Prospettive assistenziali, n. 16, ottobre-dicembre 1971

 

 

EDITORIALE

 

ISTITUTI DI RICOVERO, SERVIZI APERTI E COGESTIONE DELL'EMARGINAZIONE

 

 

Molti riconoscono a parole che oggi il ricovero di minori, di anziani e di handicappati in istituti a carattere di internato non è più una soluzione accettabile, ma spesso questa affermazione di principio viene contraddetta dalle iniziative concrete.

Basti pensare all'Amministrazione provinciale di Vercelli che, in piena contraddizione con un ordine del giorno approvato sul decentramento dei servizi a livello comunale, di recente ha proceduto ad appaltare i lavori per la costruzione di un nuovo istituto per 72 bambini e 16 gestanti e madri nubili per una spesa complessiva di oltre un miliardo.

 

Emarginazione dei servizi «aperti»

Da parte di molti tecnici viene insistentemente avanzata la richiesta di servizi cosiddetti aperti, quale alternativa agli istituti di ricovero.

Le scuole speciali a seminternato, i laboratori protetti, i centri ricrea­tivi per anziani sono definiti servizi aperti e sono considerati da molti operatori sociali e dalle amministrazioni più «avanzate» come la solu­zione più rispondente ai bisogni delle persone.

Ad un esame anche superficiale, queste soluzioni non sono altro che delle razionalizzazioni dell'esclusione, in quanto questi servizi sono riser­vati a «speciali» categorie di utenti.

Per superare l'emarginazione, l'alternativa reale è fra servizi tecno­cratici (decisi e gestiti esclusivamente dai tecnici che sanno tutto, fanno tutto, che considerano cioè i cittadini come degli oggetti) e servizi comu­nitari-partecipati, aperti a tutti i cittadini (handicappati e non handicappati, disadattati e non disadattati, minori, adulti e anziani), democraticamente controllati in cui i cittadini e i tecnici operano insieme.

 

Affidamenti familiari

Anche l'affidamento familiare, al quale è dedicata una parte di questo numero, può essere un servizio tecnocratico o un servizio comunitario, e prima della sua istituzione deve essere fatta una scelta politica di fondo.

L'affidamento familiare di tipo tecnocratico è a nostro avviso inaccet­tabile, poiché esso deriva da una impostazione politico-sociale individua­listica. Essa è diretta infatti a ridurre i problemi delle persone istituzio­nalizzate o comunque emarginate alla ricerca di soluzioni più umanitarie, escludendo però ogni azione per l'eliminazione o la riduzione delle cause che provocano l'abbandono o le carenze di cure familiari.

Questo rifiuto dell'azione politica viene spesso giustificato dalla ur­gente necessità di provvedere ai minori che per qualsiasi ragione non pos­sono continuare a vivere nella loro famiglia. Procedendo in tal modo, senza affrontare le cause, è evidente che si verificheranno le stesse situazioni urgenti in futuro, probabilmente con l'aggravante dell'aumento del numero dei minori da «sistemare».

Ma non è ancora questo l'aspetto più importante. Questa impostazione porta anche alla contrapposizione delle famiglie «cattive», «indegne» (che non sono in grado di provvedere direttamente ai figli), con le famiglie «buone» (che accolgono i bambini).

Le strutture sociali sarebbero pertanto fuori del problema, facendo parte sia le famiglie «cattive», sia quelle «buone» della stessa società e spesso; come risulta dalle indagini condotte nei paesi in cui l'affidamento familiare è praticato, della stessa classe sociale (1).

Si deve invece partire dal principio che occorre risolvere le situazioni esistenti e, nello stesso tempo e soprattutto, prevenirle. Ne consegue, in primo luogo, che l'affidamento familiare non deve essere un ostacolo all'aiuto alle famiglie di origine, aiuto che si concretizza non con prestazioni psicologiche, educative, di assistenza sociale (servizi «doppione» e cioè per i casi cosiddetti patologici), ma con la creazione di servizi sociali (sanità, scuola, casa, lavoro, giustizia, garanzia del minimo vitale ecc.) aperti a tutti, e perciò specializzati nel loro interno.

