Prospettive assistenziali, n. 14, aprile-giugno 1971

 

 

NON SIAMO I SOLI A DIRLO

 

 

CLASSI DIFFERENZIALI, CLASSI SPECIALI E SCUOLA INTEGRATA (1)

 

Ho già detto in altra sede che a mio avviso tali Classi Differenziali sono ormai strutture scolastiche superate. Lo pseudo-debole e la maggior parte dei borderline devono andare nella classe normale e devono essere recuperati con tecniche sussidiarie stando nelle classi normali.

È chiaro perciò che ogni norma legislativa o circolare ministeriale, ogni azione del Ministero della Pubblica Istruzione tendente, come in que­sti ultimi anni, a diffondere tali Classi Differenziali nella Scuola Elementare e nelle Medie è antistorica, antiscientifica, antisociale e come tale decisa­mente da combattere.

Essa ritarda l'evoluzione della struttura della Scuola integrata (non in­tegrale, che è un'altra cosa) di cui vi parlerò, e aumenta artificialmente il numero degli pseudo-dotati (...)

Questa immissione, via via sempre più numerosa, dell'insufficiente mentale lieve ed anche medio-lieve nelle Classi Differenziali e quindi nella Scuola comune rispecchiava una necessità psicologica che a poco a poco si era fatta strada: si è cominciato a constatare che era meglio che l'ipo­dotato fosse educato nel gruppo comune, che gli fosse evitata una sepa­razione che poteva essere alienizzante, anche se, in pratica, questa separazione era richiesta dal mondo socio-culturale in cui la Scuola opera (genitori ed insegnanti compresi) e dal mondo scientifico che vedeva nella Scuola Speciale una facilitazione organizzativa e logistica per l'uso di particolari tecniche.

Ma l'evoluzione scientifica ha portato, come ho detto all'inizio, a dare sempre maggior importanza alla personalità dell'insufficiente mentale, ad impedirne il più precocemente passibile, il suo formarsi, il suo cristalliz­zarsi.

Da qui un punto fermo: l'insufficiente mentale medio e lieve deve andare alla Scuola normale.

Rimangono le Scuole Speciali o meglio le classi speciali per l'insuf­ficiente mentale grave o per un piccolissimo numero di pluriminorati che per ragioni varie debbono essere separati dagli altri, ma l'insieme di tutti questi soggetti rappresenta al massimo lo 0,50% della massa studentesca. (...) La Scuola è un'unità didattica e formativa per tutti. Il complesso scolastico deve d'ora innanzi coprire l'arco che va dall'alunno cosiddetto normale, fino all'insufficiente mentale ancora addestrabile. Tutto il processo formativo deve avvenire nella stessa scuola. Il bambino normale deve vi­vere a contatto del bambino che noi chiamiamo ancora «anormale» che ha una sua normalità, che ha un suo livello di comunicazione che ha una sua personalità, un suo mondo con cui noi non riusciamo a relazionare, perché non abbiamo mai cercato come e in che modo possiamo inserirci a quel livello e tipo di comunicazione. Ciò si ottiene soltanto con il tempo, studiando l'individuo insufficiente mentale, mongoloide o altro, nel com­plesso scolastico comune.

È un cittadino come gli altri e come tale ha diritto che la Società cerchi per lui le metodiche più adatte non solo per sviluppare la sua intelli­genza pratica e, quindi la sua recuperabilità sociale, ma che curi al mas­simo il suo inserimento nella società. Ciò è possibile non allontanandolo mai dai suoi simili, creando in lui il giusto senso di quella realtà che dovrà affrontare, e negli altri il giusto senso della variabilità umana che dovranno accettare e valorizzare con spirito comunitario, spirito che è spontaneo nel bambino quando non è inibito o distorto o dai genitori o dai maestri.

La pedagogia è l'insieme dell'azione organizzata dall'ambiente scola­stico in funzione educativa per un armonico inserimento sociale dell'in­dividuo. Noi abbiamo il compito di studiare ed adottare la pedagogia scientificamente più adeguata, senza dare ascolto ad elementi affettivi spesso condizionanti come quelli: «mio figlio non deve stare vicino ad un mongoloide», in quanto questo individuo, questo mongoloide, deve essere inserito nella società per il bene suo e per il bene della società dei cosid­detti normali.

Occorre affermare con decisione questi principi scientificamente giu­stificati oggi che sta per essere presentata al Consiglio dei Ministri una legge del Ministero della Pubblica Istruzione sull'organizzazione delle Scuole Speciali e delle Classi Differenziali completamente contraria a que­sto punto di vista.

È una legge che sviluppa un piano organizzativo nazionale senza prima considerare l'oggetto della legge e cioè l'insufficiente mentale e lo pseudo­debole da una parte, la validità delle Classi Differenziali e delle Scuole Speciali dall'altra.

