Prospettive
assistenziali, n. 19, luglio-settembre 1972
NOTIZIARIO DELL'ASSOCIAZIONE
NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE
RELAZIONE DELL'AFFIDAMENTO DELLA BAMBINA S.I. ALLA FAMIGLIA SIMONATO
Quattro anni fa ci presentammo all'I.P.A.M.I. della nostra
città, per avere in adozione un bambino. Avevamo deciso di adottare
perché in casa nostra e nel nostro cuore c'era posto
per altri figli oltre la nostra bambina di 4 anni. Ci fecero fare regolare
domanda, dicendoci però subito che le richieste di adozione
erano maggiori dei bambini disponibili. Ci dissero pure che, dal momento che noi una figlia l'avevamo e così pure la possibilità
di averne altri, era bene soddisfare prima le richieste dei coniugi senza
prole. L'assistente sociale, quasi per caso, ci parlò di una bambina di 6 anni,
figlia di una giovane nubile, operaia, proveniente da un piccolo paese delle
montagne bergamasche. La bimba era stata cresciuta
con amore dai nonni materni con i quali la madre viveva. Nel giro di alcuni mesi i nonni erano morti e, dietro richiesta
della madre nonché l'interessamento del parroco e sindaco del paese, l'IPAMI
cercava ora un collegio per la bambina.
L'assistente sociale rifuggiva da
questa soluzione e cercava di collocare la bambina presso i numerosi parenti,
operava pure per riuscire a far coincidere gli orari di lavoro della madre con
quelli di scuola della bambina, sperando così che la stessa potesse
continuare a vivere in casa sua.
La madre non era
però (questo è il nostro convincimento formatosi dopo un po' di tempo)
matura in quel momento per assumersi il compito di
allevare sua figlia. Pur volendole un gran bene era
insofferente alle continue malattie della piccola, non sapeva amministrarsi
finanziariamente ed a questo riguardo un ridicolo aiuto le era stato offerto
dall'IPAMI con la scusa che, lavorando, aveva già uno stipendio.
I parenti non potevano o non
volevano prendersi in casa la bimba. L'assistente sociale
chiese a noi di prendere la bambina in affidamento.
Il discorso era per noi molto nuovo,
chiedemmo se ci fossero altri casi simili, chiedemmo di spiegarci bene quali fossero i nostri compiti e se l'IPAMI pensava che il vivere
con noi potesse fare del bene alla bambina e non creare conflitti o gelosie
nella madre.
Purtroppo l'assistente sociale poté
darci pochissimo aiuto, era a conoscenza solo di casi
di baliatico per bambini neonati; il nostro sarebbe stato il primo affidamento
di un bambino grandicello. Ci disse di non saper
prevedere le reazioni della bimba e della madre e che, comunque,
se la bimba non fosse riuscita ad inserirsi nella nostra famiglia, ci sarebbe
sempre stata la soluzione del collegio.
Il direttore dell'Istituto ci diede ancor meno aiuto, sembrava considerare importante solo
l'aspetto sanitario. Essendo la bimba bisognosa di cure chiese a noi solo
l'impegno di continuare a farle periodicamente la serie di iniezioni
nonché di portarla periodicamente per gli esami.
L'assistente sociale parlò poi di un
compenso mensile di L. 25.000 per il mantenimento
completo (vitto, vestiario e tutto quanto si fosse reso
necessario) della bambina.
L'aspetto finanziario, in quel
momento, non ci preoccupava minimamente; eravamo andati per adottare un bambino
ed avevamo misurato tutte le nostre risorse, comprese quelle finanziarie.
In seguito e specialmente ora, a
distanza di tempo, siamo in grado di valutare la cosa e di vedere quanto
insufficiente fosse stata la cifra.
Ci preoccupavano invece tutti gli
altri aspetti di questo affidamento così nuovo per noi
e circa il quale pareva che gli operatori sociali sapessero darci solo il
consiglio di regolarci con il nostro buon senso.
