Prospettive assistenziali, n. 18,
aprile-giugno 1972
DOCUMENTI
PROVINCIA DI MODENA
PER
Gli interessi nei confronti
dell'I.P.I. inteso come struttura educativa e
assistenziale sono di una duplice natura: scientifica e politica. Questa ed
analoghe istituzioni sono sorte e sono state amministrate dalle
Amministrazioni Locali con profusione di mezzi economici e tecnici nell'intento storicamente comprensibile, di costituire una
valida alternativa alle molte deficienti «soluzioni» di enti privati e religiosi.
La loro storia però è da alcuni anni
la storia di una crisi e di un travaglio, i quali, oltre ad esemplificare le
contraddizioni del sistema assistenziale in atto nel Paese, hanno stimolato la
consapevolezza di esigenze trascurate, il bisogno di
tracciare nuove vie di intervento metodologico e politico, in accordo con le
acquisizioni delle discipline psico-pedagogiche e con
le trasformazioni che vengono avanti nel Paese: la realtà delle Regioni e la
riforma sanitaria ed assistenziale.
La crisi dell'I.P.I. e delle
analoghe istituzioni è brevemente sintetizzabile, in
base ai due criteri scientifico e politico:
- da un lato è la crisi, denunciata
dagli specialisti, del sostituto globale della
famiglia, di una struttura artificiosa che crea troppo
frequentemente personalità anomale e in ogni caso «diverse» da quelle prodotte
normalmente dal contesto educativo, familiare e sociale, comune allo sviluppo
della maggioranza dei membri della nostra società;
- dall'altro è la crisi dei
meccanismi di emarginazione e di esclusione,
denunciati a tutti i livelli, nella fabbrica, nella scuola, nell'ospedale
(soprattutto psichiatrico), che in nome della produzione e del profitto
privilegiano i dotati e i sani rispetto ai malati, ai vecchi, agli
handicappati fisici e sociali (illegittimi, orfani, ecc.).
Qual è dunque il significato attuale
di una struttura come quella dell'I.P.I. nella nostra Provincia? Quali sono le
sue caratteristiche e funzioni? È possibile elaborare modelli alternativi di intervento sui minori da assistere?
A questi interrogativi si è iniziato
a dare una risposta operativa durante lo scorso anno. L'I.P.I. alla fine del
1970 era ancora un Istituto che ospitava circa 65 minori ed era inoltre caratterizzato
da una certa stabilità delle presenze (la dimissione e l'inserimento in
famiglia erano contemplati con scarso interesse); oggi esso è una struttura
che ospita in media una ventina di minori, di cui
solo la metà sono illegittimi, i quali vi sostano transitoriamente in vista di
una sistemazione di tipo familiare.
Alle prime due domande, dunque, si
risponde sostenendo che l'I.P.I. non è più assunto rigidamente
a «soluzione» dei casi bisognosi di assistenza: il ricovero in Istituto, anche
nell'Istituto più «moderno» e razionale, rappresenta una pseudo-soluzione,
che risolve i problemi degli operatori sociali e degli amministratori piuttosto
che la problematica del minore. L'Amministrazione Provinciale abbisogna allo
stato attuale di strumenti di intervento più
flessibili, che tengano conto, non solo a parole, del diritto dei minori ad
una famiglia naturale o adottiva.
L'istituto, per definizione, in
quanto si offre come alternativa globale alla
famiglia, non può essere uno di questi strumenti.
L'I.P.I. sta vivendo perciò una
crisi che dovrebbe a breve termine condurre al suo
superamento, poiché esso ha di fatto esaurito le sue funzioni, essendo ormai
possibili diverse forme d'assistenza.
Si può persino sostenere che l'I.P.I., con la sua stessa
esistenza quale struttura assistenziale, inficia un serio tentativo di
prevenzione dell'abbandono e dell'emarginazione favorendo questi ultimi.
Un orientamento assistenziale,
che intenda occuparsi di una corretta formazione dei minori assistiti,
contrasta con una concentrazione dell'impegno nell'ambito dell'Istituto
(realizzazione di un «buon» internato), necessita invece di una notevole
differenziazione dell'intervento ed implica di fatto il coinvolgimento di
altri operatori, di altre strutture e istituzioni per agire sulla famiglia, sulla
scuola, sul quartiere, in definitiva sul tessuto sociale in cui normalmente un
bambino si sviluppa.
È a questo proposito che il discorso
dell'inserimento sociale dei minori, operato in primo luogo
attraverso l'unità familiare, ma poi sostenuto attraverso diversi e molteplici
interventi, ha bisogno per uno sviluppo adeguato di collocarsi in una
dimensione comprensoriale.
