Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo
1972
DOCUMENTI
SENTENZA
DEL PROCESSO PENALE CONTRO GOTELLI, GUELI, CINE Di PORTOCANNONE
Pubblichiamo
la sentenza per i rilevanti riflessi sulle attività dei presidenti dei
comitati provinciali e comunali, dei direttori sanitari dell'ONMI e, infine,
delle autorità preposte alla vigilanza delle istituzioni pubbliche e private di assistenza all'infanzia.
Svolgimento del
processo
Con denunzia in data 1-10-
In seguito a ciò si procedeva alle
dovute indagini di P.G.,
per l'accertamento dei reati denunziati, allo stato a carico di ignoti, e,
sequestrati ritualmente presso
Poiché quanto andava via via emergendo evidenziava la gravissima situazione in cui
si trovavano gli istituti di assistenza, confermando
le preoccupazioni espresse nella denuntia criminis, in data 19-2-1971 veniva ordinata una contemporanea
perquisizione in tutti gli istituti, con la partecipazione del personale della
Legione Carabinieri e della Questura di Roma, al fine di assicurare, valendosi
della sorpresa, le prove di eventuali reati. Conclusasi
tale operazione con centinaia di denunzie alla A.G.
ed alcuni arresti, si palesavano precisi indizi di colpevolezza a carico dei
dirigenti dell'ONMI nazionale e comunale, sicché in data 11-3-1971 venivano
inviati avvisi di procedimento per il reato p.p. dall'art. 328 c.p. a Gotelli Angela, Presidente Nazionale dell'ONMI, e agli altri
componenti
Spiccati successivamente
il 30-3-1971 nei confronti dei prevenuti i mandati di comparizione per i reati
in rubrica loro contestati, l'istruttoria veniva sospesa per effetto di formale
istanza di ricusazione proposta dalla Gotelli sul
riflesso che il Pretore, come riportava il quotidiano «Il Mattino» del 13-3-1971, aveva dichiarato nel corso di un'improvvisa
conferenza stampa che vi erano gravi e pesanti indizi a carico degli imputati
e che
Rigettata la ricusazione, venivano interrogati gli imputati, sentito il denunziante,
escussi come testi il Sindaco Darida, nonché le
assistenti sociali Terranova, Covino, Bruneri,
Cantaro, Mongelli e Suria,
ed acquisite agli atti alcuni documenti sequestrati dai carabinieri, o
prodotti dalla difesa.
In seguito alle risultanze
istruttorie, disposto lo stralcio degli atti relativi agli altri componenti
della Giunta esecutiva, gli imputati erano tratti a giudizio per rispondere dei
reati loro ascritti in rubrica.
Al dibattimento, svoltosi nelle
udienze del 24, 25, 26 novembre e conclusosi il
1°-12-1971, interrogati i prevenuti, escussi come testi i verbalizzanti, T. Col. Brunelli, Cap. Mori, Mar.
Solinas e Talevi, Brig. Masala, Comm.
Capo di P.S. Mangiavalori, nonché
il Prefetto di Roma nella sua sede alla presenza del P.M.,
dei difensori e degli imputati, e tutti i testi sentiti in istruttoria, data
lettura sull'accordo delle parti degli atti consentiti, P.M. e Difesa
presentavano le loro conclusioni come a verbale riportate.
Motivi della decisione
Si rende preliminarmente necessario
confermare le ordinanze dibattimentali con le quali si sono respinte le
eccezioni del P.M. e della Difesa, ribadite nella
requisitoria e nelle arringhe finali, che, se accolte, avrebbero inciso in maniera
determinante sulla vicenda processuale sottoposta al giudizio di questo
Pretore.
Per quanto attiene alla eccezione, sollevata dal P.M.,
di incostituzionalità dell'art. 356 c.p.p. del quale
ha inteso avvalersi il Prefetto di Roma, per essere sentito come teste nella
sua sede, non può invero non osservarsi che esso contrasti palesemente con
l'art. 3 della Costituzione, annoverato tra i principi fondamentali cui deve
ispirarsi
L'affermazione che tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e senza alcuna distinzione di condizioni
personali e sociali sono eguali davanti alla legge, non può rimanere mera enunciazione
formale, ma deve incidere profondamente nella realtà legislativa e, per essa
nella realtà sociale del Paese, rendendo inammissibili privilegi a favore di
alcuni cittadini nei confronti dei più elementari doveri che ogni consociato ha
verso
Ciò posto è indubitabile che l'art.
356 c.p.p., in correlazione
agli artt. 453, 454 c.p.p., stabilendo per i cardinali e per i grandi ufficiali
dello stato, la possibilità di non presentarsi a rendere la testimonianza
innanzi al Magistrato, ma dando loro la facoltà di essere escussi nella loro
sede, con grave e pregiudizievole intralcio per il corso ordinato della
udienza, e correlativa pubblica spesa per il trasferimento dell'ufficio
giudiziario, costituisce - laddove si consideri anche il divieto al pubblico
di assistere alla escussione del teste - un trattamento di favore
assolutamente ingiustificato rispetto a tutta la generalità dei cittadini,
risolvendosi in un vero e proprio privilegio in spregio al conclamato
principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Tuttavia, poiché per la trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale si esige che la norma impugnata si
presenti come essenziale e propedeutica al fine della decisione, mentre nel
caso di specie l'art. 356 c.p.p.,
per la sua mera strumentalità non assume tale
rilevanza, non pare opportuna e giustificata la sospensione del processo per
dare inizio al richiesto giudizio di incostituzionalità.
Né sono da accogliere le eccezioni
sollevate dalla Difesa di Cini e di Gueli, secondo cui il decreto di citazione dovrebbe
considerarsi nullo per genericità della accusa. Invero
ai sensi dell'articolo 412 c.p.p.,
si ha nullità del decreto di citazione a giudizio soltanto quando la
incertezza dei fatti contestati sia assoluta, tale cioè da non consentire in
alcun modo all'imputato di avere contezza delle contestazioni mossigli, in
violazione all'art. 185 n. 3 c.p.p. Nel caso di
specie invece, nei decreti di citazione notificati agli imputati Cini e Gueli vi è precisa e chiara
descrizione dei fatti loro contestati, sia con l'indicazione specifica degli
articoli di legge violati, sia con la puntualizzazione della loro contestata
condotta omissiva, che si evidenzia dalle espressioni «ometteva indebitamente
di disporre, organizzare ed attuare i dovuti controlli» qualificati come «igienico,
sanitari e funzionali», sia con la specifica indicazione degli istituti nei
confronti dei quali si verificò la loro omissione.
Del pari non hanno pregio le
doglianze della Difesa di Gotelli, per una presunta
diversità tra il mandato di comparizione ed il decreto di citazione
a giudizio; nonché per il fatto che sarebbero stati violati i diritti della
Difesa, poiché alla perquisizione presso la sede dell'ONMI nazionale non
presenziò un difensore.
