Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo
1972
STUDI
CONTRIBUTO
ALLO STUDIO DELLA FAMIGLIA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA FAMIGLIA DEL FANCIULLO INSUFFICIENTE MENTALE (1)
GIANVITTORIO CAPRARA
In un precedente studio
sull'insegnamento della psicologia agli insegnanti degli insufficienti
mentali, ponendo l'accento sugli aspetti psicologici che caratterizzano il
rapporto insegnante-allievo, ho sottolineato il ruolo
svolto dall'insegnante e l'importanza della sua sensibilità nel riconoscere e
promuovere le latenti capacità del fanciullo.
In tale lavoro ho indicato alcune delle particolari esperienze di rifiuto o di «accettazione
condizionata» cui l'insufficiente mentale, in una società orientata ai
successo e dominata dal culto dell'efficienza intellettuale, è inevitabilmente
esposto, nella famiglia e nella comunità, ed ho sostenuto la necessità, per
ogni intervento diagnostico e terapeutico, di estendersi dalla dimensione
individuale a quella sociale in cui il fanciullo vive e da cui è condizionato
lo sviluppo della sua personalità.
Di fatto, poiché ogni forma di
salute o di malattia ha una connotazione sociale, nel senso di come viene determinata ed accettata nell'ambiente cui appartiene
il soggetto che ne diviene il portatore, ogni intervento diagnostico, profilattico
o terapeutico sul soggetto, più o meno direttamente viene ad interessare anche l'ambiente in cui il soggetto vive.
Gli insegnanti, i medici, gli psicologi,
trattando col fanciullo «anormale» ai fini di un suo,
benché parziale, recupero, da tempo si sono convinti che molti degli interventi
specialistici sono destinati a restare sterili se non si pongono in sintonia coll'azione permanentemente esercitata sul bambino dalla
famiglia e dai gruppi di origine e di appartenenza.
Un buon insegnante, un buon medico,
un buon psicologo possono fare ben poco al fine di sviluppare
un sentimento di fiducia, di competenza, di autostima, se i timidi tentativi di
successo del fanciullo sono stati e costantemente vengono frustrati
all'origine dai genitori, dai fratelli, dai compagni.
Soprattutto la famiglia, secondo
l'orientamento di larga parte della letteratura medico-psico-pedagogica, appare l'interlocutrice
principale, sia come collaboratrice, sia come antagonista, sia come strumento
terapeutico, sia come paziente, dell'insegnante, dell'assistente sociale, del
medico e dello psicologo cui preme una migliore conoscenza ed un più efficace
trattamento del bambino.
Col presente lavoro, muovendo da
considerazioni di ordine generale sul funzionamento e
sulle finalità della famiglia come unità e come sistema dinamico di ruoli e
di scambi, intendo sviluppare alcune considerazioni sui possibili effetti che,
in tale sistema, l'anormalità di un suo membro può produrre.
In particolare, prendendo in
considerazione il fanciullo insufficiente mentale e
riallacciandomi a parte della letteratura esistente in materia, intendo
focalizzare quello che può essere il vissuto per i genitori e per i fratelli e
quello che può essere l'impatto sul normale funzionamento ed equilibrio della
famiglia.
La famiglia come
sistema dinamico
La famiglia è la culla della
personalità; è la sede delle prime esperienze, di quelle più stabili e significative da cui dipende in massima parte lo sviluppo
della persona.
Probabilmente per nessun altro
animale, come per l'uomo, è tanto importante e tanto complessa l'azione della
famiglia sul suo sviluppo. L'uomo, infatti, per la sua lenta, flessibile e
complessa maturazione neurofisiologica e psico-sociale, più a lungo di ogni
altro animale è dipendente e sensibile alle influenze dell'ambiente in cui
nasce e vive.
L'uomo, come osserva Ackerman (1958), «è un sistema aperto che porta in sé un'identità contemporaneamente individuale e sociale...», la
sua vita è un'esperienza di relazioni interpersonali che, nei primi anni, ha
luogo esclusivamente, o quasi esclusivamente, nell'ambito della famiglia, la
quale rappresenta effettivamente l'unità base dell'evoluzione e
dell'esperienza, del successo e dello scacco, della salute o della malattia.
Non vi è analisi della personalità o
di aspetto di essa che possa prescindere dalle
condizioni che ne hanno regolato lo sviluppo, soprattutto nel contesto
familiare. Come la sua sopravvivenza fisica, così anche l'emancipazione e lo
sviluppo psichico e sociale dell'individuo dipendono
in larga parte da ciò che egli ha ricevuto e da ciò cui è stato esposto in seno
alla propria famiglia.
Nella dinamica
delle relazioni familiari trovano le premesse i processi di identificazione e
di socializzazione; nella famiglia soprattutto, come viene suggerito dai
recenti sviluppi dell'analisi clinica, è necessario rintracciare la genesi
dell'equilibrio e della stabilità come pure di ogni fuorviamento
e di ogni patologia.
Soprattutto è stato sottolineato come la famiglia riassuma in sé una varietà di
funzioni che vanno oltre quelle tradizionali dell'allevamento, educazione e
socializzazione della prole e che sono soprattutto pertinenti alla promozione e
alla difesa delle prerogative tipiche della personalità individuale, come la
fiducia, l'autonomia, la sicurezza.
La famiglia essenzialmente
costituisce il gruppo primario intermedio tra
l'individuo e la più vasta società; essa rappresenta la sede dei processi che
inducono all'interazione sociale e che rendono possibile l'equilibrio emotivo
individuale.
Le caratteristiche di gruppo
primario, cioè di gruppo psicologico centrato sui
singoli membri, assegnano alla famiglia un compito particolare nell'assicurare
la soddisfazione di bisogni intimi e fondamentali quali la sicurezza,
l'autonomia, la fiducia, pongono su un piano di interdipendenza l'equilibrio e
lo sviluppo della famiglia come sistema e di ogni singolo membro come sottosistema
rispetto al primo.
In seno alla famiglia il soggetto
trova le gratificazioni ed i modelli di comportamento
che rendono possibile, con l'internalizzazione e
l'integrazione organica dell'esperienza, la promozione di un'identità e di una
personalità capace di far fronte efficacemente alla realtà. Le
caratteristiche di gruppo intermedio tra l'individuo e la società
assegnano inoltre alla famiglia una funzione di mediazione tra i bisogni
evolutivi dei singoli membri e le richieste normative del sistema sociale cui
quello familiare ed ognuno degli individui appartengono.
Per il bambino la
famiglia costituisce il sistema di transizione da modalità di funzionamento
primario a modalità di funzionamento secondario, cioè quel sistema di
relazioni affettive in cui la persona, attraverso l'esperienza gratificante
dell'amore ricevuto acquista consapevolezza e diviene tollerante nei confronti
delle rinunce e dei limiti che il confronto con la realtà inevitabilmente
comporta e denuncia.
