Prospettive
assistenziali, n. 14, aprile-giugno 1971
NOTIZIE
«PER UNA RIFORMA DELL'ASSISTENZA NEL
QUADRO DI UNA POLITICA REGIONALE DEI SERVIZI SOCIALI»
Su questo tema, per iniziativa del
Comitato Lombardo per i problemi degli handicappati e dei disadattati, ha avuto luogo a Milano presso il Piccolo Teatro, Via Rovello
2, il 17 aprile c.a. un Convegno.
Il Comitato promotore era composto da: AGN (Associazione Gaetano Negri); AIAS (Associazione
Italiana Assistenza Spastici); ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie
Fanciulli Subnormali); ANIEP (Associazione Nazionale Invalidi Poliomielitici);
ASCOMIN (Associazione Comunità Invalidi); UILDM (Unione Italiana lotta distrofia
muscolare); Centro Neurolesi Giuliano Giuliani -
gruppo sperimentale L.G.; Gruppo Assistenza Minori
di Varese; Gruppo S. Marini di Trento; Unione Femminile
Italiana; Lombardia Domani; Centro di Cultura G. Puecher;
Relazioni Sociali; ACLI; CIF; UDI; DC; PCI; PLI; PSDI;
PSI; PSIUP.
Coordinatore: Dott.
Giacomo De Antonellis.
Ha aperto il convegno il prof. Carlo
Trevisan con una relazione generale sul tema del Congresso.
Sono quindi seguite le relazioni dei
quattro gruppi di lavoro:
1° - Nella I parte
la relazione su «Ricerca e prevenzione»
ha affrontato il tema della «anormalità», i cui criteri vengono enormemente ampliati
in una società basata su una sempre maggiore competitività, la cui ideologia
esalta l'efficienza e la produttività.
Inoltre gli squilibri economici e
sociali, l'emigrazione di massa, la pendolarità, la
distruzione dei rapporti sociali nelle campagne, la congestione delle grandi città industriali, sono tutti fenomeni che
causano e accentuano il disadattamento.
È quindi importante nel campo della
ricerca aver chiaro l'obiettivo di una conoscenza più sistematica ed
approfondita sulla genesi e sulla evoluzione dei fenomeni
morbosi sia fisici che psichici, che portano a qualsiasi forma di disadattamento
e sulle reazioni che il corpo sociale ha rispetto a tali fenomeni.
La prevenzione quindi si può
articolare in due momenti distinti, sebbene collegati tra di
loro; la prevenzione primaria volta alla lotta contro le cause del
disadattamento, lotta affidata alla politica in generale e a tutte le forze
sociali, compresi i tecnici del settore.
La prevenzione secondaria volta a
prendere tutte le misure, tecnicamente oggi possibili, contro la tendenza della
società a emarginare ed isolare in ghetti sia gli
handicappati sia i disadattati, per lo più ritenuti e resi tali dalle strutture
della nostra società.
La relazione conclude
con una serie di norme legislative che devono regolare l'intervento sociale
affidato alla Regione.
2° - Relazione su «Istituto e alternativa all'istituto».
Dopo un'ampia esposizione corredata
da dati sull'istituzionalizzazione nell'attuale gestione assistenziale, come
punto d'arrivo dell'intervento, la relazione pone l'accento su quelle che possono
essere le alternative all'istituto, negando l'istituto
custodialistico e l'istituzione totale chiusa; il
ricovero deve nascere da una valutazione la più ampia e seria possibile del
bisogno e in quanto a intervento sia ad esso proporzionato e finalizzato, miri
cioè al suo trattamento e superamento.
Nel breve, medio periodo sembra si
possa lavorare in due sensi:
A) Per coloro che non sono ancora ospiti in
istituto: mettere l'handicappato in condizione di poter vivere in famiglia:
1) Un servizio domiciliare gratuito
operi nella zona e una équipe
comprendente medico, psicologo, infermiere, educatore, assistente sociale,
dovrà sviluppare il suo compito in due direzioni: sviluppare essa stessa il
servizio richiesto - preparare, sensibilizzandolo o responsabilizzandolo,
l'ambiente della zona perchè sappia affrontare con conoscenza i vari problemi
e completare volontariamente il servizio necessario.
2) Formazione di strutture educative
riabilitanti possibilmente in ciascuna zona o in zone
limitrofe, in modo che l'handicappato «viva» e si riabiliti nella zona in cui
dimora e fra la gente che domani lo potrà aiutare.
3) Preventivare interventi
finanziari agli handicappati (sotto forma di assegni
mensili o simili) assolutamente privi di possibilità di guadagno: interventi
finanziari adeguati alle sue necessità effettive e diverse, a seconda degli handicaps, e al reale costo della vita: per tutto il
periodo e solo per quello del suo effettivo stato di bisogno.
4) Sperimentare e avviare comunità,
gruppi familiari locali, seguiti dalle équipes zonali
che possono sostituire in modo adeguato la famiglia carente o
mancante.
5) Appoggiare temporaneamente, vale
a dire per l'arco di tempo richiesto per la
riabilitazione specializzata, il soggetto particolarmente bisognoso, in età di
obbligo scolastico o plurihandicappato, ad istituti
aperti temporanei che ripetano il più possibile il clima ed il ritmo
familiare.
B) Per gli ospiti di istituti di tipo internato
permanente:
1) Una speciale commissione zonale o
locale vaglierà le richieste di ricovero per valutare se questa è veramente
l'unica possibile soluzione per venire incontro a quel tipo di bisogno.
2) Gli istituti dovranno programmare
la loro ristrutturazione interna per meglio adempiere al
servizio richiesto e valorizzare al massimo anche le più piccole possibilità
delle persone ospitate, vale a dire:
a) riunire gli ospiti in piccoli
gruppi famiglia;
b) valutare più
scientificamente i problemi di convivenza all'interno dell'istituto;
c) preparare nell'interno il
personale onde sia in grado non di improvvisare, ma di
compiere con competenza ed umanità il compito richiestogli.
3) Potenziare l'apertura alla
società nei due sensi, cioè dall'interno verso
l'esterno e dall'esterno verso l'interno, onde arrivare a una maggiore
socializzazione degli ospiti, creare stimolazioni di interessi più vivi che li
aiutino a formarsi o ricostruirsi o consolidarsi una personalità e a renderli
partecipi, per alcuni di fatto, e per altri sul piano della solidarietà umana,
della società.
