Prospettive assistenziali, n. 18,
aprile-giugno 1972
DOCUMENTI
COMMISSIONE
DIOCESANA PER
Nella
Diocesi di Torino alcune iniziative e alcuni documenti
ufficiali indicano nuovi indirizzi nella pastorale dell'assistenza.
Nel
n. 14 di «Prospettive Assistenziali» avevamo già
pubblicato un importante articolo del delegato del Vescovo per i problemi
assistenziali, don Luciano Allais: Carità e assistenza nella Chiesa di
oggi.
L'8 dicembre 1971 usciva
la lettera pastorale del Card. Michele Pellegrino «Camminare insieme. Linee
programmatiche per una pastorale della Chiesa torinese». La lettera che ha
suscitato tanti meritati consensi contiene pure alcune indicazioni importanti di ordine generale per la pastorale dell'assistenza. In particolare
si sofferma sulla «denuncia doverosa» dei bisogni, delle loro cause, delle
responsabilità del sistema attuale. Si deve «denunciare l'abuso del denaro e
del potere, così come si devono denunciare (o si dovrebbero
denunciare) tutti i peccati» (n. 10). Si deve «denunciare quel consumismo nel
quale si esplica un'altra forma immorale di potere,
mascherato ma non meno deleterio, che invece di
cercare il vantaggio dell'uomo, proponendogli quello che veramente giova per
le sue necessità reali e per il suo sviluppo, cerca unicamente di sfruttarlo a
beneficio della produzione e del capitale, attentando alla sua libertà e
minando le sue strutture propriamente umane» (n. 10). Questa denuncia è «l'aspetto
negativo ma necessario dell'annuncio salvifico che
deve manifestare ai fratelli l'amore del Padre e di Cristo salvatore» (n. 13).
Nello
spirito dei tre valori fondamentali della povertà, libertà, fraternità, la
comunità cristiana deve operare affinché:
-
diventi autenticamente evangelica nel considerare il fratello più bisognoso a
carico di tutti, da servire all'interno della comunità stessa senza creare «categorie
di persone che non contano, di cui si dispone senza chiedere il loro parere, i
cui membri per il solo fatto di appartenervi non riescono a farsi sentire, a
far valere i propri diritti, ma restano automaticamente
emarginati, esclusi dal progresso, dalla cultura, dalle responsabilità»
(n. 12) ;
-
realizzi «un'esperienza di libertà» e superi «tutto ciò che nella prassi e
nelle forme contrasta con la libertà, considerando l'evoluzione storica delle
esigenze della persona umana. La libertà vissuta dal cristiano è ordinata
all'amore, cioè a dare possibilità a ogni uomo di
realizzare liberamente quell'immagine unica che il Creatore ha impresso di sé
in lui» (n. 15);
-
creda nei mezzi poveri, nella potenza della tede e
della carità che non si identifica con i mezzi economici, le strutture, le opere,
l'efficientismo che può «facilmente favorire la tendenza a imporsi agli altri,
ad agire con un autoritarismo che non rispetta la libertà del fratello e le
tappe del lavoro della Grazia, che troppo facilmente sostituisce l'azione
dell'uomo all'azione di Dio» (n. 7);
-
animi i servizi sociali con la testimonianza evangelica, proponendo il modello
della comunità cristiana, operando nei servizi sociali in spirito di servizio,
promuovendo esperienze nuove «per vincere le tentazioni di un conformismo pigro
e inerte che trova più comodo fare ciò che si è sempre fatto, cioè che non scontenta nessuno» (n. 18).
Intanto
la Commissione per la pastorale dell'assistenza predisponeva una bozza di
documento che è giunto ora alla seconda stesura, dopo
che si sono accolti i contributi di vari enti e persone interpellate. Ci sembra
estremamente indicativa questa bozza di documento, da una parte per la sua
aderenza a un'impostazione moderna dei problemi
dell'assistenza, dall'altra per uno sforzo notevole teso al ripensamento della
«funzione assistenziale» della Chiesa.