Secondo una prospettiva psicogenetica e psicodinamica,
soprattutto dal tipo di transazioni affettive, cioè
dagli investimenti libidici ed aggressivi che si
sviluppano tra i vari membri della famiglia, discende per il fanciullo la
possibilità di organizzare le cariche pulsionali
attorno ad un'identità e di progredire da uno stato psichico di
disorganizzazione e di dipendenza ad uno stato psichico sintonico, sia con le
esigenze della realtà, sia con quelle del proprio potenziale ed ideale
sviluppo.
La famiglia è guida, sostegno,
stimolo alla crescita del soggetto, sia come individuo, sia come membro di una
comunità.
Essa viene meno alle sue funzioni, nei confronti dei propri membri e nei confronti della
società, sia quando per eccessiva protezione attenta all'autonomia dei propri
membri e li estranea dalla vita sociale, sia quando per insufficiente
protezione attenta alla loro sicurezza e li espone in condizioni di
inadeguatezza alle stimolazioni esterne, sia quando infine propone ai propri
membri modelli di rapporto con la realtà sociale fondamentalmente male-adattivi.
Il nostro interesse di psicologi e di educatori per la famiglia si appoggia soprattutto al
presupposto che lo sviluppo emotivo della persona sia in larga parte il
prodotto degli scambi ed il correlato degli equilibri che all'interno della
famiglia sono resi possibili.
Il nostro interesse è soprattutto
per la famiglia come gruppo primario centrato sugli individui, il cui scopo principale è quello di assicurare il più completo
sviluppo della personalità di ciascuno.
L'analisi che affrontiamo è
principalmente nei termini di un'analisi di gruppo, intesa cioè
a focalizzare e ad esplorare la validità dei vari tipi di interazione e delle
varie modalità nell'assegnazione dei ruoli e nella definizione dei fini. Tutto
ciò in base al principio che l'affermazione della solidarietà, attraverso il
consenso sui fini perseguiti ed il riconoscimento della complementarietà,
attraverso l'accettazione ed il sostegno dei ruoli, rappresentano le condizioni
necessarie per il coerente funzionamento del sistema familiare e per
l'equilibrio, ad esso associato, dei vari sottosistemi
individuali.
Infatti, come è
confermato dall'esperienza clinica, l'integrazione e l'armonia della famiglia
costituiscono le condizioni perché essa possa effettivamente rispondere ai
bisogni di fiducia, di sicurezza, di autonomia e di normatività
dei suoi membri.
I fini perseguiti
corrispondono ai bisogni di sostegno affettivo, di sostegno economico familiare,
di sostegno etico e normativo, come vengono differentemente partecipati dai
vari membri.
I ruoli principali sono quelli di
genitore e di figlio, rispettivamente caratterizzati da una varietà di compiti
e di aspettative. Nella nostra cultura occidentale,
come osserva Lidz (1960), il ruolo del padre è stato fino ad oggi prevalentemente adattivo-strumentale: egli doveva innanzitutto provvedere
ai bisogni normativi ed economici della famiglia, attraverso il lavoro e
l'esercizio di una funzione direttiva. Il ruolo della madre è stato
prevalentemente emotivo ed integrativo; ella doveva
innanzitutto, con la sua presenza ed il suo amore, provvedere alle cure dei
figli ed al mantenimento dell'armonia familiare.
Il ruolo dei figli è stato
principalmente quello di offrire ai genitori una ragione concreta della loro
unione ed un potenziamento della loro autostima,
attraverso la varietà di gratificazioni che derivano dalle transazioni
affettive e dalle identificazioni proiettive tra genitore e figlio.
Attraverso il figlio, che viene vissuto come un'estensione di sé, il genitore trova
una continuità alla propria esistenza ed insieme una soddisfazione vicaria di
proprie tensioni e di propri bisogni di autorealizzazione
di sicurezza.
Tali ruoli e le modalità con cui
vengono vissuti variano costantemente da gruppo a gruppo, da cultura a
cultura, nel corso delle varie fasi che segnano, con l'emancipazione dei figli
e l'invecchiamento dei genitori, l'evoluzione e la storia singolare di ogni famiglia.
La famiglia si configura
propriamente come un sistema dinamico; lungo tutto l'arco della sua vita, con
l'aumento dei membri, con la crescita e l'emancipazione dei figli, mutano costantemente
i fini che vengono concretamente perseguiti e si
modificano parallelamente, col modificarsi dei ruoli, le aspettative ad essi
associate.
Alla nascita del figlio il ruolo
della madre è prevalentemente affettivo e quello del padre prevalentemente
strumentale; con la crescita dei figli, nei periodi dell'infanzia e
dell'adolescenza, le aspettative reciproche si
definiscono più realisticamente; sovente la funzione della madre diviene
principalmente integrativa e quella del padre normativa.
Concorrono a tale dinamismo, oltre
alle esigenze dei singoli membri, le diverse attese indotte dal sistema di
relazioni sociali in cui la famiglia si trova inserita.
La famiglia di oggi,
rispetto a quella tradizionale, è esposta ad una varietà di sollecitazioni che
hanno modificato e modificano continuamente sia gli obiettivi sia le modalità
per il loro conseguimento. Nella civiltà occidentale la «famiglia nucleare»,
sempre più indipendente dai legami con la famiglia estesa, si è maggiormente
esposta all'influenza del mondo esterno e maggiore appare sia la frequenza sia
l'importanza delle comunicazioni esplicite tra coniugi, tra figli, tra genitori e figli.
Con maggiore evidenza appare oggi
l'interdipendenza dei ruoli parentali e la loro possibile interscambiabilità:
il ruolo della madre può diventare strumentale e normativo, come quello del
padre più emotivo ed integrativo.
Se il compito fondamentale della
madre è quello di amare il bambino, un tale amore è
reso possibile nella sua completezza soltanto quando il padre riconosce alla
sposa il ruolo di madre con rispetto ed amore. Allo stesso modo la funzione di
guida che il padre dovrebbe assicurare viene
gravemente compromessa se viene a mancare nell'esercizio di questa funzione il
concorso della madre.
L'esigenza di una
tale mutualità è particolarmente evidente ai nostri giorni, quando
l'intensità della pressione sociale sulla famiglia nucleare sollecita una
verifica ed una emancipazione dai ruoli tradizionali, sia del padre che della
madre.
La vera emancipazione della donna
nel suo ruolo di sposa e di madre è sostanzialmente una emancipazione
di tutta la famiglia, e pertanto anche dei figli e del padre, da modelli di
relazione e di «potestas» non più adeguati. I principi
della partecipazione, del confronto, della mutualità, propri del tipo di
cultura cui aderiamo, trovano le premesse alla loro attualizzazione fondamentale nella famiglia, che per
questo deve essere tutelata.
L'affermazione della solidarietà
attraverso il consenso sui fini perseguiti ed il riconoscimento della
complementarietà, attraverso il sostegno dei ruoli ed il rispetto delle
identità individuali, costituiscono i presupposti
necessari all'armonia e alla stabilità familiari.
