Prospettive assistenziali, n. 17, gennaio-marzo
1972
STUDI
SERVIZI
SPECIALISTICI O PRESTAZIONI SPECIALIZZATE?
Nell'articolo «I servizi
specializzati di assistenza sono da riformare non da
abolire. A favore dei servizi aperti. In difesa dell'internato» apparso su
«Mamme e bambini», n. 10, ottobre 71, Luciano Ajello
(1) affronta il problema dei cosiddetti servizi assistenziali
specializzati e cioè «dei servizi a favore di quelle persone con particolari
difficoltà di natura fisica o psichica (i cosiddetti handicappati)» e osserva
che «accanto ai meditati studi e sereni approfonditi ripensamenti, si
registrano anche posizioni superficiali e demagogiche, che, specie se date in
pasto ad una opinione pubblica sempre poco informata, o peggio “disinformata”
nei reali termini della realtà assistenziale italiana, fanno spesso più male
che bene».
Questa posizione «superficiale e
demagogica» sarebbe quella sostenuta da noi su Prospettive assistenziali (editoriale del
n. 13) in cui si affermava che gli handicappati hanno «gli stessi bisogni
fondamentali di tutti i cittadini ed hanno inoltre alcuni bisogni in più.
Devono quindi essere messi in grado di poter usufruire dei servizi per tutti
(servizi sanitari, prescolastici, scolastici, abitazione, lavoro, ecc.) e in
dette sedi dovranno essere fornite le prestazioni
specialistiche di cui hanno bisogno (fisioterapia, logopedia,
apprendimento del Braille, ecc.)». E proseguivamo:
«Dovrà essere applicato il principio del minimo di isolamento e del massimo di
socializzazione, principio valido sia per gli handicappati come per i non
handicappati. Quindi niente centri per spastici, per
subnormali, per focomelici, per ciechi, per sordi, niente istituti per anziani
o per minori, niente ospedali psichiatrici, niente centri ricreativi per
anziani o per handicappati o per minori. AI contrario
istituzione di servizi per tutti i cittadini e specializzazione
all'interno del servizio stesso (ad esempio sezioni psichiatriche presso i
comuni centri ospedalieri o ambulatoriali)».
Opposta alla nostra è la posizione di Ajello che afferma: «troppo
pochi sono al contrario gli istituti realmente specializzati; imperfetti ed
inadeguati i loro metodi di gestione». Viene indicato
che l'istituto deve essere piccolo, avere cioè «al massimo 40, 50 soggetti,
gestito con la diretta collaborazione e partecipazione sia degli ospiti che del
personale educativo in esso presenti». Infine, per i soggetti «meno gravi dovrà
certo essere preferita la formula del seminternato,
la formula ambulatoriale, e anche l'assistenza in
famiglia, attraverso una rete tutta da istituire dei servizi aperti».
Conclude Ajello
sostenendo che «il vero problema e la vera necessità attuale è la riconversione
di molti servizi assistenziali specializzati, e non tanto quello della loro
abolizione».
Circa la ristrutturazione dei
servizi di assistenza ribadiamo il nostro pensiero:
a) tutti gli istituti a carattere di internato devono essere soppressi. Naturalmente per le
persone oggi ricoverate e per quelle che in futuro
potrebbero esserlo vanno attuate soluzioni alternative contestualmente alla
progressiva, ma rapida, diminuzione dei ricoveri e dei ricoverati;
b) gli obiettivi da raggiungere e da
mettere progressivamente in atto sono quelli indicati nel documento riportato
nel n. 16, pag. 5, di Prospettive assistenziali che qui sunteggiamo:
- adeguato trasferimento di
stanziamenti dai consumi privati ai consumi
collettivi;
- unificazione di tutti i servizi ed
interventi sociali;
- gestione dei servizi a livello
locale (unità locali dei servizi e comprensori) ;
- riconoscimento alla protezione
sociale attraverso la piena occupazione e per coloro che non
possono svolgere appieno un'attività o sono usciti dal ciclo produttivo,
una prestazione economica che assicuri il minimo vitale, un complesso sistema
di servizi sanitari, scolastici, abitativi, che garantisca l'armonico sviluppo
di tutte le persone, la ricerca scientifica destinata a fini sociali.
c) è essenziale che, nell'attesa di
leggi quadro, siano anticipati quei servizi e interventi che oggi è possibile
attuare utilizzando le leggi vigenti e gli spazi consentiti dall'ordinamento.
