Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo
1972
DOCUMENTI
RISTRUTTURAZIONE
DEI SERVIZI DELLA PROVINCIA DI TORINO
Con
delibera del 18 maggio 1971 il Consiglio provinciale di Torino ha deciso la
costituzione di un gruppo di lavoro sui problemi socio-sanitari-assistenziali
«considerato che nel settore assistenziale sono in
atto importanti iniziative di legge e nuove riforme strutturali, che potranno
determinare nuovi indirizzi in materia ed anche diversi compiti per le
amministrazioni provinciali; che pare pertanto opportuno procedere ad una
analisi preventiva ed approfondita sui vari aspetti dei problemi socio-sanitari-assistenziali, per l'individuazione di
nuove esigenze e dei mezzi per farvi fronte».
Il
gruppo di lavoro è composto dai seguenti rappresentanti: 5 della Provincia di
Torino; 2 del Comune di Torino; 3 dei Comuni delle aree dell'Eporediese, del Pinerolese e della 1ª e 2ª cintura di Torino; 1 di ciascuna
delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL; 1 dell'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la lotta contro l'emarginazione
sociale; 1 dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali; 1 di
ciascuna delle scuole SFES, ONARMO e UNSAS; 1 dell'ANFFaS;
il Capo ufficio dei Centri di addestramento professionale e del lavoro
protetto.
Pubblichiamo
i due documenti presentati, grati dei contributi critici che saranno inviati a
noi o direttamente alla Provincia di Torino.
I
UNIONE ITALIANA PER
PROPOSTA SULLA RISTRUTTURAZIONE DEI
SERVIZI DELLA PROVINCIA DI TORINO
(26 ottobre 1971)
1. I soggetti
«assistiti» oggi
Nella nostra società le persone poco
produttive (handicappati) , non più produttive
(anziani) o con difficoltà (minori in situazione di abbandono, famiglie o
persone prive di mezzi economici, disadattati, malati mentali) sono escluse
socialmente e spesso anche fisicamente (ricovero in istituti a carattere di
internato).
Se si esamina quali siano i bisogni delle persone che ricorrono oggi all'intervento assistenziale,
si riscontra che esse appartengono a due gruppi:
1) Il primo gruppo comprende le
persone che sono prive di lavoro o sottoccupate o senza casa o senza mezzi
economici o emarginate dalla scuola (ritardo scolastico, classi differenziali)
o prive di assistenza sanitaria, ecc. Per evitare la
emarginazione sociale di queste persone non è pertanto sufficiente una
ristrutturazione del settore assistenziale (necessaria e urgente come tappa
intermedia), ma la soluzione sta nelle riforme dei vari settori della sanità, della
casa, del lavoro, della scuola ecc., riforme che devono però essere attuate in
modo che i servizi relativi possano essere utilizzati da tutti i cittadini.
Per i cittadini privi di mezzi
economici e impossibilitati per qualsiasi motivo a procurarsi il necessario
economico per vivere, gli attuali interventi settoriali (pensione sociale di L. 12.000 agli ultrasessantacinquenni, assegno agli
invalidi, ai ciechi, ai sordomuti) devono essere sostituiti da una pensione
sociale erogata a tutti i nuclei familiari o persone singole i cui redditi siano inferiori al necessario
economico per vivere il quale, per adeguarsi allo sviluppo sociale, deve
essere collegato con il salario (ad esempio quello minimo dei lavoratori
dell'industria).
Interventi economici temporanei
devono pure essere previsti per i nuclei familiari e le persone i cui redditi
per qualsiasi motivo sono temporaneamente inferiori al necessario economico
per vivere. Questi interventi devono essere diretti a rendere autosufficienti
il più rapidamente possibile i nuclei familiari e le persone in difficoltà
economiche.
2) Il secondo gruppo è costituito dalle persone con handicaps
fisici, psichici, sensoriali oppure con difficoltà (disadattati, bambini in situazione
di abbandono).