Ad esempio, l'affidamento familiare potrebbe essere un comodo stru­mento per favorire l'abbandono delle zone cosiddette depresse e un mezzo per non dotarle dei servizi necessari (scuola, lavoro, sanità, ecc.). Sotto il pretesto della mancanza di scuole, di servizi sanitari, ecc. si inviereb­bero in affidamento familiare bambini in età della scuola dell'obbligo e quelli handicappati, passando dal ricovero in istituti ad un intervento più moderno (l'affidamento familiare), ma lasciando inalterate le cause sociali che determinano l'allontanamento di minori dalle loro famiglie d'origine.

Né l'istituzione del servizio di affidamento familiare deve essere am­messa quando si organizza in strutture tecniche (servizi autonomi o enti), finalizzate all'autoconservazione, poiché esse costituirebbero un forte osta­colo al superamento dell'intervento assistenziale (passaggio dall'emargi­nazione ai servizi sociali aperti a tutti), superamento che sarà possibile solo con la partecipazione effettiva dei cittadini.

L'affidamento familiare non deve nemmeno essere un mezzo per im­pedire o ostacolare le adozioni dei minori in situazione di abbandono materiale e morale, poiché significherebbe affermare assurdamente la pre­valenza del fatto generativo su quello educativo, ritornare al concetto bio­logico della famiglia, disconoscendo sia la sua funzione sociale, sia la priorità dei diritti dei minori su quelli degli adulti.

La bozza di proposta di legge riportata in questo numero muove dalla preoccupazione di ottenere uno strumento legislativo da utilizzare soprat­tutto perché in affidamento familiare non siano inviati, come oggi avviene, i minori che, con un aiuto economico o con la creazione dei servizi, potreb­bero rimanere nelle loro famiglie di origine.

 

Legislazione speciale per razionalizzare l'emarginazione

Le pericolose tendenze dirette alla divisione degli emarginati, alla settorializzazione degli interventi e alla creazione di servizi «doppione» sono favorite dalla convergenza fra le richieste corporative di alcune asso­ciazioni di categoria (2) e la posizione del Ministero dell'interno e di altri gruppi politici che cercano con tutti i mezzi di conservare le attuali posi­zioni di potere.

Una prova di questo negativo indirizzo è dato dalla presentazione di numerose proposte di legge di cui indichiamo fra l'altro le seguenti:

- On. Armani: «Riordinamento dell'Opera nazionale di assistenza all'in­fanzia di confine» (n. 2884/Camera del 24-11-70), già approvata;

- Ministero dell'interno: «Aumento del contributo annuo dello Stato per il funzionamento dell'Unione nazionale mutilati per servizio » (N. 1626/ Senato del 17-3-1971);

- On. Buzzi: «Modificazioni al D.L.C.P.S. 21-10-1947 n. 1346, concernente l'istituzione dell'Ente nazionale di assistenza magistrale» (n. 3342/Ca­mera del 29-4-1971);

- On. Arnaud: «Concessione di un contributo finanziario di L. 200 milioni all'Ente italiano di servizio sociale» (n. 3309/Camera del 19-4-1971);

- On. Caroli: «Provvedimenti a favore dei mutilati ed invalidi del lavoro» (n. 33.97/Camera del 19-5-1971);

- Sen. Perrino: «Contributo straordinario di 5,5 miliardi all'ONMI per il ripiano dei disavanzi di gestione al 31-11-1970» (n. 1741/Senato del 28-5-1971);

- On. De Lorenzo: «Norme modificative della disciplina giuridica dell'Opera nazionale per l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani» (nu­mero 3434/Camera dell'1-6-1971);

- Sen. Spagnolli: «Assegnazione di un contributo annuo di L. 30 milioni all'Associazione Nazionale Focolari» (n. 1767/Senato del 18-6-1971);

- Presidente del Consiglio dei Ministri: «Autorizzazione di spesa per la concessione di un contributo straordinario di 3 miliardi all'Ente per la distribuzione dei soccorsi in Italia per il ripianamento della gestione» (n 1747/Senato dell'1-6-1971).

