Prospettive assistenziali, n. 18,
aprile-giugno 1972
LIBRI
UNIONE REGIONALE DELLE
PROVINCE PIEMONTESI,
Atti del Convegno «L'assistenza psichiatrica
nel quadro del servizio sanitario nazionale»,
Torino, 29-30 maggio 1971.
UNIONE REGIONALE DELLE
PROVINCE LOMBARDE,
Atti del Convegno «Proposta per una nuova
visione dell'assistenza e dei servizi sociali nell'ambito delle comunità locali»,
Varese, 11-12 settembre 1971.
1. La battaglia anti-manicomiale
condotta a Torino, specialmente da parte dell'Associazione per la lotta contro
le malattie mentali, ha costretto l'Amministrazione provinciale di Torino a
modificare radicalmente la sua linea in materia di assistenza
psichiatrica.
Si tratta però
di una modifica che riguarda più l'enunciazione verbale che l'attuazione concreta.
Ma non basta. Le timide iniziative messe in atto per
l'assistenza extra-ospedaliera hanno offerto lo spunto all'Amministrazione
provinciale di avanzare pretese per la gestione, nell'ambito del futuro
Servizio Sanitario Nazionale, non solo dell'assistenza psichiatrica, ma
addirittura di quella sanitaria.
Infatti Borgogno,
nella sua qualità di Presidente dell'Unione Regionale delle Province Piemontesi
e di Presidente della Provincia di Torino ha esplicitamente affermato che:
a) «Siamo convinti che un regime di
sicurezza sociale debba fondarsi su di un supporto di strutture sanitarie
qualificate da una rete efficiente di unità sanitarie
locali (...). L'accordo cesserebbe però quando si pretendesse di costruire le
unità sanitarie locali come organismi agenti fuori e al di
sopra del contributo e della capacità di determinazione degli attuali
enti locali: questo - diciamolo chiaramente - sarebbe il modo di fare la
riforma di base passando sulla testa degli Enti locali e forse offrendo la
testa degli Enti locali sull'altare della riforma. È quanto avverrebbe se
prendesse consistenza una formulazione della prevista disciplina in materia
che, da un lato, prevedesse che le unità sanitarie
locali siano, curiosamente, costruite come articolazioni del servizio sanitario
nazionale, prive di personalità giuridica» (pag. 14 degli Atti di Torino) (l);
b) «la configurazione giuridico-amministrativa delle unità sanitarie locali
(deve essere determinata) attraverso uno schema consortile che deve articolarsi nella partecipazione di Comuni, Province ed
altri Enti locali» (pag. 15 degli Atti di Torino) ;
c) «i servizi di base debbono essere gestiti con la formula consortile ed io
aggiungo: una formula che assicuri alle Province una posizione mediatrice e
quindi una reale capacità di incidere sulle decisioni attraverso, ad esempio,
la riserva di una congrua rappresentanza negli organi consortili» (pag. 16
degli Atti di Torino) ;
d) «noi riteniamo, per quanto
attiene alle Province, che uno dei settori di loro più specifica vocazione
accanto a quello dell'assetto territoriale, cui ci stiamo dedicando con
passione, sia esattamente quello dell'assistenza, dell'igiene
e della sanità ed anzi ricordiamo che qualche anno fa, quando si
svolgevano i lavori della Commissione interministeriale per le Regioni, creata
dal Governo sul finire del 1968, un documento, attribuito a quella Commissione
indicava proprio in questo ambito e in genere nei servizi sociali le materie
per le quali
Dalla relazione di Borgogno, di cui sono riportate le affermazioni più significative, risulta evidente che le Amministrazioni
Provinciali del Piemonte vogliono:
- continuare ad esercitare funzioni
in materia di assistenza psichiatrica anche dopo la riforma
sanitaria e assistenziale;
- estendere anzi le loro competenze
a tutto il settore sanitario;
- che le Unità
sanitarie locali non siano gestite dai Comuni, Consorzi di Comuni o articolazioni
subcomunali, ma da Consorzi fra Comuni. Province e altri enti locali (ONMI?
ECA? Opere Pie? altri enti?);
- una congrua presenza nei consigli di amministrazione di rappresentanti delle Province.
