Prospettive
assistenziali, n. 14, aprile-giugno 1971
LIBRI
FRANCO BASAGLIA
e FRANCA BASAGLIA ONGARO, La
maggioranza deviante (L'ideologia del controllo sociale totale), Ed. Einaudi,
In una società in cui le relazioni
interpersonali sempre più tendono a essere codificate
secondo schemi rigidi, di cui non è dato a tutti possedere la chiave
interpretativa, in cui potere economico, istruzione e uso delle tecnologie
sono concentrati in una fascia ridotta della popolazione, attorno a cui cresce
la fascia dei consumatori senza potere e la frangia marginale degli esclusi
(inabili, malati, disadattati), in una società di questo genere il
comportamento deviante perde i suoi tradizionali connotati di manifestazione
minoritaria e tende a diventare un fatto di massa.
L'interesse del libro di Franco Basaglia, La
maggioranza deviante, deriva non soltanto dalla concretezza e
dall'attualità del problema dell'esclusione, in un momento storico in cui
modelli di comportamento e di valore tradizionalmente dominanti nelle comunità istituzionali vengono radicalmente contestati, ma anche
dall'approccio usato, che interpreta la «devianza» come il risultato di un
processo di interazioni, di tensioni e di conflitti fra individuo e comunità.
Così in un saggio di Edwin Lemert, incorporato in questo volume, la demolizione del
concetto di paranoia come «disturbo, stato, condizione o sindrome costituita da
sintomi» è compiuta introducendo una semplice generalizzazione
preliminare: che il comportamento psicotico sia da ritenersi il risultato di
un disordine nella comunicazione fra individuo e società; «il delirio e il
comportamento ad esso associato devono essere compresi in un contesto di
esclusione che riduce il rapporto e rompe la comunicazione». Ne segue che
l'attenzione clinica dell'individuo si sposta al rapporto e al processo di esclusione che è rappresentato come una catena di
interazioni conflittuali fra individuo e gruppo di appartenenza. Nel corso di
queste interazioni, che, per lo più, iniziano con un fallimento o con una
frustrazione grave nelle aspirazioni professionali dell'individuo considerato
(perdita del titolo professionale, mancata promozione, mutilazioni fisiche),
il rapporto individuo-gruppo cambia di qualità.
L'individuo diventa nell'immagine del gruppo «un tipo strambo», «uno che non si
capisce» e, con il diffondersi di informazioni sui suo
conto, poco dopo, «uno su cui non si può contare», «un tipo pericoloso». Il
rapporto individuo-gruppo diventa così sempre più ambiguo, falsato, svuotato e
la comunicazione effettiva tende ad annullarsi proprio
quando l'individuo, potenzialmente psicotico più ne avrebbe bisogno,
per «guarire».
Fino a questo punto l'esclusione è
un processo informale: lo status formale dell'individuo nell'organizzazione è
intatto. Ma l'isolamento sociale dell'individuo può produrre reazioni violente,
di tipo paranoide, tali da sollecitare una decisione di esclusione «formale» dall'organizzazione (trasferimento
con promozione nominale e svuotamento di compiti effettivi oppure licenziamento,
a seconda del «livello» dello status precedente o, in casi estremi, ricovero
«coatto» in ospedale psichiatrico). A questo stadio del processo di esclusione (che il paranoide
per lo più realizza lucidamente come interazione concertata ai suoi danni) si
manifestano i sintomi tipici della paranoia (manie di persecuzione, deliri
ecc.), che gli psichiatri generalmente considerano una condizione patologica
irreversibile. L'analisi del processo di esclusione
porta al contrario, a ritenere che esista un contesto specifico, nel quale i
deliri vengono consolidati e rafforzati e che questo contesto si identifichi
con le procedure istituzionalizzate della custodia, dell'isolamento e della
cura a cui il «paziente» viene sottoposto.