In tal modo non si perderà tempo inutilmente, si valuterà
concretamente la volontà politica dei partiti, dei sindacati, delle forze
sociali e degli amministratori degli enti e delle istituzioni. Se l'attuazione
di detti servizi e interventi avrà luogo in modo
partecipato, anche le leggi quadro non cadranno dall'alto poiché dovranno tener
conto sia della volontà della base sia dei servizi alternativi istituiti;
d) i servizi «aperti» sono accettabili
solo se essi sono disponibili per tutti i cittadini. Siamo invece nettamente
contrari ai servizi «aperti» riservati ai «meno gravi» oppure a «particolari
categorie» di persone come le classi differenziali, le scuole speciali, il
servizio domiciliare per anziani (e non per tutti coloro
che ne hanno bisogno), le case-albergo per anziani (e non per tutte le persone
che preferiscono un'abitazione con servizi collettivi), gli ospedali psichiatrici
e tutte le strutture cosiddette specialistiche.
Al riguardo riportiamo le
conclusioni del Dipartimento di Sicurezza Sociale della
Regione Toscana (2): «Infine un serio discorso merita il significato
dell'ospedale monodisciplinare, la cui esistenza è
sottoposta ad una critica sempre più serrata, dietro la spinta
di validi criteri di programmazione sanitaria. Infatti
la consapevolezza che l'ospedale deve essere sempre di più uno strumento
integrato per la tutela della salute e quindi collegato strettamente al
territorio, come pure la sempre più chiara esigenza di un intervento sanitario
ospedaliero a carattere flessibile, dipartimentale e interdisciplinare, sono
tutti elementi che in termini concettuali condannano la persistenza di ospedali
monodisciplinari. Vi è poi da aggiungere che troppo
spesso l'ospedale specialistico ha dato luogo a strutture di tipo segregativo (vedi i casi degli ospedali psichiatrici,
degli ospedali per vecchi, degli stessi sanatori).
Coerentemente a questa impostazione, oggi si sostiene
l'opportunità di realizzare, nell'ambito degli ospedali generali, dipartimenti
o strutture integrate per queste specialità; ciò consente fra l'altro di
garantire nel territorio la presenza di servizi di larga utenza altamente
specializzati».
Gli stessi principi valgono per i
servizi sociali della scuola, della casa, del tempo libero ecc.;
e) per quanto concerne il tipo di
gestione proposto da Ajello, ci richiamiamo
all'editoriale del n. 16 di Prospettive
assistenziali «Cogestione dell'emarginazione» e,
in questo numero, alla nostra risposta alle lettere inviateci in merito
all'editoriale suddetto;
f) circa gli obiettivi a breve termine si vedano in questo numero le proposte
avanzate dall'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore e per la
lotta contro l'emarginazione sociale per la ristrutturazione dei servizi della
provincia di Torino;
g) uno dei problemi cruciali ed
urgenti per la creazione di servizi sociali non emarginanti è la ridefinizione del ruolo e della preparazione degli
operatori sociali.
Per gli enti attualmente
preposti all'assistenza, il ruolo dell'operatore sociale è quello di «mediatore»
dei problemi e dei bisogni sociali nei confronti dell'assetto istituzionale.
In questa linea individualizzante e
senza contenuti di trasformazione è la formazione degli operatori sociali,
condotta per lo più da istituzioni private (ad esempio le scuole di servizio
sociale UNSAS, ONARMO, ENSISS) o sorte per iniziativa di singole persone o di enti (vedansi alcuni corsi e scuole per educatori, per
fisioterapisti, per logopedisti ecc.).
Vi è anzi un tentativo di arretramento della formazione attuale (che comprende,
nella larga maggioranza delle scuole e dei corsi, una parte teorica ed una
pratica, sia pur entrambe rientranti nella critica fatta sopra) con la
proposta di inserimento della formazione stessa nei corsi universitari di
laurea, con il gravissimo rischio di una formazione di tipo accademico,
staccata dalla realtà.