Per quanto attiene alla prima
eccezione va considerato che l'onere sancito dall'art. 376 c.p.p.
tende ad evitare che l'imputato sia tratto a giudizio per fatti diversi da
quelli contestati nel mandato di comparizione e nell'interrogatorio. Nel caso
in esame esiste sostanziale identità tra i fatti contestati alla prevenuta in
fase istruttoria, sia mediante mandato sia mediante interrogatorio - vertente
sul tema generale della omissione dei dovuti controlli
dell'imputata nella sua qualità di Presidente nazionale ONMI nei confronti
degli istituti di assistenza all'infanzia, e quanto contestato nel decreto di
citazione a giudizio: appaiono quindi del tutto ininfluenti le precisazioni
in fatto e in diritto (con maggior chiarificazione a favore della difesa
contenute nel decreto di citazione, ovvie d'altro canto se si consideri che
l'accusa trova la sua cristallizzazione definitiva soltanto nel capo di
imputazione finale, consacrato nel decreto di citazione).
Quanto al rilievo che al momento
della perquisizione del 13-2-1971, non fosse presente un difensore va
rilevato che, a parte la considerazione che in quella data il procedimento,
nella sua fase di indagini preliminari, era ancora a
carico di ignoti, ai sensi degli artt. 304 bis e
segg. c.p.p., non sussiste
alcun obbligo di avviso ai difensori, per lo speciale atto della perquisizione
domiciliare, per la quale è prevista solo la possibilità «per le parti private
di farsi assistere dal difensore e da altra persona di fiducia». Nonostante
ciò
Nel merito, emerge sicura la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro
ascritti in rubrica.
Per avere il senso compiuto della
consistenza, della gravità, degli effetti della loro antigiuridica omissione,
articolata nei singoli capi di imputazione, si rende
necessario accennare alla situazione degli istituti per l'infanzia
abbandonata, così come si è incredibilmente presentata agli occhi degli
inquirenti, situazione che ha poi imposto il categorico imperativo di
accertare se tale impressionante stato di abbandono degli istituti potesse -
come poi è risultato - ricollegarsi per la gran parte almeno in un rapporto di
causa ad effetto, alla omissione di coloro cui spettava per legge la
sorveglianza ed il controllo degli istituti.
Va da sé, che il reato p.p.
dall'art. 328 c.p. non avrebbe bisogno della ricerca delle conseguenze che
l'omissione del pubblico ufficiale ha prodotto, non rientrando nella categoria
dei c.d. reati omissivi-commissivi, ma piuttosto in
quella dei reati omissivi puri che si realizzano cioè
con il semplice «non facere» quanto imposto da un
obbligo giuridico, tuttavia non si può fare a meno di ricostruire, sia pure
sinteticamente, quel dato reale che ha fornito l'impulso per l'inizio del
procedimento nei confronti degli odierni imputati.
Le indagini condotte con lodevole
perizia dai Carabinieri (e particolarmente dal Nucleo investigativo) e dalla
Polizia, hanno evidenziato una situazione di totale abbandono di tutti quei minori
che per loro sventura sono costretti a trascorrere la
loro infanzia negli istituti, quali orfanotrofi, brefotrofi ecc. che vengono
denominati, per ironica contrapposizione, di assistenza all'infanzia
abbandonata.
Nella quasi totalità di questi
istituti (1) si sono riscontrate insufficienti condizioni igienico-sanitarie
e gravi carenze funzionali e pedagogiche. A scorrere
i singoli rapporti che via via carabinieri e polizia
hanno inoltrato al Magistrato (1) emerge tutta una serie di fatti qualificabili
non solo come immorali, ma anche come penalmente rilevanti. Il più diffuso di
questi consiste nella violazione pressoché generale da parte dei direttori
degli istituti (il che ha comportato oltre centotrenta denunzie per omissioni di atti di ufficio) dell'obbligo stabilito dal codice civile
all'art. 314, relativo all'invio al giudice tutelare dei prescritti elenchi
trimestrali dei minori ricoverati. Qualunque sia il motivo di tale omissione -
timore di perdere le rette che Enti pubblici o privati concedono
per tutti i bambini, ovvero necessità di giustificare con la presenza dei
bambini la esigenza dell'istituto od altro - sta di fatto che essa ha impedito
la possibilità per i minori di essere adottati, sicché il fatto che centinaia
di minori siano «occultati» senza che il giudice tutelare possa avere neanche
sentore della loro esistenza ha frustrato la speranza delle numerosissime domande
di adozione, che giacciono inevase anche e soprattutto (ed è questo l'aspetto
drammatico della questione) per la mancanza ufficiale dei bambini da adottare.
Ma, purtroppo ben altre sono state le
violazioni di legge riscontrate nel corso delle indagini. Possono al riguardo
citarsi, come esempio illuminante dello stato delle cose dei singoli istituti,
le chiare attendibili testimonianze del dott. Larocca e del Cap. Mori.
Il primo nella sua specifica qualità
di medico legale e di pediatra, ha riferito che in un istituto (1) ove le
condizioni igienico-sanitarie erano del tutto insufficienti, egli rinvenne in una stanza di mt. 4 x 5 ben 11 lettini, addossati gli uni agli altri, con
sulle reti alcuni materassini laceri di un sottile strato di gomma-piuma; nella
cucina il più assoluto disordine «in una sporcizia indescrivibile» resti abbandonati
di pasti precedenti, poppatoi per terra ecc. Inoltre furono scoperti (2) dei
bambini con una tutina chiusa da un legaccio all'altezza delle caviglie, tutina
di contenzione, che, a parere anche del medico impediva non solo la possibilità
di movimento ma anche la normale circolazione del sangue.
Gravissime le carenze
relative all'igiene personale: alcuni bambini presentavano tracce di feci tra
le pieghe delle cosce con conseguenti arrossamenti molto estesi; su di uno in
particolare fu riscontrato «eritema gluteale» molto
evidente cioè una macerazione della cute dovuta ad impregnazione
della stessa con urine e sostanze fetali (2).
Alla conoscenza del medico legale si presentava ancora un altro istituto, «il più squallido,
il più sporco ed inabitabile istituto che mai avesse visto»: qui non solo vi
erano cumuli di sporcizia dappertutto, ma la biancheria dei letti risultava,
alla data dell'accesso al luogo che avvenne il 16 febbraio, cambiata soltanto
una volta a Natale (specifica al riguardo altro teste, Mar. dei CC. Solinas Antonio che tra i materassini vecchi e scuciti e le
reti smagliate vi erano tozzi di pane raffermo e indumenti intimi sporchi e
maleodoranti (1). Abbandonato in una camerata del tutto priva di riscaldamento
fu rinvenuto un bambino affetto da bronchite febbrile,
nessuno nell'istituto si era mai dato pensiero, nonostante la malattia
durasse da giorni, di avvertire un medico o di somministrargli delle medicine.
Puntuale conferma delle deposizioni
del dottor Larocca, si riscontra nella
chiara testimonianza del teste Mori che quale ufficiale del nucleo investigativo
dei CC. ha diretto e partecipato a numerose perquisizioni negli istituti.
Anch'egli, narrando di un istituto,
ricorda che «entrando nei locali la prima cosa che colpiva era un fetore
intensissimo» (1) e che in cucina tra cumuli di sporcizia furono rinvenuti (1)
prodotti omogeneizzati con validità scaduta.
In un altro istituto, alla Borgata
Massimina, i Carabinieri vi si recarono su precisa denunzia del Preside della
locale scuola media, preoccupato per quanto alcune bambine ospiti
dell'istituto raccontavano ai loro insegnanti. Invero
fu accertato che le piccole «venivano più volte sottoposte a percosse ad ogni
minima disobbedienza o indisciplina, che la minestra era immangiabile per la
sporcizia sui piatti, per i vermi, capelli od altro che vi si trovavano». Come
punizione una suora - allontanata qualche giorno prima
dell'arrivo dei carabinieri su suggerimento di un vescovo «per i metodi poco
materni» - usava rinchiudere le bambine in uno scantinato (2) stretto e buio
senza finestre o luce, ove erano ammassati vari materiali.