3° - Relazione «Formazione
del personale».
Dopo una breve esposizione della
situazione attuale in Italia che denuncia la carenza
del personale specializzato soprattutto nel settore sanitario, la relazione
verte sull'azione che
A questo fine si suggerisce:
a) Sollecitare la promulgazione di
una legge a livello nazionale che delimiti la figura e le mansioni dei tecnici
e conferisca ad essi riconoscimento giuridico.
b) In
attesa di una legge organica nazionale,
Questi centri provvedano
pure alla preparazione dell'altro personale necessario per i servizi
sanitari, psichiatrici, socio-assistenziali. Ad essi
sia demandato anche il compito importantissimo dell'aggiornamento periodico
obbligatorio dei tecnici e degli educatori.
I centri devono stabilire una
costante collaborazione con i Comuni, le Università, gli Enti e le
Associazioni che operano nella Regione, al fine di creare le condizioni
ottimali per il loro funzionamento, l'inserimento lavorativo degli
allievi, l'elevato livello della formazione impartita.
In attesa di una soluzione organica
nazionale
Infine
Il professionista deve sapere
intervenire non solo sui soggetti in particolari situazioni, per es. di
disadattamento, ma anche sull'ambiente: famiglia, scuola, fabbrica, quartiere,
quale concausa del disadattamento e del ricupero. Gli interventi così
finalizzati e inquadrati, non potranno naturalmente essere settoriali,
ma conseguenti a un lavoro di équipe e di
coordinamento in cui saranno coinvolti e corresponsabili tutti i professionisti,
come esperti, e la comunità come cogestore.
4° - Relazione su «Unità locale dei servizi».
Una prima parte è dedicata alla
denuncia delle carenze nel sistema assistenziale
attuale mettendone in evidenza la discrezionalità, il taglio classista, la
strumentazione emarginante, la gestione centralizzata burocratizzata e
frammentaria, che determina sovrapposizioni e vuoti; impersonalità, deresponsabilizzazione.
Non si vede come una politica dei
servizi possa essere programmata e gestita indipendentemente da una politica
sanitaria, da una politica scolastica e ,culturale,
da una politica del tempo libero, da una politica della casa e del territorio.
E questo non solo a livello nazionale o regionale, ma proprio a livello dell'ente
locale, dove appunto diversi interventi devono produrre una risposta
organica, globale, unitaria alle attese sociali.
Il diritto alla salute, ai servizi
sociali, al lavoro, all'istruzione, al tempo libero, rappresenta un complesso
interdipendente di diritti che il cittadino deve esigere in modo unitario e globale. L'adeguatezza della risposta non può essere garantita
dalla concertazione e dall'autocoordinamento degli
organi settorialmente responsabili, come l'esperienza insegna, ma solo dall'inquadramento
dei diversi servizi in un'unica struttura, programmata e controllata dall'ente
locale, che
deve godere di adeguata autonomia,
potere ed elasticità di gestione.
Suscita perciò ampie perplessità la
costituzione di fondi nazionali settoriali. Se loro
scopo era quello di garantire certe risorse finanziarie ad iniziative di
riforma di grande rilevanza sociale, ove tale
impostazione venisse riproposta con riferimento ai vari servizi e si ponesse
come permanente, ogni autonomia di ripartizione della spesa a livello
regionale e locale verrebbe meno, cristallizzandosi una rigidità di bilancio
controproducente sia in ordine all'ottimizzazione delle prestazioni come in
ordine alla valorizzazione delle possibilità offerte dalle autonomie degli enti
regionali e locali.
D'altra parte non si può non temere
anche un ulteriore svuotamento dell'ente locale,
ridimensionato di volta in volta nella sua funzione politica da strutture che
possono anche contemplare momenti di partecipazione democratica, ma che rimangono
settoriali. Si arriverebbe così ad una serie di istituzioni
rappresentative a competenza circoscritta, con la conseguente definitiva rinuncia
ad una programmazione davvero democratica dei servizi nel loro complesso, come
compito qualificante e rivitalizzante di un ente locale ripensato e riformato,
anche in funzione di tale compito, nelle sue dimensioni, nella sua organizzazione,
nel suo rapporto con la collettività.
Per promuovere un assetto
istituzionale funzionale ad una qualificata offerta dei servizi occorre
sollecitare uno strumento legislativo che ad un tempo adempia
alla funzione di legge di riforma e di legge cornice, per il
trasferimento delle dovute competenze alle Regioni.
Senza questo trasferimento infatti le Regioni incontrerebbero sulla loro strada tutto
l'attuale sistema e verrebbero così ridotte ad un ruolo integrativo e
subalterno rispetto agli altri circuiti assistenziali, degli enti parastatali,
statali e locali, che continuerebbero ad esistere ed operare per loro conto,
svincolati da ogni coordinamento, cui si opporrebbero non solo interessi
specifici, ma le stesse leggi istitutive dei singoli enti, e magari lo stesso
flusso di finanziamenti statali, ancora indirizzato ai vari enti nazionali.
Si passa quindi ad analizzare la necessità
dell'istituzione di Unità locali dei servizi sociali,
come struttura tecnico-organizzativa di base, gestita direttamente dal
Comune, dalle Zone di decentramento urbano, dal Consorzio obbligatorio di
piccoli Comuni delle aree a insediamento disperso, idonea a garantire in modo
partecipato, organico, efficiente le infrastrutture comunitarie e le
prestazioni necessarie all'autosufficienza ed alla socializzazione dei
cittadini.
Quanto alle modalità di gestione
politica, da parte degli enti locali, delle Unità locali dei servizi sociali,
andranno unificate, a livello degli organismi deliberativi di Comune e di
Consorzio di Comuni, le decisioni in merito alla formazione dei programmi dei
servizi sociali, alla ripartizione della spesa e alla
valutazione dei risultati relativi. A tal fine dovranno essere identificati
organismi di gestione politica settoriale, dotati di un certo margine di autonomia amministrativa e di iniziativa programmatoria, nel quadro delle linee indicate. La
gestione dovrà comunque realizzare accanto alla
maggiore organicità anche il massimo di democraticità.
Si potrebbe anche pensare di
affiancare all'organo politico di gestione un comitato con funzioni di
stimolo e controllo, composto secondo criteri della massima elasticità: rappresentanti
di quartieri o frazioni, di forze sociali, di categorie di utenti
diretti dei servizi, delle loro famiglie, ecc. designati anche, volta a volta,
per i singoli problemi trattati.
