Prospettive assistenziali, n. 18, aprile-giugno 1972

 

 

NOTIZIE

 

 

LA POLITICA DI EMARGINAZIONE SOCIALE DELL'AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI TORINO (1)

 

Che cosa chiediamo

Come risponde l'Amministrazione Provinciale di Torino

1. Decentramento dei servizi in modo che in ogni quartiere siano istituite le strutture co­munitarie di base e sia destinato il persona­le necessario per i servizi sanitari, sociali, scolastici, per l'abitazione, il lavoro, il tempo libero, ecc.

1. Espulsione dal contesto sociale e spesso dalla città e dalla stessa Regione dei minori in situazione di abbandono, degli anziani, de­gli handicappati fisici e psichici, delle per­sone costrette a chiedere l'assistenza per la mancanza di servizi. Ad esempio i minori ri­coverati in istituto dalla Provincia sono oltre 1.000.

2. Prestazioni domiciliari (economiche e di ser­vizi agli anziani, ai minori handicappati e non handicappati, ai dimessi degli ospedali psi­chiatrici, ecc., per evitare il ricovero in isti­tuti e per il reinserimento sociale di quelli attualmente istituzionalizzati.

2. Creazione sulla carta di 11 settori psichia­trici, di cui solo due parzialmente funzionan­ti: l'amministrazione provinciale infatti non fornisce il personale necessario e non isti­tuisce le indispensabili strutture (ospedali di zona, comunità alloggio, ambulatori, ecc.) per un servizio serio ed efficace.

3. Focolari per 6-8 ragazzi siti in alloggi sparsi nelle comuni case di abitazione per minori per i quali non è effettivamente possibile evitare il ricovero.

3. Acquisto di due ville in collina per un ghetto di lusso per i 50 ragazzi già ricoverati a Villa Azzurra.

4. Controllo democratico di tutti i servizi so­ciali, compresi quelli della Provincia di To­rino.

4. Le due ville, ad esempio, sono situate a due km. dall'ultima fermata dell'autobus per cui è addirittura difficile arrivarci.

5. Massima utilizzazione del denaro pubblico.

5. Le due ville (per 50 ragazzi) sono costate oltre 600 milioni. Con la stessa spesa si po­tevano fare in Torino dei focolari per 150 ragazzi.

6. Non emarginazione degli handicappati e crea­zione di servizi (scolastici, sanitari, abita­tivi, ricreativi) aperti a tutti e specializzati al loro interno.

6. Le due ville sono destinate solo a subnor­mali gravi.

L'Amministrazione provinciale ha inoltre pro­posto l'acquisto del Castello di Vinovo per farne un laboratorio protetto per 200-250 ra­gazzi, scartando le altre soluzioni proposte.

7. Applicazione non emarginante della recente legge sulla casa per creazione di focolari per minori e di piccoli pensionati per le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici (in gran parte anziani mai stati malati di mente o guariti). Inserimento sparso di queste strut­ture nelle comuni case di abitazione.

7. Nessun impegno dell'Amministrazione pro­vinciale al riguardo della politica che sarà portata avanti dai suoi rappresentanti nel Consiglio di amministrazione dell'Istituto autonomo per le case popolari.

Sono anzi tenute in piedi, e fatte passare per moderne, istituzioni come il Centro di igiene mentale, l'istituto provinciale per l'as­sistenza all'infanzia e il Servizio di medicina scolastica.

8. Affidamenti familiari retribuiti a scopo edu­cativo dei minori per i quali non è possibile la permanenza in famiglia o l'adozione.

8. Alla delibera sull'affidamento familiare, ap­provata dal Consiglio Provinciale, viene data una applicazione irrilevante (sono solo 2 gli operatori sociali incaricati a tempo parzia­le), lasciando inutilizzati 200 milioni e so­prattutto lasciando abbandonati a se stessi le famiglie e gli educatori che già hanno dei bambini in affidamento o sono disponibili per accoglierne.

9. Aggiornamento professionale degli operato­ri sociali che lavorano negli attuali servizi in modo che siano qualificati per i servizi alter­nativi e formazione dei nuovi operatori so­ciali necessari (fisioterapisti, logopedisti, istruttori tecnici, assistenti sociali, ecc.). Ad esempio per la mancanza di fisioterapisti molti bambini spastici non saranno mai in grado di camminare.