Gli accertamenti presso gli istituti
hanno altresì messo in luce con preoccupante frequenza casi di
omosessualità o di violenze perpetrate sui bambini. Presso un Ente
invero lo stesso Rettore compiva tali pratiche su minori ricoverati sicché si
procedeva al suo arresto nonché alla denunzia per lo
stesso reato di atti di libidine di altro religioso, e all'incriminazione degli
assistenti per maltrattamenti continuati.
Anche in altro istituto, ricorda il teste Mori «abbiamo accertato numerosi casi di omosessualità»:
specifica in proposito il medico legale Larocca (1)
che un bambino di circa 10 anni visitato in loco si presentava come «abuso al
coito» per ricorrenti rapporti carnali che subiva.
Nell'ambito della stessa operazione
le indagini effettuate dalla Polizia portavano all'arresto di un altro
religioso che in un istituto alla periferia di Roma (1) sottoponeva ad atti di
libidine violenta i minori ivi ricoverati.
L'esemplificazione fin qui riportata
può forse bastare per avere un sufficiente quadro della situazione degli
istituti di assistenza all'infanzia di Roma: v'è da
aggiungere che secondo i rapporti della Polizia e dei Carabinieri in numerosi
istituti sono stati sequestrati medicinali scaduti di validità e cibi
avariati, 138 direttori e direttrici sono stati incriminati sia per aver omesso
l'invio degli elenchi dei minori al giudice tutelare. sia
per aver tenuto i minori senza aver mai conseguito la prescritta
autorizzazione; e per numerosi altri rettori o istitutori si è iniziata
l'azione penale per maltrattamenti, o abusi di mezzi di correzione o lesioni.
Ciò che stupisce dolorosamente non è
tuttavia la serie pure impressionante di reati perpetrati a danno di bambini,
ma la constatazione che per tale infanzia abbandonata (nel senso più vero della
parola) non sussistono non solo le condizioni per la
sua normale evoluzione fisica e psichica, ma neanche le condizioni primarie di
vita quali un vitto appena sufficiente o un alloggio anche modesto.
V'è da chiedersi - a prescindere dal
rispetto umano a cui ogni bambino ha naturale diritto, consacrato anche nella
nostra Carta Costituzionale all'art. 31 - quale sarà l'apporto ed il contributo
che questi infelici, una volta adulti, daranno ad una società che nella quasi
totalità dei casi li ha di fatto abbandonati, spesso
alla mercè di persone disumane senza vegliare assiduamente su di essi come il
più normale senso di civiltà impone e come le stesse leggi - inascoltate -
prescrivono.
Esiste nel nostro ordinamento un
sistema normativo che, se attuato dagli organi competenti, può assicurare una
sufficiente vigilanza ed un efficace controllo sulle condizioni di vita dei minori
che sono ospiti negli istituti di assistenza
all'infanzia.
Poiché lo Stato, ex art. 31, II
comma della Costituzione «protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù
favorendo gli istituti necessari a tale scopo», assume automaticamente quella
posizione di preminenza, per quei poteri di alta
sorveglianza, di coordinamento e di indirizzo che gli competono su tutti gli
Enti operanti nel settore e su tutte le attività indirizzate a quel fine. E ciò
essenzialmente attraverso i Ministeri della Sanità e dell'Interno: il primo
annovera tra i vari fini della tutela della salute della popolazione scolastica
(art. 9 D.P.R. 11-2-1961, n. 264) nonché della
organizzazione di appositi centri per la cura della sifilide prenatale, per
l'assistenza e la cura dei poliomielitici (L.
10-6-1940, n. 932) ed il ricovero dei minori tubercolosi e la vigilanza sui
centri psico-medico pedagogici (L.
10 aprile 1954, n. 218) anche il compito della vigilanza e della tutela
sull'opera nazionale per la protezione della maternità ed infanzia; il
Ministero degli Interni attua altri fini di rilevante importanza nel settore
della tutela sociale della infanzia e della gioventù sia direttamente che
tramite i Prefetti.
Circa la tipologia degli interventi
in questo settore, va rilevato che trattasi essenzialmente di forme di assistenza economica che si esplicano attraverso
contributi agli Enti o tra i privati bisognosi, nonché attraverso quella generica
forma di sorveglianza attribuita al Prefetto sia quali atti amministrativi
degli Enti, con le previste autorizzazioni a ricevere le liberalità, o con le
approvazioni degli statuti, sia munendolo di quei poteri coercitivi quali la
chiusura degli istituti qualora gli organi a ciò competenti ne accertino gravi
carenze funzionali.
Perché, tuttavia, la protezione
dell'infanzia non rimanga subordinata alla attività
dei Ministeri, oberati di molteplici altri compiti in varii
settori della vita pubblica, il legislatore ha inteso costituire un Ente
morale che esercitasse la sua attività soltanto nell'orbita del sistema
assistenziale perseguendo unicamente e prevalentemente il fine della tutela dei
minori bisognosi: tale è l'ONMI che fu istituito con L.
10-12-1925, n. 2277, con relativo Regolamento di esecuzione approvato con R.D, 15 aprile 1926 n. 718. Lo sviluppo di una serie di
disposizioni legislative unificate nel T.U. approvato
con R.D. 24-12-1934, n. 2316, e culminante nella legge 3-5-1967, n. 314, hanno
fissato il definitivo attuale assetto degli organi interni dell'Opera, senza
modificare in alcun modo i fini per cui l'ONMI è nato e per il quale esso vive.
Gli scopi istituzionali dell'ONMI si
evincono da quanto chiaramente sancito dagli artt. 4,
5 e 6 del T.U. del 1934 che ha sostanzialmente recepito
la portata della legge istitutiva dell'Ente.
L'ONMI deve dunque oltre che
provvedere alla protezione e all'assistenza delle madri o gestanti bisognose,
vigilare «l'applicazione delle disposizioni legislative
e regolamentari in vigore per la protezione della maternità e dell'infanzia e
promuovere, per il miglioramento fisico e morale dei fanciulli e degli
adolescenti, la riforma di tali disposizioni» oltre che «provvedere al coordinamento
di tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza.... promuovendone
all'uopo la revisione dei relativi statuti e regolamenti e nei riguardi delle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza
ogni altra riforma»: per tali motivi essa «è investita di un potere di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche
e private per l'assistenza e protezione della maternità e dell'infanzia e
nell'esercizio di tale potere ha la facoltà di provocare dalle competenti
autorità governative la chiusura degli istituti pubblici e privati».
Valutando tale norma fondamentale
alla luce di tutta la legislazione sull'ONMI, dall'art. 50 del R.D. 15-4-1926
n. 718 che affida soltanto all'ONMI (e più precisamente alla Giunta esecutiva
nazionale) la delicatissima funzione di concedere agli istituti di assistenza la prescritta autorizzazione, previo un
approfondito accertamento tecnico, igienico e sanitario compiuto dai comitati
comunali dell'ONMI, alle più recenti disposizioni di legge, che si preoccupano
di modificare la composizione dei vari organi, al fine di farvi partecipare
membri più qualificati e specializzati non può non concludersi che spetti
unicamente all'ONMI il compito dell'assistenza e della correlativa necessaria
vigilanza su tutti i minori ospiti negli istituti pubblici o privati quali che
sia l'Ente che poi provveda materialmente (Ministero Interni, Provincia,
Comune, ENAOLI ecc.) alla corresponsione delle singole rette.