Un ultimo aspetto da affrontare
concerne la partecipazione democratica a livello di base con esperienze e forme
che vadano oltre il momento strettamente elettorale.
Ma occorre anche avviare esperienze propriamente di autogestione che potrebbero
essere promosse sia nelle zone in cui l'Unità locale potrebbe essere divisa,
rispetto alle prestazioni erogate a quella dimensione, sia in ordine a singoli
servizi, coinvolgendovi gli utenti, ma cercando di trovare un collegamento con
la realtà sociale in cui vivono.
Promuovere queste esperienze di base
non è certo compito degli organi pubblici: nascerebbero male, avvilite in
partenza. Le pubbliche istituzioni devono aprire gli elementi conoscitivi e la
disponibilità al confronto. Toccherà alle forze sociali, sindacali, politiche,
alla spontaneità di base, alla autopromozione
di autorganizzazione dei cittadini interessati
avviare e consolidare tali esperienze con un significato generale di
maturazione civile e politica.
Riportiamo, infine:
L'ordine del giorno
conclusivo.
Il Comitato Promotore del Convegno,
preso atto di quanto anche emerso dal dibattito, richiama con urgenza
l'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche sulla necessità di
una radicale riforma del sistema assistenziale. Questa
riforma è resa tanto più necessaria dalla carenza di intervento
in una molteplicità di situazioni che sono fonti non solo di disadattamento,
ma anche di malattie e minorazioni fisiche e psicologiche vere e proprie.
Situazioni diffuse ed aggravate dall'assenza delle strutture necessarie per
garantire il diritto alla salute, dal persistere di condizioni di lavoro lesive
della personalità e dell'integrità fisico-psichica del lavoratore, dagli
squilibri economici territoriali con i conseguenti fenomeni di
emigrazione di massa, dall'autoritarismo e la selezione classista della
scuola, dallo sviluppo caotico delle aree metropolitane, prive delle
indispensabili infrastrutture.
Nella società attuale gli invalidi,
gli handicappati, i minorati, i disadattati, i minori privi di
assistenza familiare, gli anziani vengono emarginati e isolati in
ghetti. Questo è frutto non solo delle disfunzioni del sistema assistenziale, messi anche in luce dai recenti scandali
giudiziari, ma della sua stessa impostazione. Vogliamo in particolare
richiamare la finalità di controllo sociale per la difesa dell'ordine
esistente, la discrezionalità che si presta alla utilizzazione
clientelare, il taglio classista, la strumentazione emarginante per istituzioni
chiuse, lesive della personalità dell'assistito, la gestione burocratizzata,
centralizzata e frammentaria. Risulta perciò chiara
l'assoluta inaccettabilità di un semplice miglioramento di un sistema legato
ad una concezione segregativa e di «beneficenza» che
si presta ai più gravi abusi. Occorre una radicale riforma ispirata ai principi
dello sviluppo della personalità di ogni cittadino e
della sua socializzazione, intesa come valorizzazione della diversità.
Questo è quanto viene anche sancito dagli articoli 1, 2, 3, 4, 36, 38 della Costituzione.
A questo scopo il comitato promotore
chiede che:
1) La riforma assistenziale
realizzi un nuovo rapporto tra singolo e collettività, sulla base della
responsabilità di quest'ultima, nei confronti di tutti coloro che sono in
condizioni di difficoltà o di bisogno, e con la partecipazione di tutti ad esperienze
democratiche ed autogestite di prestazione dei
servizi.
A questo scopo deve essere garantito
a ciascuno il minimo vitale per un'esistenza dignitosa, saldato ad interventi
di sostegno alle iniziative di ogni tipo che
contribuiscano al reinserimento nella vita sociale.
2) La riforma assistenziale
sia fondata su una profonda trasformazione delle strutture sociopolitiche
italiane: una diversa impostazione della programmazione dello sviluppo
economico, una politica della sanità e della sicurezza sociale, una politica di
riorganizzazione del territorio, della scuola, della casa e del lavoro, in modo
da sviluppare una modifica del sistema assistenziale che vada di pari passo
con le altre riforme, e in particolare con quella sanitaria. Tale trasformazione
non può essere finalizzata solo alla razionalizzazione e funzionalizzazione
del settore dell'assistenza e dei settori della
politica sociale, ma deve mirare a due obbiettivi strettamente intrecciati:
- il superamento
dell'emarginazione come meccanismo sociale insito nella logica del sistema;
- il superamento del classismo - non
abbiamo paura di chiamarlo col suo nome - dello sfruttamento e
strumentalizzazione di coloro che hanno meno, da parte
di coloro che hanno di più.
3) La riforma assistenziale
si inserisce in un articolato sistema di servizi sociali per tutti:
- aperti
- gratuiti
- capaci di
rispondere unitariamente alle esigenze e ai bisogni della persona, considerata
nel suo ambiente familiare e sociale.
Strumento tecnico ed organizzativo
di tale sistema è l'unità locale dei servizi, la cui azione è programmata e
gestita dalle Amministrazioni locali (Comuni, Consorzi di Comuni,
valorizzando anche le istituzioni del decentramento democratico nelle zone
metropolitane) che dovranno a loro volta essere adeguate nelle strutture, nei
poteri e nelle dimensioni alle nuove esigenze di una gestione politica unitaria
dei servizi, anche attraverso la riforma della legislazione comunale e
provinciale.
Alle stesse dimensioni territoriali
e allo stesso controllo democratico vanno pertanto ricondotti gli strumenti tecnico-organizzativi relativi agli altri
settori e - in primo luogo - le unità sanitarie locali.
4) Immediato passaggio (a termini di
Costituzione) dei compiti di legislazione e programmazione nel campo
dell'assistenza alla Regione, nonché delle funzioni di
amministrazione, che
5) Soppressione di tutti gli Enti
pubblici assistenziali nazionali e locali e devoluzione alle
Regioni dei relativi patrimoni.
6) Riunificazione di tutte le
competenze assistenziali disperse fra i diversi Ministeri, che non rientrino
già nelle competenze regionali, in un centro politico responsabile, che non sia
organizzato burocraticamente (no alle direzioni generali!) e che comunque non sia il Ministero degli Interni.
