Prospettive assistenziali, n. 18,
aprile-giugno 1972
STUDI
FORMAZIONE,
AGGIORNAMENTO E RICONVERSIONE DEGLI OPERATORI SOCIALI (1)
FRANCESCO SANTANERA
La maggior parte degli studiosi dei
problemi sociali insistono sulla necessità della
formazione del personale, adeguata ai compiti che i servizi funzionanti o da
istituire si propongono.
Questa posizione non è in parte
condividibile, in quanto fa riferimento esclusivo o comunque
preminente al nuovo personale e non invece a quello in servizio.
Muovendo da tale concezione viene,
ad esempio, richiesto l'inserimento nell'università della formazione degli
assistenti sociali e degli educatori.
In primo luogo vi è da osservare che
la richiesta suddetta non è tanto portata avanti per una maggiore e migliore
efficienza dei servizi, quanto per ragioni carrieristiche
ed è una conseguenza della richiesta di sostituire gli amministrativi laureati
con i tecnici. Questi, per occupare i posti, devono
appunto essere in possesso della laurea, condizione «sine
qua non» per non continuare a svolgere ruoli subordinati.
È certo che la presenza di tecnici
(assistenti sociali, educatori, ecc.) nei posti direttivi assicurerà, sul piano medio statistico, una migliore funzionalità dei
servizi. Però il miglioramento sarà puramente nella linea della
razionalizzazione, come ne consegue dalla stessa logica che sta sotto alla sostituzione.
Non si vuole certo negare che oggi
occorre un riconoscimento dei titoli affinché i tecnici possano operare e
sostituire gli amministrativi, però questo riconoscimento può ben giungere con
un altro mezzo che non sia quello dell'inserimento della formazione
nell'università, ad esempio equiparando i corsi dei centri di formazione gestiti
dagli enti locali ai corsi universitari.
L'importante è per noi che una nuova
formazione significhi un cambiamento reale nei contenuti
dei servizi.
Prima di esporre le nostre idee in
proposito, vogliamo rilevare che la formazione di nuovo personale (ad esempio di assistenti sociali e di educatori) nell'università
avrebbe la gravissima conseguenza di contrapporre il nuovo personale laureato a
quello in servizio privo di titolo.
È ben vero che una norma legislativa
transitoria potrebbe equiparare il titolo conseguito con la laurea, ma a
questo riguardo occorre sottolineare con forza che l'operazione indicata non
ha alcun riferimento, nemmeno marginale, con una miglior qualificazione del
personale o con un cambiamento positivo dei servizi.
Ritornando al problema dei servizi,
i quali devono tutti avere contenuti diversi da quelli attuali, è evidente
che l'atteggiamento del personale che attualmente
presta la sua attività è determinato per consentire una inversione di
tendenza. Questa affermazione è confermata ad esempio dalla situazione
determinatasi nel settore psichiatrico con l'azione anti-manicomiale portata
avanti da medici o da associazioni (2).
Negli ospedali psichiatrici in cui è
mancato l'appoggio del personale, ben poco di concreto è stato ottenuto fino a quando gli operatori interni, nel caso in esame
soprattutto gli infermieri, non hanno modificato il loro atteggiamento, modifica
che è stata resa difficile anche per il fatto che al personale in servizio non
è stata messa a disposizione nessuna concreta possibilità di riqualificazione.
Certamente per un infermiere passare
dal ruolo di «custode» al ruolo di operatore sociale
con responsabilità dirette è un fatto che può anche non essere accettato; se a
ciò si aggiunge il dover operare senza essere preparato, è ben facile che
emergano posizioni di rifiuto.
Nell'istituzione di nuovi servizi o
nella reimpostazione di quelli esistenti non vi è da
stupirsi che sorgano opposizioni da parte dei tecnici in servizio, soprattutto
di quelli che lavorano in grossi enti o in servizi centralizzati con molto
personale. In queste situazioni, infatti, per la struttura stessa del servizio,
il personale viene deresponsabilizzato: ne è una prova
il fatto che la divisione del lavoro è operata non in base al territorio, ma
per settori di attività (ad esempio nel caso degli istituti provinciali per
l'infanzia: assistenza alle madri nubili, ricovero in istituto, adozione,
ecc.), di modo che vi è sempre la possibilità di attribuire ad altri la
responsabilità di eventuali errori o fallimenti.