Tale solare constatazione si rende
tuttavia opportuna, poiché la difesa degli imputati ha sostenuto la tesi
secondo cui tutti gli articoli relativi ai compiti
dell'ONMI ed in particolare l'art. 5 R.D. 24-12-1934, n. 2316, concernente il
necessario potere di vigilanza e controllo dell'opera sugli istituti,
sarebbero da considerare abrogati, per effetto dell'art. 1 del R.D.L. 5
settembre 1938, n. 2008.
Invero, a parte l'osservazione che
la stessa opera nazionale ha pubblicato le norme che si invocano
abrogate anche in recenti edizioni (v. «Raccolta delle leggi sull'ONMI» ed. 1967,
allegata agli atti) va rilevato che il problema ermeneutico che presenta l'art. 1 del decreto legge del
'38 è di ben facile soluzione.
Con esso,
infatti il legislatore, anziché abrogare implicitamente tutti gli articoli
riguardanti gli scopi ed i poteri fondamentali dell'ONMI, sì da lasciare l'ente
come un'istituzione senza vita, ha inteso soltanto stabilire che il
«coordinamento» dei servizi relativi alla protezione ed all'assistenza della
maternità e dell'infanzia spettino al Ministero dell'Interno (e
successivamente per effetto della legge 13-3-1958, n. 296, al Ministero della
Sanità). Allo stesso Ministero il secondo ed il terzo comma del citato articolo
subordina la vigilanza sull'ONMI e su qualsiasi altro
Ente che svolga opera per la protezione della maternità e dell'infanzia, come
ad esempio
Il fatto poi che fosse
compito anche del Ministero dell'Interno, tramite il Prefetto, di esercitare
una generica vigilanza sugli istituti non può essere disconosciuto, ma non
inficia minimamente il dovere istituzionale e specifico dell'ONMI di controllo
su tutti i minori rinchiusi negli istituti di assistenza. Riprova si ha nello
stesso art. 5 del T.U. del '34 che investe l'ONMI del potere di vigilanza e di
controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private, facendo salvi, al secondo
comma gli effetti della legge 17-7-1890, n. 6972 e del
R.D. 30-12-1923, n. 2841, circa la tutela e la vigilanza governativa.
Confermano tale
esatta interpretazione della norma una serie di considerazioni: innanzitutto la
deposizione resa in dibattimento dal Prefetto di Roma,
V'è di più: nella circolare n. 763
del 23-6-
Accertato dunque che spettano
all'opera nazionale i controlli sugli istituti di assistenza,
va ora esaminata la singola posizione degli imputati, che si articola
diversamente in ordine al precipuo obbligo di vigilanza che incombe all'Ente.
Va preliminarmente notato che le tesi sostenute dalle difese degli imputati si fanno al
riguardo contrastanti poiché la presidentessa nazionale ribadisce che il
compito del controllo spettava al comitato comunale («la vigilanza sugli
istituti è competenza dei comitati comunali» (l); Cini
di Portocannone ne indica il responsabile in Gueli («non ho mai ordinato alle assistenti sociali di
compiere ispezioni o controlli perché per la circolare n. 630 spetta al direttore
sanitario tale compito» (1) e nella Gotelli («faccio
presente che spetta alla Giunta esecutiva nazionale e non a me nominare persone
idonee per esercitare le ispezioni») (l); Gueli
addebita ad entrambi gli altri imputati tale compito («la circolare
Tali versioni hanno tutte un fondo di verità, poiché il legislatore ha inteso
logicamente predisporre un sistema di controlli integrativi che facesse capo,
in diversa misura alla Giunta esecutiva nazionale (e più specificatamente la
sua presidente) e al Comitato comunale (e quindi sia al Presidente che al
Direttore Sanitario) .
Per quanto attiene al Comitato comunale soccorre chiaramente l'art. 13 del T.U. del 1934
che, in relazione agli artt. 4, 5 e 6 dello stesso T.U., ne ribadisce i compiti
stabilendo che esso esercita «una vigilanza igienico educativa e morale sui
fanciulli minori di 14 anni, collocati... presso istituti pubblici o privati di
beneficienza o assistenza», nonché «vigila sui
fanciulli adolescenti denunziando ove occorra all'Autorità Giudiziaria i fatti
venuti a sua conoscenza», promuovendo «quando occorra dai Prefetti i
provvedimenti» coercitivi ex art. 27 R.D. 30-12-1923 n. 2841.
Al vertice del comitato comunale v'è
il Presidente nel quale si riassumono tutte le
funzioni a cui spetta per la sua particolare posizione, caratterizzata, come
evidenzia la dottrina amministrativistica, dalla
potestà di comando e dalla correlativa responsabilità, la direzione generale
del comitato e quindi di tutti i singoli servizi.
Era quindi specifico dovere di
status, quello di Cini di Portocannone
di organizzare, ovvero di promuovere quelle ispezioni
e quei controlli sugli istituti che rappresentano compito fondamentale
dell'ONMI nonché di controllare che il servizio sanitario, cui spettava poi in
concreto l'attuazione di tali ispezioni, adempisse al suo dovere. Ed infatti è al «Presidente del comitato comunale» che si
rivolgerà - nel significativo episodio relativo
all'istituto Arc en Ciel -
il Prefetto perché ordini un'accurata ispezione e tutti i necessari
accertamenti, poiché è il Presidente che assomma a sé tutti i poteri sanciti
dall'art. 13 del T.U. del
Non può comprendersi pertanto
l'atteggiamento dell'imputato laddove richiesto se avesse avuto conoscenza
della drammatica situazione degli istituti di assistenza
per l'infanzia ha risposto in istruttoria (1) e ribadito in dibattimento (1)
di «non essere tenuto» a sapere se gli istituti che ospitavano minori erano in
possesso dei relativi titoli e della prescritta autorizzazione dell'ONMI,
nonché adempissero all'importante onere di trasmettere gli elenchi trimestrali
al giudice tutelare. Dunque, al Presidente dell'ONMI comunale, dell'organismo cioè a più diretto contatto con i singoli istituti locali,
non spetterebbero poteri e doveri inerenti a sì delicata funzione, fonte in
ogni Ente di correlative e precise responsabilità, ma unicamente quello di
rappresentare soltanto formalmente l'ONMI, disinteressandosi completamente
della sua doverosa attività e del necessario raggiungimento dei suoi fini.