Qui
di seguito nella prima colonna viene riprodotta tale
bozza di documento, nella seconda colonna viene riportato un contributo di
studio e di critica, fra i più notevoli che la Commissione ha ricevuto: si
tratta del contributo delle Suore Vincenzine di
Maria Immacolata di Lanzo Torinese.
I - PREMESSA:
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1. Sviluppo economico,
povertà ed emarginazione Gran parte delle situazioni di
povertà oggi, ben lungi dal giustificarsi in nome di una sorta di fatalità insita nella stessa condizione umana, nascono
da precisi meccanismi economici che
«Bisogna opporsi con tutte le
forze in nome del Vangelo contro il primato di un economismo
che tenderebbe a legittimare una povertà residua
come il tributo necessariamente pagato alla crescita e allo sviluppo. Se
alcuni hanno potuto affermare che la ricchezza sarebbe una macchina per
fabbricare i poveri, bisogna denunciare una concezione così disumana, e
impegnarsi con tutte le forze contro un egoismo multiforme, per promuovere
uno sviluppo autentico e integrale, cioè di ogni uomo e di tutto l'uomo (Populorum progressio, n. 14).
Un tale sforzo tenderà in primo luogo a impedire
che certe categorie di persone vittime in vari modi dello sviluppo economico,
siano come respinte e messe ai margini della società, fino a costituire dei
gruppi subumani, e che questi emarginati,
secondo il termine significativo che si dà loro, siano come imprigionati
nella loro povertà (1). |
Nulla da obiettare, anzi fa
piacere rilevare che |
(1) Card. G. Villot, Lettera inviata a nome
del S. Padre, in data 24-5- |
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2. Prevalenza del
potere economico sul potere politico Questo processo di
emarginazione nasce da una impostazione puramente economicistica
su cui si fonda la nostra società, dove esiste chiaramente un profondo
squilibrio di forze fra il potere economico (aziende e gruppi finanziari privati
e pubblici) e il potere politico, sia quello costituito dalle istituzioni
tradizionali (Stato, enti locali, partiti, sindacati) che quello che nasce
dalle nuove più genuine forme di partecipazione (quartieri, associazioni,
gruppi spontanei, ecc.). Molti oggi riconoscono che nelle decisioni
ha ben spesso la prevalenza il potere economico. Il potere politico si limita
a razionalizzare la vita della comunità entro i termini già fissati dalle
scelte del potere economico. |
È triste, ma è così. Oggi, però, sempre di più viene riconosciuta e condannata questa crescente ingerenza
del potere economico su quello politico. Di questo stato di cose sono a
conoscenza, per motivi di lavoro, anche alcuni nostri elementi e per questo
motivo anche in comunità se ne parla, sia pure con schieramenti diversi. |
3. Sistema assistenziale in funzione di scelte economiche Sono proprio la priorità dei fini
produttivistici e le carenze delle risposte sociali
e politiche a creare gli emarginati e i poveri. In particolare, lo sviluppo
caotico, la congestione urbana, il depauperamento progressivo di zone che avrebbero potuto trovare valide possibilità di sviluppo, e
soprattutto la disfunzione dei vari settori sociali (casa, scuola, sanità,
trasporti, previdenza sociale, salari, ecc.) creano dei bisogni che vengono
convogliati verso il settore assistenziale perché siano soddisfatti e gestiti
nel modo più indolore possibile, per non turbare la cosiddetta «pace sociale»
necessaria al buon andamento della produzione e del consumo. |
Non si può negare, oggi, la
strumentalizzazione dell'assistenza; inoltre molte
di noi (persone di Chiesa) sono inserite in questo tipo di ingranaggio
assistenziale per un complesso di circostanze: tradizione, buona fede,
necessità... Si sta discutendo da un po' di
tempo come poter uscire, in pratica, da questa assistenza
di tipo tradizionale che ci portiamo dietro dalla fondazione dell'Istituto,
per inserirci in un servizio più consono alle esigenze di oggi che sono poi
le esigenze più profonde dell'uomo e del cristiano. La difficoltà prima che è sembrata
emergere dalla discussione è quella dovuta più che
alla mancanza di sensibilità umana, alla mentalità delle religiose che in
genere sono ancora quelle di «ieri», anche quelle animate dal cosiddetto
«buon spirito». |
4. Società
dell'abbondanza e nuove forme di povertà «Su questo punto bisogna che voi con coraggio e lucidità,
risvegliate la coscienza "che ha una voce nuova nella nostra epoca"
(Populorum progressio, n.