Da una analisi
realistica del processo di esclusione come insieme di interazioni presenti nel
contesto sociale discende l'importante conclusione che la «comunità fittizia»
che compare negli schemi paranoici come soggetto di una continua persecuzione
non è il nucleo essenziale di una visione patologicamente alterata della realtà,
ma piuttosto l'effetto di una frammentazione della personalità, dovuta a un
lungo e intenso periodo di isolamento sociale. In questa conclusione è
implicita una critica radicale alla funzione terapeutica dell'ospedale
psichiatrico, il quale, paradossalmente, viene ad essere la sede in cui il
comportamento paranoide si sviluppa al massimo della
sua potenza deviante.
Ma al di là delle
manifestazioni specificamente psicotiche, c'è il problema dell'inabilità
sociale che nelle società industriali sviluppate non consiste soltanto nella
minorazione fisica o nell'analfabetismo o nella vecchiaia, ma anche e soprattutto
nella incapacità di usare tecniche simboliche - sia verbali che matematiche -
nel campo dei «mass media», della programmazione economica, dell'organizzazione
sociale. Questa incapacità non deriva necessariamente da una insufficienza
o da un'assenza di istruzione superiore, perché l'Università stessa, sempre
più orientata verso l'educazione di massa, non può fornire quel bagaglio di
abilità tecnologiche e di modelli di comportamento, che sono il veicolo del
potere nelle società industriali mature. Lo psichiatra Jurgen
Ruesch ci propone una «mappa della
emarginazione» in una società postindustriale come gli Stati Uniti: il centro
della società (governo, industria, finanza, scienza, ingegneria, esercito e
istruzione) è costituito dal 18% della popolazione adulta, con istruzione universitaria,
dotata di un Q.I. uguale o superiore a 111. Attorno a loro c'è un gruppo che
comprende il 49% della popolazione adulta, con istruzione liceale: queste
persone sono impiegate, per lo più, nel settore dei
servizi. Alla periferia «il 33% della popolazione adulta è fornito di educazione elementare e ci sono pochi lavori alla loro
portata. Insieme agli inabili, ai malati, agli incapaci, i non occupabili
vivono di sovvenzioni pubbliche e private, e il loro ruolo è essenzialmente
limitato al consumo dei servizi sanitari e assistenziali».
Traducendo queste percentuali, riferite alla popolazione adulta, in cifre
riguardanti la popolazione complessiva degli Stati Uniti,
i malati, gli incapaci e i giovani costituiscono il 65% della popolazione
totale».
Se ne può concludere
che la categoria dei «socialmente inabili» non può più essere né individuata né
trattata con i metodi tradizionali della tipologia psichiatrica. Il «disturbo
sociale» non è assimilabile né alla nevrosi, né all'infermità fisica; è una
conseguenza del meccanismo di sviluppo economico, del sistema d'istruzione e dell'organizzazione sociale in genere.
Qui è necessario distinguere due
dimensioni del problema dell'inabilità sociale: una dimensione «integrativa e
riformatrice» che opera nel lungo periodo e una dimensione «antagonistica» che
opera nell'immediato. In una prospettiva riformatrice, nel lungo periodo il
problema dell'inabilità sociale si può risolvere, reperendo
o inventando nuove mansioni professionali da affidare agli inabili, facendoli
rientrare in qualche modo nell'alveo produttivo. In una prospettiva più immediata
e forse più realistica il gruppo dei «marginali» e dei «disadattati», che non
possono essere «curati» da una qualche terapia medica, perché sono malati
sociali, costituisce una denuncia vivente al meccanismo di sviluppo economico e
al monopolio tecnologico che esso alimenta e che sempre più tende ad
accelerare.
A questo punto una specificazione è
indispensabile: questi problemi sono propri di uno stadio specifico dello
sviluppo industriale, quello di una società post-industriale, come appunto gli
Stati Uniti, ma possono identificare anche una fascia di transizione,
caratterizzata da un rapido processo di concentrazione industriale e di espansione del settore terziario e da una crisi delle
strutture scolastiche, a tutti i livelli, di fronte alle capacità tecnologiche
di nuovo tipo richieste dalla programmazione e dalla gestione industriale.