9. L'Amministrazione Provinciale fino ad oggi non ha preso nessun impegno concreto alle numerose sollecitazioni fatte da lunga data.

10. Riconoscimento della partecipazione dei cit­tadini e delle forze sociali alla elaborazione delle decisioni e alla gestione dei servizi come previsto dallo Statuto della Regione Piemonte.

10. La parola «partecipazione» viene pronun­ciata spesso dall'Amministrazione provin­ciale di Torino, ma tutto resta lì come prima.

 

DI FRONTE ALL'URGENZA DEI PROBLEMI E ALLE GRAVISSIME CONDIZIONI CHE PROVOCANO DAN­NI SPESSO IRREPARABILI ALLE PERSONE, È URGENTE UN DIBATTITO POLITICO IN SENO AL CONSI­GLIO PROVINCIALE DI MODO CHE LE VARIE FORZE POLITICHE ASSUMANO LE LORO RESPONSABI­LITÀ. QUESTO DIBATTITO DEVE ESSERE PRECEDUTO E SEGUITO DA DIBATTITI PUBBLICI.

Chiediamo ai gruppi e alle persone interessate a lottare contro l'emarginazione sociale di prendere contatto con una delle Associazioni firmatarie

ACLI - Associazione Giuristi Democratici - Associazione Italiana Assistenza Spastici - Associazione Nazionale Fami­glie Adottive e Affidatarie - Associazione per la lotta contro le Malattie Mentali - Centro Maran-Atà - Centro Immigrati Meridionali - Centro Tutela Minorile - Comitati di Quar­tiere: Borgo Po, Cit Turin, Lingotto Ippodromo, Mercati Ge­nerali, Regio Parco, Vallette, Vanchiglia Vanchiglietta - Gruppo Giovani di Moriondo e Gruppo Abele - Scuola Onarmo (Direttore e allievi) - Scuola Sfes (Allievi del I anno) - Scuola Unsas (Allievi del III anno) - Unione Ita­liana per la Promozione dei Diritti del Minore e per la Lotta contro l'Emarginazione Sociale.

 

(1) Questo volantino è stato diffuso in Torino e provincia.

 

 

CONVEGNO DI BOLZANO SULL'EMARGINAZIONE

 

Organizzato da CGIL, CISL/SGB, UIL/ASGB, ACLI, KVW si è tenuta il 25 marzo 1972 a Bolzano una tavola rotonda sul tema «Il problema degli handicappati. L'emarginazione sociale nella Provincia di Bolzano». In occasione della tavola rotonda le Organizzazioni sindacali hanno diffu­so una documentazione sul problema di cui ripor­tiamo la presentazione e il documento della ANFFaS.

«Le Confederazioni Sindacali CGIL - CISL/SGB - UIL/ASGB ritengono loro dovere assumere una precisa posizione nei confronti di tutti i pro­blemi legati all'emarginazione dei cittadini, a qualunque categoria appartengano.

Ritengono pertanto di dover far presente alle autorità competenti ed alla pubblica opinione, il proprio parere in merito alla progettata costru­zione (nel comune di Laives) di un Istituto Me­dico-Psico-pedagogico (IMPP) per minori handi­cappati psichici.

Le Confederazioni hanno buone ragioni per ri­tenere, in base a quanto è già accaduto in altre province, che una struttura tradizionalmente concepita, per quanto ricca ed efficiente, si con­creta in forme di reclusione, e rappresenterebbe in realtà un rifiuto della società nei confronti degli handicappati, avallato da una scientificità che in sostanza respinge ogni integrazione.

Le Confederazioni pensano che una istituzione qual è quella in progetto, finisca col condizionare irreparabilmente anche la successiva opera tec­nico-riabilitativa ostacolando lo sviluppo dei ser­vizi decentrati in tutto l'ambito territoriale della Provincia, utilizzabili da tutti i cittadini (“nor­mali” e “subnormali”) in maniera cosiddetta “aperta”, unica risposta valida da parte della Giunta Provinciale e delle altre autorità compe­tenti ai problemi di socializzazione comuni a tutti. Le Confederazioni ritengono che la pro­gettata costruzione di un IMPP non può non es­sere preceduta da:

a) un'immediata ed approfondita discussio­ne dei criteri di fondo che devono ispirare tal genere di intervento pubblico;

b) dal tempestivo reperimento e formazione di personale tecnico-riabilitativo;

c) dall'opera di formazione di una profonda coscienza sociale del problema;

condizioni, tutte, che sole permettono di muo­vere quanto prima possibile verso strutture ve­ramente aperte che consentano l'utilizzazione dei normali mezzi educativi (asili, scuole, labo­ratori, istituti, semiconvitti, ecc.) assieme a tutti gli altri membri della società.