47), che siate attenti ai nuovi poveri e che vi sforziate di rimediare anche ai fattori
di squilibrio, di disuguaglianza, di oppressione di cui essi sono spesso le
vittime impotenti. In una società dell'abbondanza, la povertà non si misura
del resto solo in base al reddito di cui si dispone, e al livello di vita di
cui si gode. Ma vi è pure una povertà che si
riferisce alle condizioni di vita, al sentimento di sentirsi respinto
dall'evoluzione, dal progresso, dalla cultura, dalle responsabilità.
Diventato un fenomeno complesso, in cui converge l'azione di molteplici
fattori economici, psicologici e socioculturali, la povertà
non è solo quella del denaro, ma anche la mancanza di salute, la solitudine affettiva, l'insuccesso
professionale, l'assenza di relazioni, gli handicaps
fisici e mentali, le sventure familiari e tutte le frustrazioni che
provengono da una incapacità a integrarsi nel gruppo umano più prossimo. In
definitiva, il povero non è forse colui che non
conta nulla, che non viene mai ascoltato, di cui si dispone senza domandargli
il suo parere, e che si chiude in un isolamento così dolorosamente sofferto
che può andare talora fino ai gesti irreparabili della disperazione? Una
società si giudica dal posto che essa riserva ai più diseredati dei suoi
membri, dalla preoccupazione che essa dimostra nel farli accedere a una vita pienamente umana, dove essi ritrovino delle
ragioni per vivere e sperare» (2). (2) Dalla stessa
lettera del Card. G. Villot. |
Quanto dice Paolo VI nella «Populorum
progressio» circa la povertà e i poveri nella società progredita di oggi è ovviamente una panoramica
oggettiva della società e nello stesso tempo un programma di lavoro che viene
a noi proposto con una mentalità nuova e con parole più che mai convincenti. E questo ci ha messo in crisi da
tempo; stiamo infatti revisionando un po' la nostra
situazione, non ci siamo ancora slanciate molto, per non creare troppe
fratture interne e non mettere «vino nuovo» in «otri vecchi» e sciupare ogni
cosa; qualcosa però sembra muoversi (abbiamo ceduto a laici una clinica
chirurgica a Torino e alcune suore sono rimaste a servizio degli ammalati). |
5. Responsabilità
della Chiesa torinese In questa prospettiva dobbiamo
giudicare la realtà torinese e il ruolo che oggettivamente vi svolge
|
Questo fa
pensare e seriamente perché siamo, sia pure marginalmente, anche noi coinvolte. Però non sappiamo e non
possiamo per ora fare qualcosa in merito. |
6. Nuova visione
della riforma assistenziale Oggi la riforma del settore assistenziale
non si può attuare solo con il perfezionamento tecnocratico degli strumenti
d'intervento, in quanto certe nuove tecniche sono di fatto ancora al servizio
della razionalizzazione dell'esclusione e non mettono in discussione la scala
di valori su cui l'attuale sistema si fonda. Il non chiarito rapporto
carità-giustizia fa accettare da molti cristiani la povertà come un fatto
ineluttabile, a cui ci si accosta con una sfiducia radicale nel povero,
indicato spesso come primo responsabile della sua situazione, solo perché non si tengono presenti i fattori più generali che
producono la povertà e non ci si colloca in una dimensione di interventi più
ampia e generalizzata. |
Quanto esposto nella «nuova visione della riforma assistenziale» presuppone la conoscenza di un più vasto
problema politico-sociale che sfugge alla grande maggioranza delle religiose. Sono affermazioni ardite ma non si possono dire non vere. Ci sentiamo però dalla sua parte
