Prospettive assistenziali, n. 15, luglio-settembre
1971
PROPOSTE DI LEGGE
RIFORMA
DELL'ASSISTENZA PUBBLICA E ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI SOCIALI
PROPOSTA DI LEGGE N. 3181 PRESENTATA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
IL 4-3-1971 DALL'ON. ZAPPA E ALTRI DEPUTATI DEL PSI
Relazione
Onorevoli Colleghi! - La presente
proposta di legge quadro tende non solo all'attuazione costituzionale in ordine alle competenze da attribuirsi alle regioni a
statuto ordinario, ma anche a riformare profondamente l'ordinamento assistenziale
del nostro Paese, i cui gravi difetti sono stati da tempo accertati e
denunciati; in particolare essa conferisce allo Stato, alle regioni e ai
comuni la competenza in materia di servizi sociali.
Per affrontare con cognizione di causa l'azione di riforma converrà ricordare brevemente
l'evoluzione della assistenza pubblica nel nostro Paese e lo stato attuale
del settore.
La legge Crispi
del 1890 istituiva il principio della «beneficenza legale» e poneva sotto controllo
pubblico le numerose istituzioni private di assistenza
e beneficenza nel tentativo di dare un indirizzo unitario
e insieme di regolare e limitare il potere ecclesiastico, in un momento in cui
Questo nuovo tipo di
intervento si sovrappose allo schema organizzativo precedente che non
veniva però innovato (la congregazione di carità cambierà soltanto di nome
diventando ente comunale di assistenza, con assegnazione di fondi da parte del
Ministero dell'interno).
Nel secondo dopoguerra il già
farraginoso meccanismo di intervento è stato messo
definitivamente in crisi dalla proliferazione di enti in corrispondenza delle
categorie giuridiche degli assistiti. I ciechi civili, i
sordomuti, gli invalidi riescono ad avere provvidenze particolari e un
ente per ogni categoria che amministra le provvidenze ottenute.
Lo stesso avviene per la tutela degli
orfani: nel settore si contano almeno venti enti, i quali, tra l'altro, si
sovrappongono all'ONMI, l'organismo che, secondo la
legge istitutiva, dovrebbe interessarsi dei bisogni di tutta l'infanzia. L'assistenza pubblica si è quindi andata sviluppando
lentamente, gradatamente, con un sistema che può definirsi frammentario,
giacché le norme che la regolano non formano un complesso organico, ma sono
sparse in varie leggi attinenti a disparate materie ed i relativi servizi sono
distribuiti in svariati organi.
In pratica tutti i Ministeri hanno in bilancio
stanziamenti per far fronte a spese socio-assistenziali, senza alcun
coordinamento delle rispettive attività. Le stime effettuate da enti specializzati
relative al complesso delle spese nel campo socio-assistenziale fanno oscillare attorno ai 700 miliardi la spesa per l'assistenza
sociale, ripartita tra Amministrazione centrale dello Stato, enti
locali territoriali, enti pubblici nazionali e locali.
Gran parte delle somme a carico
delle Amministrazioni dello Stato viene trasferita in
forma di rimborsi, agli enti locali territoriali, e alle istituzioni pubbliche
nazionali e locali. A loro volta quasi tutti questi organismi trasferiscono una
parte più o meno importante delle proprie
disponibilità tra di loro e ad altre istituzioni private per l'espletamento di
servizi e attività. Non è difficile immaginare quale incremento di spese
amministrative derivi dal succedersi di trasferimenti del genere. Inoltre, la
possibilità di un intervento diretto a sostegno degli enti che gestiscono i
servizi, da parte dell'amministrazione centrale dello Stato e di tutti gli
altri organismi citati, vanifica ogni tentativo di accertare l'effettivo costo
delle prestazioni e l'onere sostenuto dal pubblico erario. Ma quante sono le
istituzioni assistenziali operanti? Dal rapporto
Saraceno in poi si è parlato di 40.000 enti. Recentemente il Ministero
dell'interno, riferendosi ad una indagine condotta
nel
Le istituzioni censite dal Ministero
dell'interno sono le IPAB, istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza, cioè a dire le antiche opere pie; gli ECA, enti comunali di
assistenza; le istituzioni assistenziali private erette o meno in ente morale.
