Prospettive assistenziali, n. 15, luglio-settembre 1971

 

 

NOTIZIE

 

 

ATTI CONVEGNO SULL'EMARGINAZIONE

 

Gli atti del Convegno organizzato dalle A.C.L.I. (Torino, Galleria d'Arte Moderna, 28 novembre 1970) sul tema: «Emarginazione, disadattamen­to, superamento dell'assistenza: autogestione e ruolo degli enti locali» sono in vendita presso le A.C.L.I., via Perrone 3, Torino, al prezzo di L. 500.

 

 

I LAVORATORI PER UNA NUOVA POLITICA DEI SERVIZI SOCIALI

 

Il n. 2-3/71 di «Quaderni di azione sociale» pubblica gli atti della tavola rotonda su «I lavo­ratori per una nuova politica dei servizi sociali» organizzata dalla sede nazionale delle ACLI e te­nutasi a Roma il 10 luglio 1970.

La finalità di questa iniziativa era di «fare uscire dal chiuso degli ambienti specializzati un discorso che deve coinvolgere sindacati, partiti, forze sociali, gruppi culturali e tutti coloro che si muovono a livello di società civile». Come ha dichiarato Maria Fortunato, vice-presidente na­zionale delle ACLI, la tavola rotonda ha voluto pertanto «essere un primo passo verso l'annul­lamento del grave ritardo accumulato dalle forze sociali sul tema dei servizi riproponendolo ora in termini più adeguati come uno degli elementi da inserire nel quadro di un rilancio dell'iniziativa operaia sulle riforme».

Molto probabilmente a questo ritardo si deve il fatto che negli atti non è stata riprodotta la relazione di Luigi Macario, segretario confede­rale della CISL.

Le relazioni tenute alla tavola rotonda e il di­battito hanno confermato che «il primo proble­ma che si pone è il superamento della moltepli­cità delle competenze e delle istituzioni, il su­peramento della settorialità dell'intervento, l'eli­minazione dell'intreccio fra pubblico e privato, fra statale e locale» e la necessità di «muover­si» per abilitare un solo organismo, nel quadro di una programmazione nazionale, capace di pro­muovere e realizzare una politica di sviluppo dei servizi sociali e ritrovare quindi in questa sede, che non è una sede del futuro ma è una sede di oggi, l'interlocutore unico che oggi manca e che oggi giustamente cerchiamo» (Sen. Antonio Maccarone).

Mario Corsini ha respinto la tendenza in atto «di intendere i servizi sociali come evoluzione delle attuali strutture e delle attività assisten­ziali (...) nel quadro di una politica e di una ideo­logia dominata dai criteri della povertà e del di­sadattamento » affermando che « l'indirizzo alter­nativo che è urgente proporre deve spostare l'en­fasi sulla promozione sociale intesa come equa fruizione delle opportunità sociali e dei frutti dello sviluppo economico operando, da un lato sulle circostanze che inducono l'instaurarsi dei bisogni sociali, e insieme dando legittimità so­ciale e civile ad una serie di esigenze la cui sod­disfacente risposta costituisce ormai un requi­sito base di uno standard sociale di vita da ga­rantire a tutti i cittadini».

Il relatore ha individuato in tre grandi settori il sistema dei servizi sociali da adottare in alter­nativa alle concezioni tradizionali: gruppo dei servizi per la salute, servizi per la cultura, ser­vizi destinati a favorire le attività sociali (tutela del lavoro, alloggio e servizi connessi con la re­sidenza, servizi di informazione, servizi integra­tivi per le funzioni sociali e familiari primarie).

Giuseppe Marton ha delineato «i diversi livelli di intervento» (unità locali dei servizi, regioni, vertice nazionale ecc.) affermando che «la pre­cisazione dei bacini di utenza dei diversi servizi sociali deve essere fatta in maniera elastica per comportare la possibilità di un inizio di dimen­sionamento effettivo dell'unità locale a livello di comune o di comprensorio, di comuni o di quartiere nei comuni a dimensione metropolita­na. E ciò nell'attesa che un'altra competenza del­la regione che è quella della riorganizzazione del­le circoscrizioni degli enti locali vada concreta­mente avanti».

Circa la responsabilità della gestione delle unità locali, il relatore ha dichiarato che essa «dovrà coincidere con l'organo politico locale (...) escludendo già in partenza un discorso di gestioni indirette di qualunque natura, municipa­lizzate o meno, che sarebbero estremamente pe­ricolose in questo momento».

 

 

L'ASSISTENZA PSICHIATRICA NEL QUADRO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

 

Organizzato dalla Unione regionale delle Pro­vince piemontesi si è tenuto a Torino il 29 e 30 maggio 1971 il convegno su «L'assistenza psi­chiatrica nel quadro del servizio sanitario nazio­nale».

Elio Borgogno, presidente dell'Unione regiona­le delle Province piemontesi e della provincia di Torino, ha tenuto la relazione introduttiva incen­trando il discorso nel tentativo di dimostrare la validità dell'attribuzione di competenze alla pro­vincia nel settore sanitario in genere e psichia­trico in particolare, anche dopo l'istituzione del servizio sanitario nazionale.