Ritengono inoltre che la Giunta Provinciale at­tualmente debba interessarsi con urgenza alla formazione di un valido servizio di diagnosi pre­ventiva e precoce a servizio di tutti i cittadini; le Confederazioni, infatti, condividono pienamen­te le riserve fatte da più parti circa l'inadegua­tezza dei servizi esistenti (vedasi Centro Medi­co-Psico-Pedagogico dell'Ente Nazionale per la Protezione Morale del Fanciullo), che rappre­sentano un mezzo di emarginazione sociale, an­che perché sono completamente sottratti a qua­lunque controllo da parte dei lavoratori.

Le Confederazioni protestano infine per non essere state consultate nell'attuale fase di pro­gettazione di un IMPP e per un approfondito esame del problema degli handicappati, consa­pevoli come sono che il problema tocca in modo particolare la classe dei lavoratori, più esposti delle persone facoltose al pericolo dell'emargi­nazione dei loro figli, attuata purtroppo con i loro stessi contributi. Le Confederazioni riba­discono in sostanza il loro rifiuto a qualunque intervento che non sia finalizzato alla piena in­tegrazione di tutti gli handicappati e invitano la pubblica amministrazione a consultare i lavora­tori su tutti i problemi che, come questo, diret­tamente li riguardano».

Documento sottoscritto dall'ANFFas

«La sezione provinciale altoatesina dell'AN­FFaS è venuta a conoscenza con profondo pia­cere della presa di posizione delle Segreterie Provinciali delle tre grandi Confederazioni Sin­dacali sul tema generale dell'assistenza agli handicappati e ad ogni categoria di emarginati nella nostra provincia. L'ANFFaS si dichiara pie­namente d'accordo sull'impostazione del proble­ma come è stata prospettata dalle Confedera­zioni, anche a proposito del costruendo IMPP, tema sul quale è quantomeno indispensabile un vasto dibattito all'interno della pubblica opinio­ne, un dibattito che abbia come protagonisti in prima persona le forze del mondo dei lavoratori.

È ormai risaputo quale sia lo stato di carenza di servizi in favore degli handicappati in Alto Adige. Una carenza contro la quale noi della ANFFaS ci scontriamo quotidianamente nello svolgimento dei compiti supplettivi ai quali sia­mo costretti per non relegare ulteriormente i nostri figli già colpiti dalla malattia.

Ma questi compiti supplettivi l'ANFFaS non ha intenzione né la capacità di continuarli a gestire nella convinzione che questi sono compiti che in base alla nostra Costituzione e alle norme di ogni civile società sono di diretta competenza degli enti pubblici.

È per noi dell'ANFFaS ormai tema ricorrente, fine di ogni nostra azione, quello di fare in modo che gli enti pubblici si assumano fino in fondo la loro responsabilità in questo settore, non dan­do troppo comodamente risposta ai nostri pro­blemi con occasionali elargizioni.

Le carenze sono soprattutto a livello di perso­nale specializzato, quasi inesistente, mentre quello che opera in provincia ci ha dato dimo­strazioni in modi non certo esenti da critiche.

Le carenze sono di strutture (scuole, labora­tori, scuole materne), le carenze sono terapeu­tiche e riabilitative.

Noi siamo della profonda convinzione che i nostri figli possano e debbano sviluppare il me­glio della loro personalità e delle loro possibilità, come è loro diritto, nell'ambito del loro am­biente naturale, nella loro famiglia con gli altri ragazzi, ampliando le loro possibilità di socializ­zazione con l'assistenza specializzata che deve intervenire dove e quando è necessario, ma non rispondendo alle necessità di sviluppo personale e sociale dei nostri figli offrendo loro solamente un isolamento a vita, l'emarginazione.

Con questi obiettivi noi genitori di ragazzi han­dicappati combattiamo riscoprendo gli stessi obiettivi nel documento sindacale, chiediamo al­le Confederazioni un impegno fattivo nella lotta contro l'emarginazione e a favore di servizi spe­cializzati e socializzati per gli handicappati».