Anche a questo riguardo ora, a
distanza di tempo, vediamo i grossi pericoli di un affidamento così mal fatto,
nessuno (almeno questa è la nostra impressione) si preoccupò che noi avessimo
i requisiti necessari per accogliere in casa nostra ed
educare la bambina.
Gli errori che facemmo poi, durante
i due anni dell'affidamento, e dei quali da soli ci accorgemmo e sempre soli cercammo di correggere nel migliore dei modi, avrebbero
potuti in gran parte essere evitati se avessimo avuto qualche consiglio o
aiuto da parte degli operatori sociali.
Decidemmo dunque di accogliere in
casa nostra la bambina. Io ragionavo solo con il cuore: mi mettevo nei panni
della madre nubile e pensavo a nostra figlia in quelli della bambina. Da una
parte c'era dunque una ragazza che, per il momento, non poteva far da mamma a
sua figlia e dall'altra c'eravamo noi con la nostra disponibilità
affettiva. Pensavamo anche alla gioia di nostra figlia nel ricevere
un'amichetta che alla sera non sarebbe dovuta tornare a casa.
L'assistente sociale preparò bene la
madre della bimba spiegandole tutti i vantaggi di una vita in una famiglia
anziché in collegio e la mamma capì subito e bene perché anche in seguito si
dichiarò sempre felice della soluzione che avevano trovato per sua figlia.
La bimba era molto timida e chiusa
sebbene desiderosa di farsi amicizie. L'assistente sociale ci disse pure di
non concedere troppa libertà alla mamma nel venire a trovare sua figlia a tutte
le ore ma di stabilire con regola i giorni in cui
l'avrebbe visitata o magari portata a casa per il fine settimana. Questo
stabilire e regolamentare i rapporti tra madre e figlia ci risultava
comprensibile da un lato, specie perché l'unico difetto che si evidenziò subito
nella mamma era un certo disordine a tutti i riguardi, d'altro canto ci
ripugnava il mettere orari e limiti ai periodi in cui la bimba avrebbe potuto
stare con sua madre.
Avevo dimenticato di dire che si capiva ben chiaramente quanto profondi fossero i
legami tra loro due, questo anche per il carattere affettuosissimo della bimba
ed espansivo della mamma.
Durante i primi due giorni di
permanenza da noi S.I. era contenta di giocare con nostra figlia, ma parlava
pochissimo e cercava di sparire quando tornava a casa
dal lavoro mio marito. Il terzo giorno incominciò a piangere ed ad invocare
disperatamente la mamma tanto che pensammo che non si sarebbe mai riusciti a
farle accettare di stare con noi e soprattutto a farle capire come mai non
potesse più stare a casa sua, nel suo paese, con sua
mamma.
La bambina soffriva anche molto al
ricordo dei nonni morti da poco.
Chiedemmo l'aiuto dell'assistente
sociale che, all'infuori del consiglio di tenere duro,
non seppe proprio dirci altro. Ci raccomandò pure di pregare la mamma di non
venire a trovare I. per i primi giorni, ma di
telefonarle soltanto. Una cosa ci fu ben chiara sin
dall'inizio, anche se l'ass. soc. non
lo volle ammettere che più tardi: avremmo dovuto pensare noi e noi soli a far
accettare alla mamma qualsiasi regola o diverso sistema nei rapporti con la sua
bambina. Per tutta la durata dell'affido, qualsiasi osservazione, consiglio, ecc. li avremmo dovuti dare noi perché allora
ci sarebbe stata una buona possibilità che la madre li accettasse.
Diversamente, ogni cosa imposta
dagli operatori sociali, che per G. (la madre)
rappresentavano l'autorità costituita, avrebbe rischiato di venire rifiutata.
Questo perché degli operatori sociali ella ne aveva
avuto abbastanza durante i due mesi di permanenza al brefotrofio (prima e dopo
la nascita della bimba).
Alla nascita della bambina, G. non
era ancora maggiorenne.