Finora si è intervenuti isolando
queste persone (istituti di ricovero, istituti di
cosiddetta rieducazione, ecc.) partendo dall'assurdo presupposto che esse
erano «diverse», e che quindi non dovranno convivere con gli altri, «cosiddetti
normali».
Queste persone hanno invece gli
stessi bisogni fondamentali di tutti ed hanno inoltre alcuni bisogni in più.
Devono quindi essere messe in grado
di poter usufruire dei servizi per tutti i cittadini (servizi
sanitari, prescolastici, scolastici, ricreativi, culturali, abitazione, lavoro
ecc.) e in dette sedi dovranno essere fornite le prestazioni specialistiche di
cui hanno bisogno (fisioterapia, logopedia, apprendimenti del Braille ecc.).
3) Dovrà essere applicato il
principio del minimo di
isolamento e del massimo di socializzazione, principio valido sia
per gli handicappati come per i non handicappati.
Quindi niente centri per spastici, per
subnormali, per focomelici, per ciechi, per sordi, niente istituti per anziani
o per minori, niente ospedali psichiatrici, niente centri ricreativi per
anziani o per handicappati o per minori.
Al contrario
istituzione di
servizi per tutti i cittadini e specializzazione all'interno del servizio
stesso (ad esempio sezioni psichiatriche presso i comuni centri ospedalieri o
ambulatoriali).
Per quanto concerne la scuola dell'obbligo sono necessari dei raggruppamenti non essendo oggi
possibile l'inserimento di tutti gli handicappati in tutte le scuole. È
pertanto necessario che vi siano alcune scuole che accolgano insieme ai
cosiddetti normali gli insufficienti mentali, altre gli spastici ecc.
Pertanto anche per le persone del
secondo gruppo, la soluzione non consiste in istituti migliori, ma sta nelle
riforme dei vari settori della sanità, della casa, del lavoro, della scuola,
riforme che devono però - lo ripetiamo - essere
attuate in modo che i servizi relativi possano essere utilizzati da tutti i
cittadini.
Per fare un esempio banale, se le
abitazioni continueranno ad essere costruite con le barriere architettoniche
(scalini, scale, mancanza di ascensore), coloro che
devono spostarsi in carrozzella saranno impossibilitati ad usufruirne, con
conseguente ricovero in istituti. Così pure, se non è previsto che agli anziani
siano assegnati alloggi sparsi nelle comuni case di abitazione,
la soluzione sarà il ricovero in istituti.
Parimenti se non saranno assegnati
alloggi nelle comuni case di abitazione per istituire
focolari per i bambini abbandonati (per i quali non è effettivamente possibile
il ritorno nella famiglia d'origine, l'adozione o l'affidamento familiare a
scopo educativo), essi dovranno essere rinchiusi in istituto.
4) Un problema importante è quello
di socializzare i cosiddetti normali ai problemi
degli handicappati e delle altre persone con difficoltà e non solo viceversa.
Ad esempio non si può certo sensibilizzare un neonato abbandonato ai problemi
dell'adozione. Non si può parimenti pensare alla piena accettazione dell'handicappato
da parte della sua famiglia, se vi è un rifiuto sociale, rifiuto che è favorito
dalla creazione di servizi «doppione» e cioè per
determinate categorie di persone (spastici, ciechi, sordomuti, insufficienti
mentali, bambini in situazione di abbandono, anziani ecc.).
5) Attualmente
vi è la tendenza del passaggio dalle strutture di tipo chiuso (internati) a
strutture di tipo aperto. Ma anche le strutture di tipo aperto possono essere
emarginanti, come i servizi «doppione» e le stesse famiglie che non accettano il proprio figlio (normale o handicappato).
6) Secondo il parere di questa Unione, l'alternativa è fra servizi tecnocratici (i
tecnici sanno tutto, fanno tutto, riparano i «guasti» delle persone, i
cittadini sono oggetti dell'intervento, con la conseguenza dell'abbassamento
del livello di accettazione e di solidarietà della comunità) e servizi
partecipati in cui la comunità ed i tecnici sono coinvolti direttamente nella
individuazione e soluzione dei problemi.