Questa sembra essere la fase in cui è recentemente entrata l'economia e la
società italiana. La problematica della «maggioranza deviante» è anche la
problematica della società italiana, ma questo fatto
non deve indurci a relegare in un secondo piano i problemi più immediati e
più urgenti della sanità, dell'assistenza sociale per l'infanzia e della
sperimentazione di terapie efficaci per la cura delle malattie psichiche.
SERGIO PIAZZA
AA.VV., L'Unità locale dei servizi: analisi di esperienze, Quaderno n. 20,
Fondazione Zancan (Riviera Tito Livio 17, Padova) ,
pp.
Il terzo seminario promosso dalla
Fondazione «E. Zancan» sul
tema dell'Unità locale di servizi è stato effettivamente e finalmente un incontro
qualificato collegiale ristretto di approfondimento e
di dibattito, in cui la sperimentazione è stata costantemente presente.
Anche se il seminario ha dimostrato che
non si può parlare - neppure nelle situazioni più aperte - di vera e propria
sperimentazione dell'Unità locale, perché nell'attuale assetto legislativo ed
istituzionale ciò risulta impossibile, ciononostante l'impegno di studio e di
verifica parziale, documentato nel presente Quaderno, è importante, proprio
perché nuove condizioni possono maturare con l'istituzione delle Regioni e con
l'avvio delle riforme sociali.
L'analisi critica di
esperienze concrete riportate costituisce un contributo per non
arrivare a queste nuove situazioni solo con un bagaglio di idee sull'Unità
locale senza nessuno scontro con la realtà, senza le problematiche che scaturiscono
dal vivere a livello di base queste esigenze e prospettive, e, avendo permesso
di scandagliare nelle esperienze vissute dai partecipanti, offrono elementi
di riflessione ulteriore e di orientamento.
L. AJELLO, L'azione politica e l'intervento sociale a
due anni dal terremoto in Sicilia, Edizioni EISS,
Il libro di Luciano Ajello si presenta serio nella
stesura ed ha in sé il rigore della critica nei confronti di una società che si
regge ancora su norme burocratiche piuttosto che sulla responsabilità delle
persone. Questa situazione si evidenzia in modo
drastico al verificarsi di eventi straordinari durante i quali un comportamento
equilibrato, un intervento tempestivo, responsabile eviterebbero l'aggravarsi
ed il complicarsi di atteggiamenti che non fanno che rafforzare un tipo di
cultura e di sistema, che rende sempre più prepotenti quegli uomini i quali si
trovano facilitati a manovrare la povera gente che alla loro prepotenza sono
costretti a rivolgersi ed a continuare a credere. Così restano in attesa di una giustizia che non verrà mai, continuano a
non credere al Governo ed alla Legge anche se avvertono che è stata data una
somma ingente per loro. Non ci credono perché alla massa va solo qualche
briciola e non serve stanziare molto se poi gli interventi non sono
raggiungibili per via delle molte infrastrutture strumentali e politiche.
Lo studio di Ajello è valido soprattutto perché si presenta utilizzabile
subito come intervento operativo. L'Autore ha analizzato in una prima parte la
situazione reale con tutto l'involucro politico-burocratico opprimente e tale
da impedire una graduale soluzione al problema. Nella seconda parte ha
valutato la carica umana ed i valori e le tensioni della popolazione, cardini
principali attraverso cui bisogna passare per la soluzione del problema dei
terremotati e dei meridionali tutti.
I provvedimenti legislativi attuati
a favore dei terremotati sono stati molti a titolo di contributi attraverso il
Governo,
Nella seconda parte l'Autore passa
ad analizzare e commentare il lavoro di intervista e
ricerca tra i vari operatori sociali e responsabili politici, interviste che
hanno confermato, semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto era andato già
scrivendo nella prima parte.
