Prospettive assistenziali, n. 15, luglio-settembre
1971
LIBRI
SIMONE DE BEAUVOIR, La vieillesse,
Ed. Gallimard, Paris,
1970, franchi 30,90 (1).
Gli anziani sono degli uomini? Da
come sono trattati nella nostra società vi è da
dubitarne. Infatti la nostra società pretende che gli
anziani non abbiano né gli stessi bisogni né gli stessi diritti degli altri
membri della collettività, poiché rifiuta ad essi il minimo necessario; essa li
condanna deliberatamente alla miseria, ai ghetti, alla solitudine, alla
disperazione.
Con queste premesse l'Autrice ha
scritto il libro per far conoscere la situazione degli anziani, la cui misera
sorte denuncia il fallimento della nostra cosiddetta civiltà: la «politica
della vecchiaia» è scandalosa. Ma più scandalosa è la
condizione che la classe dominante infligge alla maggioranza delle persone nel
periodo evolutivo e della maturità, prefabbricando la sorte miserabile degli
anziani.
La classe dominante si preoccupa dei
suoi membri solo nella misura in cui essi producono e consumano. I giovani lo
sanno. La loro ansietà nel momento della loro
socializzazione è simmetrica all'angoscia degli anziani nel momento in cui
escono dal circuito produttivo. Quando si comprenderà qual è la condizione
degli anziani, non verrà più reclamata solamente una
«politica della vecchiaia» più generosa, un aumento delle pensioni, alloggi
adeguati, l'organizzazione del tempo libero.
È tutto un sistema che è in gioco e
che deve essere radicalmente cambiato.
Per comprovare la scandalosa
situazione degli anziani basta una citazione (pag. 273). Secondo una statistica
elaborata dal Dr. Pequinot - confermata da numerose testimonianze - risulta che fra gli anziani
ricoverati in istituto:
- l'8%
muore nei primi otto giorni;
- il 28,7% complessivamente muore
nel primo mese;
- il 45% complessivamente muore nei
primi sei mesi;
- il 54,4% complessivamente muore
nel primo anno;
- il 65,4% complessivamente muore
nei primi due anni.
Gli istituti non sono nemmeno
anticamere della morte, ma come afferma Simone De Beauvoir,
luoghi di morte, «moritori» (mouroirs).
SCUOLA 725, Non tacere, Libreria Editrice Fiorentina, 1971, Lire 1.500.
Pubblichiamo
integralmente l'introduzione del libro scritto dai ragazzi della scuola 725.
Spieghiamo il nostro
lavoro
Questo libro è il frutto del lavoro
della nostra scuola dove viviamo e studiamo sempre insieme.
Vorremmo che non fosse un libro di
testo. Questo, infatti, presenta ai ragazzi racconti e fatti che loro non hanno
mai discusso.
Noi lo abbiamo scritto perché i
libri di letture che si leggono nelle scuole elementari sono inutili e
malfatti.
Essi trattano i ragazzi come persone
che capiscono poco.
Quando li leggono, gli alunni non pensano
alle cose che succedono nel mondo, ma a cose che non esistono.
Noi invece
pensiamo che i nostri compagni siano intelligenti. Perciò
devono conoscere cose importanti e non favole.
Essi devono interessarsi di politica
(2), di religione e di storia.
Solo discutendo di cose serie
diventeranno uomini.
Il nostro è un libro nato dalle
discussioni che facciamo ogni giorno, da più di due
anni, sugli articoli dei giornali, sui libri e sulla Bibbia.
Vi hanno lavorato i ragazzi dagli
otto anni ai sedici anni. Tutti i disegni sono stati
fatti da noi. Nel libro qualche regola di grammatica non è stata rispettata dai
ragazzi più piccoli. I più grandi potevano
correggerli, ma li hanno lasciati fare. Ci siamo preoccupati solo di essere chiari. La grammatica non è un dio.
Per poter leggere bene queste pagine
della nostra esperienza di scuola, pensiamo sia necessario dare alcuni
consigli ai maestri e ai nostri compagni.