Comunque sin dall'inizio non fu difficile
trattare con la madre; probabilmente (e ce lo disse anche) eravamo le prime
persone dalle quali riceveva per sé e sua figlia qualcosa disinteressatamente.
Dopo qualche giorno di rifiuto di
stare con noi da parte di I., rifiuto che ci era
comprensibilissimo (io pensavo sempre al putiferio che avrebbe scatenato mia
figlia in analoga situazione) le cose andarono meglio anche perché partimmo per
un mese di vacanza al mare (io e le due bambine soltanto).
Durante questo mese diventammo
amiche. La bimba scriveva alla mamma e viceversa. Era ben chiara, sempre, la
nostalgia che, nonostante la novità del mare, I. aveva
per la mamma, il paese, la montagna, le mucche ecc. ecc. A volte avrei
desiderato un po' di riconoscenza per quello che facevo, per gli abiti che le cucivo, per i giochi che le comperavo. Avevo fretta di
vedere che questa mia premura ed affetto cancellavano almeno in parte la sua
nostalgia ma quando mi imponevo di ragionare con
giustizia capivo che io le potevo dare solo briciole in confronto a quello che
aveva avuto quando viveva tra i campi con i suoi nonni.
Allora pensavo se fosse davvero un
bene per la bimba il vivere con noi o se non fosse
meglio vedere se l'IPAMI poteva dare un aiuto sostanzioso alla mamma e
permetterle di tenere con sé la figlia.
Parlammo di questo con l'ass. soc. ma
l'istituto non voleva sborsare che una somma insufficiente dicendo
che G. prendeva un buon stipendio. Poteva anche essere vero ma la ragazza,
abituata a versare la paga ai genitori, non sapeva assolutamente
amministrarsi, prestava denaro ad un fratello convivente e disoccupato ed approfittava dell'acquistata libertà per vestirsi come più
le piaceva.
Risultò chiaro che, se anche la bimba
soffriva di nostalgia, un suo ritorno a casa non era possibile e la soluzione
migliore era ancora quella di stare con noi.
A poco a poco la nostalgia diminuì,
I. si fece un sacco di amici nel nuovo ambiente
(questo grazie al suo buon carattere), la mamma veniva regolarmente a trovarla
e, spesso, la portavamo noi al paese.
Diventò più grandina e così fu
possibile mandarla ogni sabato al paese, da sola, con la corriera.
La mamma andava a prelevarla e poi la riportava la domenica sera.
I. andava a
scuola dalle suore, assieme a nostra figlia, ed era benvoluta. Le amiche,
naturalmente le chiedevano come mai abitasse con noi. Lei rispondeva che stava
con gli zii perché le erano morti i nonni e la mamma, per un periodo, non ce la
faceva a tenerla con sé, a causa dei turni di lavoro e della scomodità
dell'abitazione.
Con noi la bimba si
irrobustì parecchio, questo per la vita e l'alimentazione ordinate.
A scuola non combinò nulla
all'inizio e ciò perché aveva frequentato malamente
una prima-pluriclasse su al paese, restando a casa
per lunghi periodi a causa della sua gracilità. Non era poi assolutamente
portata allo studio, al sacrificio di prestare attenzione alle lezioni, allo stare un po' ferma e seduta a fare i compiti.
Avendo noi una figlia più piccola,
questa fu per noi la prima esperienza di «vice-genitori» di una scolara ed
all'inizio sbagliammo completamente obbligandola a mettersi con buona volontà a combinar qualcosa. Il vederla così sveglia e
pronta a far tutto fuorché il prestare un minimo di attenzione
allo studio mi fece uscire parecchie volte dai gangheri. Ecco dove sarebbe
stato prezioso l'aiuto di operatori sociali che
avessero saputo consigliarci allo scopo di ottenere che la bimba si
applicasse.
Comunque col tempo capimmo a nostre spese,
con maggior sacrificio e sofferenza da ambo le parti.