fino in fondo (non tutte, però, anzi una minoranza molto ridotta). |
7. Scelta
fondamentale della Chiesa torinese Anche
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Per coerenza,
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II - PRINCIPI GENERALI: COME DEVE COLLOCARSI
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8. Chiesa: comunione
e servizio
Proprio perché il servizio ai
fratelli è un segno della Chiesa, fin dall'inizio si sente il bisogno di
renderlo anche ministero. «I Dodici convocarono allora la moltitudine dei discepoli e
dissero: "Non è bene che noi abbandoniamo
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Il servizio ai fratelli «dovrebbe»
essere segno della Chiesa. Le parole tratte dagli Atti degli
Apostoli ci sono sembrate un aperto invito per noi religiose a dedicarci ad una attività di servizio al fine di lasciare il sacerdote
libero per il suo ministero, ma nello stesso tempo sembra che ci inviti a
lasciare, a nostra volta, ai laici quei compiti che possono essere svolti
benissimo anche da loro e forse anche meglio. |
9. Carità e opere assistenziali All'interno della comunità
fraterna la diaconia, essenziale per ogni fedele, diventa anche diaconato, cioè ministero che si affianca a quello della parola e
dell'orazione. Il servizio così concepito è frutto e funzione dell'unità fra
i fratelli e come tale è più azione spontanea di carità che fatto tecnico,
più missione che professione. Il ministero diaconale concorre a realizzare nei fatti l'ideale di
fraternità e di eguaglianza annunciato dalla comunità ecclesiale, affrontando
i bisogni che nascono in tale comunità nei termini di fratellanza in Cristo
e eguaglianza in Dio Padre. Esso trae origine e si giustifica come un momento
della vita della comunità, la quale non si estrania dai problemi del bisogno,
ma concorre solidalmente alla loro soluzione con la partecipazione di tutti. Tutt'altra cosa è un servizio di assistenza. Esso è un fatto della comunità sociale ed
è quindi regolato da norme tecniche che possono sì ispirarsi al messaggio
evangelico della carità fraterna, ma che comunque
rimangono nella sfera dell'organizzazione civile. Da questa distinzione consegue che
quando un cristiano attua un'opera assistenziale
diventa un operatore sociale, entra nel campo dei servizi e ne deve perciò
accettare le regole, senza far confusioni fra carità e servizio, essendo la
prima atto religioso e sostanza della comunione fraterna, il secondo fatto
sociale e funzione della comunità civile con strumenti ed obiettivi
autonomi. |
Grazie: queste righe ci hanno
chiarito idee ancora confuse sulla distinzione tra servizio religioso e servizio sociale nell'assistenza e ci hanno aperto un
orizzonte quasi ignoto, tanto siamo abituate a lavorare solo e sempre nelle
strutture sociali o anche religiose. Nella misura in cui uno viene a
conoscere |
10. Comunità e
impegno sociale Poiché il servizio ai fratelli realizza
concretamente l'unione dei credenti nella carità, il cristiano trova
proprio nella sua fede il più efficace stimolo ad un impegno sociale. Al
tempo stesso |
Questa riscoperta del valore e
della necessità del servizio libero e personale sembra portare un po' di ossigeno alla nostra vita di cristiane e di suore. |
11. Situazione
passata e prospettive attuali Nel passato, poiché la comunità
civile o non era in grado di farsi carico
dell'attività assistenziale o gliene mancava la sensibilità, tale attività è