L'adozione, se la famiglia è valida,
è un esempio di intervento sociale che è nella
direzione della partecipazione; vi saranno fra l'altro molti fallimenti in meno
e l'adozione di un maggior numero di bambini e fanciulli handicappati quando i
tecnici non interverranno più, come avviene oggi, con scopi esclusivamente
selettivi, ma insieme ad altre famiglie (adottive e non adottive) avranno la
funzione di favorire l'auto-orientamento dei candidati all'adozione. Vedansi
ad esempio i gruppi di maturazione dell'Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie e il ruolo previsto per le famiglie
affidatarie dalla recente delibera della Provincia di Torino concernente
l'affidamento familiare.
7) Presupposto della partecipazione
dei cittadini è l'informazione (vedasi lo statuto della Regione Piemonte), ma essa non viene fornita. A questa gravissima carenza occorre ovviare se
Un apposito
gruppo di lavoro, composto da rappresentanti della Provincia, dei Comuni e
delle forze sociali potrebbe essere costituito per l'azione informativa di cui
sopra.
2. Superamento
dell'intervento assistenziale
Attuando una politica effettivamente
sociale (e cioè per tutti i cittadini) , l'intervento
assistenziale non è più necessario.
1) D'altra parte occorre superare
anche la distinzione fra intervento pubblico e intervento privato: l'intervento
non è valido di per sé quando è comunale o statale o
provinciale o regionale, laico o religioso, pubblico o privato.
Mentre è necessaria la garanzia
pubblica (riconoscimento del diritto concretamente esigibile alle
prestazioni), l'alternativa vera è fra interventi
emarginanti (o tecnocratici) e interventi partecipati.
Ad esempio, l'adozione dei bambini è
garantita pubblicamente (dal tribunale per i minorenni), e non è né comunale,
né statale, né provinciale, né regionale, né laica, né religiosa, ma è partecipata:
una famiglia prende uno o più bambini e li rende
propri figli.
2) Il superamento dell'intervento
assistenziale, e cioè dell'emarginazione sociale,
postula un'inversione di tendenza di cui si enunciano alcune imprescindibili
condizioni per l'attuazione delle quali occorrono una politica veramente sociale
da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni nelle materie ad esse
trasferite ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione o attualmente
di loro competenza, e il loro appoggio politico per quelle che rimangono di
competenza dello Stato (1):
a) un adeguato trasferimento di
stanziamenti dai consumi privati ai consumi
collettivi;
b) l'unificazione di tutti i servizi
ed interventi sociali a livello sia politico che
tecnico, onde evitare il riprodursi dei fenomeni di divisione e settorializzazione;
c) la gestione dei servizi a livello
locale (unità locale dei servizi e comprensori), come
risposta alle esigenze che si manifestano nella zona, con la previsione di una
serie di controlli politici;
d) l'attribuzione
alle Regioni delle funzioni di programmazione e coordinamento, e non della
gestione diretta dei servizi;
e) il riconoscimento del diritto
alla protezione sociale attraverso taluni strumenti
fondamentali, quali:
- la piena occupazione ed in via sussidiaria mediante un sistema di
garanzie economiche sostanziali destinate a soddisfare il necessario economico per vivere a favore
di coloro che non possono svolgere appieno un'attività lavorativa o sono
usciti, per qualsiasi ragione, dal ciclo produttivo;
- un complesso sistema di servizi sanitari preventivi, curativi e
riabilitativi, configurato in modo da assicurare l'armonico sviluppo fisico e
psichico della persona in tutti gli ambienti in cui essa è inserita. È da
evitare il rischio di una medicina preventiva che tenda a processi di adattamento e miglioramento della forza-lavoro, a scopo
esclusivamente produttivistico: ciò pone il problema di uno stretto raccordo e
di una impostazione unitaria tra servizi sanitari e sociali;
- la scuola come momento di informazione e
formazione a carattere globale e permanente, non più cristallizzata e chiusa
verso l'esterno, ma aperta alla comunità in quanto tale, centro dei processi
culturali che si svolgono, servizio collettivo soggetto a controllo politico
mediante la partecipazione dei lavoratori: in tale quadro si collocano le
esigenze della scuola a tempo pieno, di un'edilizia scolastica rinnovata, di
un preciso rapporto col territorio, della riduzione del numero degli allievi
per classe, dell'abolizione delle classi differenziali, ecc.