Il rifiuto della complementarietà ed
il fallimento della solidarietà, invece, costituiscono
sempre l'esito e l'aggravamento di una frattura nelle comunicazioni ed un
conflitto nei rapporti che inevitabilmente mette in crisi tutto l'equilibrio del
sistema e con esso la funzione fondamentale di sostegno affettivo e di
promozione personale che la famiglia dovrebbe assicurare ai propri membri. In tali circostanze, la famiglia diviene, come osserva Ackerman (1958), «cinghia di trasmissione dell'ansia e del
conflitto patogeno».
La psicologia della famiglia, negli
ultimi 30 anni, ha richiamato l'attenzione sulle gravi forme di patologia che
possono insorgere da inadeguate relazioni familiari.
L'analisi clinica ha mostrato come
la patologia individuale sia spesso il sintomo e
l'esito di un alterato equilibrio familiare ed ha indotto a ricercare nella
famiglia le cause ultime di molti disturbi che investono lo sviluppo del
carattere e della personalità soprattutto durante i primi anni di vita, quando
maggiore è la dipendenza del soggetto dall'ambiente e più pregnante è il
significato delle esperienze e delle relazioni affettive.
È stato spesso dimostrato
sperimentalmente come l'atmosfera familiare, i suoi equilibri e le sue tensioni possano agire sulla personalità del bambino
promuovendone o pregiudicandone lo sviluppo psichico e sociale. Tale atmosfera,
infatti, è la risultante di una varietà di relazioni e di transazioni che
possono avere anche carattere patogeno.
A. Freud,
M. Klein, Spitz, Bowlby hanno ripetutamente sottolineato
l'importanza delle precoci esperienze affettive del bambino con i genitori ed
in particolare con la madre. Sin dalla nascita la madre direttamente,
soprattutto per la sua capacità di privare ed il padre indirettamente, per
l'incoraggiamento che può dare al donarsi della madre, appaiono
in larga parte i responsabili del tipo di rapporto che il bambino instaurerà e
manterrà nei confronti della realtà.
Quando gli scambi affettivi tra i genitori
vengono alterati in senso reciprocamente ostile e quando la comunicazione si
blocca o diviene ambivalente, con un aumento dell'ansia ed un aggravamento
dei conflitti espliciti o latenti, il bambino è spesso l'elemento più
vulnerabile e la prima vittima dello scompenso che ha investito il sistema.
Wynne Lyman
(1960) chiama pseudomutualità quella condizione di
rigido equilibrio apparente, conservata dai coniugi mediante l'evasione da un
reale confronto, l'intolleranza di ogni divergenza o
differenziazione e la repressione di intense cariche ostili.
Lidz (1960) parla di famiglia «sghemba»,
quando i genitori, consciamente o inconsciamente, strumentalizzano
la presenza del bambino nel contesto di un rapporto coniugale inadeguato.
Il bambino, in tali circostanze, può
essere necessario per rimpiazzare il coniuge, per trovare un alleato contro il
proprio «partner», come compensazione, comunque, dei
propri sentimenti di inadeguatezza.
Il bambino può diventare, come
osservano Vogel e Bell (1960), il destinatario diretto dell'ostilità che i
genitori nutrono reciprocamente, ma non hanno il coraggio di vivere ed
esprimere direttamente; in tal modo il bambino diviene il capro espiatorio su
cui poggia il precario equilibrio di tutto il sistema familiare.
Il bambino ancora, come osserva
Il bambino, in tutte queste
situazioni, diviene il «paziente designato» ad interpretare tutta una patologia
familiare.
D'altro canto, come la disarmonia
della coppia inevitabilmente contamina l'armonico sviluppo ed equilibrio psico-sociale del fanciullo,
questi a sua volta può essere elemento di stabilità o di stress per i genitori.
Il bambino, per la sua dipendenza e
per le sue continue richieste, è, in una certa maniera, naturalmente anche
elemento di ansietà e di tensione per la coppia. La
nascita di un bambino, se da un lato porta con sé la possibilità di innumerevoli gratificazioni per i genitori, d'altro
canto ne riduce la sfera di autonomia e di indipendenza, introducendo nel
ménage familiare nuovi bisogni, nuove attese, nuove incertezze, nuove
preoccupazioni, che inevitabilmente si aggravano se il bambino non è «normale»,
non è «sano», è «diverso» dagli altri. In tutte queste circostanze, la
presenza di un bambino può diventare l'elemento determinante
di una più solida comunicazione coniugale, come pure l'elemento critico che fa
precipitare una già fragile unione.
La vita familiare è una rete di
relazioni interdipendenti. La relazione tra la coppia non è indipendente dal
tipo di relazioni che i singoli membri della coppia instaurano con gli altri
membri della famiglia e dal tipo di relazioni che questi ultimi stabiliscono
tra loro.
Tutte queste relazioni si intersecano e si sviluppano fondamentalmente lungo due
assi: autonomia-controllo e accettazione-rifiuto,
dalla cui natura dipende sia l'equilibrio del sistema sia la salute di ognuno
dei suoi membri.
La relazione con la madre rappresenta il primo rapporto del bambino con la realtà e la sua influenza
è destinata a persistere indefinitamente nello psichismo
dell'adulto.
La personalità del bambino può
emanciparsi da uno stato di dipendenza assoluta ad una progressiva autonomia e
da modalità di funzionamento primario-impulsivo a
modalità di funzionamento secondario-adattivo
soltanto attraverso la maturazione di un sentimento di fiducia nel valore
della propria esistenza, che deriva dall'esperienza gratificante delle prime
identificazioni e relazioni affettive con la madre che all'origine riassume
per il bambino tutti i problemi delle relazioni
familiari e sociali.
La coerenza, la stabilità, la
presenza affettiva della madre, innanzitutto,
incoraggiano il fragile «io» a tollerare le frustrazioni e ad aderire alla
vita.
Compito fondamentale della madre è quello
di amare, di donare, di testimoniare al bambino il valore della sua vita e di
farsi progressivamente interprete di una realtà che vale la pena di accettare.
Perché ciò sia possibile è indispensabile
che la madre sappia comunicare, interpretare, donare totalmente, accettare,
con il bambino, incondizionatamente il proprio ruolo di madre.
La tenerezza, la comprensione, le
cure assidue e sollecite in cui si traduce l'accettazione della madre rendono possibile l'emancipazione del fanciullo
all'autonomia attraverso l'esperienza di sentimenti di fiducia, di sicurezza,
di autostima.
L'assenza, l'indifferenza,
l'incoerenza denunciano invece un atteggiamento materno di rifiuto cui si associano, con la trasmissione di caratteri e comportamenti
inadeguati, gravi disturbi dell'affettività, dell'intelligenza e della
socializzazione.