7) Riunire le risorse pubbliche oggi
destinate a finalità assistenziali e loro redistribuzione immediata alle Regioni, evitando
l'istituzione di fondi nazionali che dividano in rigide categorie le prestazioni
assistenziali, sanitarie, ecc. riducendo così le autonomie locali.
All'interno del processo di riforma
generale dei servizi assistenziali e sociali,
chiediamo in particolare:
1) Controllo da
parte della Regione, dei Comuni e delle unità locali sulle condizioni sanitarie
ed ambientali, sulle case, sulle fabbriche e sulle scuole.
2) Abolizione degli istituti chiusi
e creazione di istituti aperti con ospitalità
temporanea legata a situazioni di emergenza, che ripetano il più possibile il
clima ed il ritmo familiare. Ristrutturazione interna degli attuali per i casi
gravissimi.
3) Centri locali
di riabilitazione e qualificazione professionale in rapporto a determinati handicaps.
4) Abolizione delle classi
differenziali e delle scuole speciali.
5)
Liberalizzazione delle visite in ospedale, e mediatamente anche negli istituti,
specie per bambini.
6) Promozione
dell'adozione e dell'affidamento, superando l'ostruzionismo degli
istituti e le resistenze burocratiche.
7) Azione politica per la depenalizzazione della rieducazione minorile.
8) Proposta
regionale lombarda per una legge nazionale circa la figura e le mansioni dei
tecnici.
9) Centri regionali per la
formazione di educatori specializzati,
fisioterapisti, assistenti sociali, assistenti sanitari, logopedisti,
orientatori professionali, maestri di lavoro e tutto
il personale per i servizi sanitari, psichiatrici, socioassistenziali. Questi
centri avranno il compito del periodico aggiornamento dei tecnici e degli
educatori. Integrazione nelle facoltà di medicina di materie
riguardanti la riabilitazione e il disadattamento.
10) Servizio domiciliare locale
gratuito. Strutture educative e riabilitanti locali.
11) Sostegno alle
sperimentazioni sociali in tutti i campi del disadattamento facilitando la
costituzione di piccole comunità e di gruppi familiari locali.
12) Indagine
sistematica, promossa e finanziata dalla Regione e svolta in collaborazione
con le forze interessate e con le istituzioni locali, per individuare le situazioni di
handicaps, la loro origine e gli interventi atti a
prevenirli e fronteggiarli.
13) Promozione di
indagini e di interventi sull'applicazione delle attuali norme sulla assunzione
obbligatoria degli invalidi.
DAGLI
SCANDALI DEGLI ISTITUTI ALLA RIFORMA DI TUTTO IL SETTORE ASSISTENZIALE
Il Comitato Lombardo per i Problemi
degli Handicappati e Disadattati (20139 Milano - Viale Brenta, 7 - Tel.
53.90.798), del quale fanno parte oltre che l'Associazione Nazionale Famiglie
Fanciulli Subnormali (ANFFAS), l'Associazione Nazionale Famiglie Adottive
(ANFA), e numerosissime altre Associazioni, fra le quali in particolare l'Unione
Italiana per
Mentre le indagini svolte dalla
Magistratura sugli Istituti di assistenza all'infanzia
e i recenti scandali riguardanti la gestione dell'ONMI hanno evidenziato una situazione
in cui si trova in realtà non solo l'ONMI, ma tutto il settore assistenziale,
è necessario affermare che si tende ancora una volta a limitare il problema
esclusivamente alle responsabilità di alcune persone od istituti, concentrando
così esclusivamente alcune delle disfunzioni dell'attuale sistema
assistenziale.
Riducendo il discorso a questi fatti
che avrebbero potuto già da tempo essere eliminati con un maggiore senso di
responsabilità da parte delle autorità tutorie (Ministro degli Interni, Magistratura), si manifesta la chiara volontà politica
di non procedere alla radicale riforma dell'assistenza in Italia.
In realtà l'attuale inefficienza del
sistema assistenziale è imputabile oltre che a precise responsabilità di
singoli enti e persone, principalmente al frazionamento delle prestazioni assistenziali e al numero eccessivo di Enti (più di 40.000),
per cui le conseguenze sono:
- impossibilità di coordinamento;
- impossibilità di fornire al
cittadino delle prestazioni continue;
- conflitti di competenze;
- prestazioni non in funzione del
bisogno, ma delle categorie di appartenenza.
Tutto ciò concreta l'impostazione di fondo del sistema assistenziale bene espresso e condensato
dal Ministero degli Interni nella relazione al Bilancio dello Stato del 1969:
«l'assistenza pubblica ai bisognosi ... racchiude un rilevante interesse
generale, in quanto i servizi e le attività assistenziali concorrono a
difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».
Si perpetua così una concezione di assistenza in termini di emarginazione e di operazione
«poliziesca».
Una reale riforma dell'assistenza
deve, al contrario, incentrarsi su alcuni criteri di
fondo:
1) gestione
diretta da parte dei cittadini dei servizi sociali, unica possibilità di garantire
un effettivo controllo dei servizi offerti ai cittadini;
2) abolizione delle categorie di assistiti;
3) unificazione degli interventi in
materia assistenziale;
4) attribuzione unicamente agli Enti
locali di ogni competenza operativa nel settore assistenziale.
Pertanto si chiede che:
1°) vengano
soppressi tutti gli Enti assistenziali (ONMI, ENAOLI, Ente Nazionale di Assistenza
Orfani Zone di Confine e gli altri 39.946), i quali, in quanto strumenti
burocratici sottratti ad ogni effettivo controllo, sono strutturalmente
incapaci di svolgere i compiti loro affidati;
2°) vengano
sottratti al Ministero degli Interni tutti i compiti relativi all'assistenza,
non essendo questo un affare di ordine pubblico;
3°) tali competenze siano trasferite
ad un ministero dei servizi sociali e sanitari e alle Regioni
(per quanto riguarda funzioni di programmazione, coordinamento e alta
vigilanza).
CONVEGNO NAZIONALE ORGANIZZATO DALLO
SNASE SULLE SCUOLE SPECIALI E SULLE CLASSI DIFFERENZIALI
A Parma nei giorni 26 e 27 aprile si
è svolto un Convegno nazionale, organizzato dal Sindacato Nazionale
Autonomo Scuola elementare sul tema «Scuole speciali e classi differenziali».