Quale attività svolge questo
complesso di enti? Essi si rivolgono, sempre secondo i dati forniti dal
Ministero dell'interno, ad oltre cinque milioni di cittadini con interventi per
una spesa complessiva di 230 miliardi. Più della metà degli assistiti riceve un
sussidio economico dall'ECA di natura irrisoria, che risulta dalla divisione tra di loro di 47 miliardi di lire. 155 miliardi vengono spesi per attività di ricovero, con la quale vengono
assistite 465 mila persone. Delle istituzioni che svolgono assistenza
attraverso il ricovero solo il 4 per cento sono
specializzate, sono cioè in grado di intervenire in favore di minorati e
subnormali. Oltre 400 mila ricoveri riguardano persone
normali indigenti; di questi almeno 300.000 sono ragazzi. I dati
riportati vanno riferiti al 1967.
Corrisponde l'attività posta in essere alle esigenze della società italiana
contemporanea? Il nostro Paese è interessato a profonde trasformazioni nella
sua struttura sociale. È in atto una progressiva concentrazione di popolazione
in aree metropolitane, con il conseguente esodo di popolazione dai territori
meno favoriti; la famiglia urbana è ormai costituita
da un nucleo composto dei soli genitori e dei figli con autonome soluzioni di
vita per gli anziani. Questi ultimi aumentano progressivamente in percentuale
nei confronti del resto della popolazione.
Il lavoro di entrambi
i coniugi, nelle famiglie «nucleari», pone gravi problemi di custodia e di cura
della prole. La nuova realtà sollecita un profondo cambiamento nella concezione
dell'intervento socio-assistenziale. Deve essere superato
il modo tradizionale di considerare le infrastrutture sociali in termini di
marginalità sociale. Quello che in altri tempi poteva essere considerato un
provvedimento di beneficenza per far fronte alla povertà e alla mendicità oggi
si deve trasformare in servizio rivolto all'intera popolazione
in conseguenza della diffusione del bisogno e del diverso ruolo - educativo e
promozionale - che oggi è possibile assegnare alle antiche forme di intervento
sociale.
Ma la trasformazione riguarda anche il
tipo di servizio offerto. Non è possibile seguitare ad affrontare i problemi
sociali emergenti dalla società con interventi di
tipo istituzionalizzato, e cioè di ricovero, che comportano l'esclusione della
persona dal contesto della sua normale vita di relazione familiare e sociale. I
servizi dovranno avere carattere aperto, cioè di
appoggio allo svolgimento delle normali funzioni sociali dell'individuo e
della famiglia.
L'attuale forma di
intervento operato dalle istituzioni di assistenza pubbliche e private,
centrate sull'attività di ricovero, non corrisponde alle esigenze del nostro
tempo.
Quali che saranno le decisioni che
le organizzazioni private vorranno prendere per adeguare la loro attività ai
nuovi bisogni, l'intervento dello Stato non può tardare ulteriormente
nell'azione di riforma, proseguendo nell'opera di
sostegno di attività socialmente dannose. Il volontariato dovrà sì essere
chiamato a svolgere un ruolo nell'azione sociale, ma preferibilmente in forma
diretta e personale, ampliando ad esempio gli affidamenti familiari per bambini
con famiglie in difficoltà e aumentando, migliorando i meccanismi
della legge, il numero delle adozioni.
L'intervento pubblico nel campo
sociale ha quindi bisogno di razionalizzazione, deve
porsi come obbiettivo l'eliminazione degli sprechi e delle attività socialmente
improduttive, e deve basarsi su nuove strategie, con una radicale trasformazione
nel sistema dei servizi sociali.
La presente legge quadro si pone con
chiarezza di fronte alla necessità di procedere ad un riordinamento della
materia assistenziale, riordinamento che non può più
consistere in qualche aggiunta o cambiamento di norme, ma che impone un deciso
salto di qualità.
