Prospettive assistenziali, n. 14, aprile-giugno 1971

 

 

NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE

 

 

CONVEGNO REGIONALE TRA FAMIGLIE AFFIDATARIE: LIMBIATE (MILANO), 17-1-1971

 

A cura dell'A.N.F.A.A. - Sezione Affidamenti (Viale Brenta, 7 - Milano - tel. 53.97.285) - si è svolto il 1° Convegno regionale fra famiglie affidatarie, di cui pubblichiamo un'ampia relazio­ne a cura dei coniugi Biavati e Orsenigo.

 

Sono state invitate al convegno le famiglie della regione che hanno in affidamento minori da vari enti (ONMI, IPPAI, ENAOLI, Tribunale per i minorenni, Amministrazione provinciale) e po­chissimi tecnici, assistenti sociali, psicologi, per­ché non si desiderava che una loro presenza po­tesse in qualche modo influenzare e intimidire i genitori affidatari.

Le esperienze di affidamento, pur non essen­do molte (circa duecento gli invitati), sono co­munque di vario tipo:

Le balie cui vengono affidati i bambini di età prescolare e che si sono decise a ciò come per un vero e proprio lavoro che ha lo svantaggio di una bassa retribuzione e il vantaggio di poter es­sere svolto a casa. È l'unica esperienza di affida­mento che esiste già in Italia da molto tempo. Queste persone sono quasi sempre delle vere e proprie mamme per i bambini loro affidati e il rapporto iniziato per motivi di guadagno si risol­ve quasi sempre in un rapporto affettivo con­creto, in un legame importante tra la balia e il bambino, anzi tra la nuova mamma e il bambino.

Affidamenti familiari di durata breve o anche indeterminata di bambini in famiglie che sono arrivate a tale decisione per altra via (impossi­bilità di adottare, esigenze di giustizia o di com­passione verso i bambini in istituto, ecc.).

Affidamenti a scopo terapeutico di bambini o ragazzi handicappati fisici e mentali, affinché ab­biano in una famiglia almeno l'affetto che pro­babilmente potrà ristabilire un clima di fiducia e migliorare le condizioni fisiche o psichiche del bambino.

Affidamenti di ragazzi grandi che hanno com­messo qualche reato, o provenienti da case di correzione, quando il Tribunale per i minorenni ritiene che il ragazzo, non avendo una famiglia adatta, possa essere inserito in una famiglia per rieducarsi e correggere i propri difetti, cosa che gli istituti per corrigendi non sono proprio in grado di fare.

Focolari: persone o famiglie che si prendono cura di alcuni bambini o ragazzi contemporanea­mente.

Per tutti i casi è quasi sempre prevista da parte degli enti una retribuzione mensile che co­munque di solito è appena sufficiente quale rim­borso spese.

Si è sentita l'esigenza di incontrarci per co­noscere i problemi comuni, nel migliore interes­se dei bambini affidatici e per tentare di scoprire, attraverso le singole esperienze, i pregi e i di­fetti con cui tali affidamenti erano iniziati e con­tinuati; pregi e difetti che se criticamente osser­vati possono essere in futuro di base per un mi­gliore lavoro da parte degli enti, in modo da uti­lizzare un importante servizio sociale come l'af­fidamento familiare nel migliore dei modi.

Il convegno, che è il primo in Italia tra fami­glie affidatarie, è stato pertanto ritenuto neces­sario per conoscere i fattori che sono determi­nanti per il buon inserimento del minore nella famiglia: rapporti con l'ente che affida il minore, con i genitori naturali, programma per il futuro del minore, problemi di carattere economico e giuridico.

Furono pregati di prendere la parola solo i genitori affidatari in modo che siano le singole esperienze a permettere una valutazione globale dei problemi che ne scaturiscono, favorendo an­che un ripensamento ad assistenti sociali, psico­logi e dirigenti degli enti che erano presenti.

Riassumiamo i problemi che ne sono scaturiti risentendo i vari interventi come dalla viva voce dei genitori affidatari, e tentando di commentare in breve, proponendoci un approfondimento dei vari temi trattati in un prossimo futuro.

 

Problemi affettivi

Sono molto sentiti in tutti i problemi affettivi: il legame che si crea è un vero legame di geni­tori e figli; un distacco è un trauma per entrambi, in particolare per i bambini piccoli.