Ai maestri
Prima di tutto dovete sapere che noi
da molti anni viviamo nelle baracche. Se non sapete
questo capirete poco il libro. Per capirlo meglio non dovete pensare sempre al
programma da fare: il ragazzo è più importante del programma. Perciò se un
ragazzo non ha compreso un racconto bisogna
rispiegarglielo, anche mille volte.
Per far ciò dovete
tenere con voi tutto quello che serve: carta geografica, enciclopedia, vocabolario,
giornale, Bibbia e vocabolario biblico.
Alla fine cercate di fare una
discussione in classe. Dovete far parlare soprattutto i figli dei poveri.
Essi infatti
non hanno i genitori istruiti e quindi non sanno parlare. Perciò li dovete
tenere sempre con voi e far loro scuola il pomeriggio
e i giorni di vacanza.
Però non dovete mettere i voti. Questi
dividono i ragazzi tra bravi e asini. E gli asini crescono
invidiosi.
Il voto è un giudizio che date sul
ragazzo; ma come pretendete giudicare l'opera di un ragazzo che non conoscete?
La grande maggioranza di voi fa scuola a mezzo
servizio.
I ragazzi vengono da voi solo
quattro ore al giorno. Poi vivono lontani da voi. Nelle vacanze d'inverno e d'estate come se non esistessero.
In questo caso il voto è una
fucilata che colpisce i poveri alla schiena. E se
anche conosceste la vita del ragazzo e vi sacrificaste per lui, il voto a che
cosa serve?
Nel libro inoltre ci sono molti
racconti presi dalla Bibbia. I nostri genitori dicono di credere in Dio, ma
hanno appena sentito parlare della Bibbia. Non l'hanno mai studiata.
Noi della scuola vogliamo conoscerla
ed educarci a metterla in pratica nella vita.
Ai nostri compagni
È bene che sappiate che la cosa più
importante quando si legge un libro, non è finire, ma capire. E se non
comprendete il significato di una parola o di una frase, interrompete subito la
lezione e chiedete spiegazioni fino a quando non avete
capito. Se poi incontrate dopo un racconto, delle domande, sforzatevi
di rispondere. Le nostre conclusioni, quando ci sono, le leggerete
dopo.
Chiedete al vostro maestro di
discutere tutti i giorni su ciò che si legge. Con gli appunti presi fate il giornale della classe.
Nel libro ci sono alcune poesie. Non
le imparate a memoria. È tempo perduto. Cercate di capirle. Non siate egoisti,
ma aiutatevi tra voi. Se un
compagno rimane indietro, sforzatevi tutti di riportarlo avanti. Senza mai
pensare al voto o alle interrogazioni.
Solo così la classe sarà come una
famiglia.
Per conoscere sempre più cose,
chiedete al maestro di andare a visitare musei, teatri, mostre, cantieri, librerie,
chiese, ecc.
Agli
operai che studiano
Non vi diamo nessun consiglio. Siete
come noi e ci capirete.
Chiusura
Ciascuna classe può fare un libro come questo. Ci vuole solo amore e pazienza.
Noi ci abbiamo
messo più di due anni.
Solo così si possono togliere i
libri di scuola fatti dagli scrittori e dagli insegnanti.
Il nostro vuole essere un esempio da
seguire.
AA.VV., Bande asociali, Proposte Valnoci n. 6,
pagg. 164, Lire 800. (Volume distribuito da «
Il termine banda, se riferito
esclusivamente ad un gruppo ristretto e con una strutturazione particolare, ha
un interesse limitato per chi è attento soprattutto alla realtà sociale
odierna.
Ma se il termine viene
assunto comprendendo le variazioni di significato e consentendo una ricerca
per analogie diventa allora molto interessante.
Bande
asociali, essendo
affatto restrittivo, permette la lettura valida per
cercare un metodo di lavoro e quindi una comprensione, per i gruppi di giovani
che, spontaneamente, si ritrovano ogni giorno nelle strade delle nostre
periferie, attorno ai bar o nelle piazze.