stata organizzata in proprio dalla Chiesa, il cui impegno religioso si è
tradotto nel settore sociale con istituzioni, spesso di notevoli dimensioni,
che sono state per secoli una testimonianza dell'impegno assistenziale dei
cristiani. Con l'attuale livello di organizzazione sociale e di sviluppo tecnologico, che
esiste nell'area torinese, la comunità civile è oggi in grado di assumersi
tutti questi settori, a patto che una diversa volontà politica capovolga i
criteri che determinano le scelte prioritarie negli investimenti; in
conseguenza di questo processo
Ma intanto nella nostra società il
bisogno rimane: risolto un problema ne nasce uno
nuovo, vinto un tipo di bisogno un altro si produce, talvolta come una delle
conseguenze dello stesso progresso tecnico che ha permesso di debellarlo,
per cui può nascere l'opportunità di nuove presenze. Ma là dove l'impegno temporale può
continuare ad avere una funzione,
|
Pieno l'accordo da parte di alcune religiose, parecchie riserve da parte della
maggioranza che vede l'assistenza organizzata ancora come compito specifico,
così come era un secolo fa, non rendendosi conto che il momento storico è cambiato
e di molto. |
12. Compito
specifico della Chiesa oggi Ciò che deve caratterizzare la
missione del cristiano e della Chiesa oggi, in una società la cui rapida
trasformazione tecnologica minaccia di soffocare l'uomo, deve essere un
preciso impegno per un progresso al servizio dell'uomo nella sua integrità. Le nuove situazioni economiche e
sociali creano un nuovo tipo di poveri e questi
chiedono alla carità modi nuovi di attuarsi. Ne consegue l'inevitabile
abbandono delle vecchie forme assistenziali e la revisione
dell'atteggiamento dei cristiani, in particolare del genere di impegno delle
stesse vocazioni religiose. |
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III - ORIENTAMENTI OPERATIVI NELLA SITUAZIONE
TORINESE |
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13. Promuovere e
denunciare in difesa dell'uomo Adempiere ad una fondamentale istanza della carità che è quella di svolgere un ruolo di
promozione e di difesa a favore dell'uomo nei confronti della comunità
civile. Per assumere tale ruolo è necessario che i cristiani sgombrino il
terreno dalle preoccupazioni di rispettare e accettare il sistema in cui
devono operare. Quando accade che il sistema attua
le sue scelte prioritarie in base alla legge del profitto e alle istanze del progresso tecnologico confinando ai margini
della società i più deboli e i meno dotati, il primo dovere della carità è
quello di denunciare con fermezza, il secondo è quello di operare perché il
sistema si umanizzi trasformando la sua logica e correggendo la sua scala di
valori. Denuncia e promozione sembrano essere in questo momento gli impegni più gravi
della Chiesa torinese e delle sue componenti. |
Sono parole forti, ma non si
possono e non si devono controbattere: mettono il dito sulla piaga. Per noi è
sembrato un dovere di coscienza orientarci in questa visione di cose. Certo
occorre coraggio, e non aver paura di comprometterci e di perderci. La maggioranza delle nostre suore
però non è disposta: occorre ancora tempo e pazienza; occorre opera di sensibilizzazione e di convinzione, anche se non si
troveranno mai tutte concordi su questa visione delle cose. |
14. Responsabilizzare la comunità civile Stimolare la
comunità civile ad assumersi le funzioni e attività che le sono proprie,
preparando il passaggio in spirito di collaborazione, senza speculazioni e
rimpianti.