La scienza sta dimostrando che è un assurdo scientifico parlare ancora di insufficienza mentale ma che dobbiamo parlare di incapacità strutturale di una personalità oligofrenica che noi abbiamo contribuito a creare, in quanto non siamo stati capaci di educare; è un'ipotesi di lavoro che non è più paradossale, anche se non può ancora essere realizzabile in tutti i suoi passaggi pedagogici.

Ciò nonostante è assurdo che, dopo aver tanto aspettato ed anche portato confusione, con varie circolari ministeriali, il Ministero della Pub­blica Istruzione fissi nell'ambito di una legge una materia in via di rapida trasformazione.

Molto meglio sarebbe che con una oculata circolare chiarificasse l'intero problema della pedagogia speciale dando la possibilità di adottare in forma sperimentale, ovunque sia possibile, l'impostazione organizzativa qui difesa, ed altre ancora che potranno venire.

Per questo deve dare la possibilità, come dicevo, di trasformare il complesso scolastico (meglio ancora se comprensivo della Scuola Materna) in una unità didattica e formativa per tutti, e cioè esso deve trasfor­marsi in quella che ho chiamato «Scuola Integrale». Al IV Congresso Internazionale di Igiene e Medicina Scolastica (1963), e poi anche in altri miei lavori successivi (Le pedagogie speciali nelle Scuole Elementari - 1964) ho adoperato la dizione «Scuola integrale» nel senso che spe­cificherò.

Qualche anno fa i pedagogisti hanno cominciato a parlare di Scuola Integrale nel senso di scuola a tempo pieno col dopo-scuola e con una completa organizzazione del tempo libero, non isolata ma aperta alle esi­genze della Società ed operante in stretta collaborazione con la famiglia. Ritengo perciò, per non creare confusione, di dover rinunciare al termine «Scuola integrale» da me precedentemente adoperato, e di adottare il termine «Scuola integrata» anche perché rende meglio il mio concetto didattico-clinico che completa quello dei pedagogisti.

Scuola integrata significa quindi sia l'integrazione di tecnici sia la modalità operativa nel contesto sociale.

Una Scuola integrata materna, elementare, media vuol dire quindi una scuola dove non solo si istruisce l'uomo, ma lo si forma. La scuola non è più, secondo il vecchio stereotipo, il luogo dove il maestro e il pro­fessore trasmettono una cultura, ma è il luogo dove un insieme di tecnici formano l'uomo. Naturalmente maestro e professore saranno sempre tra i più importanti elementi integranti, ma pares inter pares essi partecipe­ranno al complesso atto educativo insieme agli altri tecnici: il medico scolastico (o meglio il puericultore), l'équipe formata dal pedopsichiatra, l'assistente sociale, lo psicologo, i tecnici della riabilitazione, del linguag­gio, della ritmica e di altri disturbi settoriali, l'assistente educatore (moni­tore) oltre ad una serie di consulenti.

È da tener presente che nel mondo moderno, senza togliere mini­mamente alla famiglia la sua importanza strutturante, la Scuola acquisterà sempre di più un valore formativo, ma deve essere uno scuola nuova, una scuola integrata nei tecnici e nella modalità operativa, una Scuola a pieno tempo dove l'individuo possa essere aiutato in ogni settore della sua formazione.

Uno dei pochi interventi d'igiene mentale realizzabili contro il mondo nevrotico è fare una scuola nuova, moderna, veramente formativa, strut­turante; è impossibile perciò dare la responsabilità operativa ad un solo elemento, maestro o professore che sia, ma è necessario affiancargli altri elementi tecnici che insieme, in una forma pluridimensionale, costitui­scono questa nuova entità, la Scuola Integrata, per giungere a quella che Volpicelli una volta, con una felice espressione, definì la «didattica clinica».

Ritorniamo per un momento al nostro argomento e cerchiamo con un esempio di spiegare meglio il nostro concetto di Scuola Integrata. L'équipe, in base ad un ottimo dépistage, scopre un caso di grave instabilità psicomotorica che per uno scarsissimo potere di concentrazione presenta un ritardo scolastico piuttosto notevole. Seguendo i concetti che ho sopra esposto, lo deve lasciare nella classe normale, ma il suo compito finisce qui perché attualmente l'équipe fa il dépistage e segue solo i casi che immette nelle classi differenziali.

A questo punto cosa può fare il maestro dinanzi ad un soggetto che disturba, che ha un continuo prurito motorico, che rompe la dinamica di gruppo? Nuovamente chiede l'esclusione dalla classe attaccandosi allo scarso rendimento.

