Prospettive
assistenziali, n. 19, luglio-settembre 1972
LIBRI
ESPRIT, Pourquoi le travail social?, numero speciale
4-5, aprile-maggio 1972, Parigi.
Il tema unico del numero 4-5 di aprile 1972, riguarda il perché del lavoro sociale: «il
lavoro sociale, il suo scopo, le sue implicazioni, il suo avvenire, il tipo di
società che esso presuppone, il modello che siamo costretti ad immaginare per
sfuggire alla normalizzazione che si nasconde dietro l'imperialismo della
società nascente...».
Per meglio affrontare questa ricerca
la rivista aveva diffuso un questionario-inchiesta nell'aprile
1971, diviso in tre parti, la prima parte concerneva il lavoro sociale
propriamente detto, la seconda parte il lavoro sociale e la politica, la terza
parte il lavoro sociale e la società. Dalle duecento risposte pervenute, il
gruppo di lavoro, raccolto intorno alla rivista, ha cercato una
immagine degli operatori sociali attraverso le informazioni da loro
stessi fornite. Ne è risultato un quadro interessante
con una casistica molto maggiore che riguarda la prima parte: quella del lavoro
sociale. Qui peraltro il lavoro sociale viene
descritto ne41a sua realtà, ma più in termini rivendicativi (rivendicazioni di
competenze, di un migliore stato giuridico, di maggior potere) che in termini
di analisi. Poco successo ha invece avuto la seconda parte: il lavoro sociale e
la politica, dove le risposte sono state più fluide
mettendo in luce una assenza di chiarezza politica: un piccolo numero di
operatori sociali ha addirittura rifiutato la dimensione
politica, mentre la maggioranza ha affermato sì l'importanza politica del
proprio lavoro ma più come una risposta ad una domanda di aiuto nel bisogno ed
a una denuncia delle cause, che ad una propria scelta.
Una ancor più grave ignoranza del
meccanismo sociale viene constatata dai redattori
nelle risposte alla terza parte, che viene addirittura trascurata dagli
operatori sociali e considerata la meno interessante, forse per la loro stessa
formazione, incapaci di situarsi in un contesto sociopolitico e portati a
disinteressarsi di conflitti siano essi di classi o di gruppi. «Ne esce così, conclude l'introduzione, un'immagine
deludente dell'operatore sociale, al quale rivolgiamo un appello alla presa di
coscienza e all'azione». In questa ottica vengono
pubblicati sempre in questo numero alcuni interessanti saggi con proposte,
indicazioni e riferimenti per un nuovo modo di praticare il lavoro sociale.
Mentre, in un dibattito, sotto forma di tavola rotonda, si fa
strada il timore che educatori ed assistenti sociali diventino i nuovi
sorveglianti e custodi degli assistiti: «... questi educatori e questi
assistenti sociali non solamente non saranno produttori di socialità come
ufficialmente si fa credere, ma rinforzeranno l'atomizzazione e la
disgregazione del tessuto sociale e questo mi parrebbe catastrofico
indipendentemente dal ruolo del controllo sociale che essi possano avere
attraverso la trasmissione di una nuova legge» (Philippe
Mayer); «Una pratica selettiva, emarginante, segregante,
sul fondo del quale voi vedete costruire delle pratiche e dei discorsi
giuridici, psicologici...»; «... nella massa del popolo si crea una frattura
tra il proletariato e la massa non proletarizzata e io credo
che le istituzioni come la polizia, la giustizia, il sistema carcerario siano
dei mezzi utilizzati per ingrandire questa frattura di cui il capitalisi-no ha bisogno». (Michel
Foucault)
GINIA PERONI, Oltre la
pedagogia,
Un diario intimo apre la porta di
una famiglia «bene» italiana, ricca di mezzi economici, affettivi e sociali.
Una coppia
armoniosa con saldi principi religiosi, turbata soltanto dalla nascita di una
figlia mongoloide: Rita.
È un turbamento che si risolve in una attenzione pedagogica individualizzata da parte della
madre, tesa a favorire in ogni modo la crescita e lo sviluppo della bambina in
ogni sua potenziale capacità comportamentale. È ammirevole la costanza, la
pazienza con cui questa madre cerca di rompere la solitudine della bambina con
continue e accorte stimolazioni. L'arrivo di altri
figli non distoglie questa attenzione peculiare nei confronti di questa figlia
«diversa» che crescendo pone via via problemi non più
solo di natura medica e comportamentale, ma ben più difficili di
socializzazione.
La famiglia si rende conto delle
difficoltà di un inserimento a scuola della bambina
mongoloide. Avviene l'inserimento all'asilo per benevolenza di una suora, ma
non a scuola dove l'ingresso di una «handicappata» non è neanche pensabile. Si
provvede quindi ad un insegnamento a domicilio con maestre specializzate.
La limitatezza di questa
esperienza appare però subito evidente alla famiglia che decide, suo
malgrado, di affidare la bambina ad un istituto medico-psico-pedagogico
per consentirle un'esperienza di vita socializzante a contatto con altri che
non sia soltanto la sua famiglia. In seguito l'istituto è sembrato all'Autrice
lo strumento più idoneo e quindi il solo modello per il recupero degli
handicappati.
Alla fine del diario troviamo Rita,
ormai adulta, dedita nella sua casa ai lavori domestici che sbriga con
diligente disinvoltura.