Uno dei perni della riforma è la
costituzione di un vertice politico-amministrativo che sia
in grado di elaborare una valida politica assistenziale per il Paese.
A tale scopo si è ritenuto
necessario proporre il trasferimento di ogni
competenza in materia di assistenza sociale al Ministero della sanità, non solo
per la stretta affinità corrente tra i settori della sanità e dell'assistenza,
ma anche perché il giudizio di inidoneità del Ministero dell'interno ad
occuparsi di problemi sociali, pronunciato dalla Commissione parlamentare
d'inchiesta sulla miseria del 1953, permane tuttora valido. Così si esprimeva
la Commissione ora citata (Vol. 1 - Relazione
generale; pag. 226): «Si è già detto della inflazione
di amministrazioni e di enti che si occupano di problemi assistenziali e
sociali. Quasi tutti i Ministeri svolgono qualche attività in questo campo,
con un disordine e una interferenza reciproca che non
hanno confronti in alcun altro settore della pubblica amministrazione. Non
occorre segnalare, in un simile stato di cose, l'impossibilità e la non idoneità
del Ministero dell'interno a svolgere una azione
unitaria efficiente nei problemi sociali, senza che su questi si ripercuote la
"convivenza" obbligata con gli affari della pubblica sicurezza e
dell'amministrazione civile, che costituiscono il compito preminente di codesto
dicastero. Occorre dar vita, insomma, ad un organismo
a livello ministeriale, aperto alle concezioni moderne e agli studi sociali,
agilissimo nel funzionamento sollecito nei suoi compiti di solidarietà umana».
A confermare la esattezza
di tale diagnosi è lo stesso Ministero dell'interno, il quale, nella relazione
al bilancio di previsione dello Stato per il
Del resto, nessun provvedimento di
carattere generale per il riordinamento dell'assistenza risulta sia stato
proposto e portato avanti nel dopoguerra da detto Ministero, impegnato con
ostinazione nella difesa di un sistema dominato dal paternalismo, causa di enormi sprechi e di categorizzazione
degli assistiti e nel quale la funzione pubblica assistenziale viene
costantemente mortificata, al fine precipuo di avvantaggiare la beneficenza
privata.
Occorre poi segnalare che un
rapporto delle Nazioni Unite elaborato a seguito di una indagine
estesa a trenta Paesi diversi ha posto in evidenza come, prescindendo dai
Paesi aventi ordinamenti estremamente complessi oppure ordinamenti speciali,
soltanto in due Paesi l'assistenza pubblica sia stata lasciata sotto la sorveglianza
del Ministero dell'interno: l'Italia e l'Iran.
Accanto alla esigenza
di dare al Paese organi responsabili per la realizzazione dei servizi sociali
si è posta la necessità di riformare l'attuale stato caotico dell'assistenza
pubblica, nel quale operano una pluralità di enti tra di loro non coordinati,
mediante attribuzione alle regioni delle competenze ad esse riconosciute dalla
Costituzione in materia di beneficenza pubblica, di assistenza sanitaria e
ospedaliera, di assistenza scolastica.
Al livello operativo di base la
competenza in materia di servizi sociali viene poi
attribuita esclusivamente ai comuni o a consorzi di comuni, i quali potranno
avvalersi di appositi strumenti operativi, le unità locali dei servizi sociali,
da istituirsi con la stessa natura giuridica e le stesse dimensioni
territoriali delle unità sanitarie, con le quali dovranno essere collegate. In tutto non più di diecimila organismi contro le decine di
migliaia attuali.
Assolutamente contraria a ogni norma di funzionalità e di efficienza appare la
possibilità di far coesistere il nuovo ordinamento con quello ora esistente: è
naturale quindi che la presente proposta di legge postuli la soppressione degli
enti pubblici, nazionali e locali, incompatibili con la nuova formula
organizzativa. È da rilevare a tale proposito che numerosi enti pubblici hanno
da tempo esaurito ogni utile funzione e di fatto
sopravvivono per amministrare il proprio personale ed agire secondo la logica
dei centri di potere.