Vi è pure l'esigenza i provvedere al
più presto alla formazione,
aggiornamento e riqualificazione, su un piano generalizzato, del personale
a cui verranno affidati i compiti inerenti all'attuazione del sistema dei
servizi sociali. È necessario superare, in questo quadro, l'artificiosa distinzione
tra personale amministrativo e tecnico, per l'affermarsi della figura
professionale dell'operatore sociale, che, in relazione ai
bisogni sociali e alle risposte programmate, esercita specifiche funzioni;
- l'assetto del territorio nel senso di dare importanza al complesso
delle attrezzature sociali rispetto al contesto della
residenza e delle attività produttive e non viceversa; ciò è possibile solo
nella misura in cui si individui un modello alternativo di sviluppo urbano,
fondato sul riequilibrio sostanziale delle tipologie di insediamento, secondo
una diversa logica dei rapporti sociali e della distribuzione delle risorse;
- l'impostazione della ricerca scientifica destinata ai fini
sociali, servizio per la collettività e non strumento della produzione
monopolistica.
3. Proposte di soluzioni
immediate
Se l'obiettivo lungo termine è l'attuazione
di riforme tali da assicurare a tutti i cittadini, indipendentemente dalle
loro condizioni, di partecipare come soggetti alla vita politica, economica e
sociale, l'obiettivo immediato principale è l'eliminazione progressiva e la
più rapida possibile di tutte le strutture emarginanti la creazione di servizi
comunitari, utilizzando gli spazi operativi previsti o consentiti dall'attuale
legislazione, e favorendone, in tal modo, anche il suo futuro adeguamento.
1) I nuovi servizi dovranno essere
tali da consentire il massimo di partecipazione possibile ed essere dislocati
il più possibile «alla porta del cittadino».
2)
- da un lato decentrare i servizi da
essa attualmente gestiti, che possono essere svolti a
livello di unità locali dei servizi. Detto decentramento non
dovrebbe essere solo di tipo territoriale, ma con i contenuti sopra
indicati (servizi comunitari e partecipati). Ci si riferisce in particolare ai
servizi relativi alle madri nubili, ai minori nati
fuori del matrimonio, agli handicappati, ai malati mentali, alla medicina
scolastica e al centro di igiene mentale;
- d'altro lato assumere quegli
interventi che non sono effettivamente attuabili a livello di
unità locali dei servizi tenendo conto della ristrutturazione delle
province in comprensori.
I più urgenti sono:
- un centro per la
formazione, aggiornamento, riconversione degli operatori sociali (assistenti
sociali, educatori, animatori culturali e del tempo libero; assistenti
sanitarie, fisioterapisti, logopedisti e altri
esperti della riabilitazione; istruttori tecnici per i centri di preparazione
professionale);
- centri per la
preparazione professionale aperta a tutti (handicappati e non handicappati).
3) Per le persone (minori, adulti,
anziani) istituzionalizzati si tratterà di reinserirle nelle comunità tramite:
- l'aiuto economico ai nuclei
familiari che per carenze finanziarie hanno
provveduto, accettato o subito il ricovero di loro famigliari;
- l'aiuto sociale ai nuclei
familiari che per carenze personali o di servizi hanno
famigliari istituzionalizzati e il cui rientro in famiglia è possibile con
l'eliminazione delle cause di cui sopra;
- l'adozione dei minori in
situazione di abbandono materiale e morale;
- l'affidamento familiare a scopo
educativo di minori che sarà, a seconda dei casi, con
o senza rapporti con la famiglia d'origine;
- la creazione di focolari inseriti
in modo sparso nelle comuni case di abitazione,
specialmente di quelle dell'edilizia economica, per i minori, gli anziani,
gli handicappati per i quali non sono attuabili gli interventi sopra indicati.