Nelle prime relazioni con la madre
si pongono le premesse di un adeguato o non adeguato rapporto dell'individuo
con la realtà; in esse vi è l'origine dell'amore e
dell'odio, della fiducia e della sfiducia, della salute e della malattia. È
chiaro che tali relazioni non sono indipendenti dalle relazioni
che esistono tra la madre e il padre e tra la madre e gli altri figli.
Per accettare la madre ha bisogno di
sentirsi accettata come sposa e come madre; per incoraggiare all'autonomia
deve essere innanzitutto ella stessa capace di vivere
la propria autonomia.
Nelle prime fasi dello sviluppo il
compito del padre è anch'esso di amare il bambino, soprattutto sostenendo
affettivamente la madre. Alla origine la madre occupa
tutto il campo dell'affettività infantile ed è indirettamente, attraverso
essa, che il padre può far sentire il proprio amore al bambino. Spesso, come
osserva Porot (1967), i cattivi mariti producono le
madri abusive; una donna amata e rispettata dal proprio marito e dal proprio
ambiente più facilmente è in grado di offrire al
proprio bambino un affetto sano, sereno, equilibrato, senza eccessi derivanti
da istanze compensatorie.
Il ruolo di padre diviene più
diretto con la crescita del bambino, come modello di identificazione,
come detentore dell'autorità ed arbitro della disciplina, come ponte tra la
vita privata e la vita pubblica della famiglia.
La presenza, la consistenza,
l'equilibrio della figura paterna, in armonia con quella materna, rendono possibile al fanciullo l'esperienza della propria
competenza e progressivamente l'allargamento dell'esperienza interpersonale
dalla dimensione familiare a quella sociale. Il ruolo della madre e del padre
sono a loro volta condizionati dalla eventuale
presenza significativa di altri soggetti. Accanto ai genitori la presenza di fratelli, nonni, zii, comporta un'ulteriore possibilità
di scambi che possono essere positivi o negativi a seconda di come concorrono a
promuovere o ad inibire l'autonomia, il senso di fiducia e di sicurezza di ogni
singolo membro. In particolare l'eccessiva dipendenza dei coniugi dalla propria
famiglia d'origine costituisce il motivo più frequente di interferenza
critica nei confronti dell'unità della coppia.
Ogni famiglia è diversa, richiede
un'attenzione particolare ed è accessibile soltanto a particolari tipi di
sensibilità e di interventi: possiamo trovarci di
fronte a sistemi aperti o chiusi, armonici o confusi, agitati e dominati da
tensioni centripete o centrifughe.
L'analisi della famiglia
effettivamente ci inserisce in un sistema dinamico di
relazioni, di ruoli, di fini che è opportuno saper identificare ed
eventualmente codificare, poiché da esso dipendono le condizioni di sviluppo
sia del sistema familiare, sia di ognuno dei sottosistemi individuali.
Analisi funzionale e
strutturale delta famiglia
Quanto segue può costituire uno
schema di riferimento preliminare ad un qualsiasi tipo di intervento
sulla famiglia.
L'analisi che suggerisco si sviluppa
secondo una prospettiva duplice, guardando alla famiglia: a) come gruppo
sociologico definibile secondo certi parametri quali il numero, il sesso, l'età
dei membri, il gruppo etnico, la classe, il ceto sociale di appartenenza,
il tipo di fini perseguiti e di risorse disponibili; b) come gruppo psicologico
caratterizzato da certe transazioni e da certi equilibri da cui dipende lo
sviluppo psicosociale dei singoli membri.
La prima prospettiva ci orienta ad
un tipo di analisi prevalentemente quantitativa ed
oggettiva che definiamo strutturale.
La seconda prospettiva, invece, ci
orienta ad un tipo di analisi prevalentemente
soggettiva che definiamo funzionale.
È evidente che le due prospettive e le modalità di indagine che ne discendono, ponendo enfasi
su dimensioni ed aspetti diversi dello stesso fenomeno, si sviluppano
parallelamente ed interdipendentemente ed entrambe
sono necessarie per avvicinarsi ad una comprensione più realistica e completa
del sistema familiare.
1. Analisi strutturale.
A - Composizione della famiglia: i genitori e i
figli.
I genitori:
- legittimi, naturali, adottivi
- viventi, conviventi; se assenti o
deceduti: da quanto tempo, come, perché
- età
- salute fisica e psichica.
Nella famiglia ideale del contesto in cui viviamo, i genitori sono legittimi
naturali, conviventi, relativamente giovani in rapporto all'età dei figli e non
affetti da particolari disturbi fisici o psichici.
Il genitore illegittimo o adottivo di fatto è esposto e può esporre i propri figli, in larga
parte, per le pressioni esercitate dallo stesso contesto sociale, ad ansie e
conflitti più frequenti e più intensi.
Dove un genitore sia
assente, con la sua assenza viene meno un elemento essenziale di sostegno e
di equilibrio per il sistema: diviene perciò importante comprendere le cause
oggettive di tale assenza ed i vissuti che di essa hanno i singoli membri.
Il divorzio, l'abbandono, la
scomparsa, la morte in diverse forme possono incidere
sull'equilibrio della famiglia e diverso è il tipo di sostegno che alla
famiglia può venir offerto dalla società.
I problemi che si pongono per il
coniuge superstite, ancora giovane, e per i figli in età infantile ed
adolescenziale sono anch'essi più o meno gravi, a
seconda della personalità, dello status socio-economico, del sostegno affettivo
e materiale ricevuto dall'ambiente circostante.
La malattia di un genitore è un
altro elemento che può significativamente alterare l'equilibrio di una
famiglia, a seconda della natura, della gravità, del
decorso, delle cure morali e materiali necessarie e in relazione ai bisogni,
alle aspettative e alle ansietà che vengono emergendo e che trovano
soddisfazione nel rapporto interpersonale. La malattia psichica, molto spesso,
è quella nei cui confronti l'equilibrio familiare è maggiormente vulnerabile e
l'aiuto provveduto dalla società alla famiglia meno efficace.
I figli:
- numero
- sesso
- età (ordine ed intervallo delle
nascite)
- salute fisica e psichica
(gravidanza, parto, sviluppo psicomotorio, disturbi ed esperienze
traumatiche).
Nella famiglia «ideale» il numero
dei figli è proporzionale alla possibilità della famiglia nel provvedere al
loro sostentamento economico ed alla loro educazione; il sesso, in genere, è equiripartito; le differenze di età
non sono eccessive; nessuno è affetto da particolari disturbi fisici o
psichici.
Un numero eccessivo di figli può
pregiudicare l'equilibrio economico della famiglia e rende difficile per i
genitori poter provvedere alle esigenze affettive e normative di ognuno.
L'equiripartizione
dei sessi fornisce ad entrambi i genitori la
possibilità di identificazione e di gratificazioni vicarie, particolarmente
positive per il morale personale e dell'intero gruppo familiare. La vicinanza di età, attraverso il gioco, il confronto, la competitività
fraterna, promuove una maggiore tolleranza alla frustrazione, rende più
disponibili al rapporto interpersonale e concorre positivamente al processo di
socializzazione.