Ha infatti affermato:

a) che la configurazione giuridico-ammini­strativa delle unità sanitarie locali «attraverso uno schema consortile deve articolarsi nella par­tecipazione di comuni, province ed altri enti lo­cali» (pag. 8);

b) che «i servizi di base debbono essere gestiti con la formula consortile (ed io aggiungo: una formula che assicuri alle province una posi­zione mediatrice e quindi una reale capacità di incidere nelle decisioni: attraverso, ad esempio, la riserva di una congrua rappresentanza negli organi consortili)» (pag. 11);

c) che «riteniamo, per quanto attiene alle province, che uno dei settori di loro più specifi­ca vocazione accanto a quello dell'assetto terri­toriale, cui ci stiamo dedicando con passione, sia esattamente quello dell'assistenza, dell'igiene e della sanità» (pag. 13).

 

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Con lettera del 22 giugno 1971, l'Unione italia­na per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione sociale ha mani­festato la più ferma opposizione al tentativo di conservare alla provincia (sia direttamente sia tramite la formula consortile) funzioni in materia di servizi di base (sanitari, socio-assistenziali, ecc.) poiché questi servizi debbono essere ge­stiti direttamente dai Comuni o dai Consorzi di comuni, essendo il comune l'organo politico-am­ministrativo più a diretto contatto con i cittadini, fatto che consente una maggiore partecipazione al processo decisionale.

Le Province dovrebbero invece:

- da un lato, assumere le funzioni che non possono essere oggettivamente svolte dai Co­muni e dai Consorzi dei comuni, quali ad esem­pio: la formazione, aggiornamento e riconversio­ne degli operatori sociali (assistenti sociali, edu­catori, animatori culturali e del tempo libero, fi­sioterapisti, logopedisti, assistenti familiari), as­sistenza tecnica ai comuni ecc.;

- d'altro lato, decentrare i servizi da esse attualmente gestiti in materia di assistenza ai minori subnormali, ai nati fuori del matrimonio, alle madri nubili, di medicina scolastica, ecc. in modo che essi possano essere trasferiti al più presto ai Comuni ed ai Consorzi di comuni.

La creazione di consorzi fra Provincia e Comu­ni invece creerebbe nuovi ed inutili centri di po­tere ed ostacolerebbe o soffocherebbe la parte­cipazione dei cittadini.

Come la relazione Borgogno tendeva a conser­vare le attribuzioni delle Province in materia di servizi psichiatrici e ad assumere competenze in quelli sanitari, così la seconda relazione, tenuta dal prof. Edoardo Balduzzi, era diretta a dimostra­re la validità delle conclusioni della Commissio­ne tecnico-sanitaria istituita dalla provincia di Torino per cercare di tamponare la situazione manicomiale che era scoppiata a Torino special­mente per l'azione condotta dall'Associazione per la lotta contro le malattie mentali, commis­sione che - è bene ricordarlo - condusse sem­pre i suoi lavori, dalla sua costituzione (1968) ad oggi, senza consentire alcuna partecipazione dei gruppi di cittadini interessati al problema. Ciò, nonostante la situazione scandalosa, di­mostrata dal fatto che nell'ottobre 1970 su 3344 ricoverati negli ospedali psichiatrici, ben 2151 erano immediatamente dimissibili, ma continua­vano e continuano ad essere rinchiusi a causa della mancanza di servizi esterni.

Va ricordato che la Commissione suddetta «dopo aver concordemente indicato per l'assi­stenza ai minori lo strumento della continuità zonale (1), ha specificato come questa debba essere tuttavia distinta dal settore degli adulti». E prosegue: «È possibile, anzi auspicabile, che i due distinti servizi si collochino nella medesima sede in modo che i rispettivi responsabili realiz­zino i rapporti per le diverse équipes, coordinino i programmi, definiscano gli indirizzi generali di intervento. Sarà in tal modo possibile comple­tare l'arco di protezione della salute mentale della zona, senza soluzioni di continuità».

È già un vantaggio che questa proliferazione di équipes sia portata avanti nel solo settore psi­chiatrico; se ciò avvenisse nel settore sanitario (tradizionalmente inteso) avremmo équipes, na­turalmente con il rispettivo responsabile, per le molteplici specializzazioni: pediatria, geriatria, ginecologia, ortopedia e chi più ne ha, più ne metta.

Tornando alla sopra citata conclusione della Commissione tecnico-sanitaria non si può fare a meno di osservare che la parcellizzazione dell'intervento psichiatrico (separazione del settore adulti da quello dei minori) non può certo rea­lizzare alcuna prevenzione di tipo sociale. Serve solo per dare ampio ed incontrollato spazio ope­rativo (ed anche di carriera) ai tecnici. Non per nulla nelle relazioni Borgogno e Balduzzi non si fa mai cenno alla partecipazione dei cittadini, considerati perciò dei semplici oggetti manipola­bili.