Al riguardo la
riforma universitaria, già approvata dal Senato e attualmente in discussione
alla Camera, prevede un corso di laurea in servizio sociale, non meglio
definito, che pertanto si può aprire alla «formazione» di assistenti sociali,
di educatori, ecc. Il progettato inserimento del corso di laurea lascia infatti
irrisolto e soprattutto irrisolvibile il problema dell’aggiornamento o
riconversione, a seconda dei casi, del personale in servizio, personale che
verrebbe ad essere in una posizione di inferiorità nei confronti di quello
laureato. Questa situazione potrebbe provocare, fra
l'altro, a causa della mancanza di nuovi e più validi sbocchi lavorativi,
l'opposizione alla creazione di servizi non emarginanti da parte del personale
che lavora attualmente in istituzioni chiuse, in strutture segregative
o comunque negli attuali servizi con mansioni o ruoli non più validi.
La formazione del nuovo personale
non può dunque prescindere dalla riconversione di quello attualmente
in servizio.
Come è stato messo in rilievo nel convegno
«Linee di iniziative sindacali per la riforma
dell'assistenza in Lombardia» patrocinato dalle Segreterie regionali CGIL,
CISL e UIL (Milano, 25 gennaio 1972), la formazione, l'aggiornamento e la
riconversione del personale non dovranno essere né tecnico-funzionali (basati
su un adattamento e una accettazione passiva da parte dell'operatore delle
strutture e dell'ideologia dell'ente), né generali (cioè impartiti dai quadri
amministrativi gerarchici superiori, diretti a diffidare di qualunque forma di
conflittualità, e indottrinati con una filosofia della vita che garantisca loro
una credulità e comprensione su tutto).
Come è stato indicato nel convegno citato,
la formazione invece deve essere creativa, permanente, tutto l'opposto delle
precedenti; deve fornire una visione più ampia delle funzioni, non deve essere
motivata da efficacia immediata né essere astratta dalla realtà; si deve mirare
alla formazione dei quadri per i quadri stessi e ovviamente per i soggetti
utenti. Le tecniche devono essere despecializzate e
controllate tramite un'analisi globale. Più che far
comprendere tecniche e teorie si deve cercare di far
riflettere sugli scopi, sulle funzioni, sui limiti dell'organizzazione
assistenziale; il formatore, «l'esperto», deve essere in grado di permettere e
facilitare l'autogestione della formazione; i metodi di apprendimento non
devono essere rigidi, ma multiformi e non si temerà la conflittualità: gruppi,
discussioni, inchieste, raccolta di documentazione saranno gli strumenti
preferiti; al contempo la formazione sarà contemporaneamente teorica e pratica.
Dovrà pure essere superata l'artificiosa separazione
fra la formazione del personale tecnico e quella del personale amministrativo.
Utilizzando gli spazi attuali della
legislazione vigente, si propone che i centri di formazione, aggiornamento e
riconversione degli operatori sociali siano promossi dalle Regioni e gestiti
dalle Province o dai consorzi di Province «con il controllo concreto dei
cittadini e dei lavoratori su tali centri e con l'eliminazione effettiva degli
internati, creando centri di formazione che siano concorrenti a un tale livello con quelli privatistici,
che portino questi ultimi a una graduale scomparsa o ridimensionamento» (dal
Convegno sopra citato).
La formazione di base dei vari
operatori sociali dovrà essere polivalente con
successive specificazioni formative per sottogruppi di operatori.
Presso ciascun centro di formazione,
aggiornamento e riconversione degli operatori sociali dovrebbe essere
istituita la sezione ricerche, studi e documentazione dei problemi scolastici,
sanitari, assistenziali, o di preparazione professionale,
ecc. A detta sezione dovrebbero partecipare Province, Comuni, forze sindacali
e sociali. La sezione stessa dovrebbe essere strettamente collegata con il
centro di formazione sia nell'attività formativa sia a
livello direzionale.
(1) Lo stesso articolo
è apparso sulla Rassegna di servizio
sociale, n. 3, 1971, pag. 131 e segg. con il titolo Sui servizi specializzati di assistenza.
(2) I sanatori in Toscana, in Notiziario della Giunta della Regione
Toscana, n. 8-9, novembre-dicembre 1971, pag. 29.
www.fondazionepromozionesociale.it