Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo
1972
NON SIAMO I SOLI A
DIRLO
RIFORMARE I RIFORMATORI E I CENTRI DI RIEDUCAZIONE
«È stato obiettato che proprio al
fine di sostituire lo Stato alla famiglia e di conferirgli la funzione
educativa che i genitori non abbiano esplicato o non
esplichino, la legge ha istituito centri di rieducazione per i minorenni, tra
i quali sono appunto i riformatori giudiziali. L'inidoneità di questi centri
(e di questi riformatori) - a causa della loro struttura e dell'ormai superato
indirizzo pedagogico -, allo scopo per il quale erano stati
predisposti riguarda la concreta organizzazione funzionale degli stessi ad
opera della pubblica amministrazione e, in ultima analisi, postula l'intervento
del legislatore».
(Dalla
sentenza della Corte Costituzionale del 20-11971, n. 1, Presidente Branca,
relatore Capalozza).
SERVIZI NON EMARGINANTI
«Ma vi era proprio bisogno di creare
questa istituzione (l'istituto medico-psico-pedagogico
“
E, questo, in omaggio al sempre più
accettato principio del minimo di isolamento e del
massimo di socializzazione, principio valido sia per gli handicappati come per
i non handicappati: quindi, niente centri per spastici, per subnormali, per
focomelici, per ciechi, per sordi, niente istituti per anziani o minori,
niente ospedali psichiatrici ma, al contrario, istituzione di servizi per tutti
i cittadini e specializzazione all'interno dei servizi stessi».
(da
ANTONIO FARRACE, Una esperienza: «
LE PERSONE ANZIANE E L'INTERVENTO SOCIALE
«Fino a poco tempo fa si riteneva
"moderno" e necessario l'obbiettivo di creare "una rete di
servizi per gli anziani", si tendeva cioè a
richiudere in una concezione strettamente settoriale la politica dei servizi
sociali e sanitari per le persone anziane.
L'indirizzo oggi prevalente è invece
quello di rifiutare una politica di servizi esclusivamente settoriali destinati
agli anziani quasi dovesse questa categoria di
persone essere sradicata dalla comunità.
Un obbiettivo limitatamente
settoriale sembra negativo per vari motivi:
- pericolo immanente di una
rinnovata «segregazione» degli anziani dal contesto
sociale, anche quando si vogliano superare le formule delle "case di
riposo";
- artificiosità di una distinzione
della "categoria degli anziani" quando si trascuri la globalità del
problema che ha incancellabili analogie con le esigenze delle altre categorie
sociali e cioè di esigenze convergenti al concetto di
comunità, specialmente locale. I bisogni e le relative risposte sono infatti dello stesso tipo per tutte le categorie (ad
esempio: sostegno domiciliare, pensione sociale, ospedali diurni, case albergo,
servizi presenti nella zona, ecc.), anche se le cause dei bisogni sono
differenti (nel caso degli anziani sono legate all'età) non lo sono invece i
metodi e le strutture degli interventi;
- antieconomicità
(funzionale e finanziaria) di «duplicazioni» di servizi sociali e sanitari, i
quali nella loro attuazione non si differenziano sostanzialmente per una
destinazione esclusiva ad una piuttosto che ad un'altra categoria.
Infatti questa proliferazione di servizi «categoriali» (anche se con giustificazioni diverse da
quelle "giuridiche" che hanno presieduto sinora al sistema
assistenziale) tende a ritardare e a far perdere di vista quella riforma in
fatto di servizi che è veramente sostanziale e cioè la presenza garantita e
decentrata dei servizi essenziali. Ciò soprattutto in quanto si tenga presente
che il servizio viene attuato a livello locale.
Una visione politica di una rete
«locale» di servizi sociali e sanitari destinati a tutti i cittadini - senza
discriminazioni né giuridiche, ma neppure di età o di
"normalità"; con una capacità tecnica e professionale al proprio
interno di rispondere alla tipicità delle situazioni personali (quando esse non
richiedono interventi effettivamente ed altamente specializzati) - risulta
pertanto un obiettivo prioritario, in quanto indispensabile per tutti e
necessario come crescita «civile» della comunità locale e di conseguenza come
crescita autentica di tutta la comunità nazionale.
L'obbiettivo di una rete locale di
servizi, visti come infrastrutture indispensabili per una vita familiare e
sociale, si ricollega con ciò ad una reale e concreta concezione dello sviluppo
comunitario, tendente ad eliminare gli isolamenti di ogni
tipo e stimolante per la partecipazione attiva e critica di tutti
all'organizzazione della comunità.
Su questa linea ci sia permesso
sommessamente di osservare come appaia superato il
D.L. n. 1235 del Senato, presentato un anno fa e che propone la
"istituzione della Casa di riposo per gli emigrati anziani". L'auspicio
di questa unica e isolata istituzione - anche se "a solo titolo indicativo"
i proponenti auspicano venga "localizzato in
Abruzzo... per la sua centralità geografica rispetto al territorio della
Repubblica!" - ad un attimo di riflessione critica appare contraddittorio
con i più informati ed efficienti indirizzi sociali. Significa infatti disconoscere del tutto il rapporto dell'uomo con il
proprio ambiente: certamente tale rapporto è stato fino ad ora largamente
trascurato. Ma è ora di riflettere agli alti costi
umani di cui troppo poco si è tenuto conto nella valutazione degli interventi
sociali. Ogni ulteriore tendenza a sradicare per
qualsiasi motivazione l'uomo da un ambiente locale a lui conforme genera dalla
base una illogicità ed "un costo umano ed economico" incalcolabile».
(da
LUDOVICO MONTIM, Le persone anziane e l'intervento sociale, in Assistenza oggi, n. 3, giugno 1971, pag. 3 e 4).
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