 12,30. Talora i doppi turni riducono
ancora questo orario. Le classi sono sovraffollate. Il risultato è che chi è
aiutato a casa impara qualcosa; gli altri, quelli che non hanno possibilità di
imparare fuori dalla scuola, rimangono inevitabilmente
indietro.
Nei programmi del ministero, per i
ragazzi bisognosi di aiuto supplementare esistono i
doposcuola. Ma i doposcuola sono solo un «parcheggio»
per bambini poveri o immigrati. Si fornisce loro la carità di un piatto di
minestra, facendola pesare, e mancando la sorveglianza si costringono i
bambini dopo 4 ore di immobilità al mattino, a stare
altre 3 ore nel pomeriggio fermi nei banchi.
Il Patronato dice di non avere soldi
per organizzare il funzionamento della refezione e del doposcuola. Che ci sta a fare allora?
Le classi
differenziali
Si è parlato molto negli ultimi
tempi, con tono drammatico, di bambini handicappati, disadattati e subnormali.
Secondo le statistiche in Italia ci sarebbero circa 3 milioni di bambini
«diversi», in realtà sono figli di poveri o di immigrati.
Composizione sociale delle classi differenziali
41,5% figli di operai
11,9% figli di artigiani
16,8% figli di manovali o salariati
agricoli
4,3% figli di ambulanti
o straccivendoli
10,3% figli di viaggiatori,
esercenti, piccoli commercianti
7,1% figli di impiegati
2,7% figli di professionisti,
dirigenti, insegnanti.
(totale dei figli di proletari: 74,5%).
Gli specialisti: medici, psicologi,
assistenti sociali, esaminano i ragazzi che incontrano difficoltà a scuola o
disturbano l'insegnante e li etichettano: disadattato, caratteriale,
insufficiente mentale, ecc. Questi ragazzi, così bollati, vengono
avviati alle classi differenziali, dove potranno essere bocciati (non è vero
che nelle classi differenziali non si boccia: lo si fa, eccome!), senza
suscitare proteste perché c'è tanto di «certificato scientifico» che dimostra
che sono inferiori (2).
Alcuni dicono: la classe
differenziale serve a recuperare i ritardati. Non è vero! Solamente il 20%
degli alunni di classe differenziale viene reinserito
dopo un anno in classi normali e ben la metà dei reinseriti, dopo un altro
anno, viene bocciato e ritorna in classe differenziale.
È evidente ancor più che non è il
recupero che interessa.
Se un bambino ha difficoltà di
rendimento o è malato, ha bisogno che tutte le sue capacità possano
svilupparsi: toglierlo dai compagni vuol dire impedirgli di guarire, vuol dire
convincerlo che è diverso dagli altri, che è
inferiore, che è uno zuccone, un cretino, e nella vita non combinerà mai
niente.
Istituti
Molti istituti per minori sono
luoghi di esclusione. Un altro modo di escludere i
figli delle famiglie disagiate dall'ambiente normale è di rinchiuderli in
istituti. Infatti le amministrazioni pubbliche, con
una vecchia politica, preferiscono pagare rette anche forti ad istituti
piuttosto di aiutare con un'assistenza piena le famiglie e creare una
assistenza a tutta la comunità scolastica, in modo da reinserire nelle
famiglie i bambini e non costringerle a richiedere l'invio del proprio figlio
in collegio nella speranza che venga nutrito, vestito e impari un mestiere.
(1) Per il significato
di norma rimandiamo al Dizionario sociale della psichiatria di
F. Basaglia: «Si tratta di
un insieme di valori relativi che si traducono in norme che sanciscono il
sistema di valori della classe dominante, quindi il privilegio della classe che stabilisce i limiti di norma rispetto all'altra
che li subisce» (n.d.r.).
(2) Da notare che le équipes ricevono per questo lavoro di dirottamento dalle
325 alle 350 mila lire per classe. Se consentono con
la loro assistenza a non «dirottare», neanche una lira.
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