È risultato
infatti in una intervista effettuata su 27 assistenti sociali che le erogazioni
sono state fatte in base alle richieste dei vari leaders
locali che si sono adoperati ad ottenere il massimo di prestazioni per i loro
paesi, indipendentemente dai danni subiti e perciò non in relazione
all'accertamento reale del bisogno ma con accentuazione politica e personale.
Da ciò un atteggiamento passivo da parte della
popolazione che ha rivendicato certi diritti fossilizzandosi nel proprio
vittimismo, negli interessi particolari privi di una visione obbiettiva dei
bisogni della collettività.
Da questo quadro negativo si salvano
in parte i giovani che hanno sperimentato le assemblee popolari per stabilire
un contatto diretto tra amministratori ed amministrati, una formula questa che
garantisce un controllo e la smitizzazione del ruolo
degli amministratori.
È risultato
inoltre dalle interviste che il Servizio sociale da solo non può dare un aiuto
effettivo, se non è abbinato ad un lavoro interdisciplinare che rimanda a
monte i problemi non risolvibili solo a livello tecnico. Dalle interviste dei
57 leaders è risultata una
accusa allo Stato che, a loro dire, si è disinteressato ai problemi dei
terremotati; essi hanno evidenziato la lentezza burocratica e le incongruenze
legislative connesse alle discriminazioni per le assegnazioni avvenute da paese
a paese, e non ultimo la passività dei terremotati accusati di pretendere l'assistenza.
Come si è notato, c'è stata polemica
tra Stato e leaders locali e questo è stato un modo
per nascondere evidenti responsabilità nelle stesse discriminazioni e
speculazioni verificatesi. A giudizio dei leaders, le popolazioni meridionali non desiderano un reale
contributo, perché in loro esiste una sostanziale incapacità di prevedere un
futuro migliore.
Questa è una situazione sconfortante
perché sottolinea un sintomo diffuso di staticità ed
immobilismo, sintomo che fa comodo ai leaders perché
è l'unico modo per controllare da soli la situazione. Essi vogliono una
partecipazione della popolazione, ma solo a livello paternalistico e
clientelare.
Nessun cambiamento quindi ma lo
sforzo costante perché tutto resti come prima e si impedisca
alla gente di crescere.
L'unico spiraglio positivo
è stato dato dalle consultazioni dirette tramite il sistema delle assemblee
popolari che hanno avuto il merito, se non risolutivo del problema, di rendere
cosciente la gente dei propri diritti, dei soprusi patiti, della possibilità
che si può mutare qualcosa, se ci si rende conto attivamente delle situazioni
che vanno vissute direttamente e non subite per migliorarle.
In un contesto
simile il ruolo tecnico del servizio sociale, se avulso dalla partecipazione
interdisciplinare di altri operatori sociali e se non calato in organizzazioni
comunitarie con tendenza alla soluzione collettiva e non più individuale del
problema, non ha ragione d'essere.
Si auspica infatti
un lavoro su base comprensoriale e si punta ad un lavoro di crescita culturale
della popolazione, crescita da farsi insieme a loro e non sopra di loro con
imposizioni di nuovi e più moderni sistemi di vita con avallo tecnico,
valorizzando le tendenze comunitarie e di solidarietà della popolazione
meridionale che va aiutata a responsabilizzarsi del proprio futuro.
NOTA:
l'EISS (Ente Italiano di Servizio Sociale) oltre alla pubblicazione sopra
commentata ha pubblicato:
- Il fenomeno migratorio in Italia, a cura di Claudio
Francia;
- Il servizio sociale e il fenomeno della
mobilità, Atti del II Convegno nazionale di studi
indetto dall'EISS.
- Decollo sociale e partecipazione in un
comprensorio meridionale, Atti del seminario di formazione per il personale
dell'EISS promosso da Formez e dalla Cassa per
il Mezzogiorno.
- Servizio Sociale e programma di sviluppo
economico, Atti del I Convegno nazionale di studi
promosso dall'EISS e da «Rassegna di servizio sociale».
www.fondazionepromozionesociale.it