Intanto ci si affiatava sempre di
più, le volevamo bene come ad una cara nipotina sulla quale non si possono
vantare diritti ma che, dal momento che vive con noi, abbiamo il dovere di educare con affetto e proteggere.
Ad un certo momento scoppiò la
gelosia di nostra figlia, un po' perché doveva succedere (in fondo era sempre
cresciuta figlia unica) ed un po' perché I. con il suo
carattere simpatico attirava la benevolenza di tutti. Contribuirono senz'altro diversi sbagli da parte nostra, sbagli che noi,
privi di esperienza come eravamo, facemmo a diverse
riprese.
Questa gelosia fece soffrire tutti, le due bimbe in particolare, e fece andare in crisi
me, fece dire ai nonni che trascuravamo nostra figlia per un'estranea, ecc.
ecc. Per fortuna vivevamo da soli, lontani
Ci accorgemmo anche che la madre
maturava, si fermava a volte a parlare con noi dei suoi problemi, della sua solitudine e noi cercavamo di consigliarla per il
meglio. Era una ragazza intelligente; aveva sempre comperato
in passato gli abitini migliori per sua figlia e tuttora le faceva dei regali,
ma i capi più importanti venivano acquistati da noi all'insegna della
praticità e dell'economia come abbiamo sempre fatto per noi stessi e nostra
figlia. G. non criticò mai come vestivamo sua figlia, tutto quello che noi
facevamo era ben fatto. Per noi non fu mai una fatica trattare con lei, ci
dispiaceva il suo disordine nell'amministrare la sua
paga ma anche a questo riguardo maturò parecchio col tempo ed imparò a sue
spese.
Una cosa che mi faceva ripetutamente
andare in crisi era il pianto di I. alla
domenica sera, quando sua madre la riportava da noi; durava poco, appena G. s'era chiusa la porta dietro le spalle la bimba raccontava
come aveva trascorsa la festa e dopo un po' tornava a sorridere, ma c'era tanta
di quella sofferenza in quel distacco che mi pareva un peso troppo grosso da
sopportare per una bimba così piccola.
Non so come avrei
reagito a lungo andare se non ci fosse stato l'equilibrio di mio marito
che non drammatizzava la cosa considerandola logica. Era sempre lui che
riusciva a rasserenare la bimba, io mi sentivo rifiutata ed inutile poiché non
potevo dare ad I. quello che lei voleva: sua madre.
Comunque ci fu di positivo che incominciammo
ad operare in tutti i modi (specie a livello psicologico sulla madre) affinché
la bimba potesse tornare a casa in un non lontano futuro.
Proprio pensando al
giorno che se ne sarebbe andata ci ritrovammo davanti alla nostra prima
decisione: l'adozione. Sarebbe stato difficile riabituarci a vivere in tre
dopo alcuni anni trascorsi in quattro e quindi
tornammo alla carica con l'adozione.
Venimmo a
conoscenza del
CIAI (Centro Italiano per l'Adozione Internazionale) di Milano e dopo quattro
mesi dalla domanda di adozione arrivò dall'India la nostra piccola Leela di 20 mesi.
La nuova sorellina fece la felicità
delle due grandi le quali oltre ad essere molto contente di potersi occupare di
questa bambolina viva si trovarono finalmente unite e solidali nei loro giochi
«adulti» e nel considerare una rompiscatole la piccola.
I. era con
noi da due anni quando la mamma incominciò a prometterle ed a ripromettersi di
risparmiare, venire ad abitare in città vicino al luogo di lavoro ed, in un
paio d'anni, quando la bimba avesse terminato le elementari, tornare a vivere
insieme. Il pensare a questo futuro già delineato faceva molto bene ad I., ne
parlava con noi e con tutti e smise anche di piangere alla domenica sera quando
tornava con noi.
Durante le ferie estive di G. la
bimba stava sempre con lei e quando la madre, una volta, manifestò il desiderio
di trascorrere un periodo con amici suoi lasciando venire la bimba con noi al
mare la dissuademmo facendole capire come fosse
importante per I. trascorrere le ferie con la mamma.