 

 

LA MISTIFICAZIONE DEI VILLAGGI SOS

 

A Torino, il 28 marzo u.s., responsabili dell'As­sociazione nazionale amici villaggi del fanciullo d'Italia hanno tenuto una conferenza sui villaggi S.O.S.

Ai partecipanti della riunione è stato distribui­to a cura dell'Unione italiana per la promozione dei diritti del minore un ciclostilato contenente l'articolo: «I villaggi S.O.S.: ghetti di lusso», pubblicato in Prospettive assistenziali, n. 15, lu­glio-settembre 1971, pag. 48 e segg.

La distribuzione dei volantini ha costretto gli organizzatori ad entrare nei dettagli dei villaggi SOS e non limitarsi a fare, come certamente avrebbero preferito, un discorso generico.

Dalla relazione introduttiva e dal dibattito è emerso principalmente che:

- la S. Vincenzo di Torino nel 70, dall'iniziale orientamento di costruire un villaggio SOS, riconosciuto il loro carattere emarginante, ha deciso di istituire dei focolari inseriti in mo­do sparso nelle comuni case di abitazione;

- non è esatto che «i villaggi SOS assistono i fanciulli in stato di abbandono per la morte o l'abbandono dei genitori» come scritto nell'opuscolo «I Villaggi SOS: obiettivi, svilup­po, organizzazione».

Se tutti i minori ricoverati fossero nella situa­zione suddetta, essi (e più precisamente quelli di età inferiore agli otto anni) dovrebbero essere dichiarati in stato di adottabilità e affidati per l'adozione speciale, tanto più che è risultato che i villaggi SOS non accolgono bambini con han­dicaps o disadattamenti medi o gravi.

Al riguardo vi è da osservare che di fronte alla proposta fatta da un interveniente circa la ne­cessità di fornire servizi domestici al nucleo familiare d'origine affinché i bambini orfani di un genitore continuassero a vivere in famiglia, uno dei conferenzieri, responsabile di un villag­gio SOS, ha sentenziato che nel caso di decesso della madre i bambini non soffrono ad essere separati dal padre «poiché i padri oggi sono fuo­ri casa per almeno dieci ore al giorno»!

«L'educatore» suddetto dimentica fra l'altro che le ore lavorative si sono ridotte della metà circa negli ultimi 70 anni; rileviamo soprattutto la tentata svalorizzazione del ruolo paterno in contrasto con l'indirizzo della pedagogia, della psicologia e di tutte le scienze umane e sociali.

Questa svalorizzazione della figura paterna è una delle caratteristiche dei villaggi SOS, nei quali un solo uomo deve assicurare il ruolo pa­terno per 100-200 ragazzi, mentre per ogni 8-10 minori vi è «una mamma SOS»;

- la linea politica portata avanti dai villaggi SOS «più amici, più villaggi, più bambini» (come scritto in uno dei tanti opuscoli) è in netto contrasto con l'azione portata avanti dai grup­pi che lottano contro l'emarginazione sociale, linea che si può riassumere in «più amici, meno istituti, meno bambini in assistenza».

 

*  *  *

 

Di fronte alle precise contestazioni, la mani­festazione promossa a Torino dai villaggi SOS è fallita, anzi ha messo in evidenza la non rispon­denza dell'iniziativa ai bisogni personali, familia­ri e sociali dei bambini.

Analoghe iniziative devono essere intraprese nelle altre città ad evitare la diffusione in Italia dei villaggi SOS, diffusione portata avanti con notevoli mezzi pubblicitari e con un'azione di de­responsabilizzazione dell'opinione pubblica come risulta dalla frase sopra citata «più amici, più villaggi, più bambini».

 

 

COLLETTIVO INTERSINDACALE E INTERASSOCIATIVO SULL'ASSISTENZA

 

In merito alla vertenza concernente l'istituto di riposo di Torino, C.so Unione Sovietica, di cui abbiamo dato notizia nel n. 17 di Prospettive assistenziali, segnaliamo due documenti: il pri­mo dei Sindacati e il secondo della Commissione diocesana per la pastorale dell'assistenza.