La non presenza di particolari
disturbi fisici o psichici fondamentalmente gratifica l'aspettativa
del genitore di avere un figlio sano e ne rende più facile l'accettazione e
l'educazione.
B - La famiglia nel contesto sociale:
- i rapporti di parentela con gli
altri gruppi sociali
- status socio-economico
(accesso alle risorse)
- integrazione socio-culturale
(norme e valori).
Nell'attuale società la stabilità
della famiglia si costruisce soprattutto sulla solidarietà della coppia e
sull'emancipazione di ogni coniuge dai rapporti di
dipendenza affettiva con la propria famiglia di origine. Ciò evidentemente non
esclude che legami affettivi e di collaborazione materiale possano sussistere
ed essere proficui, ove si appoggino al riconoscimento ed al rispetto dei ruoli
propri di ogni persona in rapporto al nucleo familiare
con cui si trova ad interagire.
I nonni o gli zii possono certamente
esercitare un ruolo supplente a quello dei genitori, ma non possono sostituirsi
a loro completamente; è sconsigliabile inoltre che interferiscano, se non
esistono obiettive necessità, nei rapporti diretti tra genitori e figli o tra i
coniugi. La famiglia allargata può costituire un elemento di appoggio,
di mediazione, di stimolo e di resistenza nei confronti di una adeguata
integrazione della famiglia agli altri gruppi sociali.
In particolare la famiglia allargata
può sollecitare l'integrazione del nuovo nucleo familiare a modelli dello
status socio-economico e del contesto socioculturale
cui essa appartiene, mentre può costituire elemento di resistenza all'emancipazione
della giovane famiglia ad uno status socioeconomico superiore e soprattutto ad
un contesto socioculturale differente.
Tali fenomeni sono frequenti in
condizioni di scarsa mobilità sociale, dove l'estensione delle relazioni
sociali e l'adesione ad atteggiamenti e modelli comportamentali non
tradizionali assumono connotazioni ansiogene per le fantasie o le reali
pressioni di rigetto esercitate dai gruppi di origine.
Nel nostro paese il passaggio da una
civiltà contadina ad una civiltà industriale, da una sottocultura meridionale
ad una sottocultura settentrionale, specie per le generazioni di transizione,
è causa di ansie e di conflitti che inevitabilmente si
trasmettono dalla sfera individuale a quella familiare e sociale.
Associati allo status socioeconomico
e all'integrazione sociale della famiglia vi è tutta
una disponibilità di risorse con cui la famiglia concretamente può provvedere
ai bisogni dei suoi membri.
In condizioni di disagio e di
disadattamento, maggiori sono le rinunce, le frustrazioni, le deficienze,
mentre minori sono le possibilità di soddisfazioni alternative,
maggiori le occasioni di conflitto e di ostilità all'interno del sistema.
Larga parte delle patologie sociali
come la delinquenza, l'alienazione e talune manifestazioni dell'insufficienza
mentale, secondo i recenti contributi della pratica psicologica e sociologica,
emergono da contesti familiari disagiati, in cui alla
carenza di soddisfazioni materiali si è associata la carenza di soddisfazioni
affettive e morali per mancanza, nei genitori, di fiducia, di educazione, di
coraggio, di quel sostegno materiale ed affettivo che la società, attraverso le
sue istituzioni, dovrebbe essere in grado di fornire.
Il tipo di integrazione
socioculturale, la natura cioè delle norme e dei valori suggeriti e internalizzati, sono altri fattori importanti nel valutare
le effettive possibilità di sostegno e di sviluppo personale offerte dal
soggetto.
2. Analisi funzionale.
A - La famiglia come unità: identità, stabilità,
autonomia.
L'identità, la stabilità,
l'autonomia della famiglia sono insieme il risultato
e la condizione dell'identità, della stabilità e dell'autonomia della coppia e
di ciascun membro del gruppo.
Soprattutto dalla reale comunione
della coppia discende l'unità e l'equilibrio del gruppo familiare e da questo
un sostegno ed uno stimolo allo sviluppo della personalità di ciascun membro.
La coppia rappresenta il nucleo
attorno a cui ruotano i vari sistemi individuali ed il centro di gravità
psichico di tutto il sistema familiare. La famiglia comincia ad esistere
nell'unione dei due coniugi e si sviluppa per quanto è reso possibile dalla
loro volontà e capacità di restare uniti.
È importante che la coppia esista,
che sia percepita come il risultato di una comunione piuttosto che di un contratto
o di un semplice «stare insieme».
È importante che la famiglia esista
e sia percepita come unità, piuttosto che come «aggregato».
È importante assicurare, per ogni
membro, che l'esperienza di un vissuto di appartenenza
non si traduca in sentimenti di dipendenza o di controdipendenza, ma piuttosto
in un'esperienza di interdipendenza, di disponibilità e di spontaneità.
B - La famiglia come sistema di scambi bene-adattativi e male-adattivi:
- interazione tra i coniugi
- interazione tra genitori, figli e
fratelli
- aree di conflitto e di patologia.
Mi riferisco alle dinamiche
affettive, ai processi di comunicazione, alle possibilità di rapporto, di
confronto e di sostegno reciproco tra i diversi membri.
Relativamente all'affettività è importante riconoscere
quale ne sia la disponibilità, quale l'investimento e quale l'espressione tra
i due estremi rappresentati da amore ed odio.
Relativamente ai processi di comunicazione è
importante riconoscere in qual modo e per il conseguimento di quali fini i vari
membri siano capaci di comunicare; di volta in volta il destinatario del
messaggio può essere l'interlocutore diretto o indirettamente un'altra persona,
come pure il contenuto del messaggio può essere chiaro, esplicito, oppure
sottinteso o mascherato.
Soprattutto la comunicazione
dell'ostilità è spesso indiretta e mascherata: come quando il rancore verso il
proprio coniuge si traduce in atteggiamenti o comportamenti ostili verso i propri
figli o verso quello dei figli che più da vicino è in
grado di sostituirlo.
In tali circostanze il rifiuto verso
il proprio coniuge o verso il proprio figlio può
venire mascherato, per formazione reattiva, da un'eccessiva sollecitudine o
altrimenti, con la rottura di alcun tipo di comunicazione, in un atteggiamento
di chiusura, di difesa, di rifiuto.
Il conflitto è sempre l'esito di un
insufficiente o inadeguato investimento affettivo da cui prendono origine
forme di comunicazione e di rapporto alterate e patogene.
Il conflitto soprattutto è grave
dove vengono meno al sistema le sue capacità di recupero autonomo.
Dove vi sia
l'assenza d'amore o l'eccesso di ostilità, o dove comunque vi sia l'incapacità
di un positivo investimento oggettuale reciproco tra i membri, soprattutto tra
i coniugi, l'equilibrio del sistema viene radicalmente messo in crisi e con
esso, molto spesso, ogni capacità di recupero attraverso il confronto diretto
e realistico con i problemi. Piuttosto, in tali circostanze, si mette in atto a
livello individuale e di gruppo tutta una varietà di soluzioni e di meccanismi
difensivi essenzialmente tesi a ritardare o a dislocare
gli «acting-out».