Non è affatto un discorso ristretto all'episodio
della banda parigina, ma prende lo spunto da quello per allargarsi al tema
della comprensione. E il termine comprensione è da mettere in
contrapposizione ad emarginazione. Questo è il punto comune fra le
bande strutturate come tali ed il gruppo di ragazzi raccolti attorno ad un bar,
in una latteria, oziosi e vinti facilmente dalla piccola corruzione.
Emarginati, possono consentire a qualcuno fra loro di segnalarsi ed essere più
stabilmente emarginato nelle istituzioni chiuse, le case di rieducazione.
Il discorso è interessante proprio
per questo: l'anno della contestazione (con tutti i suoi aspetti più
volgarmente spettacolari) ha fatto scoppiare le istituzioni chiuse; ha reso
intollerabile il discorso aperto e astratto accanto ad un metodo chiuso, pur
aggiornato.
Occorre un metodo operativo nuovo,
anch'esso aperto, senza travestimenti. E le gabbie dorate
sono più contestabili delle gabbie arrugginite e sporche.
I gruppi di emarginati
possono essere un tema utile per comprendere senza reprimere. Bisogna collegare
l'apparire dei gruppi con la sempre minore validità della famiglia e con la
netta crisi dell'associazionismo giovanile organizzato. La famiglia, si dice,
deve essere difesa. Ma bisogna domandarsi cosa si
difende; probabilmente l'idea di famiglia, non la sua realtà. Ed è opportuno
ancora chiedersi quanto sia possibile un discorso su
una parte minima (la famiglia) senza tenere conto del tutto (la società).
Queste domande permettono di dare (anche se in forma sintetica adatta allo spazio di una
prefazione) alcune risposte che stanno al fondo del nostro impegno.
Sbaglieremmo molto o tutto, se
dimenticassimo che ogni analisi e ogni ricerca particolare va
inserita in una dinamica globale. Ed oggi questa dinamica
risponde all'imperativo della produzione per sfruttamento.
L'uomo si muove per sfruttare
l'altro uomo e per sfruttare se stesso. Il processo è
giunto all'autosfruttamento totale. Non è più
richiesto ad un organismo - ad esempio la famiglia - di
scegliere un suo membro - il capo famiglia - perché sia l'elemento produttivo;
ma l'uomo, la donna e il bambino sono tutti elementi produttivi, cioè sono
tutti legati al meccanismo dello sfruttamento che, agendo, li divide.
Quello raccontato nel libro è un
problema di rapporti umani. Può uscire dall'intimismo o dall'accademismo scientifico, per diventare pienamente problema
politico e umano. Ma poche righe di una prefazione
consentono appena la sintetica indicazione di un discorso che potrebbe essere
ripreso altrove per esteso.
Certo l'esempio di Bande asociali ha dei limiti, perché
porta i giovani ad essere degli integrati nel senso deteriore del termine; li
porta ad un inserimento sociale che non li costringe a passare attraverso la
violenza delle istituzioni chiuse, ma che ugualmente ne aliena
parte della loro forza specifica.
Per noi rimane valida l'indicazione
di metodo che riteniamo possa portare non ad essere degli integrati, ma ad
avere una integrazione della personalità. Questo
significa adesione alla realtà senza fughe pericolose e sempre dolorose; scelta
della realtà come terreno su cui battersi anche per un totale cambiamento.
(Stralcio dalla prefazione di
Andrea Canevaro).
AA.VV., Psicanalisi e pedagogia, Proposte Valnoci
n. 7, pagg.