Segnaliamo inoltre che è uscito il n. 1 «Noti­zie Scuola - Assistenza», bollettino dei collettivi scuola e assistenza. Chi desidera ricevere il bol­lettino deve scrivere a «Notizie Scuola e Assi­stenza», CISL, Via Barbaroux 43, 10122 Torino.

 

I

 

Lavoratrici e lavoratori dell'Istituto di c.so Unio­ne Sovietica

Anziani lavoratori ricoverati

La vertenza e la lotta nell'Istituto è giunta ad un punto delicato con possibilità di alcune prime parziali acquisizioni per il personale.

Per questo abbiamo il dovere di fare tutti as­sieme, con serenità e senso di responsabilità, un discorso molto franco onde acquisire oggi questi parziali risultati e mantenerci però aperta la possibilità di andare oltre.

 

Riassumiamo i termini della vertenza

1) Tutti assieme abbiamo sempre rivendicato un adeguamento salariale e normativo per i dipendenti. Da sempre denunciamo il bassissimo livello dei salari.

2) Assieme a questo abbiamo rivendicato una vera riforma dell'assistenza per dare agli anziani lavoratori una accettabile condizione di vita e liquidare ogni forma di emarginazione.

Nel portare avanti questa rivendicazione sia­mo convinti di servire contemporaneamente gli interessi dei lavoratori anziani e quelli del per­sonale per quel che riguarda il salario, la quali­ficazione, il trattamento normativo, un lavoro di­gnitoso e umano.

È anche per questo che abbiamo detto di no all'aumento delle rette che oltre a comportare un aggravio del 50% circa, avrebbe significato ribadire e rafforzare l'attuale situazione degli istituti di ricovero.

Su queste due questioni bisogna essere ben chiari sapendo che gli interessi dei lavoratori che lavorano nell'Istituto e gli interessi degli anziani lavoratori che nell'Istituto sono ricove­rati, non sono e non possono essere in contrasto. E ogni tentativo di dividerci e far sorgere con­trapposizioni, va oggi e andrà in futuro, energi­camente respinto.

Ora, la Giunta del Comune di Torino e l'Ammi­nistrazione dell'Istituto, dopo le lotte di questi mesi, sono disposti ad approvare il riassetto del personale.

Noi vogliamo naturalmente acquisire questo primo risultato anche se dobbiamo rilevare che le condizioni economiche e normative, anche con il riassetto, sono ben lungi dall'essere soddisfa­centi e ancora assai lontane dal trattamento de­gli altri lavoratori torinesi.

Questo va rilevato per ricordare che il risul­tato di oggi è solo un punto di partenza; la suc­cessiva azione sindacale e le possibilità di mi­gliorare ulteriormente le condizioni del perso­nale, sono intimamente legate all'azione che noi sapremo condurre per la riforma radicale dell'assistenza agli anziani.

La Giunta del Comune di Torino e l'Ammini­strazione dell'Istituto intendono collegare i mi­glioramenti per il personale all'aumento delle ret­te per i lavoratori anziani ricoverati.

Queste Organizzazioni sindacali pur continuan­do a denunciare la grave responsabilità che, per questa decisione pesa per intera sulla Giunta e sull'Amministrazione Comunale (nonché sulla Giunta Regionale che non è sufficientemente in­tervenuta) nell'incontro avvenuto con l'Assesso­re Notaristefano il 4-5-1972, hanno ottenuto che il costo dell'aumento delle rette ricada quasi completamente sul Comune e cioè:

1) per coloro che già oggi sono a carico com­pleto del Comune, l'aumento delle rette graverà sull'Amministrazione Comunale;

2) per coloro che già oggi sono a carico par­ziale del Comune, l'aumento delle rette graverà sull'Amministrazione Comunale;

3) per coloro che oggi pagano l'intera retta, il Comune si è impegnato ad assumere a suo cari­co l'aumento, salvo casi eccezionali di reddito elevato.

I criteri con cui identificare detti casi eccezio­nali, dovranno essere definiti di comune accordo con le Organizzazioni sindacali di categoria e unionali.

Si è inoltre convenuto di aggiornare l'incontro di circa 20 giorni per esaminare le modalità di formazione e l'ambito di competenza di una Com­missione di controllo per l'istituto di Corso Unio­ne Sovietica, formata da rappresentanti dei pa­renti, ricoverati e Organizzazioni sindacali.