4) Dovranno in ogni caso essere
scartate le soluzioni «istituto» o «ville» siano esse chiuse o aperte,
organizzate tradizionalmente o a gruppi famiglia.
5) Per verificare e attuare quanto
sopra indicato,
6) Il trasferimento di competenze
dalla «assistenza» ai servizi della casa, della sanità, della scuola, del
lavoro, ecc. oltre a rispondere al principio della pari dignità di tutte le
persone, non solo è più rispondente alle esigenze delle persone,
ma è anche economicamente meno oneroso.
7) La ristrutturazione dei servizi
non può ridursi ad un puro fatto tecnico, ma deve coinvolgere, a tutti i
livelli e in tutte le sue fasi, le forze sociali ed i cittadini che hanno il
diritto-dovere di partecipare alla elaborazione degli
indirizzi politici e controllarne la loro attuazione.
Ma ciò non basta. Occorre anche
un'azione di responsabilizzazione individuale,
familiare e collettiva, di modo che tutti si sentano soggetti effettivi della
comunità e pertanto anche direttamente responsabili della sorte di tutti e di
ciascuno dei suoi membri.
4. Conclusioni
Quanto indicato nei punti precedenti
esige, fra l'altro, che:
- sia istituito un centro
comprensoriale per la formazione, aggiornamento e riconversione di operatori sociali (vedasi al riguardo la bozza di
proposta di legge regionale di iniziativa popolare redatta da questa Unione, in
Prospettive assistenziali, n. 13,
gennaio-marzo 1971) ;
- il centro di addestramento
per subnormali della Provincia di Torino passi dall'assessorato all'assistenza
all'assessorato che si occupa della preparazione professionale dei cosiddetti
normali;
- i subnormali e gli altri
handicappati siano inseriti nei centri di
preparazione, aggiornamento e riconversione professionale istituiti dalla
Provincia o da istituire (vedasi al riguardo la raccomandazione n. 99 della
Conferenza Internazionale del Lavoro);
- parimenti il laboratorio protetto
dovrebbe passare dall'assessorato all'assistenza a quello del lavoro;
- dovrebbe essere resa operativa la
dichiarazione dell'assessore all'assistenza della Provincia di Torino fatta
il 18-10-1971, secondo la quale la villa di strada del Mainero
è «un tamponamento alla situazione di Villa Azzurra»
(2) ;
- siano ristrutturate in servizi di
quartiere le attività oggi svolte dal C.I.M., dalla medicina scolastica, dall'I.P.I.,
dalle comunità alloggi ecc.;
- l'immobile di piazza
Massaua sia destinato ad un utile servizio;
- l'impegno della Provincia dovrebbe
estendersi anche alle altre istituzioni (in particolare l'ONMI) in cui vi sono
suoi rappresentanti.
1) L'organizzazione dei servizi
dovrebbe adeguarsi al principio della rispondenza unitaria alle persone nelle
sue molteplici necessità (diritti) e non al principio delle risposte settoriali
ai singoli bisogni delle persone.