Sotto un diverso angolo visuale si
può notare che se l'attuale assurda organizzazione dei servizi dovesse permanere - solo per l'assistenza ai minori operano
quattro enti pubblici nazionali, oltre agli enti territoriali e a numerosi enti
locali - la riforma verrebbe svuotata di ogni contenuto e anziché
semplificare l'organizzazione assistenziale, la renderebbe vieppiù paradossale:
accanto agli enti per così dire, di tipo verticale, oggi esistenti, verrebbe
infatti a operare una organizzazione di tipo orizzontale, basata sulle regioni
e sui comuni, con un intrico e una confusione di competenze indescrivibili.
In via preliminare occorre precisare
che il progetto di legge quadro in esame non tocca i temi della riforma
dell'assistenza economica di base, per la quale è
prevista una proposta ad hoc, mirante a razionalizzare l'attuale composito
sistema, con estensione della assistenza ai soggetti che ne sono tuttora privi
e con l'unificazione dei metodi di erogazione delle prestazioni.
La proposta in esame limita il proprio oggetto alla promozione e alla gestione dei
servizi sociali. Si è preferita questa espressione,
per quanto generica, a quella di «servizi assistenziali», proprio per ribadire
il concetto secondo cui determinati servizi non possono essere concepiti
esclusivamente per le persone in stato di bisogno economico, alle quali
dovranno comunque essere assicurati i mezzi necessari per vivere, ma debbono
essere estesi a tutta la classe lavoratrice, a tutta la popolazione.
È stato già ricordato che l'assetto
sociale venuto a determinarsi a seguito dello sviluppo industriale registra
l'insorgere di nuovi particolari stati di bisogno che nelle condizioni organizzative
attuali rimangono insoddisfatti. Trasformazioni radicali investono l'istituto
familiare e la posizione della donna nella comunità: lo Stato non può limitarsi
ad assistere inerte allo svolgersi di tali fenomeni, come purtroppo ha fatto
finora, ma deve intervenire con una coraggiosa politica in aiuto delle persone
e delle famiglie, promuovendo l'istituzione di tutti quei servizi destinati
appunto a soddisfare i bisogni di nuovo tipo.
E accanto agli asili-nido, la cui
organizzazione è praticamente inesistente in Italia,
va creata a sostegno delle persone e dei nuclei familiari tutta un'estesa
gamma di servizi di aiuto familiare, dal segretariato sociale al consultorio
familiare, dai servizi di affidamento familiare a quelli di assistenza
domiciliare, anche essi pressoché inesistenti nel nostro Paese, ove si
eccettuino talune attività caritative condotte con finalità non sempre
lineari.
Del pari vanno creati centri diurni
di ricreazione e assistenza, pensionati e case
albergo, per dare una risposta in termini di moderna politica assistenziale ai
più vitali bisogni delle persone, senza attentare alla loro dignità e senza
isolarle dal tessuto sociale.
L'elencazione dei servizi formulata
nella presente proposta non ha ovviamente carattere tassativo, dovendo i
servizi stessi rispondere ai bisogni più vari anche in rapporto alle diversità
delle condizioni ambientali, le quali possono mutare da regione a regione. Si
possono tuttavia indicare alcuni principi da tenere presenti in sede di promozione dei servizi.
In rapporto con la situazione che si
è storicamente determinata nel Paese e che ancora oggi, ripetiamo, si basa su di
una volontà disgregatrice della famiglia, si deve opporre un deciso rifiuto
alla politica indiscriminata dei ricoveri, si deve opporre un deciso rifiuto a ogni forma di emarginazione dalla vita familiare e
sociale, a ogni forma di segregazione, si deve bandire ogni forma di violenza,
fisica e morale.
Dovrà poi scomparire la
discriminazione tuttora in atto tra fanciulli
legittimi, assistiti da un ente nazionale, e fanciulli illegittimi, assistiti
dalle amministrazioni provinciali con criteri diversi e talora con limitazioni
incomprensibili.