Il personale dell'Istituto, pertanto, nell'acqui­sire il riassetto che gli è dovuto da tanto tempo, fa ben presente che pur non rinunciando ai risul­tati acquisiti, non si ritiene con questo soddi­sfatto e afferma di voler continuare, in unione con gli altri lavoratori, la battaglia per un servi­zio agli anziani efficiente e non emarginante e contro i ricatti padronali (vengano essi da pub­blici amministratori o da padroni privati).

Lavoratrici, lavoratori

di fronte alle tendenziose voci che si fanno cir­colare, dobbiamo ancora ricordare che la nostra posizione è sempre stata chiaramente argomen­tata. Infatti, le Organizzazioni sindacali hanno proposto e propongono precise alternative per reperire i fondi necessari:

- revisione della convenzione con l'INAM (1);

- valutazione delle possibilità di utilizzo in ter­mini più redditizi del patrimonio dell'Istituto (20 miliardi) ;

- istituzione di un fondo provvisorio comunale per sopperire alle necessità dell'Istituto in at­tesa di un suo progressivo svuotamento con servizi alternativi decentrati (cosa che tra l'altro il Comune si è da tempo impegnato ad attuare senza però procedere con coerenza a darsi gli strumenti necessari; l'esperienza formalmente iniziata a Vanchiglia-Vanchigliet­ta ne è esempio).

Queste Organizzazioni sindacali hanno inoltre richiesto l'istituzione di corsi di qualificazione gestiti dall'Ente pubblico per il personale per renderlo idoneo ad un servizio efficiente e moder­no e l'istituzione di una Commissione di con­trollo (composta di ricoverati, parenti, Organiz­zazioni sindacali) per esaminare, in via perma­nente e a fondo, il bilancio e i problemi dell'Isti­tuto affinché i nodi reali vengano al pettine e per preparare la graduale sostituzione dell'attuale istituto con servizi alternativi non emarginanti (piccoli pensionati di 15-20 anziani nelle comu­ni case di abitazione, ecc.).

Ancora una volta, nel rispondere a queste ri­chieste, i nostri Amministratori hanno mostrato di confondere quello che è un servizio sociale pubblico a cui i lavoratori hanno diritto con l'as­sistenza vista come beneficenza, cioè elemosina per i bisognosi.

Accettare le proposte di queste Organizzazioni sindacali significa rendere vere le promesse più volte fatte dall'Amministrazione Comunale di do­tare la nostra città di una adeguata rete di ser­vizi sociali che non devono evidentemente essere a carico principalmente di chi li utilizza (normal­mente i lavoratori più disagiati), ma di coloro che i soldi li hanno (e che per questo all'Istituto di Corso Unione Sovietica difficilmente finisco­no) e che vanno però ugualmente fatti pagare at­traverso un equo sistema di tassazione e di con­tribuzioni industriali che colpisca chi di dovere.

Voler infatti far quadrare il bilancio di un ser­vizio sociale tenendo solo in conto le sue en­trate e le sue uscite è assurdo, perché allora, non più di servizio si tratta, ma di industria privata e al massimo di cooperativa (che chiude i suoi bilanci in pareggio); è nell'ambito dell'intero bi­lancio comunale che va affrontato il problema dei finanziamenti dei «servizi sociali» ed è per que­sto che l'accettazione da parte della Giunta Co­munale di un aumento delle rette (che graveran­no poi per la maggior parte sul bilancio comu­nale) è tanto più grave in quanto significa con­solidare una istituzione ormai superata e contro­producente. Mentre un intervento legato nella sua durata alla ristrutturazione del servizio per rispondere alle esigenze del personale ed ai mi­glioramenti immediati necessari nell'Istituto, ve­nendo a costare in prospettiva molto meno, per­metterebbe e impegnerebbe ad utilizzare fondi in servizi rispondenti ai nuovi criteri già enunciati ed a un utilizzo quindi in modo più qualificato ed efficiente del personale stesso con gli ovvii van­taggi per la collettività che questo comporta.

 

Torino, 8 maggio 1972.

SEGRETERIE PROVINCIALI C.G.I.L. - C.LS.L. - U.LL.