2) Questa Unione
resta a disposizione per fornire ulteriori precisazioni e maggiori dettagli, ma
fin d'ora tiene a dichiarare che sui punti sopra esposti
II
SINDACATI CGIL, CISL, UIL
PRIME RICHIESTE DI INTERVENTO DEGLI
ENTI LOCALI SUI SERVIZI SOCIALI
(4 gennaio 1972)
Premessa
1) L'impostazione, settoriale e
frammentaria, dell'intervento assistenziale, che è
proprio dell'organizzazione attuale dell'assistenza è una delle cause che non
consentono di rilevare dei dati precisi sui bisogni generali della popolazione
rispetto a ciascun tipo di servizio: tali dati sono essenziali per
l'impostazione di una politica che consenta di ricercare risposte reali e organiche
ai problemi sociali posti dal tipo di sviluppo della nostra Regione (fenomeno
immigratorio e conseguenti gravissime difficoltà di adattamento e di
inserimento di grandi masse di lavoratori; espansione oppressiva e caotica
della città, determinata dalla speculazione edilizia, e conseguenti drammatiche
condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie nei quartieri-ghetto e
nelle case vecchie e malsane del centro storico; carenza degli essenziali
servizi sociali, quali scuole, verde, asili, ecc.).
È già ormai acquisita dal Sindacato
la consapevolezza che tali problemi sociali possono essere affrontati e
risolti solo nella misura in cui li si affronta in
modo globale; il che significa, per quanto riguarda il settore assistenziale,
attuarne uno stretto collegamento con le altre riforme (casa, scuola, sanità),
rompere l'attuale settorializzazione e
discrezionalità dell'intervento, proporre un assetto alternativo di servizi
sociali, che veda impegnati nella gestione gli Enti locali.
L'impegno del Sindacato è
indirizzato a questi obiettivi.
Il presente documento, che si muove
nell'ambito di tali acquisizioni generali, costituisce un primo approccio al
problema, e propone, come particolarmente urgente, l'analisi del discorso assistenziale sui minori, specificamente della prima
infanzia.
Problemi dell'infanzia
2-1. Si conosce, ad esempio, che su
circa 57.000 bambini in età da
Si cita il caso degli asili-nido,
ove si individuano molte caratteristiche comuni alle
«Istituzioni totali», oggi finalmente oggetto di critica e di denuncia da
parte della opinione pubblica in generale, oltre che
dei movimenti organizzati.
Considerazioni analoghe possono
essere fatte per l'arco di età che va dai 3 ai 6 anni,
allorquando i segni delle patologie ambientali iniziano a manifestarsi in modo
conclamato, ottenendo come risposta dalle istituzioni che debbono provvedere,
la «scuola speciale», tipico strumento, nella sua attuale organizzazione, di
emarginazione sociale.
2-2. Un servizio sociale per i
minori, che si proponga come reale risposta ai bisogni, deve differenziarsi
dalle vecchie modalità di assistenza proprio nel
fatto di essere un servizio rivolto a tutta la popolazione e di considerare
unitariamente l'insieme dei bisogni propri dei minori di una determinata età.
È funzione e responsabilità
specifica degli Enti Locali di assumere l'iniziativa di una politica diretta
agli obiettivi su esposti, sia utilizzando gli strumenti già disponibili nelle
strutture attuali - quali quelli previsti dalla più
recente legislazione che contiene già alcuni elementi innovativi -, sia contribuendo
autonomamente alla ricerca di strumenti nuovi e facendosi portavoce delle
esigenze della popolazione nei confronti dei poteri centrali.
2-3. Riprendendo il discorso sui
servizi sociali alla prima infanzia, si osserva come la recente approvazione da
parte del Parlamento della legge istitutiva del Servizio Nazionale degli Asili
Nido apra delle prospettive di intervento agli Enti locali,
nella direzione da noi auspicata, in quanto il servizio viene inteso,
positivamente, rivolto non più solo alle madri-lavoratrici ma alla totalità
della popolazione, si supera la vecchia concezione dell'organizzazione
aziendale, proponendo in suo luogo un'organizzazione territoriale del
servizio, si prevedono strumenti di partecipazione popolare, dei lavoratori.