In una scuola integrata invece l'équipe manterrà il soggetto nella classe normale (naturalmente il numero degli allievi deve essere tale da rendere possibile un insegnamento quasi individuale), ma lo cura, lo segue insieme al maestro; studia con il monitore come impostare il lavoro nel dopo-scuola, interviene con altri tecnici (ginnastica ritmica, rieduca­zione psicomotorica per una non perfetta lateralizzazione o per un'alte­rata concezione spaziale, ecc.) a correggere eventuali alterazioni settoriali o imposta un'azione farmacologica. Contemporaneamente l'assistente socia­le analizza e provvede a correggere eventuali errori educativi familiari.

Io ritengo che di molti casi, se in tempo accertati, avremmo un rapido recupero. Senza questa possibilità è chiaro che è impensabile l'eliminazione delle Classi Differenziali e l'inserimento delle Classi Spe­ciali nella Scuola normale, ma senza la Scuola integrata è altrettanto im­pensabile l'azione educativa della Scuola per il gruppo dei bambini cosid­detti normali. La Scuola è oggi una delle cause più serie della nevrotizza­zione dei nostri figli. Anche per questo è indispensabile programmare e gradualmente realizzare, man mano che la presenza di tecnici formati lo consente, la Scuola integrata (...) .

Occorre che tutti gli insegnanti del complesso siano interessati e con­vinti del nuovo esperimento: eliminare le classi differenziali per pseudo­deboli, formare classi per ipo-dotati lievi e medi spostandone anche qual­cuno dalla Scuola Speciale, classi, il cui nome sarà da stabilire, ma nelle quali diversa è la meta didattica e quindi diverso il programma per rag­giungere un certo tipo di licenza elementare.

Le équipes lavoreranno per tutta la scuola, seguiranno tutti gli ipo­dotati, gli pseudo-deboli, nevrotici, caratteriali, ecc. che hanno bisogno di aiuto e collaboreranno giorno per giorno con l'insegnante, con i tecnici (anche a tempo parziale) cercando così di giungere ad una Scuola Integrata.

Già dal primo anno si potranno notare netti miglioramenti sul piano della personalità dell'insufficiente mentale: non più frustrato in una classe dove gli sarà richiesta tutta una serie di prestazioni legate all'intelligenza pratica, non più frustrato dalla frequenza di una scuola diversa da quella del fratello, parteciperà non inibito al clima accettante del doposcuola; lì incontrerà amici: lui saprà più o meno velocemente coordinare i suoi movimenti fini per poter disegnare o ritagliare, il compagno saprà leggere o fare i pensierini, ma forse tutti e due sapranno benissimo giocare a pal­lone l'uno come «ala», l'altro come «centroavanti»; bisticceranno per i «passaggi» ma creeranno una vera relazione interpersonale e non saranno possibili complessi di inferiorità da una parte, senso di rifiuto dall'altra.

Ambedue accetteranno, come normale, la diversa loro realtà su altri piani e la presa di coscienza della minorazione (che tutti gli ipodotati hanno ad una certa età dai 9 ai 12 anni - tolto un piccolo numero di gravi) avverrà senza gravi traumi, ma sarà sottovalutata o facilmente accettata perché la dinamica di gruppo con gli anni si è consolidata. L'ipodotato non si sentirà un isolato, un «idios» ma si sentirà accettato dal gruppo, dalla scuola tutta, dal maestro al bidello. Non apparterrà alla «classe degli scemi» ma sarà uno del complesso scolastico.

Fra l'altro noi abbiamo più volte osservato che questi soggetti, po­nendosi come parametro di confronto servono a ridimensionare l'ansia legata alla crisi preadolescenziale del soggetto normale. La conoscenza diretta e vissuta di realtà diverse, certamente più tristi e più sofferte, aiuta il preadolescente nelle sue crisi di individualizzazione, nella sua ricerca di uno scopo e poi di un ideale al di fuori della famiglia.

Favorire questi incontri, giungere alla comunità dei giovani, qualsiasi grado essi occupino come intelligenza nella curva di Gauss, ecco il nostro compito come pedagogisti in una Scuola Integrata, ecco il nostro sogno, non solo come studiosi dell'affascinante e promettente problema dell'in­sufficiente mentale, ma come uomini che hanno constatato il dramma esi­stenziale profondo di questi «esclusi», il dramma spaventoso di una ma­dre e l'impotenza sofferta di un padre che se li sono sentiti «escludere».

GIOVANNI BOLLEA

 

 

(1) Dalla relazione fatta da Giovanni Bollea alla «I giornata di studio sui minorati disadattati» organizzata a Terni dall'Amministrazione per le Attività Assistenziali Italiane e Internazionali (A.A.I.) il 6 dicembre 1969, e riportata in Neuropsichiatria Infantile, 116-117, 1970, pp. 902-912.

 

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