Nella quasi totalità delle attività
e istituzioni di tipo educativo o terapeutico, una certa povertà culturale ha
frenato la ricerca di obiettivi e di metodi nuovi. È
noto come l'immobilismo di cui oggi, spaventati, ci accorgiamo e che coinvolge
la collaborazione fra pedagogia e psicologia o psicanalisi, le formule delle
istituzioni preposte all'educazione (scuole, istituti educativo-assistenziali, istituti cosiddetti
speciali), la preparazione del personale, ecc. è frutto di precise ragioni
storiche, economiche. La posizione geografica, le vicende storiche e
politiche, la preminenza delle strutture
ecclesiastiche specie nei settori educativo e assistenziale, hanno determinato
in Italia l'isolamento culturale dalle idee che muovevano il resto dell'Europa,
hanno smorzato o fatto deviare i pochi stimoli pur esistenti. È questo un dato
di cui occorre realisticamente tener conto per spiegare l'attuale situazione e
che occorre cercare di correggere per la ricerca di sbocchi operativi
alternativi. La lettura dei testi dell'«opera aperta» e degli «strumenti di
lavoro» che li precedono, colloca il lettore in un'ampia prospettiva di tematiche e di convergenze culturali.
L'impostazione del gruppo degli
autori è chiaramente interdisciplinare. Questo
carattere risulta prima di tutto dall'approccio coordinato, rispettoso delle
interdipendenze delle tre linee principali del lavoro: terapia, educazione,
istruzione, che si articolano nella situazione istituzionale e che sono in questa situazione delimitata meglio individuabili. La
caratteristica interdisciplinare si coglie anche dalla convergenza, nel momento
di analisi e nel momento operativo, di una pluralità
di considerazioni che rispettano la complessità della realtà, si chiami questa
realtà bambino psicotico, istituzione, formazione del personale, o altro. Nella
prospettiva interdisciplinare si può configurare praticamente
ed efficacemente anche il discorso del superamento dei ruoli professionali,
che in una tradizione individualista e razionalista sono intesi come schematismo
di comportamenti e di competenze, legati ad uno status sociale o professionale
che significa di fatto detenzione incontrollata di un potere. Si tratta di
ritrovare, senza ricadere in altri schematismi, l'esercizio di una competenza
e di una capacità tecniche e scientifiche a servizio
della persona, in cui sia il rapporto interpersonale, con la necessaria
identificazione con l'altro a determinare atteggiamenti, posizioni, azioni. In
questa linea l'educatore, in particolare come adulto nei confronti di un
bambino, può e deve ripensare la sua funzione. L'acquisire via via capacità e consapevolezza, maturità e capacità di ascoltare l'altro fanno procedere verso una demistificazione
del ruolo del «tecnico» (proprio o altrui), delle conoscenze scientifiche
detenute solo dagli «addetti ai lavori», verso un controllo e una partecipazione
di tutti. Ciò è particolarmente vero per la psicanalisi che, giungendo al suo
«momento sociale», diventa un fatto più generalmente culturale che può essere
utilizzato per affrontare l'analisi di fatti collettivi e nel nostro caso
l'analisi delle istituzioni per diminuire i fattori di alienazione.
In altre parole, l'elaborazione teorica freudiana è assunta e sviluppata qui
nelle sue ulteriori potenzialità, non solo in una applicazione
dell'ipotesi analitica ai fatti collettivi, ma anche, cosa più nuova per noi
che conosciamo solo analisi sociologiche delle istituzioni, alle componenti
dell'istituzione presa come totalità. È questa del resto una fra le linee
prevalenti e più interessanti del libro in quanto aiuta alla elaborazione
di concetti operativi validi per riconoscere, definire e superare i rapporti
istituzionali in qualsiasi situazione, anche non contestualmente
istituzionale, si verifichino.
A questo proposito ci sembra che il
testo, con i suoi contributi di «opera aperta», sia particolarmente proficuo
per la situazione italiana che ha maturato, almeno ad alcuni livelli, la
contestazione alle istituzioni (in quanto fattori repressivi e violenti) con una analisi che partiva solo dall'esterno e non anche
dall'interno. Dopo le contestazioni e le affermazioni rivelatrici di alcuni anni fa, ci si trova a segnare il passo nella ripetizione
di affermazioni che hanno ormai esaurito la loro potenzialità di suggerimenti
per l'azione.
(Stralcio dall'introduzione).
(1) È di prossima
pubblicazione (Einaudi, Torino) la traduzione
italiana.
(2) Leggi il paragrafo
38 e 53 della «Lettera al Sindaco».
www.fondazionepromozionesociale.it