D'altra parte non è pensabile, per
l'istituzione di servizi nuovi, che l'aggiornamento del personale possa essere limitato alla frequenza di corsi teorici o alla
visita (spesso affrettata) di servizi funzionanti o alla consultazione della
bibliografia in materia. Non è nemmeno consigliabile l'assunzione di nuovo
personale tutto destinato alle nuove attività poiché
si determinerebbe inevitabilmente uno scontro con il personale in servizio.
Occorre invece una reale presenza e responsabilità in un servizio operante per poter acquisire
gli elementi in modo da garantire in seguito un accettabile funzionamento
nell'attività che si intende istituire o reimpostare.
Occorre soprattutto un lavoro con la
comunità e con i gruppi sociali ed anche questo lavoro non lo
si può imparare con corsi teorici o con il tirocinio tradizionalmente
inteso.
Occorre pertanto uno stretto
collegamento fra il momento «teoria» e il momento
«prassi», per arrivare ad una loro armonica fusione.
Le considerazioni fin qui svolte ci
portano a proporre che i centri di formazione, aggiornamento e riconversione
degli operatori sociali siano istituiti dagli enti ai quali dovrà essere
affidata la responsabilità politica delle Unità locali dei servizi, e cioè ai Comuni e ai Consorzi di Comuni. Tuttavia,
tenendo conto della realtà attuale, crediamo proponibile, pur ritenendo
preferibile la proposta sopra indicata, la costituzione dei centri suddetti da
parte di Consorzi fra Comuni e Province ed anche come estrema ratio da parte delle Province o di
Consorzi di Province (3).
Questa proposta è in linea con le
indicazioni, da più parti formulate (anche se fino ad
oggi esse non si sono estese alla formazione degli operatori sociali), che i
servizi da un lato devono essere collegati con il territorio e d'altro lato
essere attuati e gestiti con la partecipazione dei cittadini.
Pertanto i centri di formazione,
aggiornamento e riconversione devono essere il più possibile decentrati (e
nemmeno è sufficiente nelle Regioni più estese un
«decentramento» a livello delle città capoluogo di Regione) e inoltre devono
essere democraticamente controllati.
Cogestione o controllo
democratico
La partecipazione è intesa da noi
non come inserimento nei consigli di amministrazione
di rappresentanti degli utenti, dei sindacati, delle associazioni, ecc.
Riteniamo infatti che la formula della cogestione sia un comodo mezzo per fiaccare
un'autentica partecipazione, dando l'illusione a coloro che non hanno alcun
potere di poter decidere.
In definitiva, con la cogestione si
vengono ad attribuire responsabilità sul piano decisionale a coloro che in effetti non determinano oggi (purtroppo) gli indirizzi
della politica sociale, con il risultato di svilire la partecipazione alle
decisioni e alla gestione riducendola al semplice consenso delle decisioni già
prese.
Riteniamo che, ognuno dovendo
occupare i ruoli sociali che ha effettivamente, la partecipazione si realizzi
più incisivamente, nell'attuale nostro contesto
sociale, come controllo democratico.
A tale scopo occorrerebbe, che i
sindacati, le associazioni e le altre forze sociali rivendicassero
l'istituzione di comitati di controllo e il riconoscimento delle loro funzioni
che potrebbero essere:
- preventiva consultazione
obbligatoria per tutte le questioni riguardanti il centro di formazione,
esclusi eventualmente i problemi concernenti l'ordinaria amministrazione;
- libera consultazione di tutta la
documentazione, compresi i registri contabili;
- facoltà di convocare assemblee di allievi, di rappresentanti delle forze sindacali e
sociali e di cittadini;
- facoltà di avanzare proposte al
Consiglio di amministrazione che deve
obbligatoriamente discuterle entro un termine prefissato, ad esempio di 30
giorni;
- partecipazione, eventualmente
anche senza diritto di voto e di parola, alle riunioni del Consiglio di amministrazione;
- libera ed effettiva possibilità di
utilizzare propri mezzi di comunicazione;
- messa a
disposizione delle strutture e dei mezzi necessari per lo svolgimento dei compiti
sopra indicati.