Da tali premesse discende la
proposta dei settori psichiatrici,
quali strutture, comprendenti dai 250.000 ai 350.000 abitanti, che devono dimostrare
la necessità della presenza delle Province nella gestione delle
Unità sanitarie locali.
Infatti i settori attuali hanno competenze
si: aree comprendenti più Comuni; ad esempio il settore Torino Est comprende in
parte il Comune di Torino ed i Comuni di Settimo e di San Mauro.
Creando strutture di settore e cioè interessanti più Comuni o comunque riguardanti più
unità sanitarie locali, il gioco della Provincia è fatto in quanto dette
strutture non potranno mai essere gestite dai Comuni, dai Consorzi di Comuni e
da articolazioni subcomunali e
2. Una posizione analoga è stata
espressa da Peracchi, presidente della Provincia di
Milano e dell'Unione regionale delle province lombarde, in occasione del
convegno di Varese, organizzato allo scopo di «recare un contributo alla
definizione della politica delle attrezzature sociali (...) e offrire in pari
tempo anche una proposta di intervento dell'ente
intermedio Provincia capace di trovare una concreta attuazione».
Anche se il discorso di Peracchi può apparire a prima vista
tecnicamente argomentato, non mancano evidenti e gravi contraddizioni. Infatti da un lato egli afferma che occorre «ridurre al
minimo indispensabile i centri di potere decisionale e collocarli
territorialmente alla portata dei cittadini in modo che questi possano
proporre, stimolare direttamente iniziative e verificare le scelte e
soprattutto gestire i servizi» (pag. 49 degli Atti di Varese), e d'altro lato
propone che alle Province continuino ad essere affidate, anche dopo la
costituzione delle Unità locali dei servizi, le seguenti competenze «istituti
educativo assistenziali a semiconvitto per approfondimento diagnostico dei
giovani cosiddetti difficili, istituti specializzati per anziani nei casi di
assoluta necessità di ricovero, colonie-campeggi, laboratori protetti,
consultori e centri altamente specializzati per la rieducazione degli handicappati
fisici e psichici (...) istituti medico-psico-pedagogici»
(pag. 55 degli Atti di Varese).
In sostanza viene
riproposta la suddivisione in categorie, la ripartizione delle competenze prevedendo
che quelle non specialistiche siano affidate alle Unità locali dei servizi e
quelle cosiddette specialistiche alle Province, per cui avremo addirittura
diagnosi e interventi non specialistici (da parte delle U.L.S.)
e diagnosi e interventi specialistici (da parte delle Province).
Leggendo questi Atti del Convegno di
Varese notiamo che non sono stati riportati gli interventi, svolti alla fine
del convegno, per protestare contro la presentazione, avvenuta alle 13,40 della mattinata conclusiva della risoluzione a carattere
generale (pag. 245 e 246 degli Atti di Varese), risoluzione che non
rispecchiava le posizioni emerse nel corso del convegno. E nonostante che nel convegno
fossero stati fatti, anche da parte di Peracchi, gli ormai rituali accenni alla partecipazione,
veniva respinta la proposta di prorogare il convegno al pomeriggio per discutere
la risoluzione stessa: la stanchezza dei partecipanti e l'ora tarda consentivano
poi a Peracchi di imporre l'approvazione della
risoluzione.
Così pure notiamo con rincrescimento
che negli atti sono riportati gli interventi senza che siano stati inviati per
la correzione agli autori (e senza che ciò sia segnalato ai lettori) con il
risultato che in alcuni di essi sono riportate frasi
poco comprensibili o addirittura con significato opposto a quello espresso nel
corso del convegno.
SALVATORE JONA, Uomini da salvare, Edizioni E.R.G.A., Genova.
Questa storia racconta l'esperienza
fatta da un avvocato di Genova, alla fine della sua professione forense, su
alcuni ragazzi dell'Ospedale Psichiatrico di Genova. Egli provvedendo personalmente
al trasporto quotidiano di quattro degenti già dichiarati pericolosi (uno di
19 anni gli altri tre in età scolare) il primo nel laboratorio protetto di Via
Parini e gli altri tre nella scuola speciale Villa Canepa di Genova-Cornigliano,
restituendoli alla sera «all'Ospedale Psichiatrico
dove erano ricoverati» riesce ad ottenere che «un ragazzo sia ripreso in
famiglia, due giovani (di cui uno ormai un discreto operaio meccanico) siano
interamente sistemati fuori dell'O.P. e gli altri diventino diligenti allievi
della scuola speciale Villa Maria restando ospiti notturni dell'O. P. ma per ragioni soprattutto economiche».