Per finire vi sono da segnalare due proposte di legge:

- On. Tantalo e altri: «Autorizzazione a concedere un contributo straordi­nario di L. 1 miliardo in favore dell'Ente nazionale di lavoro per ciechi» (n. 3509/Camera dell'8-7-1971);

- Sen. Baldini: «Proroga delle agevolazioni tributarie e finanziarie in fa­vore dell'ente nazionale di lavoro per- ciechi» (n. 1788/Senato del 7-7-1971).

Al riguardo dell'ente di cui sopra, vi è da notare che solo il 50% dei dipendenti è cieco (130 operai su 260) e che il contributo richiesto (L. 1 miliardo) è superiore al 50% del fatturato complessivo del 1970 (Lire 1.976.325.930)!

 

Cogestione dell'emarginazione

Fra la Provincia di Firenze, i Comuni di Firenze, Bagno a Ripoli, Fie­sole, Pontassieve, Pelago, Scandicci è stato costituito un consorzio «per gestire centri di rieducazione motoria per spastici e per promuovere o intraprendere direttamente tutte quelle iniziative necessarie per garantire agli spastici residenti nei comuni aderenti al Consorzio, la necessaria assi­stenza sanitaria, sociale, pedagogica e riabilitativa».

È prevista la partecipazione all'assemblea consortile, con voto consul­tivo, di quattro genitori di spastici, di quattro spastici designati dall'assem­blea dell'Associazione italiana per l'assistenza agli spastici e del presi­dente della sezione di Firenze della suddetta associazione.

L'iniziativa è scaturita da lotte condotte dagli spastici con fermezza, ma forse senza che fossero stati individuati correttamente gli obiettivi da raggiungere.

Infatti, da un lato, essa è molto più arretrata della legislazione vigen­te, in particolare della legge 30-3-1971, n. 118, che prevede ad esempio l'inserimento degli invalidi fisici e psichici nelle scuole comuni (3), del D.M. 21-3-1970 che stabilisce l'abolizione delle barriere architettoniche nel­le scuole, del D.P.R. 22-12-1967, n. 1518, sulla medicina scolastica che san­cisce l'obbligo della prestazione gratuita delle terapie nell'ambito della scuola; d'altro lato è una dimostrazione concreta del tentativo - estre­mamente pericoloso - di emarginare gli handicappati, con l'aggravante di chiedere agli stessi interessati di cogestire la loro emarginazione.

Il Consorzio di Firenze, che si pone sulla stessa linea delle assurde richieste dell'ONIG, è una prova della possibilità che a livello locale, an­che nel caso di un pieno decentramento alle regioni delle competenze in materia di assistenza e delle altre funzioni di cui all'art. 117 della Costi­tuzione, si riproduca l'attuale settorializzazione degli interventi, con il ri­schio che la categorizzazione sia più raffinata, perché fondata non più su basi giuridiche (ad esempio legittimi, nati fuori del matrimonio, orfani), ma su basi «tecniche» (spastici, subnormali, disadattati, focomelici ecc.).

 

 

 

 

(1) M. SOULÉ, J. NOEL, F. BOUCHARD, L'affidamento familiare, Armando Armando editore, Roma, 1971, pag. 157, L. 2.000.

(2) Vedasi l'editoriale del n. 11-12 di «Prospettive assistenziali», Tentativi per la definitiva esclusione sociale degli handicappati e l'articolo di G. SELLERI, Ruolo delle asso­ciazioni di categoria, in «Prospettive assistenziali», n. 15, pag. 27 e segg.

(3) La legge 118 è stata riportata su «Prospettive assistenziali» n. 114, pag. 54 e segg., con un commento nello stesso numero a pag. 49 e segg.

 

 

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