Evitare lo sradicamento del minore
dall'ambiente d'origine, aiutare le famiglie a mantenervelo o ad inserirvelo
(se si tratta di famiglie adottive o affidatarie), significa decentrare il lavoro d'analisi e di aiuto tecnico a livello delle
nascenti unità sanitarie-assistenziali.
Se il minore per un normale sviluppo
psicologico abbisogna di inserimento o mantenimento
in un preciso contesto ambientale e se in esso la famiglia e lui stesso
incontrano difficoltà di tipo familiare, lavorativo o scolastico, è ancora in
esso che debbono trovare le strutture consultoriali
e gli specialisti a cui rivolgersi.
L'ambiente di lavoro di chi opera
nel settore assistenziale deve coincidere il più
frequentemente possibile con l'ambiente dell'assistito, poiché la distanza
fisica non favorisce certamente né una adeguata conoscenza del campo di
intervento, né i rapporti tra operatori e assistiti.
Il decentramento non è una delega, è la conseguenza della volontà di attuare una
politica assistenziale sempre più efficace e democratica.
Un contributo fondamentale alla
creazione di alternative all'istituzionalizzazione può
essere già offerto attraverso i seguenti tipi di intervento, che tengono conto
di settori ora vasti ora ristretti della collettività:
- sensibilizzazione dell'opinione
pubblica attraverso pubblicazioni, incontri, dibattiti, promossi
dall'Amministrazione;
- conoscenza del campo di intervento, a livello del territorio Provinciale,
attraverso incontri con Amministratori e operatori, che prestano la loro
attività presso Servizi Sociali ed Istituzioni Comunali, dispensariali
ecc., nel settore specifico dell'infanzia al fine di promuovere un'attività
unitaria e coerente, comune a tutti i servizi del territorio Provinciale, sia a
quelli gestiti direttamente dalla Provincia sia a quelli gestiti dai Comuni. Si
tratta di programmare un piano organico di intervento
sociale e di svolgere una attività di promozione, di stimolo e di
coordinamento delle iniziative a carattere locale;
- istituzione di équipes medico-psico-pedagogiche
operanti a livello comprensoriale, quali quelle già istituite a Mirandola e
Sassuolo;
- adeguata utilizzazione, tanto a
livello sanitario quanto a livello educativo di strutture consultoriali,
quali quelle attualmente gestite dall'O.N.M.I., che devono trasformarsi in strumenti di
intervento degli Enti Locali, per attuare un'efficace assistenza a domicilio;
- potenziamento del servizio
adozioni, cui spetta il compito di esaminare la idoneità
delle coppie aspiranti, di prepararle ai compiti educativi e di seguirle
durante l'anno di affidamento preadottivo, dietro
specifica delega del Tribunale dei minorenni. Lo scorso anno già si è avuto un
incremento notevole dell'attività: sono stati
realizzati e seguiti 12 affidamenti preadottivi di
minori prima ospitati in I.P.I. e sono stati assistiti altrettanti abbinamenti
di coniugi della provincia con minori di provenienza diversa. Sono poi una
trentina le coppie aspiranti che sono state esaminate
e preparate ai compiti educativi;
- istituzione del Servizio
Affidamenti Familiari per minori non adottabili, le cui famiglie chiedono di
essere sollevate temporaneamente dalla cura morale e materiale dei figli,
trovandosi oggettivamente impossibilitate ad accudirvi per periodi di
maggiore o minore durata. Gli affidamenti familiari sono previsti dalla
stessa legge sull'adozione speciale con lo specifico intento di creare una alternativa ai danni dell'istituzionalizzazione.
L'attività riguardante la selezione e la preparazione
delle famiglie affidatarie sarebbe così svolta dalla stessa équipe
operante nel servizio adozioni;
- istituzione di
una sezione notturna straordinaria presso un asilo nido di quartiere, dove
ospitare a pieno tempo, per brevi periodi, i minori la cui situazione deve
essere segnalata al T.M. o diversamente risolta. L'esiguo numero dei minori e la
durata del loro soggiorno non rende più necessaria l'esistenza di un vero e
proprio Istituto, ma rivela che è sufficiente una più limitata sede di accoglimento.
(Nota della
Redazione). Riteniamo che l'istituzione di focolari, inseriti in alloggi
sparsi delle comuni case di abitazione, sia
preferibile alla «istituzione di una sezione notturna straordinaria presso un
asilo nido».
(1) Riportiamo la
prima parte della relazione «L'I.P.I. e il cammino verso forme di assistenza sociale differenziate». La seconda parte
riporta varie casistiche.
www.fondazionepromozionesociale.it