Pubblichiamo il documento conclusivo
del Convegno, una sintesi delle relazioni del prof. Marco Walter Battacchi e dott. Pietro Cavallini, l'intervento
dell'assistente sociale Iole Sosso Meo, che ha partecipato
ai lavori a nome dell'Unione italiana per la
promozione dei diritti del minore, e un documento presentato al Convegno dalla
Associazione per la lotta contro le malattie mentali, sezione di Parma.
Il documento
conclusivo
Il Convegno Nazionale del SNASE, riunitosi in Parma nei giorni 25-26 aprile 1971
per esaminare i problemi relativi alla «scuole speciali e classi differenziali»,
presa visione della legge 30 marzo 1971, n. 118, deplora che il Ministero
della P.I. si sia mantenuto estraneo a un provvedimento che contiene anche
norme che interessano direttamente e specificatamente la scuola.
Il Convegno, dopo
ampia e approfondita discussione, anche tenendo conto della legge 30 marzo
1971, n. 118, e in particolare degli artt. 2 e 28, che affermano che per i
cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, compresi gli irregolari
psichici, da insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e
funzionali, l'istruzione dell'obbligo avvenga nelle
classi normali della scuola pubblica,
Constatato
che la classe differenziale ha
disatteso le aspettative di una gran parte di coloro che ne avevano chiesto
l'istituzione;
Considerato
anche il parere di uomini di scienza,
medici - psicologi - sociologi e pedagogisti, conviene che:
si proceda alla sospensione immediata
della istituzione di nuove classi differenziali, in ottemperanza agli artt. 2 e 28 della legge 30 marzo 1971,
n. 118, e all'assorbimento nelle sezioni di scuola normale delle classi
differenziali, attualmente esistenti, in un arco di 3 anni;
nel frattempo, nei plessi scolastici,
ogni 5 classi o frazione superiore a 2, sia istituita una sezione di
interclasse, e il numero massimo per ogni classe non sia superiore a 20 alunni;
ogni gruppo di 5 classi normali sia
coadiuvato da equipe di specialisti impegnati a tempo pieno (psico-terapista, logopedista, fisioterapista, ecc.), che provveda alla
rieducazione degli alunni disturbati nel carattere, nel linguaggio e nella motricità.
I partecipanti al Convegno
sostengono la necessità delle classi speciali per gli handicappati di
qualsiasi tipo, i quali non possano trarre vantaggio dall'inserimento in
classi normali, classi che non devono più agire isolatamente fuori
dalla vita comunitaria.
I partecipanti al Convegno indicano
come soluzione ottimale il funzionamento delle classi
speciali nelle scuole comuni oppure in plesso staccato ma inserito in un
comprensorio costituente un centro culturale a pieno tempo (insieme di varie
scuole, centro sociale giovanile, biblioteca, cineclub, palestra, campi gioco).
Invitano il Governo e il Parlamento, in correlazione
alla citata legge n. 118, alla presentazione
sollecita di provvedimenti per dare attuazione a quanto proposto.
Chiedono che sia organizzato, in ottemperanza
al D.P.R. 22 dicembre 1967, n. 1518 (Regolamento sui servizi di medicina
scolastica), dagli enti locali (regione, provincia, comune e consorzi di
comuni) un servizio medico psico-pedagogico su basi
scientifiche e a tempo pieno che agisca non avulso dall'attività pedagogico-didattica della scuola ove è chiamato a operare.
Ravvisano l'esigenza che il personale insegnante
trovi la sua qualificazione in sede universitaria e sia
chiamato a periodico aggiornamento, sempre in sede universitaria.
Auspicano che il Ministero della P.I., anche a testimonianza della
volontà politica del Governo, presenti sollecitamente al Parlamento il disegno
di legge il cui schema è stato sottoposto al parere della 3ª Sezione del Consiglio
Superiore della P.I. nel dicembre del 1969, schema che potrà preventivamente
essere migliorato e comunque perfezionato in sede di discussione parlamentare.
Auspicano la riforma democratica della scuola, anche mediante la sua trasformazione in scuola integrata a
pieno tempo, l'abbattimento delle strutture gerarchiche, il decentramento amministrativo
e la gestione effettiva della scuola da parte di tutte le componenti operanti
nelle comunità locali.
I partecipanti al Convegno impegnano
il SNASE a promuovere tutte le iniziative che portino
verso l'attuazione di quanto contenuto nel presente documento.
Relazione del prof. Battacchi
Premesso che parlerà non tanto nella
sua qualità di docente universitario quanto in quella di operatore
di psicologia nel settore delle classi differenziali (egli è membro della
Commissione provinciale di Bologna per le classi differenziali), perché il
problema posto all'attenzione del Convegno è di ordine pedagogico e politico
più che di livello scientifico, afferma che è maturo il tempo per l'abolizione
delle classi differenziali per un complesso di motivi: la risonanza che ha
questo tipo di discriminazione; la loro inefficienza; lo sfruttamento di questi
interventi da parte di enti che gestiscono il trattamento speciale;
l'impossibilità di stabilire criteri scientifici per un serio reperimento
degli alunni; infine la conservazione delle classi differenziali può
costituire un alibi per non realizzare la riforma della scuola.
Mentre questi motivi militano a
favore della soppressione delle classi differenziali, si
potrebbe anche affermare che - richiamandoci all'esperienza esistenziale
vissuta da Freud, discriminato in quanto ebreo - la
segregazione nella classe differenziale determina nella psiche dell'alunno un
potenziale di reazioni sociali veramente enorme e che in ogni caso può
provocare una immaturità sociale. Ma il carattere discriminatorio della classe
differenziale ha assunto un tono traumatizzante per le famiglie
quando è stata definita un «ghetto» e non si sono contemporaneamente
avanzate soluzioni alternative, che bisogna proporre perché la semplice
eliminazione delle classi differenziali non costituisce di per sé la
soluzione. Anche se e quando la scuola diventerà integrata esisterà sempre un
margine per un intervento specializzato, ma saranno necessari l'intervento
degli enti locali anziché di altri enti, la
partecipazione delle famiglie, la riduzione del numero degli alunni per
classe, programmi elastici, collaborazione fra insegnanti ed équipe, diffusione della scuola materna. In classi normali
di non più di 15 alunni potrebbero essere inseriti alunni ora avviati alle
classi differenziali, ma dovrebbero essere istituiti corsi di psicoterapia,
ecc. e istituzionalmente gli interventi di specialisti e di insegnanti
psicoterapeuti.