Sentiamo parlare i genitori:

«Li ho tenuti per due anni; i primi affetti, le prime parole gliele ho insegnate io; e a un certo punto basta, li hanno dati in adozione, non ne so più niente; neanche una cartolina. Staranno bene? Staranno male?».

«Li ho tenuti per otto anni, poi li hanno adot­tati. Mi hanno chiesto se volevo adottarli io, ma mi hanno lasciato poco tempo per decidere (sen­za un aiuto economico sarebbe stato difficile). Ora li andrei a riprendere e li adotterei in qual­siasi momento».

«Ho un subnormale da quattro anni, forse è adottabile; ma non lo lascerò mai; se me lo chie­deranno non lo lascerò. Il nostro è un lavoro, ma si fa con amore, come il medico».

«La mamma è venuta a riprenderselo senza neanche avvertirmi, ho telefonato all'ONMI, alla assistente sociale e mi hanno detto di darglielo. Sono andata a trovarlo, il bimbo, varie volte, e quel bimbo sta in una casa, una poverissima casa come le stalle. Il bambino mi conosceva e voleva venire via con me».

«Dopo otto mesi che l'avevo è venuta l'assi­stente, era bello grasso, era diventato un fiore, mi viene ancora in mente, è venuta e mi ha det­to: “C'è la mamma che lo vuole”. Me l'ha fatto su e l'ha portato via. E mi avevano detto che lo potevo tenere perché la madre, appena nato, non aveva neanche voluto vederlo, aveva rinunciato. Mio marito ha avuto una crisi al cuore. È giusto? Quando mi sono lamentata, mi hanno detto: "Ma non si fa così! Non dovete prendervela! Lo sape­te che non sono vostri!"».

«L'avevo da sette anni e mi hanno detto che io non potevo curarlo, perché sono troppo vec­chia e lui che è subnormale, ha bisogno di una scuola speciale. L'hanno mandato lontano a scuo­la e io quando potevo lo andavo a trovare, ma ogni volta lo trovavo peggiorato. Non me lo da­vano perché dicevano che ero vecchia, e che dovevo morire. Ma poi me lo sono ripreso. E per sette mesi non mi hanno dato niente, ma pur di tenere il mio bambino, andava bene anche così. Poi mi hanno dato qualcosa».

«È assurdo che un bambino debba tornare in una famiglia che non sente più come sua. Or­mai è legato a noi, non può essere portato via da un momento all'altro, ci vuole almeno un pe­riodo transitorio».

«Ora mi si è affezionata. Dovrebbero toglier­mela solo quando lei potrà decidere da sola».

Da tutto ciò si vede come purtroppo in Italia, nonostante la recente legge sull'adozione specia­le, il legame più importante sia considerato quel­lo del sangue; mentre il legame affettivo che ve­ramente rende un bambino figlio, e una coppia suoi genitori, è ancora sottovalutato.

E quando invece, ligi alla nuova legge, final­mente gli enti riescono a far dichiarare un bam­bino in stato di adottabilità, sono capaci di sot­trarre il bambino alla famiglia affidataria dove ha un affetto familiare già costituito (ma «retri­buito») per darlo a nuovi genitori adottanti (sen­za spendere più una lira). E alla famiglia affida­taria, alla balia, danno un altro bambino (come un cambio di merce).

Questo modo di fare segue le parole della legge sull'adozione, ma non il suo spirito: non cerca il miglior bene del bambino, per il quale tali cambiamenti sono veri e propri traumi. La maggior parte delle balie che ha parlato, ha forse espresso più il proprio dispiacere che non il be­ne del bambino, ma dobbiamo essere capaci di sentire al di là delle parole e di pensare ai bam­bini che sono le vittime di tali cambiamenti.

Nella proposta di legge recentemente inviata dall'ANFA ad alcuni deputati per ottenere alcune modifiche alla legge sull'adozione, si chiede an­che che un affidamento possa diventare adozione dopo tre anni, se nel frattempo non ci sia stato un vero interessamento da parte dei genitori di origine verso il figlio affidato.

Questa è solo una proposta e anche se diven­tasse legge potrà essere usata bene o male. Chiediamo agli operatori sociali degli enti di riu­scire ad identificarsi coi bambini, di mettersi nei loro panni quando, in maniera burocratica, li sbal­lottano di qua e di là; e allora forse ripensereb­bero quale piega dare alle cose per ottenere dav­vero il bene di quei bambini!