Altro titolare dei controlli e della
vigilanza sugli istituti accanto al Presidente dell'ONMI è per chiara
posizione gerarchica l'imputato Gueli, Direttore del
servizio Sanitario dell'ONMI Comunale. Da questo servizio, non oberato da
tutte le pratiche amministrative relative alla corresponsione dei contributi
ed al pagamento di rette spettanti al servizio amministrativo, dipendono le
assistenti vigilatrici e le assistenti sociali cui compete
materialmente il compito di visitare gli istituti. Per il Gueli il dovere organizzare
e predisporre i controlli, nonché attuarli concretamente, non discende soltanto
da un obbligo di status, ma anche da una precisa norma regolamentare interna,
sancita dalla Circolare n. 630 del 10 ottobre
Tale circolare che delinea la figura e che determina le funzioni del Direttore
Sanitario, dopo aver ribadito che questi è responsabile sia verso la sede
centrale che, gerarchicamente e disciplinarmente, verso il presidente del
comitato comunale individua al punto 3° il suo primo compito nel dover
ispezionare e controllare tutte le funzioni dell'ONMI e degli altri istituti
che accolgono madri e bambini assistiti dall'ONMI, nonché nel vigilare «su
tutte le altre istituzioni che si occupano dell'assistenza alla madre ed al
bambino, esprimendo il proprio parere scritto circa l'idoneità al
funzionamento» con il potere di proporre (punto 4°) «la temporanea sospensione
di attività delle istituzioni inefficienti ed eventualmente la loro chiusura».
Per rendere più cogente tale
disposizione, il suddetto regolamento stabilisce che il direttore sanitario
deve riferire «periodicamente al Capo della Federazione l'esito delle sue
visite ispettive» disposizione questa che coinvolge in solidale
responsabilità sia il direttore sanitario che il
Presidente.
Al riguardo, l'imputato è rimasto su
una mera posizione difensiva («la circolare 630 del
Ulteriore riprova che fosse riservato
all'ONMI il delegato compito delle ispezioni sugli istituti, emerge non solo da
quanto accertato dai Carabinieri, secondo cui furono rinvenute una «ventina di
ispezioni effettuate dal personale dell'ONMI anteriormente al 1966», con
relative relazioni nei fascicoli (1), ma anche quanto dichiarato dallo stesso Gueli, secondo cui dal 1963 al 1966 ci furono ben 71
relazioni ispettive sugli istituti di assistenza «durante la gestione Commissariale»
(1): segno evidente che le ispezioni dovevano essere fatte, ed in parte negli
anni precedenti al periodo relativo ai capi di imputazione, cioè dal 1967 al
1971, furono effettuate.
Il dovere giuridico per l'imputata Gotelli di nominare gli ispettori e fare attuare i dovuti
controlli (a parte la considerazione che il Direttore sanitario rispondeva
oltre che al Presidente comunale alla Presidenza nazionale e di conseguenza
era preciso dovere di questa controllare l'attività
di tale organo) discende non solo dalla sua posizione di Presidente nazionale;
ma anche dalla specifica normativa sancita dagli artt.
52 e 53 del Regolamento di esecuzione della legge
10-121925 n. 2277, approvato con R.D. 15 aprile 1926.
Stabiliscono detti articoli che «l'Opera
Nazionale esercita il potere di vigilanza e di controllo... mediante apposite ispezioni sull'andamento dei servizi nelle varie provincie e sul funzionamento delle singole istituzioni»,
specificando che per le ispezioni ordinarie (e cioè annuali e straordinarie,
gli incarichi relativi che devono essere temporanei sono conferiti dalla
Giunta esecutiva nazionale, costituita ex art. 1 legge 1-121966, n. 1081, dal
Presidente nazionale, dal vice presidente e da altri membri in numero di
cinque.
Sostiene
Va anzitutto rilevato che da
un'attenta disamina delle leggi e dei regolamenti successivi al R.D. 15-4-1926, n. 718, non si rinviene alcuna norma che
esplicitamente abroghi gli artt. 52 e 53 del
Regolamento; quando il legislatore ha voluto incidere sulla normativa
precedente, lo ha chiaramente previsto, come ad esempio nell'art. 4 della
legge 1-12-1966 ove sancisce che «gli articoli 12, 15
e 16 del T.U. sull'ONMI approvati con R.D. 24-12-1934 sono soppressi». In
mancanza dunque di una esplicita disposizione di legge
o di regolamento, occorrerebbe accertare in chiave ermeneutica, una precisa
volontà di legge che ponesse nel nulla la validità di tali articoli.
Secondo
Il primo rilievo che sorge spontaneo
è la giuridica impossibilità del regolamento organico di abrogare, sia pure
implicitamente, il regolamento per l'esecuzione della legge 10-12-1925, n.
2277, poiché alla luce della gerarchia delle fonti nessuna norma può essere
modificata o abrogata se non in forza di altra norma
di grado superiore o di egual grado: ed è
indubitabile che il regolamento esecutivo della legge del 1925 si ponga con
valore preminente, poiché emanato con R.D. 15-4-1926, n. 718, pubblicato sulla
G.U. 5-9-1926, n. 104, dal Governo nell'esercizio della sua potestà
regolamentare, al fine di specificare la disciplina stabilita in via generale
dalla legge istitutiva dell'ONMI, mentre il Regolamento organico scaturisce da
una mera deliberazione interna del Consiglio centrale dell'ONMI, sia pure con
la dovuta ed obbligatoria approvazione del Ministero della Sanità, sicché il
primo è fonte normativa superiore rispetto al secondo.
Diversa quindi l'Autorità da cui
promanano i due regolamenti, ma diversa anche la
sostanza ed i fini delle norme in esse emanate che non si elidono, ma si
integrano invece compiutamente tanto che nell'approvazione del Ministero della
Sanità al secondo regolamento, si fa esplicito richiamo sia al T.U. del
24-12-1934, che al Regolamento esecutivo del 15-4-1926.
La verità è che con la deliberazione
del Consiglio centrale dell'ONMI, si è inteso
unicamente determinare la posizione dei singoli impiegati nell'ambito
dell'Opera Nazionale, fissando una pianta organica, ed un preciso ruolo, per
esclusivo, giusto, vantaggio degli stessi, ma non si è voluto - né si poteva -
modificare o abrogare i compiti istituzionali degli organi che sono rimasti
quelli previsti nel regolamento esecutivo della legge istitutiva dell'ONMI.
Quand'anche si fosse voluto porre in
dubbio la liceità dell'affidamento di incarichi
temporanei (previsti d'altronde esplicitamente anche dall'articolo 117 del
Regolamento organico) si poteva affidare l'incarico di ispettore a personale di
ruolo sì da assolvere quel compito fondamentale spettante alla Giunta esecutiva
nazionale quale il controllo mediante ispezioni annuali oltre che
straordinarie, sia sui servizi - massime quello sanitario - sia sulle singole
istituzioni.
Se tale dovere incombe dunque alla
Giunta, nell'ambito di questa trova la sua individuazione ai fini penali nel
Presidente nazionale per il chiaro disposto degli artt.
12 e 16 del Reg. esecutivo legge 10-12-1925,
n. 2277. Infatti è il Presidente che convoca
Per gli altri membri avendo solo la
facoltà di porre gli argomenti all'ordine del giorno, può concretarsi una
responsabilità di ordine morale, e non anche giuridica
per aver omesso di nominare i suddetti ispettori.
Che esistesse
e fosse operativa la disposizione sancita dagli artt.