Relativamente alle modalità di rapporto, di confronto,
di sostegno reciproco, è importante riconoscere la consistenza e la
complementarietà dei ruoli, la coerenza delle aspettative reciproche e
soprattutto la loro sensibilità al cambiamento in senso adattivo,
poiché da tale disponibilità al cambiamento nella complementarietà principalmente
vengono assicurati alla famiglia l'equilibrio ed il dinamismo necessari per
conciliare le differenti esigenze evolutive dei suoi membri.
L'insufficiente
mentale e la sua famiglia
Molti studiosi concordano nel
sottolineare gli effetti drammatici che l'anormalità di un membro, in
particolare di un figlio, può produrre in seno alla famiglia.
La presenza di un figlio anormale,
secondo Weingold e Hormuth
(1953), spesso accentua i disturbi di personalità ed i conflitti di relazione
preesistenti, in forma latente o meno, soprattutto tra i coniugi. Farber (1959) riconosce nella presenza di un bambino
anormale un elemento di crisi, di frustrazione, di conflitto per tutto il
sistema familiare.
In particolare la
presenza di un bambino insufficiente mentale in una realtà sociale prevalentemente
orientata al successo intellettuale costituisce per la famiglia, come
osservano Michaels e Shuman
(1962) ed Olshansky (1966) una reale tragedia. Soprattutto nel vissuto conscio ed
inconscio dei genitori, secondo Olshansky (1966),
l'insufficienza mentale di un figlio può apparire come l'esito ed il simbolo di
una sconfitta personale, di una sorte crudele, di
colpe e di sanzioni cui si associano reazioni e difese che spesso precipitano
la famiglia in uno stato di malinconia e di smarrimento cronici e condannano
il bambino all'esperienza del rifiuto e del l'isolamento.
In tale rifiuto ed isolamento, come
osservano Greenbaum e Wang
(1965), in tale percezione assolutamente negativa dell'insufficiente mentale
da parte della propria famiglia, una larga responsabilità,
evidentemente, è anche della società che condiziona la famiglia
all'assimilazione di taluni valori efficientistici
che non sempre si conciliano con un'ideale concezione dell'uomo e del suo
sviluppo.
A questo proposito Grebler (1952) sottolinea che i
genitori dell'insufficiente mentale sono esposti ad un'esperienza di
frustrazione dovuta in parte a fattori inerenti alle condizioni oggettive
dell'anormalità del bambino ed in larga parte alle limitazioni e alle
pressioni che vengono imposte dall'ambiente sociale che ancor più può essere
intollerante ed impreparato ad accettare tale presenza.
Worchel e Worchel
(1961) più esplicitamente riconoscono nella presenza del figlio insufficiente
mentale un attentato allo status sociale della famiglia che viene a modificare
e spesso ad inibire le preesistenti relazioni del gruppo familiare col
proprio ambiente sociale di riferimento
Di fatto per tutta la famiglia, alla
nascita e durante lo sviluppo del bambino anormale, si pongono più gravi
problemi di adattamento sociale: la necessità di cure
ed assistenza specialistiche ne riducono la mobilità sociale, la scarsa conoscenza
delle cause e degli sviluppi del disturbo producono sovente uno stato di ansia,
di intolleranza, di frustrazione, di isolamento che rende precaria alla
famiglia l'accettazione del paziente e con esso l'accettazione di se stessa.
L'insufficiente mentale che spesso
non trova spazio alla propria accettazione in seno alla propria famiglia, come
osserva Wilson (1970), non lo trova poi ugualmente e più spesso nel gioco con i
compagni, nella scuola, nel lavoro, in una realtà sociale che, in quanto
condizionata dalla ricerca dell'efficienza, pone un'enfasi eccessiva sulle
dimensioni pratiche e produttivistiche della personalità a pregiudizio di altri aspetti, come ad esempio tutti quelli inerenti allo
sviluppo dell'affettività, ugualmente importanti per la promozione dell'uomo e
della società stessa.
Lungo i due parametri della
«autonomia-controllo» e della «accettazione-rifiuto» l'insufficiente mentale
rischia così, prima nella propria famiglia e poi nella società, di collocarsi
verso gli estremi negativi del rifiuto e del controllo attraverso
i meccanismi dell'iperprotezione prima, e della
tutela istituzionalizzata dopo, a pregiudizio evidentemente di un
riconoscimento della sua libertà e dignità individuali.
In seno alla famiglia, come osserva Cummings (1966), il ruolo della madre
resta quello fondamentale ed è quello più provato dalla tragedia e
maggiormente esposto alla crisi.
La madre soprattutto è più esposta
alla frustrazione e all'abbattimento che si associano al venir meno di tutta
una serie di aspettative.
Quando una donna diviene consapevole
di diventare madre, immediatamente comincia a maturare
precise aspettative relativamente al tipo di madre che sarà e al tipo di
bambino che avrà.
L'attesa è dominata da un'intensa
attività fantastica che generalmente è a connotazione
positiva: la madre si costruisce l'immagine del suo bambino, comunica con lui,
vive con lui e la sua esistenza diviene sempre più determinata da questa nuova
relazione che si sviluppa.
L'attesa è in genere di un bambino
bello, sano, intelligente, capace, perché questi sono i «valori»
che la madre partecipa e che l'ambiente le, suggerisce. Il bambino è
vissuto come l'estensione fisica e psichica di sé e la sua bellezza, la sua
salute e la sua intelligenza rappresentano sovente per la madre
la conferma della propria bellezza, salute, intelligenza, la
testimonianza concreta del proprio valore di donna.
L'immagine del bambino atteso, come
osservano Solnit e Stark
(1961), è la risultante delle immagini che si hanno di se stessi, di ciò e di
coloro che noi amiamo ed è in genere l'espressione del desiderio di un bambino
perfetto.
Se alla nascita la madre trova una
risposta soddisfacente a tali aspettative e
rappresentazioni, è molto più facile per lei stabilire un adeguato rapporto
con la nuova creatura e costituire quell'elemento di mediazione necessario ed
ideale tra lui e la realtà.
Se invece tra le attese della madre
e le capacità di una loro soddisfazione da parte della nuova creatura vi è
un'eccessiva discrepanza, questa si traduce
inevitabilmente in sentimenti di deprivazione e di frustrazione che possono
precipitare in stati di intolleranza e di rifiuto.
A loro volta tali
stati di intolleranza,
dove si manifestano e nella misura in cui raggiungono le soglie di coscienza,
come osserva Sheimo (1951), in quanto esperienze
colpevolizzanti, divengono nuovi motivi di frustrazione che si aggiungono ai
precedenti e che con questi concorrono a definire gli estremi di un circolo
vizioso a connotazioni drammatiche e fortemente difensive.