In generale per i bambini minori di sei anni, riteniamo che debba essere allargato il concetto di abbandono per permettere più facilmente al minore di avere una famiglia (adozione) o per lo meno, se un affidamento di un bimbo piccolo fosse l'unica soluzione possibile, l'affidamento dovrebbe essere garantito a lungo termine.

Sentiamo ancora le voci dei genitori:

«Il ragazzo è un subnormale, non sta fisso con noi, passa con noi i week-end e le vacanze e le feste, ma ora dovrà cambiare istituto e an­drà troppo lontano.

Si è creato un rapporto affettivo; lui chiama "casa mia", la nostra. Cosa ne sarà di lui, se dovrà cambiare istituto, e noi non potremo più andare a prenderlo?».

«Ora ha diciassette anni, ci vede pochissimo, così non riesce a trovare lavoro; ha fatto solo fino alla terza media perché leggere lo affatica­va. Non ho mai chiesto niente non un contributo, ma ora il ragazzo ha bisogno: è lui che ha biso­gno: l'IPPAI dovrebbe aiutarmi».

Non si può dire che sia colpa di questo o di quell'ente: è tutta la società che, demandando i problemi dell'assistenza alle «autorità compe­tenti», attraverso la sua burocrazia, rifiuta a co­loro che «non producono» i più elementari di­ritti come quelli dell'affetto di una famiglia e del lavoro.

Un problema come quello dell'assistenza in Italia è uno scandalo che coinvolge tutta la so­cietà, che colpisce ed esclude i vecchi, i disa­dattati, gli handicappati, i malati di mente, i «di­versi» e gli «improduttivi». Se è tutta l'assi­stenza che va cambiata, allora in questa luce molti problemi dell'affidamento familiare non so­no esclusivi dell'affidamento stesso, ma sono più generici e si riferiscono a tutte le famiglie e a tutti i bambini (difficili situazioni economiche, particolari problemi psicologici, difficoltà fisiche o psichiche, ecc.).

 

Problema economico

Il problema economico, pur non essendo sta­to ritenuto quello di maggior importanza, è stato un punto particolarmente sentito; ecco alcune voci dei genitori affidatari:

«Da quattro mesi l'ONMI non mi dà più soldi».

«Il padre prima mi pagava un po' di vestiti per il bambino, ma ora che l'ONMI mi ha aumen­tato a 40 mila ha detto che prendo troppo e non mi dà più neanche gli assegni familiari del bam­bino».

«La bambina è ritornata in istituto: ci erava­mo accordati coll'ente su una certa cifra, ma non abbiamo mai ricevuto niente e non possiamo. Ab­biamo ora chiesto a un avvocato di farci ottenere almeno gli arretrati».

«L'ENAOLI mi aveva dato il bambino con 25 mila lire al mese e il padre mi doveva gli assegni del bambino, 5 mila lire. Ma dopo un po' non me li ha più dati. Adesso sono 150 mila lire che mi dovrebbe dare».

«Ho chiesto che mi aumentino un po', ma niente. Il padre mi darebbe qualcosa, dice, ma non mi fido. Li vorrei, i soldi, dall'ONMI».

«In istituto il mantenimento dei bambini co­sta 70 mila - 120 mila al mese e più, perché a noi danno così poco?».

«Prendo solo 25 mila lire per il bambino che è malato, non è normale, ma piuttosto che me lo riprendano mi accontento di così poco».

«A che età smetterà il contributo? E dopo?».

Il miglior bene del bambino, quando abbia una famiglia che sia più o meno capace di educarlo, è certamente il vivere nella propria famiglia. La nostra società impostata sull'economia, sul da­naro, anziché sull'uomo, sulla vita umana, paga il lavoro svolto in base al suo valore commerciale e non fa distinzione se con quella paga si dovrà sfamare una, due o dieci bocche: solo gli assegni familiari, offensivi tanto sono irrisori, sono l'aiu­to della nostra società a quei bambini che vivono in famiglie povere. È proprio il tipo di assistenza invece che dovrebbe maggiormente coinvolgere tutti per dare ad ogni bambino la stabilità di un affetto familiare.