Il libro è scritto in modo efficace,
pur nella sua frammentarietà, perché conserva un senso di realtà umana non
retorica data dal tatto che l'esperimento viene
raccontato attraverso gli appunti scritti dall'autore giorno per giorno su! comportamento dei ragazzi, durante l'esperimento.
«Oggi il ragazzo F.
ha avuto un contegno meno rispettoso e composto di ieri». «Si
sottopone il ragazzo E. all'esame dei tests che
danno un risultato impensabile: sembra oltre 100%. E pensare
che un ragazzo di questo calibro è rinchiuso in manicomio da sette anni per il
solo fatto che è figlio illegittimo». «I ragazzi sono addirittura
commossi e con gli occhi che brillano non finiscono
più di raccontarmi quanto hanno fatto a scuola». «Di giorno in giorno migliorano
e lascio loro maggior libertà». «Oggi Enrico è rimasto ad attendermi circa un
quarto d'ora nella macchina ed ora alla mattina lo
mando a comprarsi la focaccia in una panetteria a 500 metri». E ancora di un altro ragazzo: «Lo mando in tabaccheria a
comprare i francobolli, percorre due volte la strada perché non ricorda bene
cosa deve comprare, ma alla fine riesce a riportarmi i francobolli ed il resto
giusto». «Anche Paolo supera brillantemente la prova dell'acquisto dei francobolli
e viene a dirmi che quando era a casa faceva lui tutte
le commissioni e se la cavava benissimo» (lo stesso ragazzo dopo l'esperimento
scolastico verrà poi ripreso dalla famiglia).
Continua, l'anno dopo: «Al ritorno
dalla villeggiatura ho ripreso i contatti con l'O.P. di Cogoleto
ed ho qui ritrovata una accoglienza entusiastica da
parte dei ragazzi. Mio preciso scopo portarne fuori qualcun altro, anzi tutti quelli che sarà
possibile». «Enrico sino a qualche mese fa era una cosa; ora andrà solo in treno». E così continua sino all'incontro
con Bianca la bimba rifiutata dai genitori: ha otto anni, fisicamente normale, viene legata al calorifero con le mani dietro la schiena per
impedirle di colpirsi al viso. Vittima di una grave carenza
affettiva, troverà nell'autore baci, carezze e cure sino ad ottenere un
visibile miglioramento. «La bimba è ora più vivace... ha molto ridotto la spinta autodistruttiva, gli scatti per picchiarsi sugli
occhi sono assai più dilazionati». «Poco dopo il mio arrivo mi ha chiesto di
prenderla in braccio e dopo averla presa non riuscivo
più a farla scendere... Il progresso oggi è netto e visibile... Il medico mi
informa che Bianca ieri ed oggi non è stata legata, che non si è picchiata e
che oggi ha addirittura aiutato a sparecchiare le tavole: sono emozionato come
un ragazzo». E quando l'avvocato per un po' non potrà più andare, la ritroverà
al suo ritorno notevolmente regredita. «Non mangia più
da sola e vuole essere imboccata.. Usciamo a spasso
insieme, ma ci troviamo quasi nelle condizioni delle prime volte, appena può si
picchia selvaggiamente».
Insieme al documento sociologico ed
umano c'è l'impegno profondo di una personalità morale quale
quella dell'autore che sarà presto posto di fronte al problema in tutta la sua
interezza e che sente di non poterlo risolvere coi metodi della carità privata.
«Ma il problema è enormemente più vasto e ormai mi ha
preso in profondità. Perché soltanto i ragazzi anzi qualche ragazzo deve poter uscire dall'O.P.? Soltanto a Genova vi sono
migliaia di persone che restano in O.P o per ragioni
economiche o perché la famiglia li rifiuta o perché manca una adatta struttura
sociale... Il 60% dei ricoverati in O.P. non dovrebbe restarvi: una buona
parte non avrebbe dovuto forse mai entrarvi».