52 e 53 del Regolamento, emerge da un'ulteriore
considerazione. La norma non vive soltanto nel sistema, ma nella realtà
attuale, sicché qualora i destinatari od in genere i consociati ne riconoscano
l'esistenza e l'efficacia, vi è la riprova della sua vitalità. Nel caso in
esame tutti i dipendenti dell'ONMI ne riconoscevano
la piena validità: non soltanto il Presidente Cini di
Portocannone («Faccio presente che spettava alla
Giunta esecutiva nominare persone idonee per esercitare le ispezioni ordinarie
e straordinarie») (1) o il Direttore sanitario Guelli
(«ex artt. 52 e 53 spettava alla Giunta esecutiva
nazionale nominare gli Ispettori») (1), ma anche le
assistenti sociali dell'ONMI hanno dichiarato in istruttoria e confermato in
dibattimento che era «convinzione corrente» che il compito ispettivo doveva
essere svolto da persone anche estranee all'Ente, ma nominate dalla Giunta esecutiva
nazionale: precise e concordate sono a riguardo le testimonianze di Brunelli Nella (1), Cantaro Anita (1) e Mongelli
Maria (1), le quali hanno anche specificato che la loro «attività ispettiva era
soltanto una delle fonti di controllo», che rimaneva precipuo compito degli
ispettori nominati dalla Giunta esecutiva, «il che non toglie che altri
assistenti - in anni precedenti - abbiano fatto ispezioni agli Istituti».
Un'ultima disamina è necessaria per
accertare che se i controlli previsti dalle Leggi sull'ONMI nel periodo preso
in considerazione e cioè nel 1967 al febbraio 1971
(inizio delle indagini sugli Istituti) furono realmente effettuati. La risposta
che emerge dalle precise risultanze processuali è del
tutto negativa.
L'ONMI Comunale, che doveva compiere
non solo i controlli, ma gli accertamenti tecnicosanitari per la concessione
dell'autorizzazione ex art. 50 del Reg. Esecutivo,
ignorava completamente quale fosse la situazione
degli Istituti di assistenza: negli elenchi dell'ONMI erano infatti ancora
indicati 85 Istituti che non ospitavano più minori, ovvero erano dei Seminari,
mentre altri Enti avevano da tempo cambiato la loro ubicazione senza che l'ONMI
ne fosse venuta mai a conoscenza. Significativo è
l'episodio relativo alla «Casa di Carità S. Giuseppe» chiuso fin dal 1960, ma
ancora indicato come esistente negli elenchi dell'ONMI; tanto che quando i
carabinieri vi si recarono per compiere i dovuti accertamenti, risultò che in quello stabile si trovava il Comando di
regione dei Carabinieri di Roma (1).
Più grave il fatto che per circa
quaranta Istituti che ospitavano bambini assistiti regolarmente ai fini delle
rette da vari Enti, l'ONMI non avesse impiantato alcun fascicolo, e quindi ufficialmente
ne ignorasse l'esistenza.
A tale caotica situazione
amministrativa faceva riscontro l'assoluta mancanza di qualsiasi controllo per
gli Istituti che in certo qual modo erano stati
identificati, e per i quali negli anni precedenti era stato impiantato un
fascicolo. L'accurato riscontro di tutti i fascicoli sequestrati, effettuato dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri, non ha
rinvenuto alcuna traccia di relazioni o soltanto di note, relative ad
ispezioni o controlli effettuati da personale dell'ONMI, fatta eccezione, come
già rilevato, per una ventina di ispezioni, tutte anteriori al 1966. Sentiti in
proposito gli stessi direttori degli Istituti hanno escluso che siano state mai effettuate delle visite ispettive da parte
di assistenti o di personale ispettivo dell'ONMI.
Lo stesso è a dire, per quanto
riguarda la imputata Gotelli,
circa la nomina degli Ispettori ex art. 52 e 53 del Regolamento che non compare
in alcuno dei verbali della Giunta esecutiva sequestrati.
A tali risultanze
probatorie fa riscontro la piena confessione degli imputati, sia in sede
istruttoria che in sede dibattimentale, avendo
Emerge quindi dall'analisi delle
norme e dei fatti come accertati indiscutibilmente dalle chiare
risultanze processuali, la sconfortante conclusione che gli Istituti di
Assistenza ai Minori di Roma, nella maggior parte dei quali sono stati
consumati reati a danno di bambini, sono stati lasciati per anni privi di
qualsiasi controllo da parte dell'Opera la cui costituzione era ed è diretta
al fine della tutela e della vigilanza dell'infanzia bisognosa e abbandonata.
Tutto poteva accadere in quegli istituti, ma gli Organi competenti al
controllo non erano a conoscenza né - cosa più grave - volevano esserlo,
distratti certo da altre attività e rivolti ad altri fini che non erano quelli
a cui dovevano dedicare tutta la loro capacità, e per i quali ricoprivano
posti di grande prestigio.
Vi sono, sullo sfondo del doloroso
dramma dei bambini rinchiusi negli istituti alcune circostanze che illuminano
il processo e danno la misura della gravità delle omissioni compiute dagli
imputati, nonché del loro senso morale. Alla preoccupante
testimonianza dell'Assistente Covino (1): «Non
sapevamo quanti erano gli Istituti di Roma, perché non era mai stato fatto un
censimento, e dovevamo mandare i bambini presso alcuni Istituti senza poter
sapere effettivamente come funzionassero», fa riscontro sia quanto dichiarato
dal Cini che ha affermato di
«non aver mandato assistenti sociali o vigilatrici né ordinato alcuna
ispezione» né di aver in proposito dato istruzioni al Gueli,
né in conclusione di «essere tenuto a sapere» la situazione degli Istituti, sia
quanto «non dichiarato» dalla Gotelli che alla
precisa domanda, se quale Presidente Nazionale dell'ONMI, fosse a conoscenza
della situazione degli Istituti, dapprima (1) in istruttoria si è rifiutata
categoricamente di rispondere, e in seguito (1) in dibattimento, nonostante le
fosse più volte ripetuta la domanda, l'ha sempre elusa: «non si può rispondere
a questa domanda».
È quindi evidente che i prevenuti hanno posto in essere sia sotto il profilo oggettivo che
sotto quello psicologico la fattispecie criminosa prevista e punita dall'art.
328 c.p., a loro contestata nei capi a), c) ed e)
della rubrica.
Non possono accogliersi a riguardo le perplessità sollevate dalla difesa sulla loro qualità di
pubblici ufficiali, presupposto soggettivo richiesto dalla norma in esame.
L'art. 357 c.p. contempla in tale
concetto, oltre gli impiegati dello Stato, ogni altra persona che
permanentemente o temporaneamente, con retribuzione o senza eserciti una
pubblica funzione: a questa amplissima nozione ha dato
concreto contenuto la dottrina penalistica indicando
alcuni criteri di massima per individuare i pubblici ufficiali.
Spetta anzitutto tale qualifica a
coloro che formano ovvero concorrono a formare, la volontà dell'Ente pubblico
e che comunque lo rappresentano di fronte agli
estranei. In secondo luogo a coloro che sono muniti di
poteri autoritari, e sono cioè autorizzati ad eseguire verifiche ed accertare
violazioni di Legge; ed infine a coloro che sono investiti di poteri di
certificazioni. È indubitabile che gli imputati debbono
essere riconosciuti pubblici ufficiali sia sotto il primo che sotto il secondo
profilo.
Infatti il Presidente Nazionale ed il
Presidente della Federazione Romana non soltanto concorrono a formare in
maniera prevalente la volontà dell'ONMI nei rispettivi ambiti indirizzandone
l'attività, ma la rappresentano per legge in giudizio, e sono muniti di tutti
i poteri previsti dalla Legge istitutiva per compiere ispezioni e controlli sugli
Istituti pubblici o privati, oltre ché per riformare statuti e regolamenti
delle singole istituzioni. Stessi poteri spettano in concreto a Gueli, che al vertice del servizio sanitario ha il doverepotere
di vigilare e controllare gli Istituti, accertarne le violazioni delle leggi relative alla Maternità e all'Infanzia fino a proporre la
sospensione di attività delle istituzioni inefficienti e la loro chiusura.