Dovrà essere infine ammessa la
partecipazione dei cittadini alla gestione dei
servizi, non solo come garanzia per la loro migliore funzionalità, ma anche
per rendere sempre più responsabili gli utenti nell'uso più appropriato dei
servizi stessi. Le forme di partecipazione potranno variare da regione a
regione, in quanto la proposta di legge quadro deve, per sua natura, limitarsi a introdurre un principio, che è di fondamentale valore per
lo sviluppo della democrazia sostanziale nel nostro Paese.
Onorevoli colleghi, la proposta di
legge sottoposta al vostro esame non comporta nuovi oneri finanziari, in
quanto i fondi già oggi destinati ad attività assistenziali
risultano sufficienti per l'avvio di un processo di sviluppo dei servizi, nel
quadro di un organico sistema di sicurezza sociale, secondo gli orientamenti
espressi in sede di programmazione economica nazionale.
Le regioni potranno disporre di notevoli beni mobiliari e immobiliari, oggi
scarsamente produttivi, per rendere concreta la politica di promozione dei
servizi. Edifici appartenenti al patrimonio di enti
nazionali o di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, molte delle
quali, per un complesso di motivi, non sono in grado di esprimere apprezzabili
attività di carattere sociale potranno essere adeguatamente utilizzati dalla
pianificazione regionale.
Non occorrono altre parole,
onorevoli colleghi, per illustrare la portata della presente proposta. Essa
tende a trasformare in modo radicale una struttura che risale nelle sue linee
fondamentali al secolo scorso; attribuisce preminenza alla funzione pubblica,
sia pure nel rispetto delle forme di assistenza
privata; garantisce il diritto dei cittadini all'assistenza sociale; offre in
definitiva un contributo alla edificazione di una società fatta non contro ma
a misura dell'uomo.
Testo della proposta
di legge
Art. 1
Il Ministero della sanità assume la
denominazione di Ministero della sanità e dei servizi sociali.
Con la trasformazione del Ministero
della sanità in Ministero della sanità e dei servizi
sociali decadono le attribuzioni in materia di assistenza e beneficenza della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, degli altri ministeri e degli organi e
degli enti da essi dipendenti: dette attribuzioni sono esercitate - secondo le
linee direttrici previste dalia presente legge quadro - dal Ministero della
sanità e dei servizi sociali, dalle regioni e dai comuni.
Ferme restando le competenze in
campo sanitario, il Ministero, nel settore dei servizi sociali, oltre alla
gestione del Fondo nazionale di cui all'articolo 6, svolge funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività delle
regioni in materia di organizzazione e gestione dei servizi sociali, che
attengono ad esigenze di carattere unitario. In collaborazione con le regioni,
il Ministero promuove studi e ricerche in materia di servizi sociali, raccoglie i dati statistici e la documentazione sullo stato
dei bisogni e sulla funzionalità dei servizi, cura l'applicazione delle direttive
suggerite dalle moderne dottrine ed esperienze, propone al Ministero del
bilancio e della programmazione economica gli obiettivi relativi allo sviluppo
del settore, promuove l'adeguamento dei servizi sociali alle convenzioni internazionali
e alle norme comunitarie, mantiene i contatti con gli organismi esteri
similari.
Art. 2
Ai fini della presente legge, per
servizi sociali si intendono quei servizi destinati a
garantire ai cittadini il diritto di fruire delle prestazioni necessarie per
il soddisfacimento dei bisogni sociali fondamentali, con eccezione dei servizi
in cui sia esclusiva e prevalente la competenza sanitaria, educativa e di
assistenza economica.
Nello sviluppo dei servizi sociali
dovrà essere attribuita priorità agli asili nido, ai servizi di
aiuto familiare, ai centri diurni, ai pensionati, alle case albergo,
nonché a quei servizi che siano ritenuti necessari per rispondere ai bisogni
specifici di determinate zone territoriali.