Relazione di Cavallini
Premesso che non solamente la
medicina, la psicologia o la sociologia si devono occupare del problema in
esame, ma anche e soprattutto la pedagogia e la didattica e fondamentalmente la
politica, perché le soluzioni vanno ricercate a livello politico, il relatore
afferma che i fanciulli subnormali devono, in
generale, essere inseriti nelle scuole normali per socializzarli, per toglierli
dall'angoscia e dalla segregazione, mentre le associazioni che ne tutelano gli
interessi devono uscire dal loro settorialismo e dai loro gretti esclusivismi
scarsamente produttivi di risultati. «Diciamo no alle corporazioni. Se entriamo
in un centro per spastici, vediamo bambini costretti a restare in quella prigione anche se sono dotati di intelligenza normale o
quasi. Ho avuto occasione di trasferire, nonostante le resistenze, uno spastico
in una classe normale: egli si è inserito nella normalità».
Troppo spesso i centri medico-psico-pedagogici non
operano a vantaggio dei subnormali ma a proprio vantaggio. «Basta con i centri
improvvisati, funzionanti a gettoniera. Affidiamo ai comuni, alle province,
alle regioni il compito di istituire questi centri e con personale a tempo pieno.
E al personale medico si dia pure il trattamento
riservato agli ospedalieri». Anche la coscienza
popolare è matura per una soluzione adeguata. Ricorda che in passato anche la
pluriclasse era stata esaltata, quindi ancora esistono
i difensori delle «differenziali» e delle classi speciali segregate. «Ma come
si fa a curare una piantina togliendola dal suo ambiente naturale, mettendola
in una serra per poi farla morire quando la si espone
alle intemperie?». Compiaciutosi per l'aperto atteggiamento assunto dall'AIMC,
da qualche associazione e anche da alcuni settori della stampa quotidiana, cita
una vasta documentazione e i dati risultanti da un'apposita
indagine svolta sul piano nazionale dallo SNASE.
«No alle
differenziali, ma anche alle classi numerose. Vogliamo i maestri di
rotazione. Il bambino non deve essere additato quale deficiente né in classe
né fuori di essa. Non vogliamo più lo sconcio di
classi con tre alunni, ma vogliamo classi di 15 e al massimo di 20 alunni: si eviterà o si ridurrà il formarsi di alunni disadattati
anche per colpe della scuola e in esse potranno essere distribuiti i bambini
che ora vengono avviati alle differenziali».
Cavallini a questo punto ha richiamato l'attenzione del Convegno sulla legge 30
marzo 1971, n. 118, contenente nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi
civili, sottolineando in particolare il fatto che, mentre la legge detta anche
norme relative ad alcuni aspetti dell'ordinamento scolastico, il Ministro della
P.I. ne è rimasto beatamente estraneo. (Il concerto è
avvenuto fra Colombo, Restivo, Mariotti,
Donat-Cattin, Ferrari
Aggradi e Giolitti. Riportiamo a parte le norme che
non dovevano escludere la competenza del Ministro Misasi).
Occorre una nuova concezione dell'edilizia scolastica. La scuola deve essere architettonicamente accessibile a tutti i ragazzi. Non deve
accadere che si costruiscano scuole per ragazzi spastici che devono essere
presi in braccio per entrare nella scuola. Basta con i medici
che fanno una visitina e poi spariscono: vogliamo i medici dignitosamente
retribuiti ma al servizio della scuola. Ed è
necessaria per tutti gli insegnanti una più elevata qualificazione professionale
e specializzazioni veramente qualificanti.
Dopo aver dato opportune indicazioni
circa l'organico di una scuola speciale, le sue dotazioni, il suo orario,
auspica che si metta in moto la volontà politica, finora rivelatasi
inesistente, di risolvere in un vasto e organico quadro il problema generale
della scuola anche in riferimento alle particolari esigenze
educativo-sociali dei ragazzi per varie cause disadattati.
Intervento di Iole Sosso Meo
La legge istitutiva della scuola
d'obbligo prescrive l'obbligo scolastico fino al 14° o 15° anno di età e non fino al conseguimento del diploma di scuola
media inferiore. In tal modo non si riconosce al ragazzo il «diritto» di
frequentare tutte le classi dell'obbligo, di imparare tutte quelle notizie di
cui ha bisogno per la vita con i sistemi più efficaci ed i metodi più adatti a
fargli superare ogni difficoltà.
In realtà, i bambini che presentano
difficoltà vengono individuati, etichettati ed
emarginati, grazie al sistema delle classi differenziali e delle scuole
speciali. La loro rapida diffusione non ha il fine di assistere in modo
individualizzato allievi con carenze di tipo
psico-fisico, ma quello di diminuire la pressione dei cosiddetti irregolari
sulla scuola, senza dover modificare aspetti strutturali del sistema, quali i
cicli, i programmi, i libri di testo, gli orari, la formazione del personale,
ecc. Per un gran numero di casi il disadattamento scolastico non è da
imputarsi a carenze individuali insormontabili dei singoli bambini, ma è
strettamente legato alla struttura scolastica, che non solo non è in grado di
rispondere alle esigenze dei minori, ma spesso concorre pesantemente a
deformarne la personalità in sviluppo.
Gli strumenti utilizzati per mettere
in atto l'emarginazione esistente, oltre ai programmi, ai cicli, agli orari,
ecc., sono le équipes diagnostiche
medico-psico-pedagogiche.
Tali équipes
presentano oggi gravi carenze che concorrono a farne
un acritico strumento del sistema scolastico, utilizzato in realtà solo per
etichettare ed emarginare i bambini difficili. Infatti le équipes:
- operano
esclusivamente sul singolo bambino, a livello diagnostico (test, Q.I.
ecc.) e con criteri selettivi;
- non danno alcuna
indicazione di terapia, non sono partecipi del lavoro di recupero e non
controllano mai il risultato delle loro diagnosi;
- non sono coinvolte nella realtà
ambientale, che invece concorre a determinare le cause sociali del
disadattamento scolastico;
- hanno pochissimi rapporti con gli
insegnanti, i quali vengono anzi deresponsabilizzati
dal ruolo autoritario degli «specialisti» delle équipes;
- alcune équipes
sono incomplete per cui viene a mancare l'apporto di
discipline fondamentali;
- le convenzioni del Provveditorato
agli Studi che regolano l'attività delle équipes
determinano solo le modalità amministrative senza fissare alcun obiettivo né
contenuto;
- le retribuzioni sono a cottimo per
ogni diagnosi fatta e per ogni classe differenziale costituita;
- la collaborazione fra i membri
stessi dell'équipe è quasi
nulla, e la funzione dei singoli tecnici è mortificata: di conseguenza il
giudizio sul bambino non riesce mai ad essere completo e scientificamente
attendibile e la conseguente emarginazione si fonda su basi che una corretta
critica a livello psicologico e pedagogico scalzerebbe con estrema facilità.