Alcuni enti hanno iniziato un tipo di assisten­za rivolto alla famiglia di origine, ma in maniera del tutto inadeguata (esempio: il comune di Milano ha stanziato per 819 bambini, nel 1969, 10 mila lire al mese, da dare alle famiglie ed evitare così il ricovero in istituto). Ma cosa dire quando gli stessi enti pagano invece agli istituti cifre molto più alte? Evidentemente la nostra società preferisce ancora inserire i bambini negli istituti anziché tentare di risolvere i loro problemi la­sciandoli alle loro famiglie (esempio: lo stesso comune di Milano, ha stanziato nel 1969 per il ricovero permanente di 1500 minori, 65 mila lire al mese di media). Altri enti pagano agli istituti cifre inferiori alle 65 mila lire al mese, lasciando così i singoli istituti nella necessità di fare ricor­so alla beneficenza, e ciò è ancor più vergogno­so per la nostra società che in questo modo di­mostra di non accettare un dovere di giustizia verso questi minori, ma, attraverso i benefattori, si vanta di «beneficare» gli stessi minori che ha invece il dovere di mantenere.

E le famiglie affidatarie? Per la loro opera educativa e di mantenimento dei bambini affidati ricevono, nella nostra regione, dalle 25 alle 45 mila lire al mese (in casi eccezionali 70 mila). Cifre di questo genere spesso non bastano nep­pure come rimborso spese, mentre invece tale lavoro di educatori potrebbe essere retribuito se non altro per testimoniare l'importanza del lavo­ro stesso e per non creare altre discriminazioni economiche tra chi già ha e chi non ha (negli Stati Uniti la famiglia affidataria, oltre al rimbor­so spese, riceve una specie di stipendio). Rite­niamo che un sistema per collegare la retribu­zione alla vita della società possa essere quello di fissare come base un valore desunto dal red­dito medio locale (a Milano è di 100 mila lire al mese per persona) o per lo meno dal costo della vita, e variarlo a seconda dell'età del minore, del bisogno di cure ecc.

Sebbene noi siamo famiglie affidatarie, e pur riconoscendo l'importanza del nostro lavoro, te­niamo a riconfermare l'assoluta necessità di non togliere i bambini alle loro famiglie, appena ciò sia possibile, dando a queste quei contributi eco­nomici, di consulenza medica, psicologica ed educativa, che altrimenti verrebbero dati agli isti­tuti, o alle famiglie affidatarie per l'educazione del minore.

Ancora un punto che riguarda l'aspetto eco­nomico: ci sembra davvero scandaloso che alcuni enti non paghino nonostante gli accordi presi, o sospendano arbitrariamente i pagamenti (diverse famiglie si sono lamentate di tale situazione). Finché tali accordi non saranno bilaterali e scrit­ti, gli enti avranno sempre buon gioco a prendere decisioni unilateralmente.

 

Rapporti coi genitori d'origine

Ecco le voci di alcuni genitori affidatari:

«I genitori naturali sono venuti arrabbiatissi­mi a trovarci a casa. Noi avevamo chiesto di co­noscerli prima di avere la bambina, ma invece non sono nemmeno stati preavvertiti: le prime settimane sono state tremende, e anche adesso ... e chi ci rimette è la bambina, perché io per queste ragioni non sono abbastanza serena nei miei rapporti con lei».

«Noi abbiamo buoni rapporti coi genitori na­turali perché ci eravamo accordati prima, ma ora la bimba è più attaccata a noi che a loro».

«Se il bimbo resta in istituto, i suoi genitori lo sentono più loro e sono più contenti: almeno quando lo vanno a trovare sono sicuri che gli butterà le braccia al collo, mentre se va in una famiglia, si affeziona lì».

È ancora purtroppo diffusa l'opinione che i bambini stiano meglio in istituto che nella pro­pria famiglia quando questa ha difficoltà ad alle­varli, specialmente se è povera, fino al punto che da molte parti sono le autorità del luogo (parroco, sindaco, maestre) che ne consigliano il ricovero in istituto.

Dicono: «I più piccoli sono curati, i più gran­dicelli possono avere una istruzione che altri­menti non avrebbero». E quando i motivi per mettere un proprio figlio in istituto non sono le condizioni economiche o la possibilità di istru­zione, il pensiero dominante per la maggioranza delle persone è che i bambini negli istituti stan­no bene. È quindi incomprensibile a molti geni­tori naturali il perché di un affidamento di un proprio figlio ad un'altra famiglia, dove certamen­te il bambino si affezionerà e dove - pensano - forse non sarà tenuto così bene come in istituto (questa istanza è la prima a rodere il pensiero dei genitori naturali e diminuisce, mentre man mano cresce l'altra preoccupazione, in fondo più grave per loro, di un affezionarsi del bambino verso i nuovi genitori, che volendo o no, certa­mente altera i rapporti del bambino con loro).