Tale politica assume particolare rilievo in questo momento in cui la
competenza nel settore assistenziale viene
trasferita dallo Stato alle Regioni. Una serena programmazione di
questo graduale passaggio non suonerà disarmo e
rinuncia. Un modo, ad esempio, di non disarmare è quello di non lasciare
inutilizzato personale qualificato che può benissimo operare anche in una istituzione laica, senza togliere nulla al valore
della propria testimonianza cristiana. Inoltre nella visione pluralistica di una società aliena da
qualsiasi totalitarismo, l'operazione di trasferimento non significa di fatto una rinuncia alla attività assistenziale, bensì
un ridimensionamento doveroso di essa. |
Esatto: a condizione però che si
sia preparate sul serio per prestare servizio nelle istituzioni laiche. |
15. Proporre
esperienze nuove Tentare esperienze nuove là dove
spazi vuoti possono costituire un invito a mettersi a servizio dell'uomo con
rinnovata energia. In questo caso la carità stimola l'inventiva e l'ardimento
e non potrà dar luogo a sospetti di interferenza e
di concorrenza il fatto che si è presenti dove nessuno lo è ancora. |
Ci sembra
necessario tentare esperienze nuove, ma incontriamo sempre due ostacoli: il
«dilettantismo» che semplifica tutto e trova tutto facile, e l'eccesso
opposto: il «perfezionismo» che nulla mai farebbe per timore sempre di sbagliare
e di non fare bene come si vorrebbe. Questo stato di cose ci paralizza
nelle decisioni da prendere. |
16. Animare le
istituzioni assistenziali Animare le istituzioni assistenziali con la presenza in esse di operatori
specializzati che con la loro qualificazione professionale più seria portino
l'aspirazione a testimoniare il Vangelo attraverso l'impegno del proprio
lavoro svolto non solo come servizio ma in spirito di servizio. |
Comprendiamo che per continuare
l'attività nelle istituzioni assistenziali
occorrerebbe non solo migliorare locali e strutture, ma anche aver «operatori
specializzati», cosa però che si realizza sì, ma in genere non nella misura
in cui sarebbe necessario. |
17. Proporre il
modello della comunità cristiana alle istituzioni civili Realizzare delle comunità
autenticamente evangeliche dove il fratello più bisognoso è a carico di
tutti e non solo non viene estromesso perché è il
più debole e il «più piccolo», ma anzi è il più importante perché più atto a
rappresentare Cristo: nelle sue applicazioni sociali questo è anche il
modello che si propone alla comunità civile che viene così chiamata in causa,
perché si faccia carico del problema assistenziale e ne ricerchi comunitariamente le soluzioni più valide per una crescita
armoniosa e integrale della persona. Proposte come
quella
fondamentale delle unità locali dei servizi, della creazione di focolari in
sostituzione degli istituti, dell'affidamento familiare, dell'adozione, dei
servizi di aiuto alla famiglia per evitare l'internamento dei minori e degli
anziani, sono esattamente discorsi di applicazione profana e tecnica delle
istanze della carità e del significato concreto della comunione dei fratelli. |
Come proposta nulla da obiettare,
anzi è quanto di meglio si possa desiderare come
uomini e come credenti. Il difficile in pratica è dare noi il modello offrendo
l'esempio delle nostre comunità... |
18. La linea
comunitaria nelle nostre istituzioni Per quanto riguarda gli istituti
ad internato con personale religioso realizzare tutto ciò che fin d'ora è
possibile fare nella linea comunitaria. Alcune proposte possono essere fatte e attuate
subito, ad esempio vivere con gli assistiti, partecipare alla loro vita,
anche nelle forme esterne, e ai loro problemi, farli partecipare alla gestione
dividendo con loro le responsabilità, dibattendo insieme le questioni di interesse comune relative all'andamento
dell'istituzione e alla società in cui sono inserite. Lo spirito comunitario
spingerà a cercare il dialogo e la partecipazione nei confronti della
comunità in cui l'istituto assistenziale opera, e
ciò per quanto riguarda persone, gruppi ed enti. |
Il nostro personale religioso,
nella maggioranza dei casi, non è adatto a tale tipo di assistenza;
per mentalità e preparazione sta in piedi solo continuando il ritmo
tradizionale. È doloroso rilevarlo, ma è la
verità. |
19. Credere nei
mezzi poveri Scegliere i mezzi più poveri. La
fede nello Spirito e nella potenza della carità deve spingere a rifiutare la identificazione tra l'amore ai poveri e la necessità di
opere, di strutture, di mezzi economici. Il segno che
|
Per noi questo punto è stato il
più rivoluzionario di tutti, perché abbiamo sempre dato molta importanza
agli strumenti materiali del nostro apostolato. Andiamo
comprendendo adesso, anche per esperienza personale, come la povertà dei mezzi,
se unita allo spirito evangelico, dà potenza ed efficacia all'opera apostolica. Andiamo comprendendo, dico, ma abbiamo a questo riguardo
ancora tanta strada da fare. |
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