Accertato tale presupposto
soggettivo, si sono evidenziati tutti gli altri elementi costitutivi dell'ipotesi
delittuosa prevista dall'art. 328 c.p. per la chiara consistenza e specifico
obbligo di attuare e organizzare i controlli sugli
Istituti, nonché per
Tale omissione non può non
qualificarsi indebita, e realizzare così quell'ulteriore
elemento previsto nell'economia strutturale della norma in esame, che con
l'avverbio «indebitamente» riveste con la qualifica di «illiceità speciale» la
condotta posta in essere dall'agente. La espressione
usata, sta a significare che il fatto non deve trovare alcuna giustificazione
nella Legge o in un atto della Autorità o nell'impossibilità: è noto che il
codice penale del 1889, precisava che il pubblico ufficiale non poteva esimersi
dal compiere il proprio dovere «per qualsiasi pretesto anche di silenzio,
oscurità, contraddizione o insufficienza della Legge». Tale dichiarazione fu
soppressa perché (secondo quanto precisa la relazione al codice penale, II,
136) l'eliminazione dell'ambiguo inciso «per qualsiasi pretesto...» «indurrebbe a ritenere necessario per l'esistenza del
reato, che un qualsiasi pretesto venisse addotto dal
pubblico ufficiale. Deve bastare invece che questi indebitamente, senza cioè un motivo legittimo, non adempia ai propri doveri
funzionali».
A riguardo va notato che né le risultanze processuali, né le dichiarazioni degli imputati
portano a concludere che gli stessi fossero nella materiale impossibilità di
adempiere agli atti del proprio ufficio. Poiché tuttavia la difesa del Gueli ha, come ipotesi subordinata, adombrato la tesi della
mancanza dei mezzi, è facile osservare che tale carenza
(non dimostrata) avrebbe potuto soltanto impedire un controllo assiduo ed efficace,
ma non anche, come nella specie, giustificare una assoluta, sistematica, completa
mancanza di qualsiasi controllo, ovvero la nomina anche di un solo ispettore.
Nulla quaestio poi
per quanto riguarda la sussistenza dell'elemento psicologico, richiesto nella
sua forma di dolo generico avendo gli imputati sia la coscienza sia la volontà
di omettere gli atti dovuti. Non si può invocare la ignorantia legis, perché
prescindendo dalla considerazione che la normativa sull'ONMI si deve intendere
richiamata nell'art. 328 c.p., vera norma penale in
bianco nella cui struttura il concetto di « atti d'ufficio » viene di volta in
volta, concretato da disposizioni di leggi o di regolamenti, che ricadono
quindi sotto l'ambito di applicazione dell'art. 5 c.p. secondo cui ignorantia legis penalis non excusat, va rilevato
che come ammesso dagli stessi imputati, questi conoscevano perfettamente gli
articoli di legge violati, il ché d'altronde è comprensibile considerando che
essi coprivano da anni le cariche al vertice dell'Opera Nazionale per la
protezione Maternità e Infanzia.
Il fine particolare per cui le ispezioni da parte del personale ONMI - compiute
fino al 1966 - cessarono del tutto perché non più ordinate dagli organi
competenti, sia esso quello accennato dal P.M., di
favorire o di non recare disturbo ai vari Istituti per scopi politici, ossia di
diverso genere, non rientra nell'accertamento di questo Giudice poiché la
volontà colpevole che sostiene la condotta prevista nell'art. 328 c.p., non è richiesta nella particolare forma del dolo
specifico, essendo sufficiente, come accennato, la coscienza e la volontà di
non adempiere ad atti del proprio ufficio.
Un esempio davvero emblematico della totale e sistematica omissione del
controllo, è quello relativo all'Istituto «Arc en ciel» che genera precise responsabilità
articolati ai capi B) e d) dell'imputazione nei confronti di Cini di Portocannone e di Gueli.
È rimasto accertato che in data
20-11-1970
In data 10-12-1970 il Direttore
della Presidenza Nazionale, invitava con fonogramma l'ONMI Comunale «a
provvedere con urgenza» ad attuare «urgente approfondita ispezione Istituto ai
sensi art. 5 T.U. Decreto 24-12-1934 n. 2316, anche in ordine
all'accertamento scarsa sorveglianza minori ospiti, deficienza di
ordine alimentare ed altro», ispezione richiesta dal Ministero della Sanità
(1).
Infine, giunti al 9-1-1971 il
Prefetto di Roma (1), sollecitava il Presidente del Comitato Comunale ad u affrettare
la comunicazione delle informazioni richieste in
ordine al funzionamento dell'attività assistenziale presso l'Asilo Nido n allegando
la missiva del 20 novembre precedente.
Tre richieste, quindi urgenti e
relative a gravissimi fatti, cui doveva far riscontro
per l'ONMI l'immediato accertamento delle reali condizioni dell'Istituto, che
la legge e il caso concreto imponevano sollecitamente, e alle quali invece si
oppose il più assoluto silenzio e la più completa inattività, fino a che in
data 11-2-1971, ad oltre due mesi e mezzo dalla prima inevasa richiesta,
Si evidenziano quindi precise
responsabilità sia del Presidente Cini che del Direttore Sanitario Gueli.
Il primo ha manifestamente
dichiarato il falso quando in istruttoria (1) alla
contestazione circa il reato di cui al capo b) della rubrica ha risposto
«Ignoro di aver mai ricevuto in data 20-11-1970 una prima richiesta del
Prefetto di Roma»... «né ho mai preso visione del successivo sollecito in data
9-1-71... né di analoga richiesta della Direzione
Nazionale ONMI», concludendo che «dell'Arc en ciel non ne sapevo nulla: per me il capo b)
dell'imputazione è stata un'amara sorpresa, perché solo allora ho saputo il
fatto».
L'evidenza del mendacio si rivela
innanzi tutto perché tutte le richieste della Prefettura erano indirizzate
personalmente al Presidente dell'ONMI Comunale, e vennero, come risulta dal protocollo acquisito agli atti, inoltrate
direttamente al Presidente Cini. Inoltre lo stesso
imputato ha dichiarato che (1) era sua abitudine, quando prendeva cognizione
degli atti, segnare in margine con la penna qualche richiamo con la sua sigla:
annotazione e sigla che si riscontrano - non
contestate - sull'urgente sollecito del 9-1-1971, al quale era allegata copia
della prima richiesta. Prova questa che il Cini era a
diretta conoscenza dell'invito del Prefetto, così come ne erano
a conoscenza tutti nell'ambito dell'ONMI Comunale, come testimoniano le dichiarazioni
delle varie assistenti sociali (1).
Nessun dubbio poi che anche Gueli, per sua stessa ammissione, fosse
perfettamente consapevole delle urgenti richieste rivolte all'ONMI Comunale,
richieste che non ebbero alcuna risposta e alle quali indebitamente non seguì
alcun adempimento...