La bimba si convinceva così che realmente la madre,
appena poteva, la teneva con sé. Inaspettatamente si rese
necessario per noi un trasferimento a M. G. si dichiarò disposta a
lasciarci ugualmente la bimba in affidamento, anche se era molto dispiaciuta
per questa maggiore lontananza. La bimba si preoccupò moltissimo e chiese
subito cosa sarebbe cambiato in pratica; avrebbe potuto ugualmente ogni sabato
alle 13 tornare al suo paese dove alla fermata dell'autobus c'era la mamma ad
aspettarla?
Capimmo tutti che questo non sarebbe
più stato possibile, anche con tutta la buona volontà madre e figlia si
sarebbero viste meno e questo la bimba non era in grado di accettarlo specie
ora che G. aveva iniziato una amicizia con un ragazzo
che ci aveva presentato e che ci era piaciuto.
Succedeva a volte che il suo tempo libero la madre lo divideva tra la figlia e l'amico e questo
poteva avvenire finché la bimba era a B.; una volta a M. inevitabilmente I. avrebbe ricevuto di meno ed in un periodo così delicato in
cui era combattuta tra il desiderio di avere finalmente anche lei un padre
(aveva molta simpatia per l'amico della mamma) e la gelosia di non avere più la
madre tutta per sé.
Decidemmo quindi di chiedere a G. se
non si sentisse di affrettare i tempi ed organizzarsi
a vivere con sua figlia.
Nel frattempo anche lei aveva
pensato ad una soluzione che evitasse l'allontanamento
di sua figlia poiché s'era resa conto della sofferenza che le avrebbe procurata
ed aveva trovato l'aiuto di sua sorella, abitante a B., che si dichiarava disposta
a prendersi in casa sia la bimba che la mamma.
I rapporti con questa sorella non
erano stati molto buoni un tempo ma durante la
permanenza della bimba da noi le cose s'erano sistemate ed anche la zia veniva
ogni tanto a trovare I. che era affezionata a lei ed
ai cuginetti.
Quando I. ci
lasciò dichiarò che sarebbe venuta spessissimo a trovarci, era molto commossa
specie al pensiero che non avrebbe avuto più la piccola Leela
con sé, ma stringeva felice la mano di sua madre.
Eravamo commossi anche noi, era un
pezzetto di famiglia che si staccava ma per andare al suo posto giusto dove
avrebbe sempre dovuto essere ed, in fondo, quello che poteva essere stato il
nostro sacrificio di quel paio d'anni lo avevamo fatto proprio allo scopo di
riunire madre e figlia. Ora sono passati quasi due anni da quando I. è tornata con la mamma e fra pochi mesi G. si sposerà con
l'amico che avevamo conosciuto anche noi.
Durante questi due anni la bimba ha
trascorso alcuni periodi di vacanza con noi, la troviamo sempre più assennata e
matura e siamo molto contenti di vedere quanto è felice di stare con la mamma.
Siamo rimasti amici, anche nostra
figlia ha trascorso qualche giorno in montagna a casa di I.
e l'abbiamo lasciata ben volentieri perché sapevamo
di poterci fidare.
G. è sempre molto contenta
quando può contraccambiare l'ospitalità che abbiamo dato alla sua bimba
e l'incontrarci è una gioia per tutti. I. comunque si
accerta sempre, quando viene a trascorrere qualche giorno da noi, che sia solo
per un periodo ed allora ci tornano alla mente i suoi pianti della domenica
sera e siamo ben felici di rassicurarla circa il suo ritorno a casa.
Se dovessimo trarre delle
conclusioni sull'affidamento da noi fatto diremmo che
il tutto è stato semplificato dalla presenza di una madre valida alla quale
abbiamo solo dato una mano in un periodo di bisogno.
NELLO
E SILVANA SIMONATO
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