E qui la vicenda si chiude. Sorgono
alcune riflessioni:
- il problema degli handicappati non
tocca solo una famiglia ma riguarda ciascuno di noi,
tutta la società. Questo problema infatti possono
capirlo e lo devono anche coloro che non hanno in casa un handicappato. Il più
delle volte i familiari vivono la vicenda in modo
emotivo e questo non basta per risolvere il problema dell'handicappato che
deve essere considerato nell'insieme dei problemi generali di una società.
La partecipazione al dolore che
colpisce una famiglia dimostrandole solo una solidarietà «emotiva epidermica»
che sfocia qualche volta nel consiglio di accettare con rassegnazione «la croce»
per la propria crescita (o gratificazione?) spirituale e morale non serve. È
necessario invece una presa di coscienza concreta, globale
di questo grosso problema che chiama in causa la responsabilità di una società
che non sa rispondere ai bisogni di una minoranza e lascia che ci si arrangi
in soluzioni individuali, anche se illuminate, ma non affatto risolutive per l'handicappato.
L'istituto, anche il migliore, a parte l'ideale e la buona fede che possono avere ispirato il fondatore, è sostanzialmente uno strumento
che la società si è creato per accantonare e non vedere i propri problemi ed i
propri limiti perché incapaci di risolverli o perché è più comodo o più
redditizio dargli quella soluzione.
È un discorso che va fatto
chiaramente: gli handicappati hanno come tutti i cittadini uguali diritti, lo
dice la nostra Costituzione, e pertanto a loro spetta l'inserimento nella
scuola frequentata da tutti integrata da insegnanti
specializzati, da equipes psicopedagogiche
con mezzi idonei, con strumenti adeguati inseriti nel complesso scolastico
aperto a tutta la comunità.
L'handicappato si socializza stando a contatto con i normali, consentendogli l'addestramento
professionale con altri, assicurandogli a suo tempo un lavoro a sua misura con
gli altri.
Solo così non lo troveremo adulto
abbandonato in istituti o ospedali psichiatrici se
povero; o ugualmente emarginato, anche se affettivamente protetto, come nel
caso di Rita perché di famiglia ricca e felice.
Il parziale recupero di Rita è stato
frutto di sforzi familiari ed è servito anche come gratificazione alle persone
che le sono state d'attorno. Non sembra però che possa essere portato come
esempio da seguire perché la maggioranza delle famiglie che hanno
in casa un handicappato non ha la situazione privilegiata della famiglia di Rita,
ma vive tra faticose difficoltà economiche ed emotive; non può servire neanche
alle famiglie ricche perché non tutti trovano nella fede il punto di
riferimento per la sublimazione dei propri dolori.
Si aiuta l'handicappato nella misura
in cui la società con le famiglie interessate si fa carico collettivo del
problema e non lo vede solo a livello familiare, e si
promuove un'azione politica di impegno per la creazione di strutture non
emarginanti e si lavora affinché questi «diversi» restino nell'ambito del
contesto sociale con la possibilità di usufruire dei servizi comuni arricchiti
di personale e mezzi che aiutano l'handicappato a muoversi con disinvoltura in
mezzo agli altri.
COMITATI
REGIONALI PIEMONTE CGIL, CISL, UIL
Esperienze
di lavoro e di lotta sui problemi dell'assistenza
(Torino, settembre 1971 - maggio 1972)
Nel volume edito dalla SEI «Dall'assistenza
emarginante ai servizi sociali aperti a tutti» venivano
pubblicati gli Atti del Convegno svoltosi a Torino il 3-7-1971 promosso da
CGIL, CISL, UIL, ACLI, Comitati di Quartiere, Unione per la promozione dei
diritti del minore, Associazione lotta contro le malattie mentali.
Da quel Convegno ad oggi le
organizzazioni, che avevano concordato su quella impostazione
politica, hanno realizzato alcune prime esperienze di lavoro e di lotta, che
riteniamo utile segnalare e sulle quali vi è peraltro una richiesta di una
informazione più organica.
Per questa ragione si è ritenuto
utile raccogliere una parte del materiale che è stato prodotto e metterlo con
questo secondo volume a disposizione di tutte le
organizzazioni e dei singoli interessati. Il materiale comprende documenti,
studi, testi di dibattiti oltre che altro materiale informativo. Non si sono
aggiunti commenti, se non brevi note esplicative, dal momento
che il materiale si commenta da sé.
Poiché con questa informazione
ci si propone di fornire strumenti di documentazione e di lavoro oltreché di ricerca, vengono pubblicati, assieme ad atti
ufficiali formalmente compiuti, anche contributi sui quali è aperto tutt'ora il dibattito quali ad esempio stralci della
discussione generale sull'assistenza svoltasi all'Unione Culturale e gli «Appunti
sul problema degli asili nido».
Il materiale è raccolto in tre
capitoli: una parte generale sull'assistenza; una
parte dedicata ai problemi degli anziani ed una terza dedicata ai problemi dei
minori, rispecchiando ognuno di questi capitoli le concrete e quindi limitate
esperienze fatte ben lungi dalla pretesa di una trattazione completa.
La pubblicazione è utile a tutti coloro che si occupano di assistenza e, in particolare, a
quelli che intendono avere elementi reali per una Lotta concreta contro
l'emarginazione.
La
pubblicazione è in vendita a L. 500 presso l'Unione
italiana per la promozione dei diritti del minore - c.c.p. n. 2/44604
intestato a Emilio Germano, Via Artisti 34, Torino.
www.fondazionepromozionesociale.it