C'è ormai un capovolgimento e una
nuova impostazione: malattia, disadattamento, causa di povertà e di abbandono sono un problema che riguarda la società nel
suo insieme. Partendo da una analisi della condizione
umana nel manicomio che ha visitato per molti mesi, l'autore arriva a sentire
il bisogno di una ricerca di mezzi per imporre alla società l'obbligo di
riprendersi quelli che, per ragioni diverse, ha escluso.
AA.VV., I campi gioco, Ed. A.A.I., Roma, 1971, pag.
Il libro si presenta come sussidio
didattico per un servizio destinato all'infanzia per dare occasioni di gioco
al bambino.
L'impostazione globale
perciò si presenta settoriale e tecnicistica. Infatti tratta le differenti modalità e caratteristiche del
gioco nei diversi periodi dello sviluppo del bambino, soffermandosi sulle
caratteristiche proprie dei vari gruppi di età e dando per ogni gruppo
suggerimenti tecnici relativi alle predisposizioni degli spazi da destinarsi
ai bambini.
Anche se i suggerimenti partono da
fondamenti pedagogici che regolano l'attività del gioco infantile e si tengono
presenti i criteri urbanistici con i relativi compiti amministrativi, si resta perplessi sull'intera impostazione del libro
proprio perché esso tratta il problema degli spazi necessari all'infanzia per
un armonico sviluppo, o come un problema a sé, esclusivamente tecnico, senza
fare un discorso che stia a monte del problema tecnico-pedagogico per diventare
problema socio-politico. Il gioco dei bambini non è da considerarsi avulso
dallo spazio-ambiente naturale e dalle persone accanto alle quali si trova a
vivere, e lo spazio non è solo necessario ai bambini, ma agli adulti e agli anziani
per cui i campi giochi diventano nient'altro che
«serre necessarie» affinché il bambino possa scaricare le sue aggressività e
le sue attitudini di gioco in qualche posto. E allora tutto diventa
innaturale, settoriale privando l'infanzia di quelle esperienze globali necessarie per il suo armonico sviluppo.
Si dà al bambino il campo gioco e si
priva l'anziano dello spazio perché gli è vietato l'ingresso in quelle «serre»
e si istituzionalizza sempre più la settorializzazione degli interventi: bambini normali da una
parte, handicappati dall'altra, adulti di qua, anziani di là. La società non si
riconosce più nella sua pluralità, ma nelle sue
suddivisioni con continui processi emarginanti, spazi separati incomunicabili,
non dialogo, non interscambi.
Questo discorso lo
si fa non perché non si creda alla tecnica, ma proprio per darle valore,
perché crediamo giusto applicarla non settorialmente, ma come strumento che
rispetti il lato autentico dell'uomo, che è basato sulla fantasia più
imprevedibile, sull'inventiva originale che fa del bambino dedito al gioco
l'uomo maturo e realizzato di domani.
Libri squisitamente tecnici corrono
il rischio di servire da copertura, con un linguaggio convincente
tecnicamente, a tutto il complesso politico-amministrativo
della nostra società, corrono il rischio di consentire la costruzione di qualche
campo gioco per bimbi privilegiati da isolare, ma di favorire poi i soprusi di
una edilizia sempre più mortificante, che sta rinchiudendo l'uomo in blocchi
di cemento consentendogli appunto lo spiraglio del «campo gioco» per il
fanciullo, quello del giardinetto striminzito per l'anziano, il vialetto con le
auto per gli adulti.
Il pericolo di trattare i problemi
per settori può essere funzionale metodologicamente, ma non rispetta i valori
umani e segue la logica di questa società utilitaristica che sembra aver dimenticato
l'uomo ed i suoi reali bisogni.
La lotta da farsi a favore
dell'infanzia è quella che vede sì i tecnici impegnati nel puntualizzare gli
strumenti necessari all'infanzia, ma impegnati soprattutto a ribadire
la necessità che gli spazi devono essere molti e per tutti i cittadini, spazi
da avere attorno alla propria casa in cui il bambino possa costruire da sé i
propri giochi per esplicare la sua fantasia, liberare il suo io, acquistare
senso di responsabilità a contatto con coetanei, adulti e anziani. Solo così
si difendono i diritti dell'infanzia, in ultima analisi, quelli di tutti.
www.fondazionepromozionesociale.it