In queste condizioni di lavoro prive
di contenuti ed obiettivi, le équipes si traducono di fatto, al di là della buona volontà dei singoli
operatori, in uno strumento di emarginazione, mentre invece le équipes stesse sarebbero veramente indispensabili, sia per
un trattamento individualizzato delle situazioni più problematiche, sia per un
apporto all'opera educativa della scuola verso tutti gli allievi. L'apporto dei
vari tecnici è ancor più necessario nella prospettiva
di realizzare l'educazione permanente.
«L'educazione permanente - come
riferisce il bollettino dell'Unione mondiale dell'organizzazione per la salvaguardia dell'infanzia e dell'adolescenza edito a
Parigi - non ha più per oggetto solo l'adattamento a nuove condizioni di vita e
di lavoro; essa è l'azione di gruppi e di individui su loro stessi per conquistare
il loro equilibrio, dare alla loro esistenza nuovi significati e nuove fonti di
soddisfacimento. Si tratta di sviluppare lo spirito critico, l'autonomia,
l'attitudine a comunicare ed a cooperare, il senso estetico, la creatività,
tutte qualità che permettono all'uomo di fare delle scelte, cioè
di orientare efficacemente la sua evoluzione personale e di influenzare
l'evoluzione della società. Anziché inculcare le conseguenze, la scuola tenderà
a fare acquisire agli allievi gli strumenti che permetteranno loro di
ricercare e di organizzare ulteriormente le informazioni di cui avranno
bisogno, di acquisire l'autonomia sia sul piano
intellettuale che sul piano affettivo e di stabilire le relazioni con gli
altri.
L'educazione permanente richiede un
nuovo tipo di insegnamento che tiene conto della competenza
scientifica o tecnica, della qualità di animatore e della padronanza dei mezzi
moderni din insegnamento. Il problema della
formazione e del perfezionamento continuato (aggiornamento) degli educatori, risulta il problema fondamentale della trasformazione del
sistema educativo. Tale sistema però è impensabile possa essere definito ed
istituito senza una partecipazione attiva dei giovani. Quali sono le loro aspettative in relazione alle strutture, ai contenuti, ai
metodi, agli stessi fini del sistema educativo? Come favorire la espressione dei loro bisogni e delle loro aspirazioni in
tema di formazione? Quali sono le forme istituzionali che possono permettere
loro di collaborare con gli adulti senza sentirsi minacciati di integrazione?». Certamente gli adulti non sono in grado
di dare idonea risposta a questi interrogativi di fondo
senza la partecipazione dei giovani.
Chiudendo la parentesi
sull'educazione permanente e ritornando al ruolo nuovo che si
intende dare all'équipe, si può affermare che:
- devono cambiare sostanzialmente
gli obiettivi delle équipes, abbandonando i criteri
selettivi individuali, per puntare alla prevenzione e al recupero di ogni forma di ritardo;
- le équipes
vanno intese come un gruppo di specialisti che si affianca al personale insegnante
e che viene direttamente coinvolto nell'attività
educativa della scuola, la cui attività dovrebbe essere diretta allo sviluppo
integrale del ragazzo, a situarlo criticamente nella realtà sociale ed a
compensare o ridurre le differenze d'ordine economico, sociale, psico-fisico;
- si deve perciò tendere ad una équipe per ogni scuola, abolendo l'attuale dannosa attività
a tempo parziale;
- gli specialisti impiegati nella
scuola devono far parte degli operatori già impegnati
a pieno tempo nella zona territoriale interessata dalla scuola, in quanto i
problemi dei ragazzi possono essere risolti solo da interventi coordinati a
livello di servizi di quartiere, assistenza familiare, organizzazione di tempo
libero, ecc.;
- lo strumento principale di intervento deve essere il continuativo lavoro di gruppo
fra insegnanti, specialisti, allievi e genitori.
La presenza di più tecnici, nella
scuola è resa obbligatoria dal D.P.R. n. 1518 del 22 dicembre
1967, e dalla legge 30 marzo 1971, n. 118, sulle «Nuove norme a favore
dei mutilati ed invalidi civili».
La legge 118, agli articoli 2, 23,
28, dichiara che «si considerano mutilati ed invalidi civili tutti i cittadini
affetti da minorazioni congenite o acquisite compresi gli irregolari psichici,
gli insufficienti mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali»;
stabilisce altresì per questi l'addestramento e la qualificazione e riqualificazione
professionale e l'accesso alla scuola d'obbligo mediante adatti accorgimenti
per il superamento delle barriere architettoniche, mediante l'assistenza
durante gli orari scolastici agli invalidi più gravi e ribadisce
che l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola
pubblica.
Da questa legge sono esclusi i
ciechi ed i sordomuti perché leggi precedenti hanno provveduto diversamente.
Bisognerà lavorare affinché anche a queste categorie siano estese le norme
della legge che riguarda tutti gli invalidi civili.
Il nuovo tipo di équipe
di tecnici allora deve porsi come uno degli strumenti che concorrono a fare della scuola una struttura capace di rispondere ai
bisogni di tutti i bambini in qualsiasi situazione si trovino, realizzando nei
fatti il diritto di tutti alla scuola dell'obbligo prescritta dalia
Costituzione.
Perciò anche la riforma della
medicina scolastica si inquadra ed ha significato
solo nella più vasta e profonda riforma della scuola. Nel nuovo sistema
scolastico che andiamo prospettando non ci sarà
bisogno delle classi differenziali, mentre per gli handicappati più gravi (che
attualmente vengono a torto considerati non scolarizzabili
o che semplicemente non possono andare a scuola perché non ci sono classi
speciali vicine) si devono creare subito classi speciali nelle scuole comuni,
non assurdi doppioni delle classi normali, ma strutture dotate dell'attrezzatura
necessaria per mettere in atto quelle stimolazioni conoscitive che permettono
al bambino la graduale acquisizione del massimo livello di autonomia cui
l'handicap gli permette di giungere.