L'iniziativa degli Enti Locali deve
tuttavia essere anche indirizzata ad affrontare e risolvere quei problemi che
2-4. Dare avvio ad una politica per
l'infanzia che tenga conto di queste linee ed indirizzi, comporta
preliminarmente un impegno univoco degli Enti Locali (Provincia e Comuni) nel:
A) quantificare le disponibilità
finanziarie offerte dalla legge di recente approvazione (contributi dei datori
di lavoro, dello stato, dei Comuni) e quelle già presenti nei bilanci comunali
e provinciali destinati ad interventi di qualsiasi tipo relativi
a minori nell'arco di età interessato;
B) programmare l'uso dei fondi, così
determinati, in funzione di una rete di servizi che risponda nella sua
globalità e unitarietà ai bisogni di tutti i bambini, superando le artificiose
e innaturali categorizzazioni assistenziali
attuali (es. illegittimi, sub-normali, orfani, minori appartenenti a famiglie
in stato di povertà); obbiettivo che può nella fase iniziale essere raggiunto
tramite l'intervento coordinato di provincia e comune. Va prevista l'assunzione
progressiva dei compiti attualmente delegati ad
Istituzioni quali l'ONMI;
C) individuare le caratteristiche
qualitative dei servizi che si intende realizzare.
Richieste immediate
3) Sulla base delle tesi su esposte,
si rende necessario che:
- relativamente al
punto A)
- la provincia (ed il comune di
Torino) predispongano e rendano pubblico un documento contenente sia i dati relativi ai fondi previsti dalla legge per il finanziamento
degli asilinido nella provincia di Torino per il prossimo quinquennio, sia i
dati relativi ai fondi attualmente spesi dalla provincia e dai comuni, a qualunque
titolo per assistenza ai minori da
- relativamente al
punto B)
- si deliberi da parte della
provincia il decentramento dei propri servizi: tale atto è ritenuto la
premessa per la sperimentazione di un intervento di assistenza
attuato in zone di Torino da concordare con la partecipazione congiunta di
provincia e comune, tenuto conto delle attuali competenze di legge secondo le
richieste avanzate dall'Unione per
- si attui qualche iniziativa
concreta degli Enti locali in direzione di un progressivo superamento
dell'ONMI, ecc. in attesa di
provvedimenti legislativi di scioglimento di tale
Ente; è comunque indispensabile far cessare al più presto tutte le forme di
sovvenzioni attuali eccedenti i meri obblighi di legge (non esclusa la
fornitura di personale) ;
- relativamente al
punto C): si richiede alla provincia di fornire strumenti di ricerca e
operativi quali:
- consentire ai membri della
Commissione di accedere all'interno dei servizi
esistenti (ONMI, IPI, scuole materne, servizi psico-pedagogici)
ai fini anche di un rapporto con il personale e con gli utenti;
- introdurre sperimentalmente
metodologie diverse da quelle tradizionali in alcuni dei servizi esistenti (es.: asili-nido, IPI). A tal fine
si richiede che venga predisposto dal comune di Torino
e dalla provincia, secondo modalità da concordarsi anche con Sindacati di categoria
interessati, l'utilizzazione di personale attualmente destinato a compiti
tradizionali;
- realizzare soluzioni alternative
alle attuali forme di istituzionalizzazione, tenendo
in particolare considerazione la sperimentazione di comunità di tipo familiare
e riconoscendo come obiettivo politico-strategico quello della totale deistituzionalizzazione dei minori;
- consentire che si apra un
dibattito con le forze sociali interessate su tutto il processo di
sperimentazione e di ricognizione dei servizi, e accettare le eventuali
indicazioni che ne derivino.
(1) Vedasi il
documento redatto dalla CGIL, CISL, UIL, ACLI, Unione italiana per la
promozione dei diritti del minore, Associazione per la lotta contro le malattie
mentali: «Le ragioni per cui si respinge lo schema di decreto delegato
sull'assistenza predisposto dal Governo» - Torino, 23-9-1971 (Prospettive assistenziali,
n. 16).
(2) A Villa Azzurra,
reparto dell'Ospedale psichiatrico, sono ricoverati 55 fanciulli insufficienti
mentali gravi.
www.fondazionepromozionesociale.it