Certo che se verso genitori d'origine, così sospettosi a proposito dell'affidamento del bam­bino, ci si muove (cioè si affida il bambino ad altra famiglia), senza nemmeno chiedere il loro consenso o almeno senza nessun preavviso, in questi casi è ovvio che a subirne le conseguenze sarà la famiglia affidataria, e, soprattutto, il bam­bino affidato, che sente il conflitto tra le due fa­miglie.

I rapporti tra le due famiglie sono già tanto delicati di per sé, che devono essere impostati con la massima attenzione. In questo è fonda­mentale l'atteggiamento dell'ente, che è tramite tra le due famiglie, per tentare di stabilire un rap­porto il più possibile naturale; una famiglia non riesce per vari motivi a educare un figlio, e di questo figlio si prende cura per un certo tempo un'altra famiglia.

 

Durata dell'affidamento

È un problema che dalle seguenti preoccupate frasi di alcuni genitori affidatari potrebbe sem­brare un po' montato dal loro naturale desiderio di tenere per sempre il bambino affidato, mentre invece è ovvio che il rapporto educativo cambia a seconda della durata prevedibile di un affida­mento:

«Quanto durerà? La tengo tre o quattro anni, poi me la riprendono? Sarà un trauma! Dovrei sapere prima la durata».

«Se è per poco tempo, ci sono certi legami coi genitori naturali che devono essere mante­nuti; se sarà prevedibile a lunghissimo termine, la presenza dei genitori naturali può creare una doppia figura di padre e di madre e disturbare il bambino».

«Mi hanno detto all'ONMI di chiedere alla madre naturale di rinunciare alla bambina, così sono sicura che resta sempre con me! È mai pos­sibile? lo voglio solo sapere quanto tempo!».

Si deve sapere la durata: così ci sarà un pe­riodo transitorio prima di farli tornare alla loro famiglia d'origine. Si dovrà tentare di chiarire con entrambe le famiglie (d'origine e affidataria) quale sarà la durata dell'affidamento, in modo da trovare un- accordo sul tipo di rapporti.

Per i bambini piccoli poi si dovrà fare in mo­do che se l'affidamento non è prevedibilmente di brevissima durata, possano essere dati in ado­zione agli affidatari; oppure sia assicurato un affidamento continuativo fino a quattordici anni circa, garantendo loro una stabilità e continuità di affetti familiari.

 

Rapporti con l'Ente

In tutti i punti già toccati i genitori presenti hanno potuto indicare varie disfunzioni di rap­porti con gli enti, ma altri problemi specifici so­no stati messi in luce:

«Troppi enti diversi, e anche quelli che danno i bambini in affidamento, poi dopo se ne disin­teressano».

«Non ci trattano da persone, ma da clienti, e anche le famiglie originarie le trattano male, anzi peggio».

«Prima hanno detto che potevo adottarla, poi hanno mandato i genitori che l'hanno ripresa». «È adottabile. Se un domani decidono di dar­lo in adozione, io come faccio a tenerlo senza l'aiuto economico, che sono vedova e ho solo una piccola pensione?».

Oggi sulle spalle delle famiglie affidatarie ri­cadono tutte le conseguenze delle disfunzioni, degli errori dell'attuale prassi dell'affidamento.

Come può la famiglia affidataria svolgere se­renamente il suo lavoro di inserimento dei bam­bini affidati, se tutti i delicati rapporti fra l'ente, la famiglia d'origine e la famiglia affidataria ven­gono lasciati sulle spalle di quest'ultima o peg­gio vengono affrontati unilateralmente in maniera burocratica dall'ente? E quando si arriva alla de­cisione di affidare un bambino, le due famiglie e l'ente, tutti assieme, devono fare per quel bam­bino un programma di massima nel quale s'impe­gnano tutti a lavorare per portare a normalizza­zione la situazione del bambino. E se i bambini che vengono dati in affidamento sono già ragazzi, essi stessi devono collaborare nella discussione di tale programma che può avere tanta influenza sul loro futuro.