Secondo Solnit
e Stark (1961) la nascita del bambino anormale può
essere vissuta come la morte del bambino sano atteso ed il fantasma di questo
può a lungo interferire con l'accettazione del primo. La negazione, la
repressione, la proiezione, la razionalizzazione,
l'isolamento, la formazione reattiva, la fuga nell'ottimismo e nella speranza o
piuttosto nel pessimismo e nella depressione rappresentano i meccanismi di
difesa più ricorrenti per controllare l'ansia e i sentimenti di colpa che si
associano alla propria incapacità o difficoltà nel tollerare il «dramma» e
nell'accettare la nuova creatura.
L'accettazione del bambino da parte
della madre rappresenta il superamento del rifiuto o quanto
meno dell'ambivalenza attraverso una presa di coscienza del conflitto ed
un test di realtà che sono resi tanto più possibili quanto più matura è la
struttura di personalità della madre e quanto maggiore è il sostegno che a lei
viene offerto dall'ambiente circostante.
Soprattutto la madre, alla nascita
prima, nell'allevamento e nell'educazione dopo, è designata e può provvedere
ai bisogni del bambino, alla sua emancipazione fisica, psichica e sociale attraverso la conquista di una propria autonomia,
l'esperienza di un sentimento di competenza, la costruzione di un'identità
personale.
Il padre più facilmente può
accettare il «trauma» rifugiandosi nel lavoro e comunque
all'esterno della famiglia, ma, evidentemente, non è questo il modo adeguato
per partecipare le proprie responsabilità di padre e di coniuge.
Soltanto nella misura in cui la
coppia riesce a prendere coscienza di una realtà diversa e più complessa da quella attesa e si dispone ad accettarla nell'unità e nella
comprensione reciproca, può indirizzare le proprie risorse alla ricomposizione
dell'equilibrio messo in crisi e alla ricostituzione di una nuova armonia. In
tali circostanze anche per i fratelli diviene più facile tollerare i propri
sentimenti di rivalità, le necessarie discriminazioni dei genitori e le
proprie più precoci responsabilità a vantaggio del fratello
più bisognoso.
Se di fatto
la nascita e la presenza del fanciullo anormale costituisce per la famiglia un
elemento di frustrazione e di crisi, nella misura in cui è possibile,
attraverso l'amore e la reciproca dedizione, ricomporre l'equilibrio e ricostituire
l'armonia del gruppo familiare, diviene anche possibile creare in seno a questo
le necessarie condizioni per il suo recupero o, comunque, per il suo migliore
sviluppo possibile.
Il vero problema della carenza di fiducia e della mancanza di realismo
nell'insufficiente mentale di cui tratta Lobrot
(1964) è probabilmente in larga parte il problema di un rapporto difensivo
verso una realtà percepita prevalentemente, sin da principio e soprattutto da
principio nel contesto familiare, come minacciante e rifiutante.
Come osservano Heilman
(1950) e Grebler (1952), soprattutto gli
atteggiamenti dei genitori e della famiglia verso il fanciullo
ne determinano gli atteggiamenti verso se stesso in termini di fiducia, di
sicurezza e di stima.
L'accettazione dell'insufficiente
mentale obiettivamente costituisce e va considerata come una «prova» da cui
l'equilibrio della famiglia può venire o definitivamente messo in crisi o ulteriormente
consolidato.
Non vi è dubbio
infatti che se da un lato molte famiglie sono state irrimediabilmente
sconvolte dal «trauma», molte altre hanno saputo recuperare, anche attraverso
esso, una maggiore capacità di comprensione, di amore e di dedizione.
In un clima di accettazione
matura, soprattutto da parte dei genitori, l'esperienza della fiducia,
dell'autonomia e della propria competenza rendono possibile anche
all'insufficiente mentale la tolleranza delle proprie deficienze ed incoraggiano
il riconoscimento ed il potenziamento delle proprie capacità così da
consolidare un sentimento di autostima che è la premessa indispensabile a
promuovere la sua volontà di sviluppo ed una più matura adesione alla realtà.
Relazioni con la famiglia
dell'insufficiente mentale.
Quanto precede ci induce
ora a considerare alcuni suggerimenti o possibilità di intervento per un
recupero dell'insufficiente mentale nella sua famiglia o attraverso la sua
famiglia.
Tale famiglia per cui,
come abbiamo visto, si pongono gravi problemi di equilibrio interiore e di
adattamento sociale, va considerata anch'essa in un certo senso anormale, in
quanto richiede una sensibilità ed un intervento particolari.
Si tratta innanzitutto
di offrire ad essa un concreto sostegno ed incoraggiamento all'autoaccettazione del bambino. Poiché i genitori sono generalmente
predisposti ad un ruolo parentale tradizionale
diverso in qualche modo dal ruolo che debbono svolgere
come genitori di un anormale, è necessario venire in loro aiuto nel definire
più realisticamente la propria funzione in relazione al bambino e nel chiarire
che soltanto da tale presa di coscienza responsabile è possibile far scaturire
modelli di interazione terapeutici.
Il sostegno di cui la famiglia ha
bisogno non è del tipo «non pensarci su» o «fa come se fosse normale», è
piuttosto un'educazione al realismo che, attraverso una responsabile presa di
coscienza della propria atipicità e delle proprie difficoltà, rifiuti da un
lato la fuga nel pietismo o nell'illusione e dall'altro sia
capace di contenere e progressivamente di risolvere tutte le eventuali tensioni
ed ansie disgregatorie.
L'esperienza che dimostra come la
nascita di un bambino anormale rappresenti per la
famiglia un trauma, una crisi, una tragedia cui si associano, soprattutto per
i genitori, una severa perdita di autostima, sentimenti ambivalenti di rifiuto,
di colpa, di vergogna, di inadeguatezza, è la stessa esperienza che riconosce
alla famiglia ampie possibilità di recupero se vengono trovate in seno ad essa
adeguate risorse, soprattutto affettive ed introspettive, nel ridurre i meccanismi
difensivi male-adattivi a favore di meccanismi e
modalità di rapporto con la realtà bene-adattivi.
Un ruolo importante in tale presa di
consapevolezza ed in tale attività di recupero viene evidentemente
svolto dall'ambiente in cui la famiglia trova i propri modelli di
riferimento e di sostegno. E tale ambiente esterno concorre a facilitare la
presa di coscienza e l'autoaccettazione della
famiglia nella misura in cui esso stesso prende
coscienza ed accetta la sua anormalità, predisponendosi ad offrire un aiuto
concreto all'emancipazione psichica e sociale del bambino.