Art. 3
Nella organizzazione dei servizi sociali
dovranno essere tenuti presenti i seguenti criteri:
si dovrà evitare ogni forma di
esclusione dalle relazioni familiari e dalla vita sociale ricorrendo soltanto
in via eccezionale al ricovero in istituzioni;
si dovrà in linea di principio
garantire a tutti i cittadini l'accesso ai servizi e non riservarli alle
persone indigenti, per le quali dovranno essere previsti, con appositi
provvedimenti, mezzi economici adeguati;
si dovrà evitare ogni forma di
discriminazione tra minori legittimi e illegittimi;
si dovrà favorire la partecipazione
degli utenti e della popolazione alla gestione dei servizi stessi.
Art. 4
La competenza in materia di
programmazione, finanziamento e controllo dei servizi sociali
è attribuita alle regioni.
In particolare l'amministrazione
regionale provvede:
a) a emanare
norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla presente
legge;
b) a determinare la misura e le
modalità della ripartizione, tra i comuni e i consorzi di comuni, dei fondi comunque disponibili per l'impianto e la gestione dei
servizi sociali;
c) a svolgere un'azione di assistenza tecnica diretta alla istituzione e al
miglioramento dei servizi sociali;
d)
a promuovere, in collaborazione con le università o gli istituti statali di
formazione, la qualificazione e la riqualificazione del personale addetto ai servizi, per
renderlo idoneo ai nuovi compiti;
e) al controllo sul funzionamento delle unità locali dei servizi sociali e su tutte le istituzioni
di assistenza comune operanti sul territorio regionale;
f) a stipulare in casi eccezionali
convenzioni o comunque erogare contributi, soltanto
con il parere favorevole dell'unità locale dei servizi nel cui territorio si
trova la sede legale dell'istituzione.
Art. 5
I comuni ed i consorzi di comuni
sono preposti alla gestione dei servizi sociali, mediante l'istituzione delle
unità locali dei servizi sociali, da istituirsi con la configurazione giuridica
e con le dimensioni territoriali delle unità locali sanitarie con le quali saranno opportunamente collegate.
La regione procederà
a stabilire la forma ed i modi del collegamento di cui al precedente
comma.
Art. 6
Agli oneri derivanti dalla presente
legge si provvede con i fondi dei bilanci degli enti locali comunque
destinati ad interventi aventi finalità assistenziali e di beneficenza,
integrati, fino a che la legge sulla finanza locale non disponga diversamente,
dal Ministero della sanità e dei servizi sociali. A tal fine presso detto
Ministero è istituito il Fondo nazionale per i servizi sociali che viene alimentato nel seguente modo:
a) dai capitoli di spese relativi ad
attività assistenziali e di beneficenza comunque
svolte dalle amministrazioni dello Stato, a decorrere dall'anno finanziario
successivo a quello dell'entrata in vigore della presente legge;
b)
dagli stanziamenti per attività assistenziali e di beneficenza svolte dagli
enti pubblici nazionali;
c)
dai contributi di natura previdenziale erogati in favore dell'ENAOLI e
dell'ONPI;
d) dai proventi delle lotterie
nazionali;
e)
dai proventi delle contravvenzioni a carico dei datori di lavoro per
violazione dell'art. 11 della legge 26 agosto 1950, n. 860;
f) da una percentuale del 5 per cento
sulle spese per l'edilizia sociale da destinare alla costruzione di edifici per i servizi sociali.
Con decreto del Presidente del
Consiglio, su proposta del Ministro della sanità e dei
servizi sociali, il fondo viene ripartito tra le regioni entro il mese di
febbraio di ogni anno sulla base dei criteri previsti dalla legge 16 maggio
1970, n. 281, relativa ai provvedimenti finanziari per l'attuazione delle
regioni a statuto ordinario.
Nell'effettuare tale ripartizione
dovranno essere considerate distintamente le spese per l'impianto di nuovi
servizi e le spese per la gestione di quelli esistenti.
Art. 7
Le competenze assistenziali
svolte dalle province sono trasferite ai comuni o ai consorzi di comuni.