Superamento del
settorialismo
La costituzione di un centro per la
formazione, aggiornamento e riconversione degli operatori sociali consentirebbe
anche il superamento delle attuali strutture che sono
sorte e operano in modo settoriale.
Ad esempio, nessun rapporto vi è
oggi fra le scuole ed i corsi preposti alla formazione di assistenti
sociali, di educatori, di fisioterapisti, di logopedisti,
ecc. È di tutta evidenza invece la necessità che gli operatori sociali,
seguendo corsi adeguati ai vari livelli formativi, abbiano continui scambi,
in modo da mettere in pratica attuazione il concetto di équipe
fin dal periodo della formazione.
Inoltre, ad evitare una formazione
prevalentemente o esclusivamente astratta come avviene oggi, è necessario un
raccordo continuo fra teoria e prassi.
Per rispondere anche a tali
necessità e soprattutto per gli altri motivi, precedentemente
esposti, è necessario, a nostro avviso, che lo stesso centro che è preposto
alla formazione svolga anche i compiti di aggiornamento e riconversione.
Sezione di ricerca
Presso ciascun centro di formazione,
aggiornamento e riconversione degli operatori sociali dovrebbe essere
istituita una sezione di ricerca, studi e documentazione sui problemi sociali
in cui siano acquisiti, discussi ed elaborati i dati
relativi ai servizi, ai bisogni, alle loro cause, agli interventi necessari.
Naturalmente anche
la sezione di ricerca dovrà funzionare con la partecipazione dei docenti della
scuola, degli allievi, delle forze sindacali e sociali.
A tutti è noto come nei campi dei
servizi sociali i dati siano carenti e che
addirittura le statistiche (numeriche) dell'ISTAT non siano sempre
attendibili.
È pure noto come molto spesso le
ricerche effettuate nel settore restino inutilizzate
sia perché realizzate senza la collaborazione degli operatori sociali, sia
perché sganciate dalle realtà operative di modo che non viene tenuto conto, ad
esempio, delle condizioni necessarie per modificarle.
Individuazione degli
operatori sociali
Resta inoltre da definire chi siano gli operatori sociali e certamente non è accettabile,
ad esempio, considerare tali le ispettrici e le assistenti della polizia come
assurdamente le considera tali il CEPAS nella ricerca «La formazione degli
operatori sociali» pubblicata dalla AAI, Roma, 1971.
Anche certe suddivisioni come quella
fra puericultrice e vigilatrice d'infanzia, fra educatore e dirigente di
comunità, fra assistente sanitaria visitatrice e educatore sanitario (come
indicato nella ricerca suddetta) non hanno nulla a che fare con i bisogni
degli utenti, ma rispondono solo a spinte carrieristiche, ad una divisione dei ruoli prima di
qualsiasi collegamento con la funzionalità dei servizi.
Vi sono anche impostazioni da
respingere, come la selezione attitudinale per l'ammissione ai corsi,
selezione che viene spesso ad assumere un carattere di esclusione
delle persone che hanno una ideologia o una militanza politica non condivisa
dalla scuola.
Dalla selezione a senso unico,
attuata cioè esclusivamente dalla scuola, si deve
invece arrivare all'auto-selezione, integrata, per i casi patologici, da
interventi da parte di tutte le componenti della scuola e delle forze sociali.
Ritornando alla ricerca citata,
dobbiamo osservare che, mentre essa è ricca di tabelle e di
percentuali, non sono contenute critiche di fondo alle attuali
impostazioni delle scuole e dei corsi esistenti i quali, quasi sempre, non sono
finalizzati alla promozione delle persone, delle famiglie, delle comunità, ma
essenzialmente a riparare le conseguenze più evidenti delle sperequazioni e
degli squilibri sociali esistenti (4).
(1) Sul
problema vedasi in Prospettive assistenziali, n. 13, gennaio-marzo 1971,
(2) Vedasi SEZIONE DI TORINO
DELL'ASSOCIAZIONE PER
(3) Com'è indicato
nella tabella n. 3 riportata nel n. 15 di Prospettive
assistenziali, l'ambito da noi proposto per i servizi di vasta area (non
attuabili cioè a livello di Unità locale dei servizi) è
(4) Vedasi al riguardo
il documento approvato al Convegno nazionale degli Assessori regionali
all'assistenza, Bergamo, 27 aprile
www.fondazionepromozionesociale.it