Prospettive assistenziali, n. 18, aprile-giugno 1972

 

 

SPECCHIO NERO

 

 

IL PROBLEMA DELLA CASA VISTO DA UN LIBRO DI TESTO DELLA SCUOLA DELL'OBBLIGO (barriere architettoniche per Gesù)

 

Un anno fa la notte di Natale, un fanciullo sognava un dono di Gesù Bambino che lo venisse ad allietare. Un regalo! Il male era che, essendo sua madre una povera donna, nella stanzuccia che li ricoverava non c'era nemmeno il camino con la cappa. Da dove sarebbe allora entrato Gesù?

(Testo da KIEREK-DURANTI, Nuove letture per un anno, Ed. Gar­zanti. Riportato da un indagine sui libri di testo della scuola dell'obbligo a cura dell'Ente Regione Lombarda).

 

TUTELA DEI LAVORATORI (e difesa dei minori)

... ai minorenni e alle donne sono vietati il lavoro notturno quello in miniera e qualunque lavoro, faticoso, pericoloso ed insalubre. È vietato assumere fanciulli di età inferiore ai quindici anni, e per tutela della salute morale è proibito adibire i minori a lavori nelle sale cinematografiche...

(Testo da SANTANASTASO, Itinerari Storici. Editore Atlas. Dalla stessa indagine).

 

Nelle sale cinematografiche no, ma in istituto

«A volte penso al mio ex Istituto e ai 40 ragazzi che esso ospitava.

Gli assistenti erano delle guardie del corpo, sempre alle nostre co­stole: dove noi si andava, là essi venivano.

Quando chiedevo perché non ci lasciavano in pace, mi rispondevano che era il direttore a dir loro di tenerci d'occhio, se, poi, gli domandavo se erano contenti del loro mestiere, dicevano che anch'essi dovevano gua­dagnarsi il pane.

E intanto ci picchiavano con schiaffi, calci e botte in testa, a rischio di farci diventare scemi.

Il direttore usava addirittura la frusta o, meglio, i fili del telefono o della luce.

Il direttore era un prete, sempre dietro la sua scrivania, lontano dai ragazzi. Lo vedevamo solo alle ore 16, alla cerimonia delle pietre.

Il lunedì ci faceva prendere delle pietre a nord e ci diceva di portarle a sud, il martedì le pietre dal sud tornavano al nord; e così avanti e in­dietro, per tutti gli altri giorni, fino alle 18, tranne la domenica che lui diceva bisognava dedicare al Signore.

Cosa potevamo imparare in quell'Istituto? Ve lo spiego io: finire in un manicomio o passare tutta la nostra vita a portare pietre da nord a sud e da sud a nord».

(da METANOLA, n. 72-73, 10 aprile 72, pag. 151).

 

STREGHE E SANTI (ancora sul caso di Diletta Pagliuca)

In Note piemontesi, gennaio-febbraio 1972, nel suo articolo «Streghe e Santi», Beppe del Colle, vuole farci credere che nel caso dei Celestini di Prato e di Diletta Pagliuca ci troviamo davanti ad «episodi isolati, di fronte ai quali ci sono montagne di bontà, di disinteresse, di bene operato nei confronti dei più deboli». E noi lo crediamo: si tratta di santi e la Pagliuca è una strega: ma poiché proprio da certi processi abbiamo appre­so che in due o tre anni, ospitando una trentina di handicappati gravi, si possono accumulare un centinaio di milioni con le rette versate dalla Pro­vincia e con la beneficenza, siamo ben disposti a credere come egli dice che «chi si dedica a certe opere non lo fa per sentirsi dire grazie». Poiché sappiamo che chi non ha provveduto a dar cibo e cure adeguate ai propri assistiti, li ha terrorizzati e maltrattati, li ha privati di interventi educativi è stato giudicato colpevole al più «di maltrattamento semplice meritevole delle attenuanti generiche», non siamo come lui così sicuri che «se qual­cuno ha sbagliato è giusto che paghi». Infine poiché sappiamo che per or­dinare la chiusura dell'istituto di S. Rita le autorità competenti ci misero 18 anni, non «consentiamo» a Beppe del Colle «di esprimere l'amarezza di chi ha assistito a uno sfruttamento intenso ed ingiustificato dell'epi­sodio». In quanto a «scoraggiare dal fare del bene» sì lo scoraggiamo contrapponendo una nuova concezione dell'assistenza, di fronte a cui il cittadino sia messo dalla società in grado di esercitare un proprio diritto e non di essere il beneficato.

 

IL CAPO FAMIGLIA (ovvero la storia di una ragazza meridionale nell'ideo­logia benpensante)

«All'anagrafe fra le mille e mille schede risulta anche una famiglia di quattro persone

C.F. . . . una madre - Figli . . . tre bimbi.

Così incomincia una «storia vera» nel numero 5 di Parola d'oggi, trimestrale della Piccola Opera per la salvezza del fanciullo.

C.F. la madre «una donna che non vogliamo nemmeno tentare di giu­dicare» ha tre figli da padri diversi e viene poi abbandonata.

«Una donna che non rinuncia ad esser madre perché ama i suoi figli... in una vigilia di Natale, disperata perché nessuno glieli voleva assistere (lei deve lavorare) li consegna alla Pubblica Sicurezza e ora sono con noi (leggi istituto) ... e lei li segue, li visita e i bimbi amano la loro mamma... la mamma che rimane per i bimbi come per l'anagrafe il Capo Famiglia». Un racconto significativo per la sua contraddizione di fondo. Il pru­dente e un po' ipocrita moralismo in quel «non vogliamo neppure giudi­care», la concessione al patetico e al dolciastro «Partì sola in cerca di un lavoro e trovò in Lombardia (!!) pane e marito... qualche mese felice poi di nuovo l'abbandono... la stazione... e la valigia». Nessuno spunto neppur vago di analisi sociale sulla situazione della donna e dei figli, ma solo l'ipocrita conclusione dei figli, che amano la loro madre, abban­donati in istituto e la loro madre che può continuare a vivere sola, contenta e rassegnata: sarà sempre Capo Famiglia (almeno per l'anagrafe).

 

INFORMAZIONE «MAL COPIATA» (1)

Siamo grati a Cittamica che «concepisca» in concorso ed in armonia con altri (con noi?) l'assistenza come strumento per la realizzazione dello stato sociale e che si preoccupi di «promuovere incontri studi e ricerche per indirizzare il legislatore su un terreno concreto» ma quando nel nu­mero di gennaio 1972 parla della relazione dell'Assessore all'Assistenza della Regione Piemonte non dovrebbe confondere associazioni di assisten­za con istituzioni di assistenza. Questo errore che viene ripetuto molte volte è un lapsus non certo di tipografia, ma indice per lo meno di confu­sione in chi scrive. Si tratta infatti del documento governativo che tratta del problema delle competenze regionali nei riguardi dell'assistenza pri­vata e ne viene snaturata l'informazione e quindi la critica se si parla di associazioni là dove il problema è di istituzioni.

 

 

(1) da CITTAMICA, Anno II, n. 1, «La Regione potrà decidere la estinzione delle associazioni di assistenza?».

 

 

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