Primo passo della necessaria riforma
è un radicale cambio di direzione politica: è urgente che tutto il servizio di
medicina scolastica sia sottratto alle strutture burocratiche del ministero
della Pubblica istruzione (a Torino le 19 équipes -
7 del Comune di Torino, 8 della Provincia di Torino, 3 dell'ENPMF e 1 dell'ONMI
- sono attualmente tutte convenzionate con il Provveditorato
agli Studi).
Con l'istituzione del «Servizio di
medicina scolastica», gli Enti locali avrebbero possibilità effettiva di
intervenire sulle scuole o istituti di istruzione
pubblici e privati, sulle istituzioni parascolastiche e sugli istituti medico-psico-pedagogici, educativi ed assistenziali,
mettendosi realmente sulla via della costituzione delle unità
socio-assistenziali e sanitarie locali, unica reale alternativa di fronte al
fallimento dell'ONMI e di tutta l'assistenza minorile. Ciò è permesso, anzi
richiesto, dal DPR del 22 dicembre 1967, n. 1518 (Gazzetta Ufficiale n. 43 del
6 giugno 1968) che impone ai Comuni ed ai Consorzi di Comuni
(sostitutivamente alle Province) l'obbligo di
istituire il servizio di medicina scolastica con funzioni sia igienico-sanitarie, sia medico-psico-pedagogiche.
La suddetta legge demanda al
Servizio di medicina scolastica, oltre che il compito di avviare i ragazzi
alle classi differenziali e speciali, anche compiti ben più ampi ed efficaci
di quelli richiesti dalle attuali convenzioni del ministero della Pubblica
Istruzione, quali appunto gli interventi sugli insegnanti, sui minori, le
famiglie e l'ambiente, i trattamenti psicoterapici ambulatoriali
e presso internati.
Un semplice trasferimento di
competenze dal ministero all'Ente Locale non è di per sé risolutivo, senza una
sostanziale modifica di rapporti fra le strutture scolastiche e la comunità.
Bisogna ottenere forme nuove di cogestione, controllo democratico e
partecipazione di cittadini, comitati di genitori, gruppi di base, organizzazioni
di quartiere, ecc., che inseriscano la lotta al disadattamento
scolastico nella più grande lotta a ogni forma di emarginazione sociale.
Documento
dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali - Sezione di Parma: Per
chiudere le differenziali
1. Ogni bambino ha diritto a un anno di compagni e non a un anno di differenziali.
2. Fine delle
differenziali perché esse servono a tutti - tranne che ai bambini. Le
maestre delle ex-differenziali siano impiegate per gli sdoppiamenti.
3. Il bambino «in ritardo» sia
affidato alla protezione e all'infinita premura dei compagni bambini.
4. Lasciargli una possibilità di
poter andare nelle altre classi quando egli sta passando un brutto momento -
perché là può esserci un suo grande amico, cioè un
grande educatore.
5. Ogni maestro non dimentichi mai
che quel bambino «in ritardo» gli vuole molto bene. Che non
si deve dare un dispiacere ai genitori.
6. Compilare un
elenco di maestri che accolgano bambini insopportabili ad altri maestri.
7. Distribuire
tutti i test nelle scuole e far divertire i bambini.
8. Il principale sussidio
didattico del bambino «in ritardo» sono tutti i bambini. Secondo sussidio
didattico è un maestro che non lo disprezzi. Se questi due sussidi non bastano, si chiami in classe il
nonno del bambino.
9. Il fattore decisivo è il bambino
e non il sussidio.
10. Bisogna avere fede speranza e
carità in tutti i bambini.
11. Il Quoziente Intellettuale non
misura l'intelligenza di quel bambino ma la sua sofferenza e la nostra
presunzione.
12. È la grande
varietà dei rapporti umani, l'intreccio continuo fra una vita e molte altre,
che «guariscono» i ritardi intellettuali - e non la separazione, la divisione,
la segregazione, l'isolamento, Lasciare tutti i bambini insieme alle grandi
passioni infantili: la generosità, l'amicizia, la tenerezza, la solidarietà,
l'orgoglio sentimentale, l'indipendenza, la serietà. Fare
una scuola che «afferri l'intera vita del bambino».
13. Gli esperti visitino bene quel
bambino - perché può essere malato. (Come fa un bambino
a restare sano in una società capitalistica che disprezza il suo corpo?). E intanto impariamo da lui tutto quello che egli ci dice
col suo silenzio, con la sua confusione, col suo nervosismo, con le sue
orecchie rosse.
14. Fatelo fuggire dal centro. Prima
di rispettare la scienza, si deve rispettare quel bambino: è lui il bene più
prezioso. Egli è un'alba e noi siamo un tramonto.
Non mandatelo giù come un cane
bastonato. Accompagnatelo fino in fondo alle scale, saltate con lui gli ultimi
cinque gradini, fategli attraversare la strada e ditegli:
- Va, ritorna
fra i tuoi compagni! - perché ogni bambino aspetta gli
altri bambini e ha bisogno di sentire le loro voci; e che ci sia un maestro
che gli dica:
- Avevo paura che tu non tornassi
più! Sei rimasto fuori troppo tempo, ero in pensiero per te. Metti giù il
paltò.
AGGIUNTA DI FAMIGLIA PER I MINORI AFFIDATI
Con circolare del 27 marzo 1971, n.
19/114980 il Ministero del Tesoro, Ragioneria Generale dello Stato I.G.O.P. ha disposto che ai dipendenti dello Stato sia riconosciuta l'attribuzione delle quote di aggiunta di
famiglia per i minori affidati (affidamento preadottivo,
baliatico, affidamento a scopo educativo).
Detta circolare è stata emessa
sentito il parere favorevole n. 225 del Consiglio di Stato, emesso
nell'adunanza generale della 2ª Sezione in data 19-2-1970.
Il beneficio decorre dalla data di affidamento emesso dalle competenti autorità (tribunale
per i minorenni, enti di assistenza).
Gli aventi diritto possono
richiedere gli arretrati non corrisposti, anche nel
caso in cui sia decorso il termine della normale prescrizione di due anni.
www.fondazionepromozionesociale.it