Se la prevenzione consiste nella eliminazione delle cause che provocano i disturbi mentali, è evidente che non può esistere una prevenzione né esclusivamente psichiatrica né solamente sa­nitaria, ma che essa deve essere di tipo sociale, diretta cioè ad aggredire le cause sociali disa­dattanti ed emarginanti. Questa azione è anche l'unica che consenta, a nostro avviso, il reinseri­mento di coloro che sono stati colpiti da disturbi mentali o che sono stati emarginati per altri mo­tivi (insufficienti mentali, handicappati, anziani).

Ma la partecipazione è possibile solamente se i tecnici lavoreranno alla pari con i cittadini, for­nendo loro le necessarie informazioni ed accet­tando che le decisioni siano comuni.

E ci sembra di poter dire che è proprio dalla trasmissione o meno di informazioni che si veri­fica da che parte sta ciascun tecnico: con o con­tro i cittadini.

 

 

DOCUMENTO APPROVATO DAL XII CONGRESSO NAZIONALE DELL'AMCI

 

I partecipanti al XII Congresso nazionale dell'Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), a conclusione dei lavori svoltisi a Padova, nel corso dei quali il problema della irregolarità dell'età evolutiva, di qualunque tipo e grado e da qualunque causa è stato sottoposto ad un'analisi completa e globale;

Denunciano all'opinione pubblica ed ai pubblici poteri la gravissima entità di questo problema medico, sociale, economico ed umano che com­prende circa tre milioni di soggetti in età evolu­tiva le cui famiglie, nella maggior parte dei casi, sono lasciate sole ed impotenti di fronte ad esso;

Segnalano i risultati del moderno progresso delle scienze mediche e paramediche che con­sentono una valida profilassi, una precoce dia­gnosi ed una proficua terapia riabilitativa, unici ed insostituibili strumenti per affrontare e ridur­re le irregolarità dell'età evolutiva;

Osservano che l'attività in questo delicato set­tore è tipicamente multi professionale ed esige l'armonica convergenza di medici, psicologi, edu­catori, assistenti sociali;

Auspicano che l'assistenza agli irregolari sia assicurata, ogni qualvolta sia possibile, in seno alla famiglia intesa come nucleo biologico e so­ciale fondamentale;

Auspicano, altresì, l'istituzione ed il potenzia­mento dei consultori prematrimoniali e matrimo­niali, dei servizi di medicina prenatali, dei centri diagnostico-terapeutici, polivalenti ed unitari ad alta qualificazione tecnica, dei corsi di prepara­zione ed informazione per genitori ed insegnanti e delle strutture scolastiche e lavorative neces­sarie allo scopo;

Ricordano che nessun sistema assistenziale (nei suoi momenti: preventivo, diagnostico, te­rapeutico e riabilitativo) potrà essere operante se non si riconoscerà priorità assoluta alla pre­parazione del personale specializzato;

Ricordano che gli irregolari, per quanto mino­rati, presentano comunque valori personali unici ed irripetibili, che essi hanno assoluta parità di diritti con tutti gli altri cittadini più fortunati e che non possono e non devono essere più oltre segregati e trascurati;

Respingono qualunque discriminazione, ai fini del diritto all'assistenza, fra soggetti recuperabi­li e soggetti irrecuperabili;

Affermano che l'irregolare deve essere segui­to ed assistito fino a quando ha conseguito il li­vello di autonomia e di inserimento sociale e lavorativo che è consentito dalla sua infermità;

Ribadiscono l'assoluta priorità della diagnosi e dell'assistenza medico-psico-pedagogica rispet­to agli interventi di ordine giudiziario per quanto concerne la irregolarità della condotta;

Constatano che attualmente l'assistenza è ma­le e superficialmente regolata da norme antiqua­te, lacunose, contraddittorie e talora francamen­te erronee con conflitti di competenza fra mini­steri, enti ed istituzioni di vario genere e con colpevole dispersione di mezzi economici;

Rilevano che l'attuale inerzia in questo settore si traduce in una pervicace violazione della Di­chiarazione dei Diritti dell'Uomo, della Dichiara­zione dei Diritti del Fanciullo, della Carta Sociale Europea, della Costituzione della Repubblica e dei fondamentali principi umanitari e cristiani;

Chiedono ai pubblici poteri ed alla classe po­litica tutta un intervento immediato a mezzo di una legge-quadro, subito seguita da ulteriori e differenziate norme, che ponga fine al gravissimo ed intollerabile ritardo del nostro Paese in que­sto settore;

Affermano che nel predisporre un piano di as­sistenza organica all'infanzia irregolare dovrà es­sere preventivamente consultata una commissio­ne di esperti che indichi le linee fondamentali del piano medesimo;

Rivolgono un riconoscente plauso alle libere associazioni di assistenza pro infanzia irregolare per la generosa insopprimibile attività svolta che merita la massima solidarietà ed ogni aiuto.

 

 

 

(1) La Provincia di Torino è stata suddivisa in 11 zone, 6 per la città e 5 per il resto della Provincia ed è stata prevista la creazione di équipes psico-medico-sociali (per ora solo per il settore adulti) ogni 50.000 abitanti circa e cioè 4-5 per zona.

 

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