COMITATO SINDACALE UNITARIO DELL'ISTITUTO DI RIPOSO

 

II

 

Commissione diocesana per la Pastorale dell'as­sistenza

Lettera inviata a: Edoardo Calleri di Sala, Presidente della Regione Piemonte; Anna Maria Vietti, Assessore all'Assistenza Regione Piemonte; Giovanni Porcellana, Sin­daco del Comune di Torino; Dante Notaristefano, Asses­sore all'Assistenza Comune di Torino; Capi Gruppo dei Consigli Regionale e Comunale DC, PCI, PLI, PRI, PSDI, PSI, PSIUS e p.c. al Presidente Istituto di Riposo, corso Unione Sovietica e Madre Provinciale delle Suore della Carità di S. Vincenzo de Paoli.

 

La Commissione Diocesana per la pastorale dell'assistenza, riunita in assemblea straordina­ria per una giornata di riflessione e di studio, ha esaminato, fra gli altri, il problema dell'Istituto di riposo di Corso Unione Sovietica.

L'insieme delle notizie ormai di pubblica ra­gione, confermate da quelle fornite da alcune religiose e dal cappellano che operano nell'Isti­tuto, fanno ritenere molto grave il problema e as­solutamente indilazionabile una soluzione artico­lata, comprensiva degli aspetti salariali, normati­vi e strutturali.

Questi ultimi mettono in discussione la stessa esistenza dell'Istituto nella formula attuale, non più rispondente alle esigenze di una moderna so­cietà democratica e agli orientamenti specifici del settore assistenziale che prevedono interven­ti non emarginanti e rispettosi della dignità e dei diritti della persona umana.

Mentre la Commissione Diocesana afferma il suo impegno a perseguire queste linee politiche per il problema globale dell'assistenza istituzio­nalizzata, ritiene che, per quanto concerne l'isti­tuto di riposo, debbano anche essere rivisti il ruolo e la posizione delle religiose, che nelle con­tingenze attuali non pare possano continuare a gestire in modo acritico attività convenzionate oltre un secolo fa con l'Opera, pur dovendo per il momento prestare il loro servizio a favore degli assistiti.

Muovendo in tale direzione la Commissione diocesana, attraverso alcuni suoi membri, ha incontrato le responsabili della Congregazione ed ha proposto di rivedere il significato del proprio impegno e di trarne le necessarie conseguenze nel quadro di una radicale revisione dell'assisten­za agli anziani.

La Commissione è disponibile a collaborare per la migliore soluzione dell'annoso problema con gli enti pubblici interessati.

Distinti saluti.

 

Torino, 14 aprile 1972.

DON LUCIANO ALLAIS

 

(1) Nota della redazione: L'INAM ha stipulato una convenzione con l'istituto in base alla quale versa per ciascun assicurato la misera somma di L. 30.000 annue per l'assistenza sanitaria. Ne deriva che, essendo la spesa di gran lunga superiore, nella retta confluisce anche la differenza fra le spese sanitarie sostenute dall'istituto e le 30.000 lire versate dall'INAM.

 

 

 

RICORSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE DELLA REGIONE PUGLIA

 

Con deliberazione del 23-2-1972, la Giunta del­la Regione Puglia ha deciso di proporre ricorso alla Corte Costituzionale contro il D.P.R. 15-2­1971 n. 9 concernente il trasferimento alle Re­gioni a statuto ordinario delle funzioni ammini­strative statali in materia di «beneficenza pub­blica».

La Giunta della Regione Puglia ha inoltre de­ciso in pari data di «proporre al Consiglio regio­nale che, con un ordine del giorno dell'Assemblea, la Regione Puglia svolga ogni azione nelle sedi competenti per affiancare e sostenere l'ini­ziativa delle Regioni diretta a fare dichiarare dal­la Corte Costituzionale l'illegittimità del D.P.R. 14-1-1972, n. 4, concernente il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni ammi­nistrative statali in materia di assistenza sani­taria».

Come avevamo scritto nell'editoriale del n. 17 di Prospettive assistenziali, le Regioni Emilia-Ro­magna e Lombardia hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale in merito al D.P.R. sulla be­neficenza pubblica; la Liguria ha a sua volta chie­sto l'illegittimità costituzionale del D.P.R. sulla assistenza sanitaria.

Perché le altre Regioni non appoggiano i sud­detti ricorsi? Ritengono forse costituzionali i de­creti di trasferimento alle Regioni delle compe­tenze in materia di beneficenza pubblica e di assistenza sanitaria?

 

 

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