Restano salve le competenze delle
province autonome di Trento e Bolzano, alle quali sono comunque
applicabili, compatibilmente con il loro ordinamento costituzionale, gli
articoli 6 e 8 della presente legge.
Art. 8
Con decreti del Presidente della
Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri di concerto con il Ministro della sanità e dei servizi sociali,
entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge saranno soppressi
gli enti pubblici nazionali che svolgono, a qualsiasi titolo, attività di
assistenza sociale, compresi comunque quelli inseriti nell'elenco allegato
alla presente legge.
Con decreti del Presidente della Giunta regionale entro due anni dall'entrata in
vigore della presente legge saranno soppressi gli enti comunali di assistenza
e le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
Il personale degli enti di cui ai
primi due commi del presente articolo sarà in pari tempo trasferito agli
uffici regionali e locali costituenti il nuovo ordinamento, conservando il
grado e il trattamento economico raggiunto all'entrata in vigore della presente
legge.
I beni patrimoniali degli enti
pubblici nazionali, degli enti comunali di assistenza
e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppressi, passano
al patrimonio disponibile delle regioni, le quali li destineranno alla gestione
e allo sviluppo dei servizi sociali.
Le province e gli enti sopprimendi continueranno a
svolgere le loro attività in materia di assistenza sociale fino alla emanazione
del decreto di cui ai primi due commi del presente articolo.
Art. 9
Il Governo è delegato ad emanare
entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge le norme per
l'istituzione e la strutturazione della Direzione generale dei servizi sociali
in seno al Ministero della sanità e dei servizi sociali.
Art. 10
Le prestazioni di carattere
economico previste per determinate categorie di assistiti
rimangono in vigore e sono a carico delle regioni.
Con successivo provvedimento si
procederà al riordinamento globale dell'assistenza
economica.
Art. 11
Trascorsi due anni dall'entrata in
vigore della presente legge sono abrogate tutte le norme con essa
in contrasto.
Allegato
Opera nazionale per la protezione
della maternità e dell'infanzia;
Ente nazionale per l'assistenza agli
orfani dei lavoratori italiani;
Opera nazionale per gli orfani di
guerra;
Opera nazionale per l'assistenza
agli orfani di guerra anormali psichici;
Ente nazionale per la protezione
morale del fanciullo;
Opera nazionale di
assistenza all'infanzia delle regioni di confine;
Commissariato della gioventù
italiana;
Ente nazionale per la protezione e
l'assistenza dei sordomuti;
Associazione nazionale mutilati ed
invalidi civili;
Ente nazionale assistenza
lavoratori;
Ente nazionale di lavoro per i
ciechi;
Ente nazionale di assistenza
magistrale;
Istituto nazionale Giuseppe Kirner;
Opera nazionale per il Mezzogiorno
d'Italia;
Ente nazionale per l'assistenza alla
gente del mare;
Opera nazionale per i pensionati
d'Italia;
Ente nazionale per la distribuzione
dei soccorsi in Italia;
Istituto nazionale Umberto e
Margherita di Savoia;
Opera per l'assistenza ai profughi
giuliani e dalmati;
Istituto Andrea Doria
per gli orfani dei marinai morti in guerra;
Istituto nazionale di beneficenza
Vittorio Emanuele III;
Opera nazionale di
assistenza per gli orfani dei militari di carriera dell'esercito;
Opera nazionale per i figli degli
aviatori;
Opera nazionale di
assistenza per gli orfani dei militari dell'Arma dei carabinieri;
Ente nazionale di assistenza
per gli orfani dei militari della Guardia di finanza;
Fondo di assistenza
e previdenza per il personale della pubblica sicurezza;
Ente di assistenza
degli orfani degli agenti di custodia;
Opera nazionale di
assistenza per il personale dei servizi antincendi
e della protezione civile;
Opera nazionale per l'assistenza
agli orfani dei sanitari italiani;
Opera nazionale per gli invalidi di
guerra;
Comitato italiano di difesa morale e
sociale della donna.
www.fondazionepromozionesociale.it