Per quanto riguarda
Cini era suo specifico dovere in ossequio ai
summenzionati artt. 4-5-6 del T.U. del 1934,
richiamato esplicitamente nella richiesta del Ministero della Sanità nonché all'art. 106 del
Regolamento esecutivo della Legge istitutiva, per il quale in caso di urgenza
il Presidente esercita tutte le attribuzioni demandate all'ONMI, attuare
personalmente l'immediata ispezione dell'Istituto, ovvero sollecitare e controllare
che il direttore sanitario, suo subordinato gerarchico, si portasse presso l'Arc en ciel o vi inviasse le
assistenti per l'urgente e approfondito accertamento richiesto, e non
limitarsi a prendere atto per lungo arco di tempo della completa inattività del
Comitato di cui era Presidente, inattività evidenziata dalla reiterazione
delle inascoltate richieste.
Non è valida a riguardo la tesi difensiva prospettata dal direttore sanitario, secondo
cui egli non prese alcun provvedimento (se non la stesura di una lettera al
medico provinciale - mai inviata - con la quale si richiedeva notizie circa
l'istituto Arc en Ciel)
poiché era a sua conoscenza che
La circostanza che altri organi
stessero, ciascuno nel proprio ambito di competenza, svolgendo la loro
attività nei riguardi dell'Asilo Nido, non esimeva certo il direttore
sanitario, cui spettava per precisa disposizione normativa (in attuazione di
compiti di controllo demandati all'ONMI) di vigilare sulle singole istituzioni,
nonché di proporre la sospensione delle attività degli
Istituti inefficienti, ed eventualmente la loro chiusura. Perciò sia il
Prefetto che il Ministro della Sanità si rivolsero
all'ONMI Comunale, perché solo questo, tramite il suo organo tecnico,
direttore del servizio sanitario, era in grado di svolgere gli accertamenti
sanitari, dietetici, pedagogici e funzionali sull'Istituto, accertamenti per
il quale il servizio che dipendeva dall'imputato era stato costituito.
Ed è significativo
il fatto che nel dicembre 1970, successivamente alla prima richiesta del
Prefetto, la direttrice dell'Istituto Arc en Ciel, inviasse (1) una lettera a Gueli
nella quale lo si ringraziava caldamente «per l'aiuto morale che ha voluto
darci in queste traversie e che è stato da noi immensamente apprezzato»: strano
ringraziamento da parte di chi doveva essere controllato a chi, in violazione
di precise norme di legge e di espliciti inviti, si asteneva scientemente da
qualsiasi controllo.
Accertata la penale responsabilità
degli imputati in ordine ai reati a loro iscritti
ritiene questo Pretore concedere per tutti le attenuanti generiche previste
nell'art. 62 bis c.p., nonché il beneficio della
continuazione tra i capi a) e d), e i capi c) e d), per gli imputati Cini e Gueli apparendo manifesto
che l'ultimo episodio loro contestato relativo all'Istituto Are en Ciel sia stato posto in essere, violando la medesima disposizione
dell'art. 328 c.p., in attuazione di uno stesso
disegno criminoso.
Per quanto attiene alla
determinazione della pena, considerati gli elementi oggettivi
e soqgettivi di cui all'art. 133 c.p.,
ed in special modo la gravità del danno cagionato dalla omissione degli
imputati, ricollegabile come principale causa delle violazioni di legge e dei
reati commessi negli Istituti, nonché l'intensità del dolo manifestata nel
persistere nelle omissioni per lungo periodo di tempo, appare equo condannare Gotelli Angela alla pena di mesi quattro di reclusione
(pena base mesi sei - che si giustifica ulteriormente rispetto alle altre pene
per rivestire l'imputata la più alta carica dell'ONMI, e per essere stata
quindi la sua omissione più consapevole e più grave delle altre - pena
diminuita di un terzo per effetto della concessione delle attenuanti generiche)
; Gueli Umberto, alla pena di mesi tre e giorni
cinque di reclusione (pena base mesi quattro - giustificata tra l'altro
dall'essere l'Organo cui erano demandati tutti i completi poteri di vigilanza e
di controllo - diminuita a mesi due e venti giorni per l'attenuante di cui
all'art. 62 bis c.p., ed aumentata di ulteriori
quindici giorni per effetto della continuazione relativa all'episodio di cui
al capo d) Cini di Portocannone
Renato, alla pena di L. 1.000.000 (un milione) di
multa: la scelta della pena pecuniaria si giustifica per avere il Cini una responsabilità, sebbene piena, tuttavia minore
nei confronti del suo direttore sanitario, cui più specificatamente spettava
l'attuazione dei controlli sugli Istituti; pena che si ottiene ponendo come
pena base lire 400.000 di multa diminuita di un terzo per le attenuanti di cui
all'art. 62 bis c.p., ed aumentata a L. 400.000 per effetto dell'articolo 81 c.p.v. Poiché la
somma così determinata, attesa le condizioni economiche dell'imputato,
notoriamente cospicue renderebbero inefficace la pena inflitta, appare equo
elevarla, ai sensi dell'art. 24, 3° comma c.p., alla
suddetta somma di lire un milione.
Tutti gli imputati vanno altresì
condannati in solido al pagamento delle spese processuali. Può concedersi ai
prevenuti Gotelli e Gueli
il beneficio della sospensione condizionale della pena del
quale non può godere Cini Renato, per avere già
riportato una condanna a pena detentiva per delitto.
Consegue infine automaticamente, per
effetto degli artt. 28 e 31 c.p., la interdizione dai pubblici uffici di tutti gli
imputati, per la durata di anni uno.
P.Q.M.
Visti gli artt.
483, 488 c.p.p.; 328, 81 c.p.v., 24, 28, 31, 166 c.p.;
dichiara
Gotelli Angela, Gueli
Umberto, Cini di Portocannone
Renato, colpevoli di tutti i reati loro rispettivamente ascritti, e con la
concessione, per tutti, delle attenuanti generiche, nonché
per Cini e Gueli del
vincolo della continuazione tra i reati di cui al capo a) e b) per il 1°, e di
cui al capo c) e d) per il 2°, posti in essere in attuazione di un medesimo
disegno criminoso, così modificata la originaria imputazione, condanna Gotelli Angela alla pena di mesi
quattro di reclusione (pena base mesi sei - 62 bis) Gueli
Umberto alla pena di mesi tre e gg. 5 di reclusione (pena base mesi quattro -
62 bis mesi 2 e 20 giorni + quindici giorni per l'art. 81 cpv.), e Cini di Portocannone Renato a
lire 1.000.000 di multa (pena base 400.000 lire - 62 bis = 270.000 + 130.000 per
l'art. 81 cpv. = 400, aumentata ex art. 24 ultimo comma c.p.) .
Condanna tutti gli imputati in
solido alle spese processuali.
Concede a Gotelli
Angela e Gueli Umberto il beneficio della sospensione
condizionale della pena.
Dichiara, altresì, Gotelli Angela, Gueli Umberto, Cini di Portocannone Renato interdetti dai pubblici uffici, per la
durata di anni uno.
1-12-1971
IL PRETORE
(Luciano Infelisi)
(1) Con l'annotazione
(1) si fa riferimento ad atti e verbali allegati alla sentenza; con
l'annotazione (2) si fa riferimento a foto e atti allegati alla sentenza.
(1) Si fa riferimento
ad atti e verbali allegati alla sentenza.
(2) Si fa riferimento
a foto e atti allegati alla sentenza.
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