La famiglia accetta la «prova» tanto
più facilmente quanto più si sente accettata. Si
tratta di provvedere oltre che aiuti strumentali, anche e principalmente un
sostegno affettivo inteso a creare le condizioni perché i genitori possano
agire in modo soddisfacente per sé e positivo per i
figli venendo a capo delle proprie ansie di inadeguatezza. Si tratta, come
suggeriscono Popp (1954), Farber
e Jenne (1963) e Casse (1968), di aiutare ad
accettare e a reagire al bambino come ad una persona probabilmente non capace
di sperimentare e partecipare alla vita come gli altri, ma comunque
capace, secondo modalità personali, di conseguire una propria realizzazione.
Si tratta di aiutare i genitori a guardare al proprio bambino nei termini
delle sue potenzialità individuali, e della sua
particolare personalità, piuttosto che nei termini di un generico confronto
con gli altri.
L'assistenza prestata ai genitori
nell'accorgimento e nel riconoscimento dell'evento,
come nella ricerca delle cause e delle possibili soluzioni, è determinante
nell'indurli, più o meno rapidamente, all'accettazione della loro creatura.
L'assistenza del medico, dello
psicologo, dell'assistente sociale, la collaboratività
dell'insegnante, la terapia familiare, gli incontri ed i gruppi di genitori
sono alcuni degli indirizzi e delle modalità di trattamento che possono essere incoraggiati e predisposti per facilitare
l'integrazione della famiglia e l'accettazione del bambino, rimuovendo gli
ostacoli oggettivi, le proprie paure personali, le resistenze degli altri nell'ambiente.
Lo scopo del medico, dello psicologo
o dell'assistente sociale in un rapporto psicoterapeutico interessante tutta
la famiglia è quello di individuare e modificare le transazioni male-adattive attraverso l'interpretazione dei conflitti e
la promozione delle interazioni.
L'esperienza di Watts
(1969) incoraggia la psicoterapia della famiglia degli insufficienti mentali
in quanto capace di provvedere a tutti i membri la
possibilità di partecipazione alla definizione dei valori e dei ruoli
reciproci oltre che la possibilità, attraverso un allargamento ed una verifica
degli scambi, di riconoscere e di trattare con diversi problemi e conflitti
riducendo in tal modo ansie e paure.
In un rapporto psicoterapeutico di
tal tipo è più facile per tutti i membri prendere coscienza e modificare
soprattutto i sentimenti e gli atteggiamenti negativi, spesso rivolti
consciamente o inconsciamente verso il bambino anormale, «paziente designato»,
«capro espiatorio», «elemento più vulnerabile» e «valvola di sicurezza» di
tutto il sistema.
In un rapporto di tal tipo diviene
possibile valutare i reali bisogni del bambino in rapporto alla propria
famiglia e partecipare insieme le scelte per una loro soddisfazione.
Nelle riunioni di gruppo tra
genitori, la situazione stessa di gruppo, attraverso la possibilità, di
riconoscersi nei problemi e nelle difficoltà degli altri, favorisce
l'alleggerimento e spesso l'eliminazione di ingiustificati
sensi di colpa, la tolleranza ed il superamento della propria ambivalenza,
una più responsabile adesione alla propria realtà personale sul presupposto di
una migliore identificazione dei propri bisogni e dei propri livelli di
aspirazione.
Il gruppo, come suggeriscono Goodman e Rothman (1961), Appell (1964), e Ramsey (1967),
in un clima di permissività promuove l'espressione
della propria emotività, il riconoscimento e l'analisi dei propri sentimenti ed
atteggiamenti, la migliore conoscenza di sé, del proprio bambino e di ciò che
la società si aspetta da noi ed è in grado di offrirci.
Negli incontri associativi i
genitori possono concretamente trovare gli strumenti e formulare le strategie
per migliorare le condizioni di sostegno predisposti
dalle istituzioni.
Il ruolo dell'insegnante come
operatore sociale e come agente di trasformazione nel
senso di una migliore utilizzazione delle risorse umane è anch'esso un ruolo di
sostegno sia per il bambino sia per la famiglia. Nel contesto
scolastico, principalmente attraverso la relazione interpersonale
allievo-docente, deve essere incoraggiato tutto ciò che può concorrere al
recupero del bambino, al recupero cioè delle forze e delle energie positive
che possono essere indirizzate nel senso dello sviluppo e dell'autoaccettazione.
Verso la famiglia attraverso un
rapporto di comprensione e di disponibilità con i genitori l'insegnante
può divenire elemento di sostegno, modello di riferimento, veicolo di
informazioni ed agente di cambiamento per una più costruttiva collocazione del
bambino in seno alla propria famiglia.
In quanto precede è implicito che
l'efficacia dei vari interventi varia in relazione al
grado di sintonia con cui la maturità dei genitori, l'equilibrio del sistema
familiare, l'accettazione e la sensibilità dell'ambiente esterno concorrono a
rendere accettabile la gravità dell'evento.
E tutto ciò evidentemente introduce
una riconsiderazione degli istituti attualmente
esistenti sia per la formazione e riqualificazione dei vari operatori sociali
sia per l'armonizzazione ed equilibrio dei vari interventi possibili.
È il discorso aperto sulla scuola
speciale, sulle sue finalità, sui suoi programmi e
sulle sue risorse.
È il discorso aperto sui centri medico-psico-pedagogici e sulle possibilità di estendere e
di rendere più efficace un servizio attraverso la realizzazione di
un'effettiva collaborazione tra medici, psicologi,
assistenti sociali ed insegnanti.
È il discorso aperto su un tipo di
società che, specie nei programmi di assistenza ed
educazione pubblica, presenta sovente oltre che gravi lacune ancora un'incerta
sensibilità e volontà di rinnovamento e di sviluppo.
I diversi operatori sociali possono
in virtù di una più precisa conoscenza delle relazioni causali tra certe
condizioni e certe disfunzioni, prendere coscienza di
talune tensioni male-adattive agenti nel sistema
sociale e funzionare da stimolo sia per una loro prevenzione sia per un loro
controllo.
E ciò, ritengo, è possibile nella
misura in cui i diversi sforzi e le diverse competenze trovano nel principio
dell'interdisciplinarietà e concretamente nella
comunicazione e nel confronto quotidiani la possibilità di un'integrazione e
di strategie di intervento comuni, sul presupposto,
evidentemente, di una verifica di certi atteggiamenti di superiorità o di
diffidenza dietro cui sovente in passato si è tentato di negare le proprie responsabilità
e di mascherare le proprie incertezze.
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(1) Nota della redazione - Nel n. 13 di Prospettive assistenziali abbiamo
pubblicato dello stesso autore l'articolo «L'insegnamento
agli insufficienti mentali - Alcune considerazioni in ordine psicologico».
Il presente articolo
continua lo stesso studio per quanto concerne i rapporti familiari e
auspichiamo che l'Autore affronti prossimamente i problemi relativi
ai rapporti insufficiente mentale, famiglia e società.
La trattazione di
questo tema, oltre che completare lo studio, potrebbe portare ulteriori specificazioni e approfondimenti e mettere in
rilievo le interconnessioni fra problemi individuali, familiari e sociali.
www.fondazionepromozionesociale.it