Si spera che con le regioni gli enti possano scomparire per lasciare il posto ad un unico or­ganismo per tutti i problemi dell'infanzia, ma questo non basterà se non ci sarà parallelamente una maggior sensibilizzazione degli operatori so­ciali e di tutta la società in cui viviamo. Colui che veramente ha bisogno di veder rispettato il suo diritto di avere una famiglia, e di essere amato, cioè il bambino, cioè il più debole, è spes­so dimenticato sia dagli operatori sia da tutta la società ed è alla fine sempre colui che ci ri­mette; perciò si sente la necessità di una sensi­bilizzazione dell'opinione pubblica su questo pro­blema.

 

Problemi di carattere giuridico

«Di chi sono le responsabilità civili e penali per questi bambini?».

«Una legge è necessaria per regolamentare tutte queste cose. E debbono essere le famiglie affidatarie ad interessarsene, perché chi altri vi­ve questi problemi così profondamente?».

«Si deve far capire cosa vuol dire essere fi­gli e cosa essere genitori: non è il legame del sangue. Non è solo farli i bambini che si diventa genitori!».

«Nel caso che il bambino diventi adottabile il Tribunale dei minorenni dovrebbe per prima cosa chiederlo a noi se vogliamo adottarlo».

«L'ideale per ogni bambino sarebbe la sua famiglia che molte volte non viene aiutata abba­stanza: ci dovrebbero essere delle leggi anche per questo».

«Qual è la prassi da seguire per avere un minore in affidamento?».

«C'è una legge sull'affidamento familiare?».

«Dobbiamo farla noi la legge insieme ai tec­nici degli enti, perché anche noi siamo dei tec­nici con tutta l'esperienza educativa che abbia­mo, soprattutto se da questo incontro ci impe­gneremo per salvaguardare i diritti dei bambini».

Questo è un punto chiaro: i genitori affidatari hanno coscienza della loro funzione, sono colla­boratori dei tecnici dei vari enti e come tali deb­bono essere sentiti. Bisogna che gli enti accet­tino e capiscano la necessità di tale collabora­zione (necessità, non solo opportunità).

I problemi connessi con una migliore regola­mentazione sono molti: primo fra tutti forse il problema dell'affidamento dei bambini piccoli ai quali bisogna garantire una continuità e una sta­bilità di affetti familiari.

Ciò sarà possibile solo se il concetto di stato d'abbandono sarà meglio valutato dagli assistenti sociali e dai giudici minorili, che, per pensare se il bambino ha o non ha affetto familiare, si debbono mettere nei panni del bambino.

Per i casi particolarmente difficili di bambini handicappati si dovrà dare la possibilità, ad ogni famiglia che ne fa richiesta, di essere sempre aiutata economicamente, sia che si tratti di ge­nitori naturali che di quelli adottivi che di quelli affidatari.

Pensiamo che la famiglia affidataria dovrebbe poi avere un aspetto giuridico ben definito nei confronti del bambino ed inoltre avere opportune garanzie relativamente ai danni che il bambino può subire o fare.

Vari genitori alla fine del convegno hanno de­ciso di portare avanti uno studio dei problemi emersi, in comune anche con alcuni tecnici già sensibilizzati alla necessità del lavoro delle fa­miglie, e si dichiarano pronti a collaborare con gli enti in maniera paritetica, sperando di far di­ventare il lavoro educativo dell'affidamento una valida alternativa all'istituto.

I problemi che oggi maggiormente ostacolano la buona riuscita dell'affidamento familiare e sui quali si baserà specialmente lo studio, saranno principalmente:

- incertezza sulla durata dell'affidamento;

- mancanza di una fisionomia giuridica; - problemi economici;

- condizione dei rapporti coi genitori d'origine;

- affidamento familiare come concreta alterna­tiva alla istituzionalizzazione, e perciò:

- sensibilizzazione dei giudici minorili,

- sensibilizzazione degli assistenti sociali,

- sensibilizzazione dei direttori degli istituti,

- sensibilizzazione dell'opinione pubblica;

- inquadramento del problema dell'affidamento nel più vasto campo dell'assistenza.

Successivamente un gruppo di genitori affi­datari decide di far parte dell'Associazione Na­zionale Famiglie Adottive e Affidatarie (ANFAA) formando la Sezione Affidamenti, e aderisce quin­di alla Unione per la Promozione dei Diritti del Minore.

 

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